Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 32543 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 32543 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/11/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso dell’AVV_NOTAIO; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni di cui alla requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto P.AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Ricorso trattato in camera di consiglio senza la presenza delle parti, secondo quanto disposto dagli articoli 610, comma 5, e 611, comma 1-bis e ss. c.p.p.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME, a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli del 14 novembre 2024, con cui è stata confermata la sentenza del Gip del Tribunale di Napoli che ha condannato il ricorrente alla pena di giustizia, in ordine ai reati di associazione per delinquere cui al capo i), in qualità di partecipe, e di trasferimento fraudolento di valori di cui ai capi I), m) ed o) della rubrica, ritenuta la continuazione e applicata la diminuente per il rito abbreviato.
In particolare, secondo la ricostruzione accusatoria, condivisa dalle sentenze di merito, l’imputato, quale commercialista, avrebbe costituito per conto del sodalizio delle società fittiziamente intestate a prestanome, destinate, mediante l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti a realizzare operazioni di riciclaggio, consistite nel ricevere dalle imprese “terze” accrediti mediante bonifici in cambio della dazione di liquidità da cui trattenevano a titolo di prezzo del reato una parte del “dovuto”.
Il presente giudizio risulta instaurato anche nei confronti di altri coimputati (ritenuti responsabili, a vario titolo, del delitto associativo, di concorso in trasferimento fraudolento di valori e in riciclaggio), quali COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali hanno beneficiato della riduzione di pena prevista dall’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen. non avendo proposto appello; COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno definito la loro posizione mediante concordato in appello.
La difesa affida il ricorso a quattro motivi che, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.; nullità della sentenza per motivazione meramente apparente con riferimento ai motivi di appello.
2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’erronea applicazione dell’art. 416 cod. pen. (capo i) della rubrica). Si sostiene che la sentenza non fa corretta applicazione delle legga penale in punto di ritenuta sussistenza del dolo della partecipazione, della volontaria adesione del ricorrente al programma criminoso dell’associazione e della stabile disponibilità ad attuarlo.
2.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’incompletezza della motivazione dettata dal mancato confronto con le censure difensive proposte con i motivi di appello in relazione al concorso del ricorrente nelle ipotesi delittuose di cui all’art. 512-bis
cod. pen. (capi /), m), ed o) della rubrica) e alla sussistenza dell’aggravante del nesso teleologico di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen.
2.4. Con il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 61 n. 2, 62-bis e 133 cod. pen.
Il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, con requisitoria del 3 agosto 2025, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritiene il Collegio che il ricorso vada rigettato.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
La lettura della sentenza impugnata consente di escludere che la Corte territoriale abbia operato una mera “revisione” della sentenza di primo grado, avallando genericamente le argomentazioni del giudice di primo grado e solo successivamente, in via meramente formale, abbia esaminato e respinto i motivi di appello per come sostenuto nel ricorso.
Invero, nella premessa della sentenza, anteposta alla trattazione dei motivi di appello degli imputati, si richiama in sintesi l’origine del procedimento, l’esistenza dell’associazione per delinquere, le finalità criminali perseguite, il meccanismo operativo cui faceva ricorso la compagine associativa e il ruolo svolto da ciascun imputato in seno ad essa. Si indicano, poi, i plurimi elementi di prova su cui si fonda la ricostruzione dei fatti operata dal Gip, nonché le conclusioni raggiunte dal primo giudice in ordine all’affermazione di responsabilità, ripartite per ciascun imputato in relazione ai reati rispettivamente ascritti.
Si tratta di una premessa funzionale (e utile) al successivo scrutinio dei motivi di appello, ai quali si fa poi riferimento. Dopo avere esaminato le proposte di concordato presentate dagli altri coimputati, la sentenza impugnata si sofferma sulla posizione del ricorrente. Alla luce del ruolo di sodale e concorrente nei delitti di trasferimento fraudolento di valori che il Gip gli ha riconosciuto, la Corte territoriale richiama i motivi di appello proposti dalla difesa, unitamente alla memoria dell’imputato. Lo scrutinio dei motivi di appello, lungi dall’operare un rinvio per relationem alla motivazione del AVV_NOTAIO, risulta poi essere stato condotto evidenziando puntualmente e in modo critico gli elementi di prova ritenuti decisivi per confutare i profili di estraneità oggettiva e soggettiva dell’imputato ai reati contestati.
