Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22052 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22052 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata a Corato il 14/02/1971
avverso l’ordinanza del 06/02/2025 della Corte d’appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 06/02/2025, la Corte d’appello di Bari rigettava le richieste che erano state presentate da NOME COGNOME dirette a ottenere: 1) in via principale, la rescissione del giudicato, ai sensi dell’art. 629-bis cod. proc. pen., di cui alla sentenza n. 651/22 del 14/04/2022 del Tribunale di Trani, divenuta irrevocabile il 08/11/2022 (con la quale la COGNOME era stata condannata alla pena di due anni di reclusione ed € 600,00 di multa per il reato di ricettazione in concorso di un’autovettura); 2) in via subordinata, la restituzione nel termine, ai sensi dell’art. 175 cod. proc. pen., per impugnare la stessa sentenza.
La Corte d’appello di Bari rigettava tali richieste: 1) quanto a quella di rescissone del giudicato, perché il decreto di citazione a giudizio risultava essere stato validamente notificato all’imputata a mezzo della posta e la relativa
raccomandata era stata consegnata a mani della Varesano, con la conseguenza che l’assenza della stessa era stata correttamente dichiarata; 2) quanto a quella di restituzione nel termine per proporre appello, perché reputava che il mancato o l’inesatto adempimento, da parte del difensore di fiducia, dell’incarico di proporre impugnazione, a qualsiasi causa siano ascrivibili, non realizzano le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore che legittimano la restituzione nel termine.
Avverso la menzionata ordinanza del 06/02/2025 della Corte d’appello di Bari, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME NOME COGNOME affidato a un unico motivo, con il quale deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli artt. 43 e 45 cod. pen. e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione.
La ricorrente espone: a) di avere avuto conoscenza di essere stata condannata con l’indicata sentenza del Tribunale di Trani solo a seguito della notifica del relativo ordine di esecuzione; b) di avere successivamente inviato una mail all’avvocata che l’aveva difesa nel corso del giudizio di primo grado, la quale le aveva risposto «che non aveva inteso dare notizia della condanna all’imputata (né tanto meno dei termini per proporre appello)» (così il ricorso); c) di avere pertanto presentato richiesta «di rescissione e/o remissione nei termini per proporre appello», rappresentando «una incolpevole mancata conoscenza della sentenza di condanna (non dell’esistenza di un processo a suo carico )».
Ciò esposto, la COGNOME, dopo avere rappresentato come l’inerzia del difensore attinente alla mancata comunicazione di una pronuncia di condanna e della possibilità di impugnarla «porti inevitabilmente alla lesione di un diritto costituzionalmente garantito quale quello della libertà personale», contesta la pertinenza del richiamo fatto dalla Corte d’appello di Bari a Sez. 6, n. 18716 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266926-01, in quanto tale sentenza riguardava un caso in cui la decadenza dal termine per impugnare era dipesa da un errore di diritto nel calcolare lo stesso termine, mentre nel caso in esame viene in rilievo «un errore colpevole del difensore per imperizia (peraltro documentata a mezzo mail) il quale non ha coscientemente e consapevolmente comunicato l’intervenuta sentenza di condanna in primo grado».
La ricorrente denuncia al riguardo la contraddittorietà della motivazione per avere la Corte d’appello di Bari rigettato la richiesta di restituzione nel termine «pur riconoscendo la colpa del difensore» (così il ricorso), avendo la stessa Corte d’appello affermato che la valutazione della correttezza del difensore «sarà valutata nelle apposite sedi» (pag. 3 dell’ordinanza impugnata).
Dopo avere ribadito che, nel caso in esame, «di certo vi è negligenza professionale laddove il difensore non ha informato la Varesano dell’intervenuta
sentenza di condanna», la ricorrente sostiene che, in tale evenienza, ricorrerebbe un’ipotesi di «caso fortuito», in quanto, posto che, secondo le Sezioni unite della Corte di cassazione, si definisce «caso fortuito» «ogni evento non evitabile con la normale diligenza e non imputabile al soggetto a titolo di colpa o dolo» (così Sez. U, n. 14991 del 11/04/2006, De Pascalis, Rv. 233419-01), «non può ritenersi condivisibile l’assunto secondo cui il soggetto/imputato debba preordinarsi l’ipotesi di essere condannato senza che il difensore a cui ha conferito l’incarico abbia il dovere di notiziario di ciò».
Dopo avere chiesto se sia possibile «riconoscere in capo all’imputato un onere di informazione che vada oltre il mandato conferito», la COGNOME deduce che, nel caso in esame, «on vi erano elementi per insospettirsi dell’imperizia dell’avv. COGNOME, concretatasi in una condotta palesemente non identificabile come mero “errore di diritto”».
A sostegno della propria tesi della sussistenza, nella specie, di un caso fortuito, la ricorrente invoca Sez. 2, n. 31680 del 14/07/2011, Lan, Rv. 25074701, e Sez. 6, n. 35149 del 26/06/2009, A., Rv. 244871-01.
La Varesano argomenta ancora che: «n particolare dovere di diligenza in capo all’imputato può configurarsi solo quando l’errore non sia imprevedibile; nel caso di specie l’originario difensore non è stato “solo” negligente, ma ha manifestato imperizia, di talché pretendere in ipotesi di imperizia del difensore una specifica vigilanza in capo all’imputato “significa creare una vera e propria presunzione assoluta di colpa”, ovvero richiedere “una condotta di eccezionale diligenza” che vada ben oltre il ruolo di imputato».
