Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 36143 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 36143 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI BARI nel procedimento a carico di: COGNOME NOME nato a ANDRIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ANDRIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ANDRIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ANDRIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ANDRIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ANDRIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ANDRIA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a ANDRIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/11/2023 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi i difensori:
AVV_NOTAIO del foro di TRANI – in difesa di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME – che ha chiesto il rigetto del ricorso;
AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO del foro di TRANI – presente sia in qualità di difensore di COGNOME NOME che in qualità di sostituto processuale, per delega orale, dell’AVV_NOTAIO del medesimo foro, difensore di COGNOME NOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
AVV_NOTAIO del foro di AVEZZANO – difensore d’ufficio di NOME – che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 27 novembre 2023, la Corte di appello di Bari, pronunciando in sede di rinvio a seguito della sentenza n. 49478 del 29 novembre 2022 della Terza Sezione penale della Corte di cassazione, ha riformato la sentenza emessa il 21 aprile 2017 – all’esito di giudizio abbreviato – dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Bari.
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME sono stati assolti – con la formula «perché il fatto non sussiste» – dall’imputazione di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 formulata al capo A) della rubrica.
La Corte di appello era stata chiamata a pronunciarsi, quale giudice di rinvio, esclusivamente su tale imputazione, essendo divenuta irrevocabile l’affermazione della penale responsabilità di COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME in relazione ad altri reati oggetto del procedimento. Per questi imputati, dunque, il trattamento sanzionatorio è stato rideterminato eliminando la pena inflitta per le violazioni dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90 contestate al capo A).
Per miglior comprensione della vicenda è doveroso riferire che, al capo A) della rubrica, il Pubblico Ministero ha contestato a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (e ad altri la cui posizione non rileva ai fini del presente ricorso): la violazione dell’art. 74 d.P.R. n. 309/90 e più violazioni degl artt. 81, comma 2, 110 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309/90. Nel capo di imputazione le condotte integranti il delitto di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/90 non sono descritt con indicazione delle date e di specifici episodi. Si tratta, infatti, in tesi accusator delle stesse condotte attraverso le quali ciascun imputato ha fornito il proprio contributo all’attività dell’associazione. In altri termini, secondo la prospettazion dell’accusa, oltre a dover rispondere delle detenzioni e cessioni di stupefacente specificamente accertate a loro carico – e oggetto di autonoma imputazione in questo o in altri procedimenti – COGNOME, COGNOMECOGNOME COGNOMECOGNOME COGNOMECOGNOME COGNOMECOGNOME COGNOME, COGNOME e COGNOME avrebbero dovuto rispondere anche di ulteriori violazioni dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90, non specificamente individuate, ma realizzate a titolo di concorso con gli altri associati, contribuendo alla realizzazione dei fini propr dell’associazione e al suo funzionamento.
2.1. Con sentenza del 21 aprile 2017 il G.u.p. del Tribunale di Bari, condivise questa impostazione e affermò la penale responsabilità di COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, per entrambe le imputazioni di cui al capo A) (quindi sia per il reato di cui all’art. 74 che per quello di cui all’art. 73 d.
n. 309/90), escluse le aggravanti previste dall’art. 74, comma 4, d.P.R. n. 309/90 e 7 decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152.
Per quanto riguarda la posizione di NOME COGNOME, il Giudice di primo grado osservò (pag. 190 della motivazione) che egli risultava aver svolto «un’attività di cessione di cocaina in favore di NOME COGNOME e dei suoi “soci” non continuativa, e circoscritta verosimilmente a isolate forniture nell’inter arco temporale monitorato». Di conseguenza, non ritenne provata la partecipazione di COGNOME all’associazione ed egli fu assolto, «per non aver commesso il fatto», dall’imputazione di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/90. Il Giudice di primo grado ritenne provate, invece, «almeno due distinte forniture di cocaina», attendibilmente riferite da due collaboratori di giustizia, e affermò la penale responsabilità di COGNOME per il reato di cui al capo A) limitatamente alle violazioni dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/90 ivi contestate.