In conclusione, non si è al cospetto di una “supina” ed immotivata adesione al precedente provvedimento, ma, al contrario, di una motivazione che dà conto di come la Corte d’appello abbia criticamente ritenuto gli esiti raggiunti dal AVV_NOTAIO coerenti con la sua decisione. Peraltro, è principio affermato dalla Corte di
legittimità quello in forza del quale la sentenza di appello non è tenuta a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 2, n. 28547 del 20/06/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 1, n. 27323 del 25/01/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 26600 del 13/05/2011, COGNOME, Rv. 250900 – 01; Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, COGNOME, Rv. 250105-01; Sez. 4, n. 1149 del 24/10/2005, dep. 2006, COGNOME, Rv. 233187-01).
3. Infondato è il secondo motivo con cui la difesa si duole della riconducibilità della condotta dell’imputato al paradigma del concorso necessario. Si tratta di un tema che assume rilievo anche ai fini dello scrutinio del secondo motivo di ricorso, essendo la partecipazione all’associazione stata ricavata dai contributi che l’imputato ha fornito, nella sua qualità di commercialista, alla costituzione delle società utilizzate dalla compagine come cartiere e in forza dei quali è stato ritenuto concorrente nei delitti di cui agli art. 512-bis cod. pen. di cui ai capi I), m) ed o) della rubrica.
Tanto premesso, dalla lettura della sentenza impugnata risulta che l’inserimento del ricorrente nella compagine associativa è stato tratto dalla particolare natura del contributo reiteratamente prestato e dal ruolo in seno ad essa svolto. È stata, infatti, accertata l’esistenza e la piena operatività di una compagine criminosa volta a creare società cartiere, intestate a meri prestanomi, preposte all’emissione di fatture per operazioni inesistenti in favore di ditte che le utilizzavano per l’evasione fiscale, ricevendo in cambio un lauto profitto. In tale ambito, l’opera prestata dall’imputato quale commercialista risulta eziologicamente necessaria per la realizzazione del programma associativo, costituendo l’anello primario per la stessa operatività del gruppo, in quanto volta alla costituzione e all’operatività delle società strumentali alle operazioni di false fatturazioni e di riciclaggio, così rendendo non decisiva la circostanza che il ricorrente non abbia assunto anche la veste di concorrente nei reati fiscali o di riciclaggio contestati a vario titolo ai coimputati.
A conferma del ruolo di sodale militano le dichiarazioni del collaboratore di giustizia e organizzatore dell’associazione RAGIONE_SOCIALE (nei cui confronti si è proceduto separatamente), il quale ha riferito di essersi avvalso, per l’apertura delle società deputate ad assumere la veste di cartiere, dell’opera del ricorrente, per come riscontrato dalla G.d.F. che, nel corso della perquisizione eseguita presso
lo studio dell’imputato, rinveniva tutta la documentazione relativa alla costituzione delle società fittizie “RAGIONE_SOCIALE” (capo /) e “RAGIONE_SOCIALE” (capo m), nonché accertava che il ricorrente – pur essendo la costituzione della società demandata ad un notaio – era stato incaricato per la sottoscrizione digitale e la presentazione telematica della comunicazione unica all’ufficio del registro delle imprese per la “RAGIONE_SOCIALE (capo o).
Inoltre, la lettura delle intercettazioni telefoniche intervenute tra i sodali COGNOME e COGNOME operata dalla Corte di merito, il cui contenuto, a detta della difesa, sarebbe “(in)decifrabile”, restituisce, invece, un quadro confermativo del ruolo di sodale che è stato attribuito all’imputato. Per come sottolineato dalla Corte di merito, che ne ha riportato gli stralci significativi, dalle conversazioni risulta non solo che COGNOME, ma anche NOME, indicato al pari del primo come promotore ed organizzatore del sodalizio, si rapportasse direttamente con l’imputato ai fini della costituzione delle società cartiere.
Orbene, i dialoghi riportati in sentenza confermano quanto riferito dal COGNOME circa i rapporti dell’imputato con lui e con l’NOME e la consapevolezza da parte del commercialista della natura fittizia delle società. Diversamente, infatti, e ciò è messo in risalto della sentenza impugnata, non potrebbe spiegarsi la ragione per la quale il ricorrente avrebbe dovuto mettersi a disposizione di soggetti diversi dagli effettivi titolari delle società, fornendo loro documentazione delle stesse strumentale all’emissione delle false fatture.
