Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 43154 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 43154 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/05/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore Generale COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME, tramite il difensore di fiducia, ha proposto istanza di restituzione termine ai sensi dell’art. 175, comma 2.1, cod. proc. pen. per proporre ricorso avverso la sentenza n. 3841 del 2023 della Corte d’Appello di Bologna del 23.5.2023, con cui è stata dichiarata la prescrizione dei reati di cui agli artt. 2 e 10 d.lgs. n. 74 del 2000 stata parallelamente confermata la sua condanna per bancarotta fraudolenta a tre anni di reclusione, con rideterminazione delle pene accessorie fallimentari nella stessa misura, pronunciata con sentenza del 10 maggio 2017.
1.1. L’istante assume di essere stato giudicato in assenza sia in primo che in secondo grado, senza avere mai alcuna conoscenza del processo in corso nei suoi confronti, di cui aveva avuto notizia per la prima volta in virtù della notifica dell’ordine di esecuzio emesso dalla Procura Generale della Corte d’Appello di Bologna, avvenuta il 5.4.2024.
Successivamente a tale notifica, il suo attuale difensore di fiducia si era attivato, venend a conoscenza che il fascicolo del procedimento era stato trasmesso in Corte di cassazione a seguito del ricorso del coimputato NOME COGNOME; in data 18.4.2024 l’avvocato difensore, quindi, ha ricevuto le copie degli atti richieste alla Corte di cassazione e ha potu verificare i dettagli del processo nei confronti dell’istante.
1.2. La difesa evidenzia che l’unico atto cui COGNOME aveva partecipato direttamente e di cui aveva avuto notizia era stata la nomina di difensore di fiducia in data 20.5.2013, in sede di identificazione da parte della polizia giudiziaria, nel corso delle indagini.
Tutte le notifiche di atti del procedimento successive a tale momento risultano essere state compiute presso il difensore nomiNOME, anche dopo la rinuncia formale al mandato da parte di questi, datata 18.3.2016, comunicata all’autorità giudiziaria procedente. La rinuncia, peraltro, era stata anticipata a COGNOME da difensore con notifica via pec de decreto che disponeva il giudizio, ma non era mai stata ricevuta, poiché diretta ad un indirizzo che l’istante non utilizzava più.
Il difensore di fiducia non aveva mai avuto rapporti effettivi con COGNOME; non era stat diligente né nella comunicazione della sua volontà di rinunciare al mandato – inviata il 24.10.2014 solo all’assistito, tramite pec non pervenuta, e non all’autorità giudiziaria cui si avvedeva di dovere informazione soltanto il 18.3.2016 – né quanto alle modalità di svolgimento del mandato fiduciario, poiché non si era mai fatto carico di seguire il procedimento o di compiere attività difensiva e neppure aveva tentato contatti effettivi con l’istante.
Neppure il difensore d’ufficio, successivamente nomiNOME a seguito della rinuncia di quello di fiducia, aveva svolto alcuna attività difensiva, presenziando solo formalmente alle udienze e redigendo l’atto di appello senza consultarsi con l’assistito.
Il AVV_NOTAIO Procuratore Generale della Corte di cassazione ha chiesto il rigetto dell’istanza, perché non è stata provata la forza maggiore o il caso fortuito, che, soli avrebbero potuto dar luogo all’attivazione del meccanismo restitutorio richiesto e, d’altra parte, constatato che, anche a voler ritenere l’istanza un ricorso per rescissione del giudicato, non vi sarebbero i presupposti per l’accoglimento del ricorso in quanto singoli atti della progressione processuale provano che l’istante è venuto a conoscenza del procedimento, ma non ha diligentemente adempiuto al dovere di informarsi al riguardo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L’istanza è infondata.
NOME COGNOME fa richiesta di essere rimesso in termini per proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello con cui, tra l’altro, è stato condanNOME per il reato di bancarotta fraudolenta, ai sensi dell’art. 175, comma 2.1., cod. proc. pen., non avendo avuto conoscenza della “pendenza del processo”.
Egli è stato giudicato “in assenza” sia in primo che in secondo grado ed afferma di non avere mai avuto contezza del processo in corso nei suoi confronti, di cui ha avuto notizia per la prima volta in virtù della notifica dell’ordine di esecuzione emesso dalla Procura Generale della Corte d’Appello di Bologna, avvenuta il 5.4.2024.