Il 10 luglio 2019, la sentenza del G.u.p, fu parzialmente riformata dalla Corte di appello di Bari. Per quanto specificamente rileva in questa sede, la Corte di appello dichiarò nulla la sentenza di condanna pronunciata nei confronti di COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME (oltre che nei confronti di NOME COGNOME, la cui posizione non rileva nel presente ricorso), con riferimento all’imputazione di cui all’art. 73 d.P.R. n.309/90 contenuta nel capo A), perché tale imputazione non era stata formulata enunciando il fatto in forma chiara e precisa come previsto dall’art. 429, comma 1, lett. c), cod proc. pen. (espressamente richiamato, quanto al decreto di giudizio immediato, dall’art. 456, comma 1, cod. proc. pen.).
Contro questa decisione (e contro altri punti della sentenza che qui non rilevano, ma non contro l’assoluzione di NOME COGNOME dall’imputazione di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/90), il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari propose ricorso per Cassazione. Le statuizioni di condanna furono impugnate anche dagli odierni imputati, ma i ricorsi furono dichiarati inammissibili sicché le affermazioni della penale responsabilità per il reato di cui all’art. 74 d.P.R n. 309/90 divennero irrevocabili, come lo era divenuta l’assoluzione di COGNOME in relazione a questo reato.
Con sentenza n. 27577 del 18 settembre 2020, la Corte di cassazione accolse in parte il ricorso proposto dal Procuratore generale e, per quanto qui rileva, annullò la dichiarazione di nullità dell’imputazione di cui all’art. 73 d.P.R. 309/9 contestata al capo A). Rilevò a tal fine (pag. 11 e ss.) che la nullità della richiest di rinvio a giudizio e del decreto di citazione a giudizio per indeterminatezza e genericità dell’imputazione ha natura relativa, non è rilevabile d’ufficio e deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine previsto dall’art. 491 cod. proc. pen. Sottolineò inoltre che, nel caso di specie, nessuna eccezione di
nullità era stata sollevata, ed anzi, prima dell’apertura del dibattimento, gl imputati avevano chiesto il giudizio abbreviato, implicitamente accettando l’imputazione così come formulata dall’accusa.
Con sentenza del 10 dicembre 2021 la Corte di appello di Bari, pronunciando quale giudice di rinvio, confermò la sentenza di primo grado quanto all’affermazione della penale responsabilità di COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME per il delitto di cui agli artt. 81, comma 2. cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309/90 contestato al capo A).
Questa seconda sentenza della Corte di appello di Bari è stata impugnata (oltre che da NOME COGNOME il cui ricorso è stato dichiarato inammissibile) da COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME. I ricorsi sono stati accolti nella parte in cui lamentavano difetto di motivazione con riferimento alla violazione dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90 contestata al capo A) e sostenevano che il RAGIONE_SOCIALE di appello si era limitato a far seguire l’affermazione di responsabilità per questo reato alla già riconosciuta responsabilità per la fattispecie associativa, senza tuttavia individuare alcuno specifico episodio di detenzione o cessione cui la condanna potesse riferirsi. La sentenza rescindente ha ravvisato un vizio di motivazione nel fatto che la violazione dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90 sia stata desunta dalla già riconosciuta responsabilità per la fattispecie associativa.
Pronunciando in sede di rinvio, con la sentenza oggetto del presente ricorso, la Corte di appello di Bari ha assolto COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME dall’imputazione di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/90 osservando che il compendio probatorio che ha condotto alla condanna degli imputati per il reato associativo non è sufficiente all’affermazione della responsabilità con riferimento a violazioni dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90 diverse e ulteriori rispetto a quelle contestate a ciascun imputato in questo o in altr procedimenti e solo a tali diverse ed ulteriori condotte illecite l’imputazione di cu al capo A) è riferita.
Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari ha proposto ricorso contro questa pronuncia formulando tre motivi che di seguito si riportano, nei limiti strettamente necessari alla decisione, come previsto dall’art. 173, comma 1, D.Igs. 28 luglio 1989 n. 271.