A ciò si aggiunga che la Corte d’appello, a conferma del consapevole coinvolgimento del ricorrente all’interno del sodalizio e nei delitti di trasferimento fraudolento di valori, cita anche l’elemento logico costituito dalla diretta percezione dell’inidoneità degli intestatari fittizi ad assumere cariche sociali nell’ambito di compagini destinate a movimentare ingenti capitali (trattandosi di persone del tutto prive di qualsivoglia competenza nel settore imprenditoriale e in condizioni tali da non poter movimentare ingenti capitali quali quelli di cui alle false fatture delle società), nonché quanto riferito da uno degli intestatari fittizi (il COGNOME), sul fatto di essere stato rassicurato dal ricorrente in ordine ai rischi che avrebbe corso con l’intestazione fittizia della società.
La difesa ha contestato la rilevanza probatoria di questi elementi, adducendo che si trattava di soggetti in possesso dei requisiti stabiliti dalla legge per l’assunzione delle relative cariche societarie e che male interpretato era stato il dichiarato di uno di costoro (il COGNOME), il quale, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, non aveva affatto riferito di avere ricevuto rassicurazione dal ricorrente “in ordine ai rischi connessi all’intestazione fittizia della “RAGIONE_SOCIALE“, bensì affermato, quale “tipica reazione difensiva” alla contestazione del Gip, “.. a me il ragioniere mi ha rovinato, ha detto: “Tu tra sei mesi facciamo il bilancio…”.
La versione difensiva che vuole l’imputato essersi limitato ad una mera attività professionale inerente alle costituzioni delle società (con esclusione della “RAGIONE_SOCIALE” dovuta all’opera del notaio), mediante un rapporto diretto con coloro che ne assumevano la titolarità, sconoscendone gli intenti fraudolenti perseguiti, mal si concilia non solo con le dichiarazioni del COGNOME sopra riportate e il contenuto delle intercettazioni a cui sia il Gip che la Corte d’appello hanno fatto riferimento, ma anche con altri elementi che si traggono dalle sentenze di merito.
Inoltre, non affatto privo di rilievo è l’aver dato risalto al fatto che gli intestatari fittizi erano persone di scarsa scolarizzazione e di modesta estrazione sociale. È certamente vero per come evidenzia la difesa che l’attribuzione della carica è avvenuta in favore di soggetti che possedevano i requisiti richiesti dall’attuale normativa per l’iscrizione alla RAGIONE_SOCIALE, ovvero avevano assolto agli obblighi scolastici, ma l’affermazione che si trattasse di persone che, pur formalmente dotate dei requisiti minimali di legge, erano in realtà degli “sprovveduti” prestatisi ad assumere la veste di “testa di legno” consegue al fatto che i giudici di merito hanno accertato l’ingerenza del COGNOME e dell’COGNOME – che al riguardo non avevano alcun titolo – nella fase relative alla costituzione delle società e tanto a prescindere, per come anche evidenziato dalla sentenza impugnata, dall’incapacità di tali soggetti di movimentare ingenti
Si legge, infatti, che COGNOME ha, altresì, affermato che il COGNOME si interfacciava sempre con lui nonostante sapesse che non aveva alcun titolo rispetto alle società e che in alcuni casi accompagnava presso il suo studio il fittizio intestatario delle società. Si tratta di un dato che riceve diretta conferma dalle intercettazioni. La reiterata presenza del COGNOME – financo ammessa dallo stesso imputato – è certamente un dato distonico rispetto all’esistenza di un rapporto esclusivo e non inquinato tra il commercialista e coloro che si prestavano ad assumere le cariche sociali e rende allora credibile l’affermazione del COGNOME – riportata a pag. 198 della sentenza di primo grado – che fosse lui ad occuparsi del pagamento dell’imputato. Del resto, che fosse proprio il COGNOME a far fronte agli oneri “professionali” si ricava anche dal fatto che i giudici di merito hanno dato puntualmente conto di come gli intestatari fittizi si fossero prestati ad assumere il ruolo di testa di legno al fine di ricevere uno stabile compenso (COGNOME e COGNOME) ovvero perché avevano necessità di saldare dei debiti (è il caso della COGNOME NOME indebitata con COGNOME NOME), con la conseguenza che sarebbe inverosimile attendersi da chi è animato da un intento lucrativo illecito e a tale scopo si affida ad altri, che faccia fronte personalmente al pagamento degli onorari del commercialista. Peraltro, l’affermazione difensiva secondo cui i compensi professionali furono corrisposti dai diretti interessati (v. anche pag. 11 dell’atto di appello) risulta priva dell’allegazione degli specifici elementi probatori di riferimento. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
capitali quali quelli di cui alle false fatture poi emesse dalle società.