L’istante aveva nomiNOME un difensore di fiducia, indicandolo anche come domiciliatario, nel corso delle indagini ed in particolare al momento dell’identificazione in data 20.5.2013.
Tale difensore, cui è stato notificato il decreto che disponeva il giudizio anche qual domiciliatario dell’imputato, ha rinunciato al mandato al momento della notifica a questi del decreto che disponeva il giudizio, emesso il 3.10.2014. Precisamente, il 24.10.2014, l’avvocato ha comunicato al suo assistito di rinunciare al mandato difensivo inviandogli anche il decreto che disponeva il giudizio, ma ad una pec che, secondo l’istante, non utilizzava più e senza comunicare la rinuncia anche all’autorità giudiziaria procedente, come pure avrebbe dovuto.
Tutte le notifiche di atti del procedimento successive a tale momento sono state dirette al difensore nomiNOME, anche quelle dopo il 18.3.2016, data in cui il difensore si è reso conto della necessità di comunicare, per regolarità formale, la rinuncia al mandato anche all’autorità giudiziaria.
L’istante lamenta, altresì, che il difensore di fiducia non ha mai avuto rapporti effett con lui e non ha mai svolto alcuna attività difensiva concreta in suo favore.
Se la situazione processuale è quella descritta al paragrafo precedente, la domanda di restituzione in termini dell’istante non è fondata, per le ragioni che si esporranno d seguito.
3.1. È bene premettere qualche sintetico cenno di inquadramento generale sull’istituto dell’assenza, segnalando, ancora una volta, che, nel caso del ricorrente, pur evocando in qualche modo la difesa una totale inconsapevolezza del processo sia in primo che in secondo grado, tuttavia l’istanza proposta è volta a chiedere la restituzione in termini soltanto per proporre ricorso per cassazione, sicchè quel che viene in rilievo è la mancata conoscenza del giudizio d’appello, in relazione al quale valgono le regole previste dall’art. 598-ter cod. proc. pen.
Ebbene, in estrema sintesi, la riforma del giudizio in assenza da ultimo varata dal legislatore, con il d. Igs. n. 150 del 2022, ha spostato il baricentro della regolamentazion dell’istituto dell’assenza dell’imputato nel giudizio di primo grado dalle logiche presunzione di conoscenza, o meno, del processo alla “verifica della conoscenza effettiva” del processo, con scrutinio collocato al momento dell’instaurazione del giudizio di primo grado.
Il controllo dell’assenza oggi previsto in capo al giudice di primo grado è, per questo, molto penetrante.
L’art. 420-bis cod. proc. pen. (“Assenza dell’imputato”), nel testo da ultimo modificato dal d. Igs. n. 150 del 2022, al primo comma, prevede che si proceda in assenza se si è ricevuto l’atto di citazione a mani proprie o a mezzo di persona espressamente delegata e se vi è stata espressa rinuncia da parte dell’imputato; al secondo comma, individua i casi in cui si procede in assenza pur se non vi è stata alcuna manifestazione espressa di rinuncia né notifica a mani proprie o di delegato: «Il giudice procede in assenza dell’imputato anche quando ritiene altrimenti provato che lo stesso ha effettiva conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza all’udienza è dovuta ad una scelta volontaria e consapevole. A tal fine il giudice tiene conto delle modalità della notificazione, degli atti compiuti dall’imputato prima dell’udienza, della nomina d un difensore di fiducia e di ogni altra circostanza rilevante.».
Parallelamente a tale più penetrante vaglio di effettiva conoscenza del processo che è imposto al giudice, il sistema prevede, all’art. 175, comma 2.1., cod. proc. pen., che l’imputato giudicato in assenza sia restituito, a sua richiesta, nel termine per proporr impugnazione, salvo che vi abbia volontariamente rinunciato, se, nei casi previsti dall’articolo 420-bis, commi 2 e 3, cod. proc. pen., fornisce la prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa.
La restituzione in termini, quindi, si pone come rimedio che opera in caso di assenza dichiarata in coerenza con l’art. 420-bis e, tuttavia, vi sia prova della mancat conoscenza incolpevole del processo da parte dell’imputato.