3.1. Col primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge perché, con la decisione di assoluzione, la Corte di appello avrebbe «esorbitato il contenuto precettivo» della sentenza di annullamento che aveva rilevato solo la mancata specificazione degli episodi in cui si sarebbe realizzata l’attività continuativa d detenzione a fini di spaccio e non aveva chiesto al giudice di rinvio di individuare episodi di spaccio specifici e diversi rispetto a quelli oggetto di contestaz
questo o in altri procedimenti. Il ricorrente lamenta, inoltre, che la Corte di appell non abbia tenuto conto del principio affermato dalla prima sentenza di annullamento, secondo la quale l’indeterminatezza dell’imputazione non era stata ritualmente eccepita e non poteva quindi essere dedotta per sostenere la nullità della sentenza di condanna.
Con particolare riguardo alla posizione di NOME COGNOME, il ricorrente osserva (pag. 7 del ricorso) che «il tema dell’assorbimento della condotta relativa alle cessioni di stupefacenti di cui al capo a) della rubrica rispetto ai capi b) e per i quali risultava già assolto in separato procedimento» era stato «già largamente affrontato nello stesso giudicato cautelare valutato dalla Corte di cassazione anche ai fini dell’annullamento della sentenza della Corte di appello che dichiarava la nullità dell’imputazione di cui al predetto capo a) nei confronti del medesimo COGNOME».
3.2. Col secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge sostenendo che la motivazione fornita dalla Corte di appello per assolvere gli imputati sarebbe solo apparente.
Per quanto riguarda l’imputato COGNOME, il ricorrente si duole che la sentenza impugnata abbia ignorato il giudicato cautelare formatosi su iniziativa dello stesso imputato e, segnatamente, la decisione del Tribunale per il riesame di Bari del 12 novembre 2015 che ha affrontato, «nello specifico, il tema della alterità delle condotte di cui ai capi b) e c) della rubrica rispetto alla condotta cui al capo a)».
Più in generale, il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata ha omesso di confrontarsi con «l’impostazione probatoria» offerta dall’ufficio della Procura «fondata sulla considerazione per cui, specie dopo la formazione del giudicato formale circa la sussistenza dell’organizzazione finalizzata allo spaccio degli stupefacenti e, segnatamente, definita l’organizzazione, il modus operandi e i luoghi di spaccio, le attività delittuose singolarmente accertate a carico dei singoli sodali nel corso delle indagini, funzionali all’accertamento dell’esistenza del sodalizio e pienamente conformi allo schema operativo accertato, dovevano essere poste a carico di tutti i correi» (così testualmente, pag. 8 dell’atto di ricorso).
3.3. Col terzo e ultimo motivo, il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari deduce l’illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata sottolineando:
con particolare riguardo alla posizione di COGNOME, che vi sarebbe in atti la prova di forniture di cocaina all’associazione per quantità decisamente superiori a quelle contestate ai capi b) e c);
quanto agli altri imputati, che sono provate: una detenzione di stupefacente del 7 maggio 2011 per la quale NOME COGNOME è stato tratto in arresto; una
detenzione di stupefacente del 30 dicembre 2012 per la quale è stato tratto in arresto NOME COGNOME; una detenzione di stupefacente del 16 marzo 2013 per la quale è stato tratto in arresto NOME COGNOME; una detenzione di stupefacente del 29 maggio 2014 per la quale sono indagati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (moglie di COGNOME), NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Secondo il ricorrente, tali episodi rientrano nel periodo temporale oggetto di contestazione al capo A), sono ascritti a singoli associati o a soggetti occasionalmente reclutati dall’associazione, «rispecchiano le modalità operative concordate tra i sodali, che si sono spartiti i relativi profitti» e, pertanto, poss essere ascritti a ciascun associato ai sensi degli artt. 110 e 73 d.P.R. n. 309/90.