In conclusione, la motivazione resa dai giudici di merito a corredo dell’affermata partecipazione del ricorrente al sodalizio non si presta a censure di legittimità, alla luce anche dei principi di diritto affermati da questa Corte, in forza dei quali:
«In tema di associazione per delinquere, anche la normale attività professionale svolta da un commercialista, qualora realizzata, pur nella sua formale aderenza ai canoni della professione, con il conclamato scopo di concorrere alla realizzazione di un’associazione per delinquere, configura condotta penalmente rilevante per la sussistenza dell’art. 416 cod. pen., trattandosi di reato che per la sua realizzazione comporta una condotta a forma libera sottoposta alle sole condizioni che l’agente intenda aderire all’accordo associativo e che il suo comportamento sia, anche se parzialmente, funzionale alla realizzazione del progetto criminoso perseguito dai consociati» (Sez. 1, n. 2897 del 17/12/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv. 197921 – 01. Da ultimo, Sez. 2, n. 26262 del 17/06/2025, COGNOME, non mass.; 35536 del 27/09/2021, COGNOME, non mass.);
È consentito al giudice, pur nell’autonomia del reato mezzo rispetto ai reati fine, dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive, posto che attraverso essi si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione medesima» (Sez. 2, n. 33580 del 06/07/2023, COGNOME, Rv. 285126 – 02; Sez. 2, n. 19435 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266670 – 01; Sez. U, n. 10 del 28/03/2001, COGNOME, Rv. 218376 – 01; da ultimo v. Sez. 2, n. 19662 dell’11/04/2025, COGNOME, non mass.; Sez. 1, n. 47347 del 08/09/2022, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 11287 del 03/02/2023, COGNOME, non mass.). Nel caso in esame si è al cospetto di tre delitti strumentali alla realizzazione delle finalità illecite perseguite dal sodalizio di carattere omogeneo, ovvero consumati con modalità seriali e ripetitive che rendono logico l’averne ricavato la sussistenza di un accordo preventivo e di una organizzazione funzionale alla realizzazione del programma criminoso.
Infondato è il motivo dedotto in ordine alla responsabilità dell’imputato in ordine ai delitti di trasferimento fraudolento di valori.
Quanto in precedenza evidenziato vale infatti ad escludere che i contributi resi dall’imputato ai fini della costituzione delle società cartiere possano ricondursi a mere incombenze professionali che seguono a conferimenti di incarico privi della consapevolezza degli intenti fraudolenti perseguiti. Peraltro, in tema di trasferimento fraudolento di valori, l’intestatario fittizio del bene, al pari di chi fornisce contributi causali efficienti a realizzare l’apparente titolarità del bene, non deve essere animato necessariamente dal dolo specifico, che caratterizza, invece, la condotta dell’interponente, unico soggetto direttamente interessato a eludere la
possibile adozione di misure di prevenzione a suo carico, essendo sufficiente, invece, la consapevolezza del dolo specifico altrui (Sez. 6, n. 19108 del 15/02/2024, Megna, Rv. 286662 – 01; Sez. 2, n. 16997 del 28/03/2024, Severini, Rv. 286355 – 01). Ciò consente anche di escludere il paventato vizio di motivazione riguardo alla ritenuta sussistenza dell’aggravante del nesso teleologico di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen., contestata in relazione a ciascuno dei delitti di cui all’art. 512-bis cod. pen.