L’onere di prova richiesto normativamente all’imputato per essere restituito nel termine, qualora sia stato giudicato in assenza, non contraddice i principi stabilmente affermati dalle Sezioni Unite riguardo alle garanzie da assicurare al diritto di essere effettivament consapevole che un “processo” nei suoi confronti si sta svolgendo, perché la dichiarazione di assenza consegue ad un penetrante scrutinio della situazione concreta, affidato al giudice e presidiato dagli indicatori legislativi che ne parametrano i poteri di verif scrutinio cui, corrispondentemente, fa eco un onere di prova contraria per l’imputato giudicato assente all’esito di tale significativa valutazione, qualora invochi un rimed restitutorio dei termini o rescissorio del giudicato.
Si rammenta, infatti, che le Sezioni Unite, ispirandosi alla consolidata giurisprudenza della Corte Edu (cfr., per tutte, Corte EDU, Grande Camera, 1 marzo 2006, Sejdovic c. Italia e Corte EDU, 25 novembre 2008, Cat Berro c. Italia), hanno affermato il principio secondo cui, ai fini della dichiarazione di assenza, non può considerarsi presupposto idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore da parte dell’indagato, quando questi sia il difensore d’ufficio, poichè il giudice deve verificare, in tal caso, anc presenza di altri elementi, che vi sia stata l’effettiva instaurazione di un rappo professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certe che quest’ultimo abbia avuto conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla stessa (Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279420).
Viceversa, è la stessa sentenza COGNOME che ha chiarito come “l’avere eletto domicilio, l’essere stato sottoposto a misura cautelare, avere nomiNOME il difensore di fiducia, sono situazioni che consentono di equiparare la notifica regolare, ma non a mani proprie, alla effettiva conoscenza del processo”, essendo indubitabile che, pur non trattandosi di presunzioni cognitive, tali situazioni realizzano ipotesi in cui “è ragionevole ritenere c l’imputato abbia effettivamente conosciuto l’atto regolarmente notificatogli anche non a mani proprie”.
Le Sezioni Unite rimarcano la necessità che gli indicatori esemplificati di “conoscenza” del processo debbano sempre essere letti in una chiave “effettiva” e non in via presuntiva ed astratta, essendo stato espunto il piano delle presunzioni dal legislatore.
Tuttavia, non ignorano il fenomeno dei “finti inconsapevoli”, e cioè della volontari sottrazione «alla conoscenza del procedimento o di atti del procedimento», ammonendo circa la mancata tipizzazione normativa di condotte particolari che possano ritenersi sintomatiche di una simile evenienza e la necessità di evitare automatismi tra tale condizione e situazioni comuni quali la irreperibilità, il domicilio eletto etc., ma, al te stesso, evidenziando come “la manifesta mancanza diligenza informativa, la indicazione di un domicilio falso, pur se apparentemente valido ed altro, potranno essere circostanze valutabili nei casi concreti” ancorchè non di per sé determinanti, su di un piano solo astratto, per potere affermare la ricorrenza della “volontaria sottrazione”.
In altre parole, pur rilevando la “finta inconsapevolezza” come figura di chiusura della disciplina dell’assenza, non va esasperato il concetto di “mancata diligenza” sino a trasformarlo automaticamente in una conclamata volontà di evitare la conoscenza degli atti, ritenendola sufficiente per fare a meno della prova della consapevolezza della vocatio in ius per legittimare di procedere in assenza, pena altrimenti il ritorno al sistema delle vecchie presunzioni, non più consentito.
E non vi è dubbio che, per “notifica regolare” dell’atto di citazione debba intendersi quell al domicilio eletto, che corrisponde al domicilio del proprio difensore di fiduc regolarmente nomiNOME.
3.2. L’art. 598-ter cod. proc. pen., introdotto ancora una volta dal d.lgs. n. 150 del 202 distingue l’assenza dell’imputato in appello dalla condizione di assenza nel giudizio di primo grado esaminata nel paragrafo precedente e prevede che, in caso di regolarità delle notificazioni: ai sensi del primo comma dell’art. 509-ter cod. proc. pen l’imputato appellante non presente all’udienza di cui agli articoli 599 e 602 cod. proc. pen. (vale a dire la prima udienza nella forma camerale o dibattimentale, a seconda dei casi) è sempre giudicato in assenza anche fuori dei casi di cui all’articolo 420-bis.
La disciplina di cui all’art. 598-ter deve leggersi in combinazione alle norme sull notificazioni e sui requisiti di ammissibilità dell’impugnazione stabiliti dalle para disposizioni di cui ai commi 1-ter (oggi abrogato per effetto della legge 9 agosto 2024, n. 114) e 1-quater dell’art. 581 cod. proc. pen. (mandato ad impugnare specifico rilasciato al difensore d’ufficio – secondo le modifiche della disposizione imposte dall citata legge n. 114 del 2024 – e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato giudicato in assenza, ai fini della notificazione del decreto di citazione giudizio) quali nuovi requisiti di ammissibilità del gravame.