In data 27 agosto 2024, il difensore di NOME COGNOME, ha depositato una memoria difensiva con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso. All’odierna udienza le parti hanno rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.
Com’è noto, «La Corte di cassazione risolve una questione di diritto anche quando giudica sull’adempimento del dovere di motivazione, sicché il giudice di rinvio, pur conservando la libertà di decisione mediante un’autonoma valutazione delle risultanze probatorie relative al punto annullato, è tenuto a giustificare proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, restando in tal modo vincolato a una determinata valutazione delle risultanze processuali» (Sez. 2, n. 45863 del 24/09/2019, COGNOME, Rv. 277999; Sez. 5, n. 7567 del 24/09/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254830).
Nel caso di specie, la sentenza n.49478/22 (che ha annullato la sentenza pronunciata il 1° dicembre 2021 dalla Corte di appello di Bari), ha ritenuto che la motivazione con la quale i giudici di merito avevano affermato la responsabilità degli imputati per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/90 contestato al capo A fosse carente. Ha osservato in proposito: che il RAGIONE_SOCIALE di appello si era «limitato a far seguire l’affermazione di colpevolezza alla già riconosciuta responsabilità per la fattispecie associativa, senza, tuttavia, individuare alcuno specifico episodio – di cui allo stesso articolo 73 – del quale l’ampio materiale istruttorio avesse dato sufficiente contezza» e nessuna motivazione integrativa poteva essere rinvenuta nella sentenza di primo grado, atteso che il G.u.p. si era limitato ad affermare che le argomentazioni sviluppate nell’apparato motivazionale riguardante il reato
associativo «consentivano “di ritenere il prevenuto colpevole anche del delitto continuato ex art. 73 D.P.R. n. 309/90 riflesso nel medesimo capo A) della rubrica.”».
Secondo la sentenza rescindente, «meritano censura» le considerazioni sviluppate dalla Corte di appello secondo le quali «la contestazione dell’addebito di cui al capo A) è diversa da quella oggetto di altri giudizi (anche richiamati i altri addebiti non valutati nel presente processo)» e la condotta ex art. 73 contestata in questo capo «è “strettamente connessa alla pluriennale partecipazione al sodalizio, finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti – sull quale sussiste ormai giudicato – consistita nella sistematica attività di acquisto e cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina che non poteva certo ridursi a singoli episodi diversamente contestati”». Così argomentando, infatti, i giudici di merito hanno «fatto discendere la responsabilità per i delitti di cui all’art. direttamente dalla riscontrata adesione alla fattispecie associativa senza argomento aggiuntivo».
Per quanto riguarda la posizione di COGNOME (che dal reato associativo è stato definitivamente assolto), la sentenza rescindente ha censurato la motivazione fornita dalla Corte di appello secondo la quale gli episodi di cessione emergenti dagli atti sarebbero in realtà più numerosi dei due contestati ai distinti capi B) e C). Ha sottolineato a tal fine che la Corte territoriale non ha indicato a sostegno di tale affermazione «nessun elemento specifico» e «nessun adeguato richiamo istruttorio» (così testualmente pag. 13 della sentenza n. 4978/22).
3. Con la sentenza oggi impugnata la Corte di appello di Bari ha fatto puntuale applicazione dei principi di diritto indicati dalla sentenza di annullamento e ha valutato le risultanze probatorie secondo lo schema enunciato in sede di legittimità. Pertanto, ha esaminato le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e ha rilevato (pag. 6) che tali dichiarazioni, aventi ad oggetto la «generale organizzazione dell’attività associativa e ruolo sistematicamente rivestito dai singoli imputati nelle concrete azioni di gestione o di smercio delle sostanze stupefacenti» non offrivano – quanto alla prova di episodi di cessione diversi e ulteriori rispetto a quelli fatti oggetto di autonoma contestazione in questo procedimento o in altri procedimenti aperti a carico degli imputati – «spunti differenti da quelli già evidenziati dal giudice di prime cure e ripresi dalla Corte d appello», valutati dalla sentenza rescindente come insufficienti all’affermazione della penale responsabilità.
