Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 46754 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 46754 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nata a Milano il 26/3/1970
avverso la sentenza del 21/3/2024 della Corte di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostit Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni dei difensori della ricorrente, Avv. NOME COGNOME e COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 21/3/2024, la Corte di appello di Milano, in parzia riforma della pronuncia emessa il 22/3/2023 dal locale Tribunale, disponev correggersi un errore materiale contenuto nell’imputazione; dichiarava no doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME quanto al reato di cui al ca perché estinto per prescrizione; rideterminava in un anno di reclusione la pena ordine al delitto di cui al capo 2), così rettificando la misura della confisca.
Propone ricorso per cassazione la COGNOME deducendo i seguenti motivi:
violazione ed errata applicazione degli artt. 516, 522 e 65, comma 2, cod. proc. pen.; vizio di motivazione. La Corte avrebbe risposto con argomento viziato alla censura concernente il difetto di correlazione tra contestazione e sentenza: la COGNOME, infatti, sarebbe stata chiamata a rispondere quale amministratrice di fatto della “RAGIONE_SOCIALE, trovandosi poi condannata per il ruolo di extranea, concorrente nel reato proprio di cui all’art. 3, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74. Questa conclusione avrebbe determinato una evidente violazione del diritto di difesa, oltre ad apparire giuridicamente errata: l’azione tipizzata – la presentazione di una dichiarazione dei redditi compilata avvalendosi di mezzi fraudolenti – potrebbe, infatti, essere commessa dall’amministratore di diritto o anche da quello di fatto, ma non dal mero concorrente esterno, il quale potrebbe al più agevolare la condotta. Di tale ipotetica agevolazione, tuttavia, la sentenza non darebbe conto, come sulla contestata falsificazione delle fatture, così evidenziando una motivazione apparente;
vizio di motivazione con riguardo all’art. 3 contestato. La sentenza avrebbe confermato la condanna senza verificare se la condotta in rubrica fosse idonea a generare una falsa dichiarazione IVA, senza indicare il soggetto che avrebbe eventualmente utilizzato le fatture e senza accertare se la ricorrente avesse consapevolmente posto in essere una condotta agevolatrice. Il reato in esame, peraltro, costituirebbe fattispecie di danno, così occorrendo la prova che i documenti falsificati fossero confluiti nella dichiarazione, inducendo in errore l’ufficio accertatore con specifico dolo di evasione. Infine, la Corte non avrebbe spiegato quali elementi attribuirebbero proprio alla ricorrente la contestata alterazione. La motivazione, pertanto, sarebbe carente nella indicazione delle fonti di prova;
violazione e falsa applicazione degli artt. 110 cod. pen., 3, d. Igs. n. 74 del 2000. Si ribadisce che la sentenza non indicherebbe gli elementi a carico della ricorrente, specie alla luce del ruolo riconosciutole; si ribadisce, ancora, che dalla motivazione non emergerebbe la prova della responsabilità, né alcun elemento dal quale desumere che ella avrebbe alterato le fatture (condotta prodromica, in sé non costituente reato), peraltro nel ruolo di extranea;
infine, è eccepita l’inosservanza dell’art. 109 cod. proc. pen., in tema di inutilizzabilità degli atti. Il teste COGNOME avrebbe dichiarato di non conoscere la lingua tedesca e di aver tradotto i documenti utilizzando un normale servizio offerto da Internet (peraltro, senza allegare la stampa di questa traduzione). La risposta fornita dalla Corte d’appello sul punto sarebbe viziata, risultando evidente la violazione del diritto di difesa realizzata attraverso l’utilizzo di documenti lingua straniera privi di traduzione documentale e ufficiale.
Con motivi aggiunti, è stata ulteriormente contestata la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione quanto al giudizio di responsabilità; è stata anche depositata documentazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta fondato con riguardo alle censure concernenti il vizio di motivazione sul giudizio di responsabilità, risultando dunque assorbite le ulteriori questioni.
