Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 25729 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 25729 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a ROMA il 11/07/1958 COGNOME NOME nato a MOLFETTA il 01/01/1950 COGNOME NOME nato a SALERNO il 29/03/1951 COGNOME NOME nato a TERNI il 23/03/1954 COGNOME nato a NAPOLI il 25/07/1965 COGNOME NOME nato a FORLI’ il 15/12/1968 COGNOME nato a ROMA il 28/05/1965 COGNOME NOME nato a MILANO il 17/11/1970 COGNOME NOME nato a TERMOLI il 20/12/1975 COGNOME NOME nato a SENIGALLIA il 23/07/1959 COGNOME NOME nato a SAN GAVINO MONREALE il 14/06/1962 COGNOME nato a LIVORNO il 22/11/1958 RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza del 28/09/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; all’udienza del 01/04/2025 udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo:
per COGNOME e COGNOME NOME: rigetto dei ricorsi;
per COGNOME COGNOME: annullamento senza rinvio della sentenza impugnata ai fini penali, quanto al reato di cui all’art.589 sub.c) c.p., per essersi il reato estinto per prescrizione e quanto al reato di cui all’art.449 c.p. perchè il fatto non sussiste; annullamento con rinvio ai fini civili;
-per COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME: annullamento senza rinvio della sentenza impugnata ai fini penali, quanto al reato di cui all’art. 589 sub.c), per essersi il reato estinto per prescrizione e quanto a reato di cui all’art.449 c.p. perchè il fatto non sussiste; rigetto ai fini civili;
per COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME annullamento con rinvio della sentenza impugnata quanto al reato di cui all’art.589 sub.c) c.p.; annullamento senza rinvio riguardo al reato di cui all’art.449 sub.c) c.p. perchè il fatto non sussiste.
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di FROSINONE in difesa delle parti civili COGNOME e COGNOME il quale deposita conclusioni scritte unitamente alla nota spese e chiede la conferma della sentenza impugnata, con condanna degli imputati al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili.
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di ROMA in difesa del responsabile civile RAGIONE_SOCIALE il quale chiede l’accoglimento del ricorso.
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di PISA in difesa di COGNOME il quale insiste per l’accoglimento del ricorso, associandosi alle conclusioni del PG.
E’ presente l’avvocato NOME COGNOME del foro di GENOVA in difesa di COGNOME che si riporta ai motivi del ricorso associandosi alle richieste del coodifensore avv. COGNOME
E’ presente l’avvocato NOME COGNOME del foro di ROMA in difesa di COGNOME, che delega ai sensi dell’art. 102 cpp, l’avv. COGNOME del Foro di ROMA all’esposizione dei motivi di ricorso ai quali si riporta associandosi alle conclusione dei precedenti avvocati e chiedendone l’accoglimento. E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di NAPOLI in difesa di COGNOME il quale insiste per l’accoglimento del ricorso, chiedendo l’annullamento della sentenza.
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di ROMA in sostituzione ex art.102 c.p.p., per delega orale, dell’avvocato COGNOME del foro di ROMA in difesa di COGNOME
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di ROMA in difesa di COGNOME NOME e di COGNOME
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di MILANO in sostituzione ex art.102 c.p.p., per delega scritta, dell’avvocato COGNOME del foro di MILANO in difesa di COGNOME il quale
E’ presente l’avvocato NOME COGNOME del foro di MILANO in difesa di NOME COGNOME
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di NAPOLI in difesa di COGNOME
E presente l’avvocato COGNOME del foro di AVELLINO in difesa di COGNOME NOME COGNOME
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di ROMA in difesa di COGNOME NOME COGNOME
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di TARANTO in difesa di COGNOME
E’ presente l’avvocato COGNOME NOME COGNOME del foro di SALERNO in difesa di NOME. di
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di NAPOLI in difesa di COGNOME
E’ presente l’avvocato NOME del foro di ROMA in difesa di NOME COGNOME NOMECOGNOME e di COGNOME. di
E’ presente l’avvocato NOME COGNOME del foro di ROMA in difesa di COGNOME.
A questo punto alle ore 18,45, il presidente come da avvisi precedentemente inviati, sospende l’udienza e rinvia la prosecuzione della discussione ai giorni 4 e 11 aprile 2025.
All’udienza del 04/04/2025;
è’ presente l’avvocato COGNOME del foro di ROMA in difesa di COGNOME il quale chiede l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, riportandosi ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
E’ presente l’avvocato l’avvocato COGNOME del foro di MILANO in difesa di COGNOME il quale chiede l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, riportandosi ai motivi di ricorso chiedendone raccoglimento.
E’ presente l’avvocato NOME COGNOME del foro di MILANO in difesa di COGNOME il quale si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
E’ presente l’avvocato NOME del foro di ROMA in difesa di NOME COGNOME NOMECOGNOME il quale si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
E’ presente l’avvocato COGNOME NOME del foro di NAPOLI in difesa di NOME COGNOME il quale si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede raccoglimento.