Avendo proceduto, per ciascun imputato, ad esaminare le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia e le ulteriori emergenze probatorie, il RAGIONE_SOCIALE di rinv ha sottolineato che «pur cimentandosi con attenzione nell’operazione richiesta
dalla pronuncia rescindente, non è possibile individuare, oltre a quanto giudicato separatamente rispetto al capo A), ulteriori date precise e altri puntuali contorni fattuali» in relazione a episodi diversi rispetto a quelli specificament contestati. Ha concluso (pag. 7 della motivazione) che, «nell’ottica segnalata dalla suprema Corte», le indicazioni dei collaboratori, pedissequamente riprese dalle sentenze censurate, sono «insufficienti per l’affermazione della colpevolezza per il delitto continuato di cui al capo A)» essendo «pregnanti nella sola direzione della, ormai irrevocabile, declaratoria di responsabilità per la fattispecie associativa».
4. I motivi di ricorso non si confrontano con le argomentazioni della sentenza impugnata. Si fondano, infatti, sull’assunto che, essendosi formato il giudicato sull’esistenza di una organizzazione finalizzata allo spaccio degli stupefacenti ed essendo stati così definiti «l’organizzazione, il modus operandi e i luoghi di spaccio», le attività delittuose compiute dai singoli, purché funzionali all’esistenza del sodalizio e «conformi allo schema operativo accertato, dovevano essere poste a carico di tutti i correi» (così a pag. 8 e poi, in termini analoghi, a pag. 13 dell’ di ricorso). Un assunto che trascura il chiaro contenuto della sentenza rescindente, secondo la quale l’affermazione della responsabilità per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/90 non è da se sola sufficiente a far ritenere ciascuno degli associati responsabile di più violazioni dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90, essendo necessario a tal fine individuare il contributo apportato da ciascuno alle specifiche attività detenzione o cessione precisamente individuate.
A differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, non rileva in contrario quanto statuito dalla prima sentenza rescindente (Sez. 4 n. 27577 del 18/09/2020) secondo la quale, una volta che si sia instaurato il giudizio abbreviato, l’indeterminatezza dell’imputazione non può più essere eccepita e, in ogni caso, per valutare se una imputazione sia sufficientemente determinata si deve tenere conto di tutti gli atti presenti nel fascicolo processuale al fine di verificare se stessi pongano l’imputato in condizione di conoscere l’addebito formulato nei suoi confronti. In questa sede, infatti, non si discute del modo in cui l’imputazione è stata formulata e della sua determinatezza, ma della possibilità di ritenere fondata nel merito l’imputazione, così come formulata, facendo discendere dalla prova del reato associativo anche la prova di un numero indeterminato di violazioni dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90 non meglio specificate: una possibilità che è stata esclusa in linea di principio dalla sentenza rescindente n. 49478/22, secondo la quale la responsabilità per i delitti di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/90 non p discendere «direttamente dalla riscontrata adesione alla fattispecie associativa senza argomento aggiuntivo» (così, testualmente, pag. 12 della motivazione).
5. Il ricorso è manifestamente infondato quando sostiene che, esaminando gli atti allo scopo di verificare se dagli stessi emergessero in capo a ciascun imputato elementi di responsabilità con riferimento a condotte di spaccio diverse rispetto a quelle che erano state loro autonomamente contestate, i Giudici del rinvio hanno «esorbitato il contenuto precettivo» della sentenza rescindente. Alla Corte di appello è stato chiesto, infatti, di compiere proprio una valutazione di questo tipo perché la sentenza di annullamento ha ritenuto che facendo discendere la responsabilità per continuate violazioni dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90 dalla sola riscontrata adesione all’associazione di cui all’art. 74 del medesimo d.P.R. il dovere di motivazione non fosse stato sufficientemente adempiuto.
