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Responsabilità prestanome: Cassazione chiarisce il dolo

Un caso cruciale sulla responsabilità prestanome in reati fallimentari. La Corte di Cassazione ha annullato la condanna di un’amministratrice formale, ritenendo insufficiente la prova del suo dolo. La sentenza sottolinea che per affermare la responsabilità prestanome non basta la carica formale, ma è necessaria la dimostrazione di una concreta e consapevole accettazione del rischio delle attività illecite gestite dall’amministratore di fatto. Il ricorso di quest’ultimo è stato invece dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Responsabilità Prestanome: La Cassazione Sottolinea l’Importanza del Dolo

La questione della responsabilità prestanome nei reati societari, e in particolare nella bancarotta fraudolenta, è un tema di costante attualità e di grande delicatezza. Fino a che punto chi accetta di figurare formalmente come amministratore risponde delle condotte illecite poste in essere dal gestore di fatto? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali, annullando con rinvio la condanna di un’amministratrice formale e ribadendo che la mera ‘testa di legno’ non equivale a una responsabilità penale automatica.

Il Caso: Bancarotta Fraudolenta e il Ruolo del Prestanome

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda due figure centrali in una vicenda di fallimento societario: un’amministratrice formale (la ‘prestanome’) e un amministratore di fatto. La società, dichiarata fallita, aveva accumulato un passivo di oltre 3 milioni di euro, principalmente a causa del sistematico omesso versamento di debiti tributari.

All’amministratrice formale venivano contestati i reati di bancarotta per operazioni dolose e di bancarotta fraudolenta documentale. La sua difesa si basava su un punto fondamentale: ella era stata una mera ‘testa di legno’, del tutto ignara delle reali operazioni gestionali condotte dall’amministratore di fatto. Quest’ultimo, a sua volta, era accusato di essere il vero ‘dominus’ della società.

La Corte d’Appello aveva confermato la condanna per entrambi. Contro questa decisione, entrambi hanno proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha adottato due decisioni divergenti:
1. Ricorso dell’amministratore di fatto: È stato dichiarato inammissibile. I motivi del ricorso sono stati ritenuti generici e volti a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. La Corte ha ritenuto provata la sua qualità di gestore effettivo.
2. Ricorso dell’amministratrice ‘prestanome’: È stato accolto. La sentenza di condanna è stata annullata con rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo esame.

Questa biforcazione della decisione evidenzia il principio cardine su cui si è mossa la Corte: la necessità di una prova rigorosa dell’elemento soggettivo del reato, specialmente per chi ricopre un ruolo solo formale.

La Responsabilità Prestanome e la Prova del Dolo Eventuale

Il punto centrale della sentenza riguarda la responsabilità prestanome. La Corte ha ribadito un orientamento consolidato: l’assunzione della sola carica formale non è sufficiente per affermare una responsabilità penale per i reati commessi dal gestore di fatto. Non esiste un’esenzione automatica, ma neppure un’automatica affermazione di colpevolezza.

Perché il prestanome possa essere ritenuto responsabile, è necessario dimostrare la sua ‘effettiva e concreta consapevolezza’ dello stato delle scritture contabili o delle operazioni illecite. L’accusa deve provare che l’amministratore formale, pur non compiendo materialmente le azioni, fosse a conoscenza delle attività criminose e ne abbia accettato il rischio (dolo eventuale).

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva basato la condanna su due elementi: l’accettazione della carica e la sottoscrizione di una fideiussione personale a garanzia dei debiti societari. La Cassazione ha ritenuto questi elementi insufficienti e ambivalenti. La fideiussione, infatti, esponendo il patrimonio personale del prestanome, potrebbe paradossalmente indicare una sua inconsapevolezza del rischio, piuttosto che una consapevole partecipazione al disegno criminoso.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato l’annullamento della condanna dell’amministratrice formale sottolineando la carenza di un’analisi approfondita da parte dei giudici di merito. Non è stata condotta alcuna indagine sui ‘segnali di allarme’ che l’amministratrice avrebbe dovuto cogliere durante il suo mandato. Per la configurabilità del dolo eventuale, non basta affermare che avrebbe dovuto sapere, ma bisogna provare che si sia rappresentata la concreta possibilità del verificarsi di un evento lesivo e, ciononostante, abbia deciso di agire, accettandone il rischio. Questa prova, nel caso di specie, è mancata.

Per quanto riguarda l’amministratore di fatto, la sua responsabilità è stata confermata sulla base delle prove che ne attestavano il ruolo di ideatore e organizzatore del sistema fraudolento. La Corte ha inoltre respinto la sua eccezione di prescrizione, chiarendo che il termine per i reati di bancarotta decorre dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento e non dal compimento delle singole condotte illecite.

le conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio fondamentale dello stato di diritto: la personalità della responsabilità penale. Non si può essere condannati per la mera posizione ricoperta, ma è indispensabile la prova rigorosa dell’elemento psicologico del reato. Per la responsabilità prestanome, ciò significa che l’accusa ha l’onere di dimostrare che egli non fu solo una figura passiva, ma un soggetto consapevole che, con la sua condotta omissiva, ha consapevolmente contribuito alla realizzazione del reato. La decisione apre la strada a un nuovo giudizio d’appello che dovrà analizzare più a fondo questi aspetti per stabilire se, nel caso concreto, l’amministratrice avesse realmente contezza della gestione fraudolenta della società.

Essere un amministratore ‘prestanome’ comporta una responsabilità penale automatica in caso di bancarotta?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che l’assunzione della sola carica formale non consente un’automatica affermazione di responsabilità penale. È sempre necessaria la dimostrazione dell’elemento soggettivo del reato, ossia il dolo.

Cosa deve dimostrare l’accusa per affermare la responsabilità penale del prestanome per bancarotta documentale?
L’accusa deve fornire la prova effettiva e concreta della consapevolezza, da parte del prestanome, dello stato delle scritture contabili e delle attività illecite compiute dall’amministratore di fatto. Occorre dimostrare che il prestanome avesse almeno una generica consapevolezza di tali condotte e ne abbia accettato il rischio (dolo eventuale).

La sottoscrizione di una fideiussione personale a favore della società è una prova sufficiente del dolo del prestanome?
No, secondo la Corte questo dato è ambivalente. Se da un lato può essere visto come un atto di gestione, dall’altro potrebbe dimostrare l’assoluta inconsapevolezza dell’imputato riguardo ai rischi, dato che esponeva il proprio patrimonio personale. Da solo, non è sufficiente a integrare la prova del dolo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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