Nel caso di imputato appellante, l’ispirazione del legislatore, tradotta nell’art. 598-t primo comma, è evidente: se la notifica è regolare ed egli non si presenta, viene sempre considerato assente, poichè l’imputato appellante non può non sapere della pendenza del giudizio di secondo grado, in quanto il nuovo sistema creato dal legislatore del 2022 ha imposto (o aveva imposto, per meglio dire), a pena di inammissibilità, l’obbligo di elezione di domicilio, se presente nel processo di primo grado – ma la relativa disposizione di cui all’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. è stata, come già evidenziato, successivamente abrogata – e, se assente, l’obbligo di conferire al proprio difensore specifico mandato ad impugnare (oggi la norma risulta in vigore soltanto per il caso che il difensore sia d’ufficio e non di fiducia, come si è evidenziato).
A prescindere dagli interrogativi che si presentano all’interprete sulla tenuta dell razionalità complessiva del sistema “combiNOME” proposto dagli artt. 598-ter cod. proc. pen. e 581 cod. proc. pen. – con cui si tendeva alla valorizzazione della garanzia della partecipazione effettiva dell’imputato al processo penale, mediante strumenti proattivi che lo coinvolgessero direttamente – una volta che tale ultima disposizione è stata
modificata dalla novella di cui alla legge n. 114 del 2024 nei termini già enunciati, dev comunque prendersi atto che l’istituto dell’assenza in appello ha tuttorkn volto significativamente differente dal suo “gemello” in primo grado.
Per l’ipotesi dell’imputato appellante non presente in udienza, in particolare, si è gi sottolineato come sia previsto che, in caso di regolarità delle notificazioni, questi s sempre giudicato in assenza, “anche fuori dei casi di cui all’articolo 420-bis” del codice di rito.
Orbene, tale indicazione si attaglia perfettamente al caso del ricorrente, il quale appellante, è rimasto assente, pur in presenza di notifiche del decreto di citazione valide e regolari.
Nel caso di specie, poi, vi è da evidenziare che l’imputato era difeso in appello d’uffic (come precisa lo stesso ricorso, l’impugnazione è stata redatta dal difensore d’ufficio, nomiNOME una volta formalizzata la rinuncia del precedente avvocato di fiducia) e che, dunque, avrebbe dovuto adempieresi all’obbligo, previsto tuttora dall’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen. a pena di inammissibilità, di depositare, insieme all’atto di impugnazione, specifico mandato ad impugnare rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato, ai fini del notificazione del decreto di citazione a giudizio.
Di tale adempimento il ricorso non fa parola, dal che si rivela la sua mancanza di confronto con la disciplina normativa vigente, essenziale per risolvere la questione della restituzione nel termine per proporre ricorso avverso la sentenza d’appello.
Ed infatti, seguendo l’art. 175 cod. proc. pen. per quel che rileva nella fattispecie esame:
in ogni caso, il pubblico ministero, le parti private e i difensori sono restituiti nel t stabilito a pena di decadenza, se provano di non averlo potuto osservare per caso fortuito o per forza maggiore (comma 1);
in caso di imputato giudicato in assenza, questi è restituito, a sua richiesta, nel termi per proporre impugnazione, salvo che vi abbia volontariamente rinunciato, se, nei casi previsti dall’articolo 420-bis, commi 2 e 3, fornisce la prova di non aver avuto effetti conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa (comma 2.1.).
Orbene, l’istanza del ricorrente è stata formulata ai sensi dell’art. 175, comma 2.1. disposizione che, tuttavia, non sembra potersi applicare ai casi di assenza dichiarata in appello e di richiesta di restituzione nel termine per proporre ricorso in cassazione, poiché chi propone appello – e soprattutto chi si sarebbe dovuto trovare, come il ricorrente, nella condizione prevista a pena di inammissibilità dell’impugnazione dall’art. 581, comma 1quater, cod. proc. pen. – per forza di cose ha conoscenza della “pendenza del processo”, presupposto primario per la restituzione richiesta.
Dunque, il ricorrente avrebbe dovuto proporre istanza non già ai sensi del comma 2.1. dell’art. 175 cod. proc. pen., bensì del comma 1 della medesima disposizione, che è applicabile a tutti i casi nei quali vi sia stata decadenza da un termine si invochi un event eccezionale che abbia impedito di rispettarlo.
