Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 42954 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 42954 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME FORLI’ il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/09/2023 del TRIBUNALE di RAVENNA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
udito il difensore AVV_NOTAIO COGNOME in difesa di COGNOME NOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Ravenna, in funzione di giudice di appello, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia con la quale il 21 luglio 2022 il Giudice di Pace di Ravenna aveva dichiarato COGNOME NOME responsabile del reato previsto dall’art. 590 cod. pen. in qualità di proprietario del cane di razz “American bulldog”, il quale aveva aggredito COGNOME NOME cagionandole lesioni giudicate guaribili in tre giorni, consistenti in morso di cane sulla regione dorsale sinistra; in Ravenna l’ 8 agosto 2016.
2. Il fatto è stato ricostruito sulla base della dinamica descritta dalla persona offesa costituita parte civile, conforme quanto al nucleo fattuale a quanto riferito anche dall’imputato. In particolare, nel giardino di proprietà comune dell’imputato e della persona offesa si trovavano quattro cani di proprietà del COGNOME, liberi e senza museruola; tra questi, il cane di nome NOME aveva aggredito la COGNOME. I giudici hanno valutato, da un lato, la circostanza che la donna avesse intoNOME un fischiettìo che aveva innervosito i cani ma, dall’altro, la lettera raccomandata inviata dal coniuge della COGNOME il 2 agosto 2016, ossia pochi giorni prima, nella quale si faceva riferimento alla necessità di assicurare un’adeguata custodia dei cani.
3. NOME COGNOME propone ricorso per cassazione deducendo, con il primo motivo, erronea applicazione dell’art. 131 bis cod. pen. e omessa motivazione sulla particolare tenuità del fatto e sulla conseguente applicabilità dell’art. 13 bis cod. pen. al procedimento innanzi al Giudice di pace a seguito dello ius superveniens costituito dal d. Igs. 10 ottobre 2022, n. 150. La difesa, premesso che il fatto è di particolare tenuità in ragione della durata (tre giorni) de lesione recata alla persona offesa e che le sentenze di merito hanno riconosciuto la condotta dell’imputato susseguente al reato, vòlta a ridurre l’offesa, iv compresa l’offerta di euro 500 formulata in fase predibattimentale e la successiva offerta di euro 2000 da parte della compagnia assicuratrice, ritiene che il principio affermato da Sez. U, Pmp (n. 53683 del 22/06/2017, Rv. 271587 – 01) debba essere superato alla luce della successiva modifica dell’art. 131 bis cod. pen. a opera del d. Igs. n.150/2022. Il legislatore ha valorizzato le condotte susseguenti al reato ampliando l’ambito di operatività della disposizione, così accentuando la disparità di trattamento rispetto all’imputato del giudizio che si svolge dinanzi al giudice di pace. Il vizio della sentenza si sostanzia nell’aver omesso di applicare d’ufficio l’art. 131 bis cod. pen. e nella contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen. In
subordine, la difesa ritiene che l’irragionevole diversità di disciplina tra reati competenza del Tribunale, più gravi, e reati di competenza del Giudice di pace possa essere risolta evidenziando come l’istituto dell’art. 131 bis cod. pen. sia di natura sostanziale mentre la causa di esclusione della procedibilità prevista dall’art. 34 d. Igs. 28 agosto 2000, n.274 ha natura eminentemente processuale; quest’ultima, a differenza della prima, non può essere rilevata d’ufficio dal giudice. La difesa chiede che la questione sia nuovamente rimessa alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 610, comma 2, cod. proc. pen. In via subordinata, chiede che sia rimessa alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, d. Igs. n.274/2000 nella parte in cui consente alla persona offesa di opporsi alla declaratoria di improcedibilità in quanto violativa dell’art. 76 Cost. per eccesso di delega; tale eccesso di delega grinisterebbe anche in relazione all’art. 35 d. Igs. n.274/2000 laddove prevede un termine di decadenza antecedente la prima udienza di comparizione, impedendo che l’imputato possa aumentare l’importo dell’offerta all’esito della valutazione di non congruità della prima da parte del giudice. L’art. 17 lett. h) legge delega 24 novembre 1999, n.468 non prevede alcuna decadenza tale da rendere impossibile l’effetto estintivo in esito a un aumento dell’offerta risarcitoria dopo la prima udienza.