La valutazione imposta dalla sentenza di annullamento è stata compiuta come era doveroso – con riferimento alla posizione di ciascuno degli imputati ritenuti responsabili del reato associativo e, dopo averla compiuta, il RAGIONE_SOCIALE del rinvio ha concluso che, per nessuno di questi imputati le indagini svolte hanno provato, oltre alle condotte con le quali si è realizzata la partecipazione alla associazione e alle attività di spaccio oggetto di autonoma e separata contestazione, specifici episodi riconducibili nell’ambito della continuata violazione dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90 contestata al capo A).
Il ricorso non contrasta tali conclusioni se non sostenendo che ogni attività di spaccio emergente dagli atti, purché rientrante nel periodo di operatività dell’associazione e realizzata nel rispetto delle «modalità operative concordate tra i sodali, che si sono spartiti i relativi profitti» dovrebbe essere ascritta a ciascu degli associati. Non spiega, però, come ciò potrebbe avvenire senza che sia stata fornita la prova del contributo arrecato a quella specifica attività da ciascun imputato e neppure perché una tale argomentazione non si porrebbe in contrasto col principio di diritto affermato dalla sentenza rescindente, secondo la quale la responsabilità per i delitti di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/90 non può essere fatt discendere, senza argomenti aggiuntivi, direttamente dalla riscontrata adesione alla fattispecie associativa.
6. Merita di essere esaminata separatamente la posizione di NOME COGNOME che è stato assolto già in primo grado dal reato associativo sub A), «per difetto di stabile adesione al sodalizio e, comunque, di stabilità del vincolo di fornitura», ed è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/90 contestato al capo A) perché sono state ritenute provate «alcune cessioni di cocaina, effettuate in favore della “RAGIONE_SOCIALE“» delle quali hanno riferito i collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME (pag. 190 della sentenza del G.u.p.).
Dalla lettura del capo di imputazione, della sentenza impugnata e dei motivi di ricorso emerge che COGNOME è stato imputato di violazioni degli artt. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309/90 che sono state separatamente giudicate, ma nel presente procedimento erano contestate ad altri imputati e costituivano i capi B) e C) della rubrica. Si tratta: della vendita di un chilogrammo di cocaina ad esponenti dell’associazione, avvenuta in Andria nel maggio-giugno 2011 (capo B) e della vendita di un imprecisato quantitativo della stessa sostanza avvenuta in favore di esponenti dell’associazione, in Andria tra aprile e maggio 2012. Il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata avrebbe immotivatamente ritenuto la condotta di cessione di stupefacenti di cui al capo A) assorbita nelle condotte di cui ai capi B) e C) (dai quali peraltro, in separato procedimento, COGNOME è stato assolto) e sottolinea: da un lato, che tale assorbimento è stato escluso in sede cautelare con decisione divenuta definitiva; dall’altro, che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia provano «cessioni di cocaina per quantità decisamente superiori (anche 7 kg)» rispetto a quelle specificamente contestate ai capi B) e C).
Nella sentenza n. 49478/22 – che ha annullato con rinvio la condanna di COGNOME per le violazioni dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90 contestate al capo A) si legge quanto segue (pag. 13): « La Corte di appello ha affermato che la condotta continuata di fornitura di cocaina al gruppo COGNOME, da parte di COGNOME, risulterebbe dalle dichiarazioni dei collaboratori COGNOME e COGNOME, e “va oltre i due episodi contestati nelle originarie imputazioni sub b) e c), che non costituiscono oggetto di cognizione della Corte”. Una tale affermazione, tuttavia, risulta eccessivamente generica, specie se confrontata con quella – di cui alla sentenza di primo grado – secondo cui le dichiarazioni degli stessi collaboratori avrebbero dato conto di una attività di cessione “circoscritta verosimilmente a isolate forniture nell’intero arco di tempo monitorato, di certo, tanto il COGNOME quanto lo COGNOME riferiscono almeno di due distinte forniture di cocaina”.».