Di conseguenza, per la soluzione della questione proposta al Collegio, deve essere verificata l’eventuale presenza di fattori di caso fortuito o forza maggiore che abbiano impedito all’imputato di depositare, nei termini di legge, il ricorso per cassazion agogNOME.
3.3. Ebbene, il ricorso è costruito intorno non a già all’enunciazione di elementi concreti che provino la forza maggiore o il caso fortuito che hanno impedito la proposizione tempestiva del ricorso, bensì sulla mancata conoscenza, da parte dell’imputato, del giudizio di appello (così come di quello di primo grado) e, di conseguenza, della sentenza che ha concluso la fase di impugnazione di merito; il ricorrente sarebbe stato penalizzato da un rapporto del tutto inesistente con il difensore di ufficio, il quale avrebbe propost appello “certamente per dovere difensivo”, ma, poi, se ne sarebbe sostanzialmente disinteressato, non tenendone informato l’imputato.
Tale condizione non può essere ritenuta integrante un’ipotesi di caso fortuito o forza maggiore, per le ragioni che si indicheranno di seguito.
Occorre ricordare, infatti, che, in materia di restituzione nel termine la forza maggior deve presentarsi come un particolare impedimento allo svolgimento di una certa azione e deve essere tale da rendere vano ogni sforzo dell’agente per il suo superamento ed inoltre non deve essere a lui imputabile in nessuna maniera.
L’impedimento al tempestivo esercizio del diritto di impugnazione deve presentare connotazioni oggettive, e non essere quindi comunque riconducibile a comportamenti del soggetto interessato, salvo che questi risultino condizionati da fattori esterni in termi assoluti (Sez. 6, n. 26833 del 24/3/2015, Manzara, Rv. 263841 – 01).
Per sua stessa definizione la forza maggiore deve essere assoluta e, cioè, non vincibile né superabile in alcuna maniera. E tale non può considerarsi quella situazione che, con intensità di impegno e di diligenza tipico o normale, avrebbe potuto essere altrimenti superata Sez. 5, n. 965 del 28/2/1997, COGNOME, Rv. 207387 – 01).
Potrebbe essere causa di forza maggiore uno stato di malattia, ad esempio, ma solo se di tale gravità da incidere sulla capacità di intendere e volere dell’interessat impedendogli per tutta la sua durata qualsiasi attività (cfr., per tutte, Sez. 6, n. 519 del 3/12/2019, Costantino, Rv. 278063).
Oppure ancora, si è chiarito che può integrare fatto costituente forza maggiore, che può giustificare la restituzione nel termine per l’impugnazione, l’errata informazione ricevuta dalla cancelleria circa l’omesso tempestivo deposito della sentenza nei termini di rito; tuttavia, l’istante ha l’onere di provare rigorosamente il verificarsi del fatto ostativ tempestivo esercizio della facoltà di impugnazione e non può limitarsi ad allegare a
e2g
sostegno del proprio assunto dichiarazioni provenienti da lui o da altri difensori interessat (Sez. 2, n. 17708 del 31/1/2022, COGNOME, Rv. 283059; Sez. 6, n. 21901 del 3/4/2014, G., Rv. 259699).
Alla luce, dunque, del rigore delle nozioni esaminate, nella giurisprudenza di questa Corte si è escluso, ad esempio, che possano configurare ipotesi di forza maggiore, in determinati casi, la detenzione dell’imputato (Sez. 1, n. 41155 del 24/10/2011, COGNOME, Rv. 251555 – 01 e Sez. 2, n. 46232 del 8/11/2023, COGNOME, Rv. 285518); la residenza all’estero dell’istante (in quanto egli può presentare la dichiarazione di gravame davanti ad un agente consolare: v. Sez. 5, n. 1218 del 15/10/1986, dep. 1987, Passavanti, Rv. 174794 – 01); il malfunzionamento della firma digitale (Sez. 3, n. 29322 del 20/6/2024, COGNOME Shenghe, Rv. 286831).
Deve ribadirsi, infine, che, in tema di restituzione nel termine, grava sul richiedente ch adduce un’ipotesi di forza maggiore l’onere di provare il verificarsi di un impedimento assoluto, tale da rendere vano ogni sforzo umano, che derivi da cause esterne a lui non imputabili (cfr., per tutte, Sez. 1, n. 12712 del 28/2/2020, Giglio, Rv. 278706).
In conclusione, la mancata conoscenza del processo derivante da una serie di inadeguatezze dei difensori lamentate dal ricorrente (prima di quello di fiducia e, successivamente, di quello d’ufficio) non rientra tra le ipotesi sussumibili nell’alveo de nozioni di caso fortuito o forza maggiore idonee a sbloccare il meccanismo restitutorio invocato (per il difensore di fiducia, cfr., per tutte, Sez. 6, n. 2112 del 16/11/20 Coppola, Rv. 282667; cfr. anche Sez. U, n. 14991 del 11/4/2006, COGNOME, Rv. 233419, sugli obblighi del difensore d’ufficio), in mancanza, oltretutto, di qualsia indicazione del ricorrente circa il verificarsi di un impedimento assoluto, tale da render vano ogni sforzo umano, che derivi da cause esterne a lui non imputabili.
4. Può essere utile, in chiusura dell’analisi già svolta e data la complessità dell’interazio tra le diverse disposizioni normative che intervengono a regolare il caso sottoposto all’esame del Collegio, porre un’ultima considerazione: anche volendo ritenere applicabile l’art. 175, comma 2.1., cod. proc. pen. alla fattispecie che coinvolge il ricorrente, de essere rilevato che non risulta provata una situazione di non conoscenza della pendenza del processo in capo all’imputato.
L’assenza nel giudizio di primo grado, infatti, è stata correttamente dichiarata dal giudic di primo grado, per quel che risulta dalla stessa prospettazione difensiva.
Da un punto di vista del rispetto dei presupposti individuati dall’art. 420-bis cod. pro pen. per poter procedere “in assenza”, va evidenziato che l’imputato ha nomiNOME un difensore di fiducia ed ha eletto domicilio presso questi nel corso delle indagini, ricevendo anche la notifica del decreto che disponeva il giudizio al domicilio eletto, appunto indicat come luogo in cui intendeva ricevere le comunicazioni del procedimento.
Come si è evidenziato, il comma 2 della norma citata prevede proprio che si possa desumere prova dell’effettiva conoscenza del processo da alcuni indicatori normativamente esemplificati ma da declinare, pur sempre, nella fattispecie concreta, tra i quali la nomina di un difensore di fiducia.
L’istante si trovava, in altre parole, in una delle situazioni di fatto oggi previst legislatore per la dichiarazione di assenza ed avallate dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite come ragionevoli “indicatori” di conoscenza dell’atto di citazione in giudizio; e precisamente egli si trova nella condizione di chi può desumersi fondatamente che abbia avuto conoscenza effettiva della pendenza del processo ed abbia volontariamente scelto di non presenziarvi o comunque di disinteressarsene.
Depongono in tal senso alcuni fattori concreti che il legislatore e la giurisprudenza d questa Corte regolatrice espressamente ritengono che debbano essere tenuti presenti per la valutazione circa l’effettiva conoscenza, là dove, al comma 2 dell’art. 420-bis cod. proc. pen., ha evidenziato che il giudice può dichiarare l’assenza quando ritiene altrimenti provata l’effettiva conoscenza della pendenza del processo e che l’assenza all’udienza è dovuta ad una scelta volontaria e consapevole.
Gli indicatori nella fattispecie in esame sono i seguenti:
l’imputato ha nomiNOME un difensore di fiducia e presso di lui ha eletto domicilio;
la notifica del decreto di citazione (per la stessa prospettazione dell’istante) è avvenuta via pec al domicilio eletto, presso il difensore di fiducia;
quest’ultimo ha comunicato al proprio assistito la citazione a giudizio, presso la pec già indicatagli proprio dall’imputato;
l’imputato non si è reso parte diligente con il proprio difensore dandogli notizia del nuovo indirizzo di posta elettronica o comunque di un nuovo recapito cui far pervenire le comunicazioni relative al procedimento in cui pure lo aveva nomiNOME come proprio difensore di fiducia, eleggendo domicilio addirittura presso di lui.
Questa Corte regolatrice, invero, sebbene nella speculare materia della rescissione del giudicato piuttosto che per l’istituto restitutorio previsto dall’art. 175 cod. proc. pen. già ritenuto che la nomina di un difensore di fiducia con elezione di domicilio presso il suo studio, pur quando vi abbia fatto seguito una dichiarazione di rinuncia al mandato, costituisce indice di effettiva conoscenza del processo che legittima il giudizio in assenza, salva l’allegazione, da parte del condanNOME, di circostanze di fatto che consentano di ritenere che egli non abbia avuto conoscenza della celebrazione del processo e che questa non sia dipesa da colpevole disinteresse per la vicenda processuale (Sez. 4, n. 13236 del 23/03/2022, Piunti, Rv. 283019; sul rilievo da conferire alla nomina di un difensore di fiducia da parte dell’imputato, cfr. anche Sez. 3, n. 14577 del 141/12/2022, dep. 2023, G., Rv. 284460).
Tuttavia, allo scopo di adempiere al suddetto onere di allegazione, non può essere sufficiente semplicemente invocare – come oggi fa il ricorrente – la mancata ricezione
gib
della notifica del decreto di citazione a giudizio, adducendo di non utilizzare più la p alla quale il proprio difensore di fiducia, regolarmente nomiNOME nel corso delle indagini ed indicato anche come domiciliatario, ha inviato l’atto di vocatio in ius (cfr., in un caso simile, ma con l’aggiunta della sottoposizione dell’imputato a misura cautelare, Sez. 6, n. 46795 del 12/10/2023, NOME Mamour, Rv. 285493, che ha ribadito in motivazione il principio di Sez. 4, n. 13236 del 2022 cit.).
A ritenere altrimenti, sarebbe sin troppo semplice aggirare le disposizioni normative provenienti dall’art. 175, comma 2.1., cod. proc. pen.
Anche la Corte di giustizia dell’Unione Europea, peraltro, in una recente sentenza (CGUE, Quarta Sezione, 19 maggio 2022, C-579/20) emessa sul tema del processo in absentia e dei relativi rimedi ai sensi degli artt. 8 e 9 direttiva 2016/343/UE, a chiusura di articolato ragionamento, ha statuito che gli artt. 8 e 9 della direttiva 2016/343/UE devono essere interpretati nel senso che un prevenuto, che le autorità non sono riuscite a rintracciare, nonostante i loro ragionevoli sforzi, può essere oggetto di un processo in assenza.
La regola generale, secondo i giudici di Lussemburgo, è che il soggetto, al momento della notifica dell’eventuale condanna, deve avere il diritto a un nuovo processo o comunque a un rimedio giurisdizionale equivalente, in grado di consentire un nuovo esame del merito della causa.
Tuttavia, si ammette un limite all’esercizio di tale diritto, che sussiste qualora, su scorta di indizi oggettivi e precisi, si evinca che l’accusato ha ricevuto informazio sufficienti per potersi avvedere del fatto che si sarebbe svolto un processo nei suoi confronti e, nonostante ciò, «con atti deliberati e al fine di sottrarsi all’azione giustizia, ha impedito alle autorità di informarlo ufficialmente di tale processo».
Secondo la Corte di giustizia, è necessario verificare la presenza di «indizi precisi oggettivi», tali da far ritenere che il soggetto, «pur essendo stato ufficialmente informat di essere accusato di aver commesso un reato e, sapendo quindi che un processo si sarebbe svolto nei suoi confronti, agisca deliberatamente in modo da evitare di ricevere ufficialmente le informazioni relative alla data e al luogo del processo».
Indizi di questa matrice possono essere rinvenuti – sottolinea la sentenza – proprio nelle ipotesi in cui l’accusato abbia volontariamente fornito un indirizzo errato o non sia stat reperito presso quello indicato.
In questi termini, – ha rilevato la pronuncia – la fattispecie può considerarsi rientra nell’art. 8, par. 2, direttiva 2016/343/UE, con conseguente possibilità di svolgere un procedimento in assenza, senza il diritto ai rimedi successivi di cui all’art. 9 de medesima fonte.
Tale interpretazione sarebbe, anzitutto, corroborata dal considerando n. 38, secondo cui, al fine di vagliare se il modo in cui le informazioni fornite sia sufficiente per garanti
leo
conoscenza del processo da parte dell’interessato, occorre tenere conto non solo della diligenza delle autorità, ma anche di quella del prevenuto.
Anche alla luce di tali importanti considerazioni, la richiesta dell’istante deve ritene inadeguata a sbloccare il suo diritto a ricorrere per cassazione avverso la sentenza d’appello, poiché è emerso, dalla stessa prospettazione difensiva, che l’istante non ha avuto alcun contatto con il suo difensore, pur nomiNOME di fiducia, al fine di consentirg di sapere che l’indirizzo fornitogli per trasmettere gli atti del procedimento e del processo ricevuti come suo domiciliatario, era errato perché in disuso e, verosimilmente, mutato. Né può addursi, ad ulteriore rafforzamento della prova della mancata conoscenza effettiva del processo, la non attivazione del mandato difensivo effettivo da parte dell’avvocato nomiNOME, in una situazione come quella di specie, in cui questi si era reso diligentemente latore della notifica all’imputato del decreto di citazione a giudizi inviandola ad una pec, come si è sottolineato, che si comprende essergli stata comunicata da quest’ultimo al momento del loro primo contatto per la nomina e che, successivamente, è divenuta errata perché in disuso, senza che alcun avviso gli fosse comunicato dal suo assistito al riguardo.
Tale ultimo particolare, chiaro indicatore di scarsa diligenza dell’imputato, che non ha inteso comunicare al difensore di fiducia il suo mutato indirizzo di pec, né ha preso contatti con lui, lascia concludere per la prova, nel caso di specie, di quel “colpevole disinteresse per la vicenda processuale” che disinnesca la mancata conoscenza effettiva del processo come presupposto della restituzione in termini ed esclude anche l’ignoranza incolpevole del processo quale base di un’eventuale rescissione del giudicato ai sensi dell’art. 629-bis cod. proc. pen.
Ed infatti, qualora si volesse intendere l’istanza di restituzione nel termine come richiesta di rescissione del giudicato mediante ricorso, va chiarito che tale rimedio, al di là dei suo caratteri formali, ha carattere di strumento di impugnazione straordinario basato due pilastri normativi: il condanNOME o la persona sottoposta a misura di sicurezza con sentenza passata in giudicato deve provare di essere stato dichiarato assente in mancanza dei presupposti previsti dall’articolo 420-bis cod. proc. pen. e deve provare altresì di non aver potuto proporre impugnazione della sentenza nei termini senza sua colpa, salvo risulti altrimenti, comunque, la sua conoscenza effettiva della pendenza del processo prima della pronuncia della sentenza.
Nel caso di specie, mancano entrambi i presupposti, come si è già spiegato.
Peraltro, è bene precisare ancora come la rinuncia al mandato difensivo da parte del professionista già nomiNOME dall’imputato, nella situazione di fatto descritta, non espleta ricaduta alcuna sulla constatazione che l’istante, nonostante la nomina di un difensore di sua fiducia e l’elezione di domicilio presso di lui, non si è in alcun modo attivato pe mantenere quei contatti periodici essenziali per essere informato sullo sviluppo del
procedimento, ciò che rafforza la conclusione che egli si è reso colpevolmente inconsapevole del processo, in mancanza di allegazioni specifiche contrarie.
Un’ultima annotazione è opportuna per precisare come il principio è affermato nella peculiare fattispecie già descritta ed appare in sintonia con quelle pronunce che, tenendo conto delle specifiche e diverse componenti del caso concreto, hanno viceversa affermato, a diversi fini, l’incolpevole mancata conoscenza del processo nelle seguenti ipotesi: avvocato di fiducia domiciliatario che rinuncia al mandato difensivo a seguito della definitiva perdita di contatti con l’imputato, risultante dagli atti (Sez. 5, n. 80 28/9/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285780, con riguardo alla sentenza ex art. 420-quater cod. proc. pen.); nomina di difensore di fiducia con elezione del domicilio presso costui, poi cancellatosi dall’albo, senza che vi sia prova in atti che tale circostanza sia sta comunicata all’interessato o che questi ne sia venuto comunque a conoscenza (Sez. 5, n. 19949 del 6/4/2021, COGNOME, Rv. 281256, in tema di rescissione del giudicato); nomina di difensore di fiducia con elezione di domicilio presso costui, alla quale abbia fatt seguito l’immediata espulsione del condanNOME dal territorio dello Stato, in assenza di elementi di fatto che consentano di ritenere effettivamente instaurato e stabilizzato il rapporto professionale (Sez. 1, n. 27629 del 24/6/2021, NOME, Rv. 281637).
Si tratta, invero, di ipotesi limite che correttamente la Corte di cassazione ha ritenut provassero la mancata conoscenza incolpevole del processo da parte dell’imputato, in ragione della sua peculiare condizione soggettiva o dell’abbandono della stessa professione legale da parte del difensore di fiducia già nomiNOME.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato ed al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 19 settembre 2024.