Con il secondo motivo deduce violazione ed erronea applicazione dell’art. 590 cod. pen. e omessa motivazione con riferimento all’attendibilità della ricostruzione del fatto operata dalla parte civile ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen. Il ricorrente si lamenta del fatto che la pronuncia di condanna sia fondata esclusivamente sulla testimonianza della parte civile, nel caso in esame portatrice di un interesse antagonista a quello dell’imputato in ragione dell’esistenza di pregressi rapporti di tensione tra le parti.
Con il terzo motivo deduce nullità della sentenza di primo grado e di quella impugnata ai sensi dell’art. 178 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 606 comma 1 lett. c), cod. proc. pen. Nel capo di imputazione, come già eccepito, non è indicato il comportamento ascrivibile all’imputato, che non ha potuto esplicare correttamente la propria difesa non conoscendo i termini della condotta addebitatagli. Il giudice di appello si è limitato a rilevare la tardivi dell’eccezione perché non proposta nei termini dell’art. 491 cod. proc. pen. ma , si assume, la mancata formalizzazione di un’eccezione di nullità non rende determiNOME un capo di imputazione, che dovrebbe essere integrato dal pubblico ministero; l’intervento del giudice, che ha colmato tale lacuna con la sentenza, si risolve in una nullità assoluta della sentenza per violazione dell’art. 178 lett. b) cod. proc. pen.
All’odierna udienza, disposta la trattazione orale ai sensi degli artt.23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n.137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n.176, 16 d.l. 30 dicembre 2021, n.228, convertito con modificazioni dalla legge 21 maggio 2021, n.69, 35, comma 1, lett. a), 94, comma 2, d. Igs. 10 ottobre 2022, n.150, 1, comma 1, legge 30 dicembre 2022, n.199 e 11, comma 7, d.l. 30 dicembre 2023, n.215, le parti hanno rassegNOME le conclusioni indicate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Occorre premettere che i profili di censura con i quali la difesa tende a dimostrare il vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod proc. pen. non sono ammissibili in quanto, in base al disposto dell’art. 606, comma 2-bis, cod. proc. pen. «Contro le sentenze di appello pronunciate per reati di competenza del giudice di pace, il ricorso può essere proposto soltanto per i motivi di cui al comma 1, lettere a), b) e c)».
Il terzo motivo di ricorso, da esaminare con priorità per la natura processuale del vizio dedotto, è infondato.
Per giurisprudenza pacifica di questa Corte, «La nullità della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto di citazione a giudizio per indeterminatezza e genericità dell’imputazione ha natura relativa e, in quanto tale, non è rilevabile d’ufficio e deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine previsto dall’art. 491 cod. proc. pen.» (Sez. 3, n. 19649 del 27/02/2019, S., Rv. 275749 – 01; Sez. 6, n. 50098 del 24/10/2013, C., Rv. 257910 – 01). La sentenza impugnata ha, dunque, correttamente rilevato la tardività dell’eccezione.
Quanto alla natura colposa della condotta del ricorrente, essa è stata correttamente ricondotta all’inosservanza di norme cautelari afferenti al governo e alla conduzione dei cani, volte a prevenire, neutralizzare o ridurre i rischi per l pubblica incolumità, specificamente declinate in relazione alle potenzialità lesive per l’altrui incolumità di un cane di razza american bulldog, pianamente riconducibile al fatto descritto nel capo d’imputazione. Il richiamo è alla norma di cui all’art. 672 cod. pen. che sanziona a livello amministrativo l’incauta custodia di animali, e che positivizza il generale dovere di diligenza e prudenza che l’ordinamento pone in capo a chiunque abbia il dominio di un animale dotato di capacità lesiva, sancendo l’assunzione di una posizione di garanzia rispetto alla
possibilità del verificarsi di eventi dannosi, corredata da una serie di obblighi, divieti e modelli comportamentali la cui violazione determina responsabilità giuridica a vari livelli (amministrativo, civile e penale). Nel caso di specie secondo la logica motivazione del provvedimento impugNOME, l’istruttoria ha consentito di declinare la violazione delle suddette norme prudenziali da parte dell’imputato, essendo pacifico che il cane circolasse libero e senza museruola nel giardino di proprietà comune. Da tale addebito l’imputato è stato messo in condizione di difendersi.