La sentenza rescindente prosegue osservando che la Corte di appello ha cercato di superare l’affermazione del giudice di primo grado sostenendo «che, in realtà, gli episodi di cessione sarebbero più numerosi dei due contestati ai distinti capi B) e C)» e, tuttavia, «nessun elemento specifico è riportato in sentenza sul punto, nessun adeguato richiamo istruttorio, così che la motivazione non risulta affatto congrua».
Chiamata in sede di rinvio a colmare la riscontrata lacuna motivazionale, la sentenza impugnata ha rilevato (pag. 15 e ss. della motivazione):
che le dichiarazioni del collaboratore COGNOME si riferiscono alla cessione di un chilo di cocaina compiuta da COGNOME in favore di esponenti dell’associazione proprio per il tramite COGNOME nel maggio-giugno 2011 [fatto contestato al capo
B) e oggetto per COGNOME di separato giudizio];
che questo collaboratore ha parlato anche di una successiva cessione di un altro chilo di cocaina, ma in termini dubitativi, «ammettendo anche la possibilità che vi fossero state consegne di due partite diverse da mezzo chilo ciascuna»;
che dalle dichiarazioni di COGNOME non emergono altre forniture eseguite da COGNOME in favore alla associazione di cui al capo A), ma solo la detenzione da parte dello stesso COGNOME «di più ampie partite di droga»;
che si tratta di partite «destinate ad altri soggetti o a differenti consorteri altrettanto dedite al traffico di stupefacenti» e, pertanto, estranee all’imputazione;
che dalle dichiarazioni di COGNOME non emergono cessioni compiute da COGNOME in favore dell’associazione di cui al capo A) diverse da quelle indicate nel capo B) della originaria imputazione;
che il collaboratore COGNOME ha parlato di cessioni di cocaina operate da COGNOME in favore dell’associazione di cui al capo A) riferendo che sarebbero avvenute in sua presenza tra aprile e maggio 2012 e tali cessioni sono descritte nell’originario capo C).
In sintesi, secondo la sentenza impugnata, le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia non consentono di affermare che COGNOME abbia compiuto in favore della associazione di cui al capo A) cessioni diverse rispetto a quelle che per le quali è stato separatamente processato e nessun altro elemento è stato acquisito in tal senso.
Nell’economia della motivazione, ha valore del tutto marginale la constatazione che, nel separato procedimento avente ad oggetto le cessioni descritte nei capi B) e C), COGNOME sia stato assolto. Dalla sentenza impugnata risulta, infatti, che a tale decisione si è giunti ritenendo che i fatti storici des dai collaboratori COGNOME COGNOME fossero privi di riscontri estrins individualizzanti, mentre nel presente procedimento la pronuncia assolutoria consegue alla constatazione che le dichiarazioni dei collaboratori non contenevano alcun riferimento ad ulteriori forniture eseguite da COGNOME in favore della associazione la cui esistenza è stata definitivamente accertata. Solo COGNOME, infatti, ha parlato della ulteriore detenzione di ingenti quantità di sostanza, ma sostenendo che si trattava di forniture eseguite in favore di individui o gruppi associati estranei al presente procedimento: cessioni che non sono oggetto dell’imputazione di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90 formulata al capo A).
A fronte di tali argomentazioni, il ricorrente si limita a sostenere che «l’impianto dichiarativo» sottoposto all’esame dei giudici di merito «ha consentito di valutare cessioni di cocaina per quantità decisamente superiori (anche 7 kg)» rispetto agli specifici episodi oggetto di separato procedimento; ma non spende argomenti a sostegno di tale affermazione, che si esaurisce, dunque, in una mera
· COGNOME allegazione con la quale viene prospettata una diversa, e per il ricorrent adeguata, valutazione delle risultanze processuali.
In conclusione, poiché si confronta solo genericamente con la motivazion del provvedimento impugnato, il ricorso si destina, per ciò solo, all’inammissib venendo meno in radice l’unica funzione per la quale l’impugnazione è prevista ammessa: vale a dire la critica argomentata al provvedimento che, nel caso esame, è stato, nella sostanza, del tutto ignorato (Sez. 3, n. 448 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME Rv. 276970).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso il 12 settembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente