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Responsabilità penale abuso edilizio: la prova

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per reati edilizi. La decisione conferma che la responsabilità penale per abuso edilizio non deriva dalla sola proprietà, ma da un insieme di elementi probatori concordanti, come la presenza in cantiere, la richiesta di dissequestro e, soprattutto, la presentazione di un’istanza di conformità in cui si dichiarava unica proprietaria del bene.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Responsabilità Penale Abuso Edilizio: Quando la Prova va Oltre la Proprietà

Affrontare un procedimento per reati edilizi può essere complesso, soprattutto quando si tratta di stabilire con certezza chi sia il responsabile dei lavori. La responsabilità penale per abuso edilizio non sempre coincide con la figura del proprietario dell’immobile. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un’analisi chiara su quali elementi probatori possano fondare una condanna, andando oltre la semplice titolarità del bene.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria inizia con una condanna in primo grado emessa dal Tribunale, successivamente confermata dalla Corte d’Appello, nei confronti di una donna per reati previsti dal Testo Unico dell’Edilizia (d.P.R. 380/2001). All’imputata veniva contestata la realizzazione di opere abusive su un terreno di cui era comproprietaria.

Contro la sentenza di secondo grado, la donna ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che la sua condanna fosse basata su prove insufficienti e vizi di motivazione. In particolare, la difesa contestava la lacunosità della testimonianza chiave e l’assenza di una prova inconfutabile che fosse stata lei a commissionare i lavori. Secondo la ricorrente, la sua responsabilità non poteva essere desunta automaticamente da alcuni indizi, quali:

* La disponibilità giuridica e di fatto del suolo.
* La sua presenza sul posto al momento del controllo.
* L’aver presentato un’istanza di dissequestro del cantiere.

La difesa evidenziava inoltre che la richiesta di condono edilizio era stata presentata da un altro soggetto, cercando così di allontanare da sé la paternità dell’abuso.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno stabilito che le censure proposte dalla ricorrente miravano, in realtà, a una nuova valutazione del compendio probatorio, un’attività preclusa al giudice di legittimità. La Cassazione, infatti, non riesamina i fatti del processo, ma si limita a verificare la corretta applicazione delle norme di diritto e la logicità della motivazione della sentenza impugnata.

Le Motivazioni: Indizi Plurimi per la Responsabilità Penale Abuso Edilizio

La Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero correttamente e logicamente motivato la loro decisione, basando la condanna non su un singolo elemento, ma su una serie di prove concordanti che, lette nel loro insieme, delineavano un quadro chiaro della responsabilità penale per abuso edilizio in capo all’imputata.

I giudici di merito avevano infatti evidenziato come, oltre agli elementi già menzionati dalla difesa (comproprietà, presenza sul luogo e istanza di dissequestro), ve ne fosse uno decisivo. L’imputata aveva presentato personalmente un’istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 380/2001. In tale documento, la stessa si era dichiarata unica proprietaria dell’immobile per pacifico e continuato possesso.

Questo atto è stato considerato dalla Corte come una chiara manifestazione di interesse e di controllo sull’opera abusiva, un elemento che, sommato agli altri, forniva una prova solida e convincente del suo ruolo attivo nella vicenda. La Corte ha quindi ribadito che il ricorso presentava censure non consentite dalla legge, confermando la condanna e aggiungendo il pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa pronuncia della Corte di Cassazione offre un importante insegnamento: la responsabilità per un abuso edilizio non si ferma alla mera titolarità formale di un immobile. I giudici valutano il comportamento concreto del soggetto e il suo interesse effettivo alla realizzazione dell’opera. Presentare istanze amministrative, essere presenti durante i controlli o compiere atti di gestione del bene sequestrato sono tutti comportamenti che possono essere interpretati come indizi gravi, precisi e concordanti della propria responsabilità. Per i proprietari e comproprietari di immobili, ciò significa che non è possibile rimanere inerti o delegare ad altri, sperando di evitare le conseguenze legali: le azioni concrete pesano più delle intestazioni formali.

Essere proprietario di un immobile è sufficiente per essere condannati per un abuso edilizio realizzato su di esso?
No, la sola qualifica di proprietario non è di per sé sufficiente. Tuttavia, come chiarisce la sentenza, essa costituisce un indizio importante che, unito ad altri elementi (come la presenza in cantiere o la presentazione di istanze amministrative relative all’immobile), può fondare una solida prova di responsabilità.

Può la Corte di Cassazione riesaminare le prove di un processo?
No, il ruolo della Corte di Cassazione è quello di giudice di legittimità, non di merito. Ciò significa che non può rivalutare le prove o i fatti come ricostruiti dai tribunali di primo e secondo grado, ma solo verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza sia logica e non contraddittoria.

Quale atto è stato considerato decisivo in questo caso per dimostrare la responsabilità dell’imputata?
L’elemento considerato decisivo, in aggiunta agli altri, è stata la presentazione da parte dell’imputata di un’istanza di accertamento di conformità (sanatoria), in cui si dichiarava unica proprietaria per possesso continuato. Questo atto ha dimostrato il suo diretto e specifico interesse alla realizzazione e alla regolarizzazione della costruzione abusiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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