Come questa Corte ha più volte affermato, in tema di lesioni colpose la posizione di garanzia assunta dal detentore di un cane impone l’obbligo .di controllare e custodire l’animale adottando ogni cautela per evitare e prevenire le possibili aggressioni a terzi, finanche all’interno dell’abitazione (ex multis Sez. 4, n. 18814 del 16/12/2011 dep. 2012, Mannino, Rv. 253594 – 01). E, a fronte di un cane di una razza che, per mole e indole si palesi più aggressivo, l’obbligo di custodia che grava sul detentore si attiva ancor più. La pericolosità degli animali non può essere ritenuta solo in relazione agli animali feroci, ma può sussistere anche per gli animali domestici che, in date circostanze, possono divenire pericolosi, ivi compreso il cane, animale normalmente mansueto (Sez. 4, n. 6393 del 10/1/2012, Manuelli, Rv. 251951 – 01). Ne consegue che al proprietario del cane fa capo una posizione di garanzia per la quale egli è tenuto ad adottare tutte le cautele necessarie a prevenire le prevedibili reazioni dell’animale, considerando la razza di appartenenza ed ogni altro elemento; non è, dunque, necessario che nel capo d’imputazione sia specificata la condotta colposa del custode dell’animale, essendo sufficiente che siano indicati la relazione di custodia e la riconducibilità delle lesioni al comportamento aggressivo dell’animale.
Il secondo motivo di ricorso non supera il vaglio di ammissibilità nella parte in cui contesta genericamente la ricostruzione del fatto in quanto fondata esclusivamente sulla narrazione della persona offesa costituita parte civile, senza alcuna allegazione di emergenze istruttorie tali da mostrare una dinamica del fatto diversa da quella constatata nelle conformi sentenze di merito, peraltro anche in base ad ammissioni dello stesso imputato. La censura, in quanto priva di adeguato confronto con la sentenza impugnata, risulta aspecifica.
La questione dell’inapplicabilità della causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen. nel procedimento che si svolge dinanzi al giudice di pace è infondata. Il raffronto tra l’art.131 bis cod. pen. e l’istituto discipliNOME dall’art. 34 d. Igs. n.274/2000 per i reati di competenza del giudice di
pace è stato già risolto con pronuncia Sez. U, n. 53683/2017, cit. nel senso che il rapporto tra le due discipline non può essere risolto sulla base del principio di specialità tra le singole norme ma sulla base del complessivo sistema sostanziale e processuale introdotto in relazione ai reati di competenza del giudice di pace. Le considerazioni svolte da tale pronuncia restano tuttora valide anche dopo la modifica dell’art. 131 bis cod. pen. a opera del d. Igs. n.150/2022, dovendosi ribadire che il raffronto tra i due istituti, posto nei termini nei quali vi espresso nel ricorso mediante enucleazione delle due discipline dal complesso sistema sostanziale e processuale nel quale ciascuna di esse è inserita, non è coerente con l’interpretazione già datane dal diritto vivente. Conferma di tale impostazione è desumibile anche dalle numerose pronunce nelle quali la peculiarità della disciplina prevista nel procedimento dinanzi al Giudice di pace è stata ritenuta indice di inapplicabilità a tale procedimento di altri istituti, come a esempio la causa di estinzione del reato per condotte riparatorie prevista dall’art. 162 ter cod. pen. (Sez. 5, n. 47221 del 10/06/2019, COGNOME, Rv. 277256-01; Sez. 4, n. 25843 del 15/03/2019, COGNOME, Rv. 276370-01). Non è, dunque, condivisibile l’impostazione difensiva in termini di raffronto tra gravità dei reati d competenza del tribunale piuttosto che di quelli di competenza del giudice di pace; essa risulta fuorviante rispetto al tenore della pronuncia del massimo consesso che, da un lato, ha rifiutato l’orientamento interpretativo che faceva leva sulla natura sostanziale dell’art. 131 bis cod. pen. rispetto alla natura processuale della condizione di non procedibilità prevista dall’art. 34 d. Igs. n.274/2000 