La ricorrente rappresenta che l’orientamento giurisprudenziale da lei invocato «si fonda sull’osservazione che non può pretendersi che l’imputato, nell’effettuare la scelta del suo legale, debba verificare la correttezza professionale dello stesso e/o la padronanza di ordinarie regole di diritto ; pertanto, in caso di gravi errori del fiduciario, ricorre certamente un’ipotesi di caso fortuito (detto orientamento, inoltre, fa riferimento al principio della giurisprudenza CEDU secondo cui il giudice nazionale ha il dovere di restaurare i diritti processuali fondamentali dell’imputato quando le carenze difensive siano manifeste e siano segnalate alla sua attenzione)».
La ricorrente chiede quindi alla Corte di Cassazione di annullare l’ordinanza impugnata e di essere per l’effetto restituita nel termine per proporre appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’unico motivo non è fondato.
1.1. Si deve anzitutto rilevare che, delle due indicate richieste che aveva presentato alla Corte d’appello di Bari, la ricorrente “insiste” solo sulla seconda,
cioè quella relativa alla restituzione nel termine per proporre appello, atteso che le sue doglianze attengono esclusivamente al rigetto di tale richiesta (e non anche al rigetto della richiesta di rescissione del giudicato).
1.2. Ciò rilevato, con riguardo alla richiesta di restituzione nel termine, si deve osservare che, a fronte delle due isolate e ormai risalenti pronunce della Corte di cassazione che sono state invocate dalla ricorrente (le citate Sez. 2, n. 31680 del 14/07/2011, Lan, e Sez. 6, n. 35149 del 26/06/2009, A.) – secondo le quali si dovrebbe ritenere illegittimo il diniego della richiesta di restituzione in termini per la presentazione dei motivi di appello ai sensi dell’art. 175 cod. proc. pen. quando l’omesso adempimento dell’incarico di proporre impugnazione da parte del difensore di fiducia, non attivatosi contrariamente alle aspettative dell’imputato, sia stato determinato da una situazione di imprevedibile ignoranza della legge processuale penale, tale da configurare un’ipotesi di caso fortuito o forza maggiore – si contrappone l’ormai consolidato orientamento, che è stato seguito dalla Corte d’appello di Bari, secondo cui il mancato o inesatto adempimento, da parte del difensore di fiducia, dell’incarico di proporre impugnazione, a qualsiasi causa ascrivibile, non è idoneo a realizzare le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore che legittimano la restituzione nel termine, poiché consiste in una falsa rappresentazione della realtà, superabile mediante la normale diligenza e attenzione, e perché non può essere escluso, in via presuntiva, un onere dell’assistito di vigilare sull’esatta osservanza dell’incarico conferito, nei casi in cui il controllo sull’adempimento defensionale non sia impedito al comune cittadino da un complesso quadro normativo (Sez. 4, n. 55106 del 18/10/2017, COGNOME, Rv. 271660-01; Sez. 6, n. 3631 del 20/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 26973801; Sez. 2, n. 48737 del 21/07/2016, COGNOME, Rv. 268438-01; Sez. 6, n. 18716 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266926-01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In senso sostanzialmente analogo, si è affermato che il mancato o l’inesatto adempimento da parte del difensore di fiducia dell’incarico di proporre impugnazione, a qualsiasi causa ascrivibile, non è di per sé idoneo a realizzare le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore che legittimano la restituzione nel termine, dovendosi valutare, caso per caso, le modalità di controllo dell’assistito sull’esatta osservanza dell’incarico conferito e il quadro normativo in cui si inserisce la vicenda oggetto del procedimento (Sez. 6, n. 2112 del 16/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282667-01. Nello stesso senso, le non massimate Sez. 1, n. 195 del 17/01/2025, Marino, e Sez. 1, n. 25944 del 05/03/2024, Krasniqi).
A proposito di tale ormai consolidato orientamento della Corte di cassazione – che il Collegio, condividendo le argomentazioni che sono state addotte a sostegno dello stesso, intende ribadire -, si deve altresì osservare come esso risulti indifferente alle cause che abbiano dato luogo all’inadempimento del difensore («a
qualsiasi causa ascrivibile»), senza, perciò, individuare, eccezioni di sorta sul piano astratto.
1.3. Posto tale condiviso orientamento, si deve rilevare che la ricorrente si è
limitata a rappresentare che il proprio difensore di fiducia (l’avv. COGNOME non l’aveva messa a parte né dell’emissione della sentenza di primo grado né della
scadenza del termine per impugnarla, senza però nulla dedurre in ordine ai contatti che avrebbe in ipotesi tenuto con il suddetto avvocato e alla vigilanza che avrebbe
in ipotesi svolto sull’esatta osservanza dell’incarico che gli aveva conferito.
Considerata tale carente prospettazione, anche in questa sede, in ordine alle modalità di espletamento della vigilanza che avrebbe dovuto essere esercitata
dalla ricorrente sull’operato del proprio difensore di fiducia, si deve ritenere che la
Corte d’appello di Bari abbia correttamente ritenuto che il lamentato mancato adempimento della prestazione professionale da parte dello stesso difensore non
integrasse un’ipotesi di caso fortuito, inevitabile con la diligenza che l’imputato deve avere in relazione al processo che lo vede coinvolto.
Alla luce di quanto si è argomentato, si deve ritenere l’insussistenza dei presupposti per rimettere il ricorso alle Sezioni unite, come sollecitato, «se necessario», dalla ricorrente.
Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta ‘corso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 29/05/2025.