La circostanza, poi, che il ricorrente, con riguardo alla “RAGIONE_SOCIALE” (capo m) non abbia provveduto, al pari della “RAGIONE_SOCIALE” di NOME (capo I) e della “RAGIONE_SOCIALE” di COGNOME NOME (capo o), alla costituzione della società – che la difesa indica come rimasta sempre formalmente inattiva – non elide la valenza concorsuale del contributo prestato, se si considera che presso lo studio del ricorrente la G.d.F. rinveniva tutta la documentazione relativa alla costituzione della società, a nulla valendo, quindi, che poi gli atti formali fossero stati effettuati avvalendosi dell’opera di un notaio, soprattutto se si considera che dalla sentenza di primo grado (v. pagg. 237-239) risulta che anche questa società ha ricevuto un cospicuo bonifico in entrata da parte di altra società successivamente fallita, la cui somma è stata poi ripetutamente movimentata in uscita attraverso plurime operazioni di addebito che il Tribunale, sulla scorta anche del compendio costituito dalle intercettazioni telefoniche (v. pag. 240) ha ricondotto allo schema illecito perseguito dalla compagine associativa.
5. L’ultimo motivo inerente al trattamento sanzionatorio è manifestamente infondato.
Il diniego delle circostanze attenuanti generiche è stato correttamente fondato sull’assenza di elementi positivi a tale fine valutabili, neppure specificamente allegati nel ricorso. Si è quindi fatta corretta applicazione del principio affermato da questa Corte a mente del quale «Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato» (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986. Conforme, Sez. 4, n. 32872 dell’08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01).
Inoltre, va escluso – per come denunziato nel ricorso – che la Corte di merito abbia fatto riferimento alla qualità di commercialista rivestita dal ricorrente tanto per escludere le attenuanti generiche quanto per rigettare la pur invocata riduzione della pena inflitta dal primo giudice, così operando una non consentita duplicazione in negativo dello stesso elemento di fatto.
Invero, ai fini del trattamento sanzionatorio, la Corte di merito, pur a fronte di un motivo di appello generico, risulta avere richiamato la gravità dei fatti e l’intensità del dolo, così dando motivatamente conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., a fronte di una pena determinata al di sopra del minimo ed itta le.
Quanto al diniego delle attenuanti generiche, oltre al decisivo rilievo, per come osservato, costituito dalla mancanza di elementi positivamente valutabili, si è aggiunta l’assenza di resipiscenza dell’imputato, riferendosi la qualità di commercialista alla tesi difensiva, ritenuta priva di verosimiglianza, di avere assunto gli incarichi nell’ambito di un regolare rapporto professionale conferito direttamente dagli intestatari delle società.
E tanto, peraltro, a prescindere dai prevalenti orientamenti di legittimità con cui il ricorrente non si confronta secondo cui:
«Ai fini della determinazione della pena, il giudice può tenere conto più volte del medesimo dato di fatto sotto differenti profili e per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio del “ne bis in idem”. (Nella specie la Corte ha ritenuto immune da vizi la motivazione della Corte d’appello che ha fatto riferimento ai medesimi elementi indicativi della gravità del fatto per determinare la pena in misura superiore al minimo e per negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche).(Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018, dep. 2019, M., Rv. 275904 – 03; Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rv. 264378-01; Sez. 6, n. 45623 del 23/10/2013, Rv. 257425-01; Sez. 3, n. 42493 del 28/9/2023, non massimata; Sez. 5, n. 25676 del 28/0572025, S., non mass.);
«La condotta processuale dell’imputato che mantenga un atteggiamento “non collaborativo” può giustificare il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. (In motivazione, la S.C. ha osservato che, se l’esercizio del diritto di difesa rende, per scelta del legislatore, non penalmente perseguibili le dichiarazione false rese a propria difesa dall’imputato, ciò non equivale affatto a rendere quel tipo di dichiarazioni irrilevanti per la valutazione giudiziale del comportamento tenuto durante lo svolgimento del processo, agli effetti e nei limiti di cui all’art. 133 cod. pen.)».(Sez. 2, n. 28388 del 21/04/2017, Leo, Rv. 270339. Conforme: Sez. 4, n. 20115 del 04/04/2018, Prendi, Rv. 272747 – 01; Sez. 4, n. 11333 del 17/05/1985, COGNOME, Rv. 171219 – 01. Da ultimo, Sez. 1, n. 26867 del 27/06/2025, R., non mass.; Sez. 3, n. 26521 del 20/03/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 5, n. 3981 del 04/11/2022, dep. 2023, C., non mass.).
Da quanto osservato discende il rigetto del ricorso. Consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, li 26 settembre 2025.