per ritenere le due discipline compatibili e pertanto applicabili nel procedimento dinanzi al giudice di pace; dall’altro, ha sottolineato il diverso ruolo riservato alla persona offesa, che solo nel procedimento dinanzi al giudice di pace ha un ‘potere di veto’, strettamente correlato alla funzione conciliativa dell’istituto. La medesima pronuncia ha, inoltre, qualificato il d. Igs. n.274/2000 tra le “leggi penali speciali” alle quali gli istituti del codice penale si applicano quanto non sia da queste stabilito altrimenti» (art. 16 cod. pen.), richiamando l’orientamento del Giudice delle Leggi, che con ord. n.50 del 2016, in linea con precedenti pronunce ivi indicate, ha escluso l’irragionevolezza del diverso regime in virtù dei caratteri del tutto peculiari del procedimento dinanzi al Giudice di pace. Trattasi di orientamento anche di recente confermato con ord. n.224 del 2021. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
L’alterità tra le discipline entro le quali si collocano i due istituti che la dif vorrebbe mettere a confronto non è incisa dal novum introdotto con d. Igs. n.150/2022 che, pur avendo ampliato l’ambito di operatività della causa di non punibilità dell’art.131 bis cod. pen., nulla ha innovato sul punto con riferimento al procedimento dinanzi al giudice di pace. Il Collegio non ravvisa, dunque, i
presupposti per sottoporre alle Sezioni Unite il presente ricorso e la questione ventilata dalla difesa.
Con riguardo alla dedotta illegittimità costituzionale in relazione all’art. 76 Cost. del potere di veto riconosciuto dall’art. 34 d. Igs. n.274/2000 alla persona offesa, si tratta di questione manifestamente infondata. E’ sufficiente, a tal fine, richiamare la già evocata pronuncia Sez. U , Pmp, n. 53683/2017 in cui si è riconosciuta all’istituto funzione eminentemente conciliativa; a ciò si aggiunga che tale funzione è stata anche recentemente richiamata dalla Corte Cost. con ord. n. 224 del 2021, che ha ribadito che il procedimento dinanzi al giudice di pace è «orientato, più che alla repressione del conflitto sotteso al singolo episodio criminoso, alla sua composizione, oltre che a finalità deflattive, rispetto ai reati di competenza del tribunale».
La censura inerente alla dedotta incostituzionalità dell’art. 35 d. Igs. n.274/2000 in relazione dell’art. 76 Cost. risulta aspecifica. La difesa si limita a segnalare che la previsione di un termine di decadenza antecedente alla prima udienza di comparizione non era indicata nella legge delega; si tratta di allegazione generica e in quanto tale insufficiente a evidenziare la non conformità a Costituzione del dettato normativo. La Corte Costituzionale ha, a tale proposito, spiegato che «In tema di eccesso di delega, l’art. 76 Cost. non osta all’emanazione, da parte del legislatore delegato, di norme che rappresentino un coerente sviluppo e un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, dovendosi escludere che la funzione del primo sia limitata a una mera scansione linguistica di previsioni stabilite dal secondo. Il sindacato costituzionale sulla delega legislativa deve, così, svolgersi attraverso un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli, riguardanti, da un lato, le disposizioni che determinano l’oggetto, i princìpi e i criteri direttivi indi dalla legge di delegazione e, dall’altro, le disposizioni stabilite dal legislator delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i princìpi e i criter direttivi della delega. Il che, se porta a ritenere del tutto fisiologica quell’atti normativa di completamento e sviluppo delle scelte del delegante, circoscrive, d’altra parte, il vizio in discorso ai casi di dilatazione dell’oggetto indicato dal legge di delega, fino all’estremo di ricomprendere in esso materie che ne erano escluse» (Corte Cost. n. 149 del 2024).
Essendo il ricorso infondato, segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13 novembre 2024 Il C nsigliere e tensore
Il Presidente