Occorre premettere che il presente giudizio aveva originariamente ad oggetto le condotte di cui agli artt. 110, 485, 491 cod. pen. 2, 3, d. Igs. n. 74 del 2000, contestate a NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali legali rappresentanti nel tempo della “RAGIONE_SOCIALE, ed a NOME COGNOME e NOME COGNOME, individuati come amministratori di fatto della stessa società.
4.1 Con la sentenza di primo grado, i due COGNOME e COGNOME sono stati assolti dal reato di falso, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato; NOME COGNOME e NOME COGNOME sono stati assolti dalla contestazione di cui agli artt. 2 e 3, d. Igs. n. 74 del 2000 (capo 1), perché il fatto non costituisce reato; NOME COGNOME è stato assolto da tutte le contestazioni a lui mosse, per non aver commesso il fatto. NOME COGNOME, invece, è stata ritenuta colpevole delle condotte di cui agli artt. e 3, d. Igs. n. 74 del 2000, pur non trovando riscontro il contestato ruolo di amministratore di fatto, ma soltanto quello di responsabile dell’ufficio amministrativo e contabile, dunque quale extranea.
4.2. La Corte di appello ha confermato la sentenza limitatamente al delitto di cui all’art. 3, d. Igs. n. 74 del 2000, dichiarando l’estinzione del reato di cui all’a 2, stesso decreto, per intervenuta prescrizione.
Tanto premesso, il Collegio rileva che il giudizio di responsabilità della COGNOME risulta sostenuta da una motivazione carente e priva di adeguato riscontro istruttorio, ancor più evidente in presenza della intervenuta assoluzione – già di fronte al Tribunale – di tutti gli altri imputati, compresi coloro che nella socie avevano rivestito il ruolo di amministratore di diritto.
5.1. In particolare, la sentenza prende le mosse dalla veste effettivamente ricoperta dalla ricorrente nella “RAGIONE_SOCIALE Car”, già richiamata, evidenziando che la stessa COGNOME era “esperta della contabilità dell’azienda” e “ben al corrente della normativa fiscale e del corretto regime tributario applicabile alle operazioni poste in essere” dall’ente. Muovendo da questa considerazione in fatto, invero in sé neutra, la sentenza impugnata compie poi, tuttavia, un evidente salto logico, che ne mina all’evidenza la tenuta: ribadite le capacità contabili della ricorrente, la Corte di appello afferma, infatti, che “l’imputata non poteva non essere del tutto
edotta e consapevole del fatto che le fatture, da lei stessa falsificate, non per altro sarebbero state utilizzate se non al fine di alterare la dichiarazione fiscale, onde evadere l’imposta sul valore aggiunto”. Ebbene, come correttamente affermato nel ricorso, l’avvenuta falsificazione delle fatture proprio ad opera della Sirtor risulta soltanto enunciata, ma di ciò non è offerto alcun riferimento istruttorio, peraltro non rinvenibile neppure nella pronuncia di primo grado. Anche il Tribunale, infatti, si era limitato ad affermare – in termini manifestamente assertivi, dunque insufficienti – che “la COGNOME, pur non occupandosi della commercializzazione delle auto, dei rapporti con i fornitori e con i clienti, era la responsabile dell’uffi amministrativo e contabile della società e dunque si occupava direttamente della gestione delle fatture, ivi comprese la preparazione delle stesse per la immatricolazione delle auto e la registrazione delle stesse nei libri contabili e fiscali”.
5.2. Queste considerazioni, peraltro, erano state contestate nel gravame, censurandosi che da un ruolo emerso come meramente dipendente ed esecutivo il Tribunale aveva inferito la responsabilità della COGNOME nel delitto di cui all’a in rubrica, retto da dolo specifico, per di più in concorso con soggetti evidentemente rimasti ignoti, stante l’assoluzione dei coimputati, compresi i legali rappresentanti della società.
5.3. La risposta offerta dalla Corte di appello, nei termini appena sopra richiamati, non risulta dunque adeguata, mancando ogni riferimento ad eventuali elementi istruttori che consentano di ritenere accertato il contributo della COGNOME sia pur quale extranea nella presentazione di una dichiarazione IVA compilata avvalendosi di mezzi fraudolenti, sostenuta dal necessario profilo di dolo specifico.
Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza con rinvio, per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2024
Il Presidente