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di ROMA in difesa di COGNOME NOME COGNOME il quale si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
E’ presente l’avvocato NOME COGNOME del foro di ROMA in sostituzione ex art.102 c.p.p., per delega orale dell’avvocato, COGNOME del foro di ROMA in difesa di COGNOME il quale si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
E’ presente l’avvocato COGNOME NOME del foro di ROMA in sostituzione ex art.102 c.p.p., per delega scritta, dell’avvocato COGNOME del foro di ROMA in difesa di COGNOME NOME e COGNOME il quale si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di NAPOLI in difesa di COGNOME il quale si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
E’ presente l’avvocato COGNOME NOME COGNOME del foro di SALERNO; di anche in sostituzione ex art.102 c.p.p., per delega orale, dell’avvocato COGNOME del foro di NAPOLI, entrambi in difesa di COGNOME NOMECOGNOME il quale si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di NAPOLI in difesa di COGNOME
E presente l’avvocato COGNOME del foro di AVELLINO in difesa di COGNOME NOME COGNOME il quale si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di TARANTO in difesa di COGNOME il quale si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
E’ presente l’avvocato NOME COGNOME del foro di NAPOLI in difesa di COGNOME
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di FROSINONE in difesa delle parti civili COGNOME e COGNOME
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di ROMA in difesa di RAGIONE_SOCIALE
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di NAPOLI in difesa di COGNOME NOMECOGNOME
E’ presente l’avvocato NOME COGNOME del foro di ROMA in difesa di COGNOME
E’ presente l’avvocato NOME COGNOME del foro di GENOVA in difesa di NOME COGNOME
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di PISA in sostituzione ex art. 102 c.p.p., per delega orale, dell’avvocato COGNOME del foro di PISA in difesa di COGNOME
All’udienza del 11/04/2025;
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro NAPOLI in difesa di COGNOME che chiede l’accoglimento del ricorso.
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di NAPOLI difensore di COGNOME che insiste per l’accoglimento del ricorso.
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di ROMA difensore di COGNOME NOME e di COGNOME che riportandosi ai motivi insiste per l’accoglimento del ricorso.
E’ presente l’avv. COGNOME del foro di TARANTO in difesa di COGNOME che chiede l’accoglimento del ricorso.
E’ presente l’avv. COGNOME del foro di ROMA in difesa di COGNOME che chiede l’accoglimento del ricorso.
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di FROSINONE in difesa delle parti civili COGNOME e COGNOME.
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di NAPOLI in sostituzione dell’avv. COGNOME del foro di NAPOLI in difesa del responsabile civile RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME.
E presente l’avvocato COGNOME del foro di ROMA in difesa del responsabile civile RAGIONE_SOCIALE
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di ROMA in sostituzione dell’avv. COGNOME NOME del foro di ROMA in difesa di COGNOME.
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di MILANO ed in sostituzione del coodifensore COGNOME NOME del foro di MILANO, in difesa di COGNOME
E’ presente l’avvocato NOME del foro di ROMA in difesa di NOME COGNOME NOMECOGNOME e COGNOME.
E’ presente l’avv. COGNOME del foro di AVELLINO difensore di COGNOME NOME COGNOME
E’ presente l’avv. COGNOME del foro di ROMA in difesa di COGNOME NOME COGNOME
E’ presente l’avv. COGNOME NOME COGNOME del foro di SALERNO, anche in sostituzione dell’avv. COGNOME del foro di NAPOLI, entrambi difensori di NOME
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di NAPOLI in difesa di COGNOME NOMECOGNOME
E’ presente l’avv. NOME COGNOME del foro di ROMA in difesa GLYPH di COGNOME.
E’ presente l’avv. NOME COGNOME del foro di GENOVA in difesa di NOMECOGNOME
L’avv. COGNOME sostituisce anche l’avv. COGNOME di foro di TARANTO, in difesa di COGNOME
E’ presente l’avv. COGNOME NOME COGNOME del foro di PISA, che deposita nomina scritta a sostituto ex art. 102 cpp, dell’avv. COGNOME del foro di PISA, in difesa di COGNOME
RITENUTO IN FATTO
La vicenda e le imputazioni
1. La sentenza oggetto di impugnazione di fronte a questa Corte è stata emessa all’esito del giudizio di appello nell’ambito del procedimento relativo a un gravissimo sinistro stradale avvenuto il 28/07/2013 sull’autostrada A16 NapoliCanosa, al km 32+805 (nel territorio del Comune di Monteforte Irpino), che ha causato il decesso di quaranta persone e il ferimento di altre ventinove, tutte viaggianti a bordo dell’autobus Volvo TARGA_VEICOLO, tg. TARGA_VEICOLO, condotto da NOME COGNOME.
Nell’atto di esercizio dell’azione penale è stato rispettivamente ascritto a:
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME – ai sensi degli artt.110, 491bis e 479 cod.pen., in relazione all’art.476 cod.pen., di avere concorso a falsificare un documento informatico pubblico e, segnatamente, il report contenente i dati dell’autobus citato, al fine di ottenere il rilascio del taglian dell’avvenuta revisione, attestando quindi falsamente in un atto pubblico fatti dei quali l’atto stesso era destinato a provare la verità; ai sensi degli artt.40, comma 41, comma 1, 113 e 589, commi 1 e 4 e 449 in relazione all’art.434 cod.pen., di avere contribuito a cagionare il suddetto incidente e in particolare: il COGNOME omettendo una corretta e regolare manutenzione del mezzo presso officine specializzate e di sottoporlo alla revisione annuale e il COGNOME e la Ceriola non impedendo la circolazione del mezzo, che non avrebbe mai potuto superare con esito regolare la prescritta revisione, contribuendo così a cagionare l’evento disastroso, ponendo altresì in pericolo la sicurezza del trasporto pubblico;
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, ai sensi degli artt. 40, comma 2, 41, comma 1, 113 e 589, commi 1 e 4, 449 in relazione all’art.443 cod.pen., per avere – in cooperazione tra loro e nella rispettiva veste di soggetti in servizio con diverse posizioni di responsabilità presso la società RAGIONE_SOCIALE – per il concorso di cause indipendenti tra loro e avendo l’obbli
)
giuridico di impedirlo, cagionato colposamente il gravissimo incidente stradale di cui sopra.
In particolare, al COGNOME nella sua veste di Amministratore Delegato e ai dirigenti della Direzione Centrale e relative articolazioni era stata ascritta, ol alla colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, anche la violazione delle norme che garantiscono la circolazione stradale in condizioni di sicurezza, per aver omesso di provvedere alla riqualificazione dell’intero viadotto INDIRIZZO presente sull’autostrada Napoli-Canosa, attraverso la necessaria sostituzione delle barriere di sicurezza con quelle marcate CE, in ragione della intervenuta non conformità di quelle esistenti al momento del sinistro, trattandosi peraltro di un viadotto autostradale connotato da particolare pericolosità essendo stato progettato e realizzato con geometrie non adeguate ad una infrastruttura di tale destinazione.
Mentre agli altri dirigenti della direzione del Sesto Tronco, era stata ascritta, oltre alla colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia anche la violazione delle norme che garantiscono la circolazione stradale in condizioni di sicurezza, per avere omesso un costante monitoraggio del tratto autostradale interessato dal sinistro e che avrebbe evidenziato la necessità di un adeguamento funzionale delle barriere di calcestruzzo bordo-ponte; difatti, in particolare, nel suddetto tratto d viadotto, erano stati rilevati gravi e anomali fenomeni corrosivi degli elementi metallici di collegamento delle barriere in calcestruzzo al cordolo del viadotto (i c.d. tirafondi) nonché fenomeni corrosivi sugli elementi di collegamento al piede delle citate barriere, rilevandosi altresì un errore di progettazione nei giunti cannocchiale presenti nella parte superiore delle barriere poste in corrispondenza dei giunti di dilatazione del viadotto, errori ritenuti nel loro complesso tali contribuire allo sfondamento e alla precipitazione ad alta quota dell’autobus predetto, cagionando in tal modo il decesso e un evento di disastro idoneo a mettere in pericolo la pubblica incolumità.
La sentenza di primo grado
2. Con sentenza emessa il 11/01/2019, il Tribunale di Avellino ha dichiarato il COGNOME, la COGNOME, il COGNOME, il COGNOME, lo COGNOME, il COGNOME, il COGNOME e il COGNOME responsabili dei reati rispettivamente ascritti, condannandoli alle pene ritenute eque nonché – i funzionari suddetti in concorso con il responsabile civile Autostrade per l’Italia s.p.a. – al risarcimento del danno nei confronti dell costituite parti civili, nella reciproca misura percentuale ivi indicata; ha assol invece NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME
COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME dai reati ascritti per non aver commesso il fatto
La sentenza era stata pronunciata sulla scorta di un complesso materiale probatorio costituito, oltre che dalle dichiarazioni acquisite in dibattimento, dall relazioni redatte dal perito nominato d’ufficio e dai consulenti di parte, dall dichiarazioni rese dagli imputati in sede di esame e dalle loro spontanee dichiarazioni, nonché dalla copiosa documentazione confluita negli atti utilizzabili.
2.1 II Tribunale ha ritenuto provata con adeguata certezza la concreta dinamica del sinistro, rilevando che – intorno alle 20,30 del 28/07/2013 l’autobus citato (di proprietà di NOME COGNOME, titolare della RAGIONE_SOCIALE), giunto all’altezza del km 33,700 dell’autostrada Canosa-Napoli, era incorso in un guasto meccanico che aveva determinato l’inefficienza del sistema frenante e la conseguente perdita del controllo del veicolo; ha esposto quindi che il mezzo, dopo aver percorso per un lungo tratto la corsia di emergenza dell’autostrada e dopo aver evitato l’impatto con le altre vetture presenti sulle corsie di marcia e d sorpasso, giunto all’altezza del predetto viadotto – al chilometro 32,830 – aveva cozzato contro la barriera esterna di protezione della sopraelevata e dopo aver urtato altri veicoli incolonnati sulla carreggiata e percorso un breve tratto su viadotto aveva impattato nuovamente sulla barriera new jersey posta a protezione dello stesso, abbattendo la struttura con conseguente precipitazione dell’autobus da un’altezza di 23 metri fino allo schianto sul terreno sottostante.
Il Giudice di primo grado ha quindi proceduto a una parcellizzata analisi dei distinti aspetti della contestazione, con particolare riferimento alle posizioni de Lametta, della Ceriola e del Saulino.
Il Tribunale ha ritenuto provata la circostanza che – date le evidenti deficienze strutturali – l’automezzo non avrebbe potuto essere stato sottoposto con esito positivo alla revisione alla data indicata nel documento di circolazione (26/03/2013), non risultando neanche effettuata la dovuta revisione per il 2012.
Ha altresì proceduto al riassunto e all’analisi delle numerose deposizioni testimoniali e delle consulenze tecniche disposte su incarico del p.m. e degli imputati, espletate sia in materia grafologica sia in riferimento allo stato manutenzione dell’autobus coinvolto nel sinistro oltre che degli elementi di riscontro desumibili dalla documentazione prodotta dalle parti, valutando altresì gli esiti degli esami e delle dichiarazioni spontanee degli imputati.
Operando una valutazione complessiva dei predetti elementi istruttori, il Tribunale (pagg.78-94) ha ritenuto provata la falsità ideologica del documento informatico costituito dal report contenente i dati del mezzo TARGA_VEICOLO trasmesso il 26/03/2013 alla banca dati del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti e attestante l’esito regolare della revisione, al fine di ottenere il relat
attestato sul documento di circolazione; essendo emerso che, alla data predetta, non era stato eseguito alcun controllo sulle condizioni dell’autobus da parte di un tecnico incaricato, non essendo neanche stato rinvenuto il necessario riscontro contabile rappresentato dall’attestazione del pagamento della tassa di concessione governativa da apporre sulla domanda di prenotazione delle operazioni; essendo altresì emerso che, in ordine all’autobus coinvolto nell’incidente, era stato rinvenuto – tra gli altri fogli di prenotazione delle revisioni eseguite in giorna un modello di colore giallo, non più in uso presso la Motorizzazione Civile, recante la data di prenotazione del 19/03/2012, su cui era stata apposta una marca da bollo (peraltro risultante già adoperata in precedenza) recante la sottoscrizione di NOME COGNOME e ritenuto, in realtà, essere stato confezionato dopo il sinistro de 28/07/2013, al fine di fare apparire come realmente eseguita la revisione.
Per corroborare tale conclusione, il Tribunale ha richiamato le risultanze istruttorie attinenti alle condizioni del mezzo riscontrate dopo il sinistro, riten del tutto incompatibili con il superamento di una revisione che sarebbe avvenuta appena quattro mesi prima.
2.2 In punto di attribuzione della responsabilità nei confronti dei tre imputati chiamati a rispondere della fattispecie di falso e dei conseguenti r di omicidio stradale e disastro colposo, il Giudice ha ritenuto che, nei riguardi della Ceriola, la prova discendesse dall’inserimento nel sistema informatico dell’esito positivo della revisione mediante l’uso delle personali credenziali di accesso al sistema stesso; argomentando la mancanza di rilievo da attribuire al dato attinente all’orario di inserimento (ore 17,58), momento nel quale l’imputata si trovava, come dimostrato in giudizio, al di fuori dell’ufficio e ciò in quanto il collegament al sistema era realizzabile anche tramite accesso da postazione esterna all’ufficio stesso mediante il collegamento VPN di cui dispongono, ad esempio, le agenzie automobilistiche (tra cui l’agenzia COGNOME, dall’imputata frequentata abitualmente per motivi lavorativi); argomentando altresì come, dall’istruttoria, fosse risultato un numero rilevantissimo (circa seimila) di operazioni false effettuate tramite le sue credenziali, come già evidenziato nei provvedimenti disciplinari adottati nei confronti dell’imputata.
Ritenendo, quindi, che proprio il numero rilevante degli inserimenti compiuti, anche in giorni e in orari in cui l’imputata non era in servizio, rendesse evidente che la stessa partecipasse consapevolmente a un sistema coinvolgente anche altre persone, tra cui i titolari di agenzie di pratiche automobilistiche e che aveva consentito a svariati proprietari di veicoli di ottenere il tagliando di senza procedere al controllo effettivo del mezzo.
In ordine alla posizione del Lametta, il Tribunale ha evidenziato come lo stesso fosse il soggetto concretamente interessato all’ottenimento della revi
del mezzo, che – essendo stato immatricolato nel 1995, avendo percorso circa un milione di chilometri e in conseguenza delle sue condizioni oggettive – non sarebbe stato in grado di ottenere la relativa certificazione; elementi sulla scorta dei qua è stato ritenuto sicuramente perfezionato il concorso nella condotta di falso, non potendosi dubitare che – rivolgendosi all’agenzia COGNOME, come già fatto in altre occasioni – il COGNOME sapesse che l’autobus non sarebbe stato effettivamente controllato ma che avrebbe conseguito il tagliando da apporre sul documento di circolazione grazie al contributo illecito di funzionari in servizio presso Motorizzazione civile.
Il Tribunale ha invece assolto dall’imputazione ascritta il COGNOME, cui era stato contestato di avere apposto la propria firma e la data del 26/03/2013 sul documento cartaceo attestante l’avvenuta revisione del mezzo con esito regolare, non essendo stata ritenuta sufficiente l’apposizione del codice identificativo, anche in quanto il materiale confezionamento del documento sarebbe avvenuto alla successiva data del 29/03/2013 (epoca in cui il COGNOME era in ferie), richiamando altresì gli esiti delle consulenze grafologiche espletate nel corso del giudizio e che non consentivano di ritenere provata la genuinità della sottoscrizione apposta in calce al documento.
Le argomentazioni attinenti alla contestazione operata al capo A) della rubrica hanno conseguentemente condotto il Tribunale all’assoluzione del COGNOME dai reati contestati al capo B).
2.3 In relazione ai reati contestatati al capo B) e in riferimento all materiale descrizione del sinistro, il Tribunale ha provveduto a operare una complessiva ricostruzione dell’evento sulla base delle dichiarazioni degli operanti intervenuti sul luogo nell’immediatezza del fatto.
In particolare, il giudice di primo grado ha evidenziato che, all’esito del sopralluogo eseguito dopo l’evento, era stato rinvenuto (al km 33,650) un giunto cardanico, ricondotto con certezza all’autobus incidentato e avente la funzione di dare trazione alle ruote attraverso il differenziale (il cui distacco aveva prodott danni all’impianto frenante del veicolo), mentre – nella parte sottostante al viadotto – erano state rinvenute tredici barriere new jersey in fila indiana, dalla lunghezza complessiva di 66 metri, già collocate sul viadotto stesso nel punto in cui era mancante la corsia di emergenza con la correlativa barriera laterale; ha riportato quindi le risultanze delle testimonianze acquisite dall’operante intervenuto subito dopo il fatto, il quale aveva riferito che “sulla base delle tracce riscontrate, si era dunque verificato che l’autobus aveva inizialmente deviato verso sinistra, probabilmente per l’azione indotta dal freno di soccorso posto sulla parte sinistra, poi aveva deviato a destra verso la corsia di emergenza, che era l’unico spazio percorribile in quanto le corsie di marcia e di sorpasso erano occupate dagli
altri veicoli incolonnati; poi, dopo aver percorso un tratto in corsia di emergenza, l’autobus era arrivato all’altezza dell’aiuola a raso posta all’imbocco del viadotto aveva urtato contro i primi elementi new jersey e ciò aveva determinato uno spostamento della traiettoria verso i veicoli fermi in colonna ovvero verso il primo veicolo impattato, costituito da un fuoristrada Land Rover Discovery”.
Sulla scorta delle dichiarazioni del teste COGNOME alle dipendenze del servizio di Polizia stradale della sede centrale, il Tribunale ha anche precisato che – sulla base della telecamera di monitoraggio installata da Autostrade per l’Italia “sono stati individuati anche i 14 veicoli che saranno coinvolti nell’incidente e si verificato che dal momento in cui passa davanti alla telecamera l’ultimo di tali veicoli al momento del passaggio dell’autobus transitano altri 110 veicoli; ciò significa che vi era una colonna di veicoli che si estendeva per un lungo fratto, comprendente il tratto rettilineo e non solo quello in curva, e che quindi l’unica corsia percorribile dal conducente dell’autobus prima dell’accesso al viadotto era quella di emergenza perché le altre due erano occupate da veicoli incolonnati, tanto che nel video si vede anche il veicolo della società RAGIONE_SOCIALE lRAGIONE_SOCIALE, che procede in retromarcia per presegnalare la presenza della colonna”; evidenziando altresì “che l’autobus, dopo aver urtato il guardrail di sinistra e poi, come evidenziato dai segni rinvenuti, il guardrail e successivamente il muro posti a destra a protezione della corsia di emergenza, al termine della stessa, ha impattato con la parte anteriore destra sulla prima barriera posta sul viadotto e vi è uscito con un’angolazione evincibile dalle tracce gommose lasciate sul piano viabile, dirigendosi verso il centro della carreggiata; quindi dopo aver urtato pi veicoli posti sulla carreggiata ha nuovamente impattato un’altra barriera new jersey che è stata rinvenuta spostata verso fuori, mentre quella successiva è stata divelta dall’autobus ed è precipitata, unitamente alle seguenti; /e tracce gommose sulla barriera spostata, riconducibili non solo alla parte di guaina che si trova tr la barriera e il manufatto in cemento ma anche ai pneumatici del veicolo impattante, indicavano la direzione dell’autobus, mentre successivamente, non avendo retto la seconda barriera ed essendo crollate di conseguenza anche quelle successive, l’autobus ha viaggiato per un tratto a bordo del colmo del viadotto e poi è uscito dallo stesso, precipitando nel vuoto”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il Tribunale ha poi richiamato, ai fini della ricostruzione della dinamica del sinistro, gli esiti delle consulenze tecniche disposte su incarico delle parti e quel della perizia successivamente espletata nella fase dibattimentale; argomentando, sulla base della valutazione di quanto riferito dai consulenti del p.m., che doveva ritenersi pienamente convincente la ricostruzione complessiva effettuata dagli ausiliari in ordine alle possibili cause del guasto meccanico da cui era sc l’andamento anomalo dell’autobus; ovvero la presenza di un giunto cardanico
ancorato con perni o bulloni aperti “non a specifica”, cioè di tipologia diversa o con serraggio differente rispetto a quello prescritto dalla casa produttrice, conclusione da ritenersi supportata dai risultati delle prove tecniche; rilevando, altresì, come tali conclusioni non fossero sostanzialmente confliggenti con quelle espresse dai consulenti nominati dal responsabile civile in ordine alla ricostruzione della dinamica dell’incidente – a parte alcune considerazioni, non decisive, sulla condotta del conducente e sul ruolo del malfunzionamento della valvola a quattro vie – specificamente in ordine alla ricostruzione delle cause del guasto meccanico verificatosi e riconducibile al distacco del giunto cardanico dalla propria flangia.
Mentre, in riferimento alle conclusioni raggiunte dal perito, il Tribunale ha rilevato che lo stesso “pur essendo stato incaricato di ricostruire la traiettoria percorsa dall’autobus esclusivamente dal momento dell’ingresso sul viadotto a quello della sua caduta, nonché di determinare la velocità e l’angolo con cui lo stesso ha impattato la barriera new jersey nella fase finale della sua corsa, ha confermato che l’autobus si è approcciato al viadotto, a valle di un percorso in discesa compiuto lungo il tratto dellIA16 per un tratto di circa 880 metri, in condizioni di rilevante inefficienza del sistema frenante, conseguente alla perdita dell’essenziale organo di trasmissione, e che, dopo aver percorso soprattutto nella fase finale la corsia di emergenza, era giunto all’ingresso al viadotto con l’asse longitudinale del veicolo pressoché parallelo alla linea di margine laterale ed all’asse stradale.
Il perito ha altresì confermato che all’arrivo dell’autobus in prossimità del viadotto, stante l’accertata occupazione delle corsie ordinarie da parte di autovetture in accodamento per segnalato restringimento della carreggiata per la presenza di un cantiere di lavori, il mezzo ha colliso per la prima volta contro la barriera new jersey in calcestruzzo, con un angolo di collisione di circa 7.20 sessagesimali ed una velocità non superiore a circa 115 Km/h ed è uscito da tale urto ad una velocità calcolata in circa 109 Km/h.
La ricostruzione effettuata dal perito dei successivi urti con i veicoli presenti sul viadotto e della traiettoria percorsa dall’autobus lo hanno portato a concludere che la velocità con cui l’autobus è giunto all’impatto finale è pari a circa 89 Km/h e l’angolo formato dall’asse longitudinale dell’autobus e l’allineamento delle barriere era geometricamente determinabile in circa 9° sessagesimali, anche se, stante la traiettoria di tipo curvilineo percorsa dal veicolo, l’angolo formato da vettore velocità in corrispondenza del punto di primo contatto tra lo spigolo anteriore destro dell’autobus ed il new jersey bordo ponte, era leggermente più ampio, pari a circa 11,90° sessagesimali”; evidenziando come la complessiva ricostruzione della dinamica dell’evento non confliggesse con quella dei consulenti di parte.
2.4 Passando alla valutazione complessiva delle risultanze processuali in ordine alla posizione della Ceriola, il Tribunale ha premesso che la questione da esaminare – in riferimento ai fatti contestati al capo B) – era quella attinente dato consistente nel fatto se, oltre ad avere fatto inserire da altri con le propr credenziali nel sistema informatico l’esito di una revisione dell’autobus non effettuata, realizzando una condotta integrante gli estremi del reato di cui al capo A) della rubrica, la stessa avesse contestualmente posto in essere anche una condotta omissiva penalmente rilevante, concretizzatasi nella violazione di un obbligo giuridico di impedire l’evento derivante da una sua posizione di garanzia, fondata su una funzione di controllo, che la obbligasse, nella propria qualità di dipendente della Motorizzazione Civile, ad impedire la circolazione di veicoli privi dei requisiti di sicurezza e ad evitare gli eventi dannosi causati dagli stessi.
Ha osservato che il compito istituzionalmente spettante ai funzionari in servizio presso la Motorizzazione Civile addetti alla revisione dei mezzi si concretizza in una funzione di controllo avente lo scopo di neutralizzare una potenziale fonte di pericolo derivante dalla circolazione di un mezzo non avente i requisiti di efficienza prescritti, il tutto a garanzia dell’incolumità persona pubblica; ha quindi affermato che la Ceriola, facendo inserire da altri – con le proprie credenziali – l’esito di una revisione non effettuata, aveva, di fatto, assunt una posizione di garanzia ed evitato quindi di attestare l’assenza dei requisiti predetti, in tal modo violando la regola cautelare specifica prevista dall’art.80 C.d.s., disciplinante l’istituto della revisione.
Derivandone che gli eventi successivi avevano costituito la concretizzazione del rischio che tal disposizioni miravano ad evitare e che – in ordine al rapporto di causalità – il compimento della condotta doverosa omessa avrebbe evitato gli eventi verificatisi sulla base di un giudizio di alta probabilità logica, essen altamente credibile che il titolare del mezzo non avrebbe circolato in assenza del relativo attestato.
Ritenendo, altresì, che il nesso di causalità non fosse stato interrotto da alcuna causa sopravvenuta eccezionale, tale non potendo essere qualificata l’omessa manutenzione del mezzo da parte di NOME COGNOME ovvero la condotta negligente dell’autista NOME COGNOME ovvero, ancora, lo stato di corrosione dei meccanismi di ancoraggio (c.d. tirafondi) dei new jersey al fondo stradale; mentre, d’altra parte, ha rilevato che nessun dubbio poteva essere formulato in ordine alla prevedibilità ed evitabilità dell’evento.
2.5 In ordine alla posizione di NOME COGNOME il Tribunale ha evidenziato la discendenza normativa della sua posizione di garanzia sulla base dell’art.79 C.d.s., nella parte in cui impone al proprietario e al detentore del veicolo d mantenere i veicoli a motore nella massima efficienza e comunque in condizioni
tali da garantire la sicurezza, fissando allo scopo i correlativi obblighi di revisio periodica, la quale – per i veicoli adibiti a noleggio con conducente – ha scadenza annuale; ha altresì rilevato il carattere contrattuale o comunque volontario dell’obbligo di garanzia, discendente dalla titolarità dell’agenzia RAGIONE_SOCIALE e dalla conclusione del contratto di trasporto avente a oggetto la conduzione dei passeggeri nello specifico viaggio in esame.
Ha quindi dedotto che il Lametta non aveva adempiuto ai correlativ obblighi, provvedendo a interventi di manutenzione solo sporadici, montando sull’autobus pneumatici risalenti al 2008 e in condizioni di evidente invecchiamento, con – sull’asse posteriore – quattro pneumatici di tre tipi d con un’efficacia complessiva del sistema frenante stimata nel solo 70%; risult altresì dimostrata la violazione dell’obbligo di sottoporre il mezzo alla revisione periodica, non essendo lo stesso stato oggetto di visite effettive nei tre anni anteriori rispetto al sinistro ed essendo stato ottenuto il relativo attestato so grazie all’illecita condotta di funzionari in servizio presso la Motorizzazione Civile.
Il Tribunale ha considerato sussistente il necessario nesso di causalità, ritenendo – secondo un giudizio di alta probabilità logica – che l’osservanza delle predette regole cautelari avrebbe impedito il verificarsi dell’evento; causa che, a propria volta, è stata identificata “nella perdita del giunto cardanico di trasmissione dell’autobus, che, prima di distaccarsi totalmente dalla flangia solidale al differenziale del pullman, ha danneggiato parte dell’impianto frenante ed in particolare la “valvola attacco rapido per freno di stazionamento”, il “cilindro freno in corrispondenza della ruota posteriore destra e una tubazione di adduzione dell’aria compressa al servizio dell’impianto frenante, rendendolo totalmente inefficiente. Tale ulteriore danneggiamento subito dal pullman ha determinato lo svuotamento e /a conseguente perdita di pressione dell’impianto frenante e dei servizi ad esso connessi, anche a causa del malfunzionamento della “valvola protezione 4 circuiti” di regolazione della portata dell’aria compressa tra circuito anteriore, posteriore, freno di stazionamento e utilizzatori secondari dell’autobus, compromettendo definitivamente e totalmente la funzionalità del sistema frenante”, richiamando le medesime considerazioni spiegate a proposito della posizione della COGNOME in ordine all’insussistenza di elementi interruttivi de rapporto di causalità, argomentando altresì in ordine alla piena ravvisabilità dei presupposti di prevedibilità ed evitabilità dell’evento.
In ordine al reato contestato al capo C), la sentenza di primo grado ha previamente evidenziato la diversità delle condotte contestate, rispettivamente, ai quattro dirigenti o componenti della Direzione Generale e relative articolazio Autostrade per l’Italia s.p.a. (NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME
COGNOME e NOME COGNOME) e agli altri otto dirigenti o componenti della Direzione del Sesto Tronco e relative articolazioni, sempre della medesima società (NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME).
Sul punto ha premesso che la responsabilità degli imputati COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME sarebbe derivata, secondo la prospettazione accusatoria, dall’avere omesso di provvedere, in occasione dell’adeguamento di tratti significativi di tronchi stradali, alla riqualificazione dell’intero viadotto INDIRIZZO presente sull’ A16 Napoli-Canosa, con la necessaria sostituzione delle barriere di sicurezza con quelle marcate CE, in ragione della intervenuta non conformità normativa di quelle esistenti al momento del sinistro (con riferimento all’intervento di “riqualifica delle barriere di bordo laterale” avvenuto fino all’anno 2013 tra il 27 ed il Km 50 dell’A16), trattandosi peraltro di viadotto autostradale connotato da particolare pericolosità, essendo stato progettato e realizzato con geometrie (pendenza, raggi di curvatura e larghezza della carreggiata) non adeguate ad una infrastruttura di tale destinazione.
Invece, per gli imputati COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, la responsabilità addebitata sarebbe scaturita, sempre secondo la prospettazione accusatoria, dall’avere omesso un costante monitoraggio della tratta autostradale interessata dal sinistro e che avrebbe evidenziato l’improcrastinabile necessità di un adeguamento funzionale delle barriere di calcestruzzo site sul bordo-ponte (con specifico riferimento ai lavori di manutenzione straordinaria del 2009), in quanto, in particolare, nel tratto del viadotto interessato dal sinistro, erano stati rilevati gravi e anomali fenomeni corrosivi degli elementi metallici (cd. tirafondi) di collegamento delle barriere calcestruzzo al cordolo del viadotto, oltre ad altri fenomeni corrosivi sugli elementi di collegamento al piede delle citate barriere e ad un difetto di progettazione dei giunti a cannocchiale presenti nella parte superiore delle barriere.
3.1 In punto di descrizione delle barriere incidentate denominate new jersey (pagg.169-184), il Tribunale ha quindi fatto riferimento alle considerazioni espresse dai consulenti del p.m., in base alle quali “la barriera tipo new jersey bordo ponte in questione è composta da elementi prefabbricati in calcestruzzo lunghi sei metri, collegati reciprocamente con giunzioni tenute mediante manicotti filettati che collegano tra loro le barre di acciaio (C.d. barre diwidag) in testa a barriera, nonché con delle piastre al piede, poste in corrispondenza del collegamento tra i singoli elementi, oltre ad un mancorrente, che è un tubolare di grosso spessore, collegato mediante un manicotto liscio con dei bulloni di fine corsa; inoltre, gli elementi vengono singolarmente ancorati al cordolo del ponte
mediante bulloni annegati nel calcestruzzo, i c.d. tirafondi, che offrono una certa resistenza allo spostamento dei blocchi”.
Ha quindi esposto che, sulla base degli accertamenti dei consulenti, il 57% dei tirafondi era corroso in tutta la sezione e quindi non efficiente, mentre altr avevano una sezione resistente superiore del 50% rispetto a quella originaria, rilevando altresì che il punto di massima riduzione della sezione dei tirafondi risultava corrispondente con quello in cui gli stessi erano collocati nelle cosiddette tasche o camerette di espansione, aventi la funzione di consentire ai tirafondi stessi di muoversi e deformarsi a seguito di un urto; essendo stato chiarito dai tecnici che l’ancoraggio al suolo mediante tirafondi è fondamentale soprattutto per le barriere posizionate sul bordo del ponte; evidenziando che i consulenti avevano riscontrato un elevato stato di degrado di tirafondi unitamente a una discontinuità longitudinale inficiante il meccanismo di sicurezza in relazione al quale la barriera era stata installata, rendendo del tutto inadeguato il sistema; chiarendo che una barriera con tirafondi in condizioni normali avrebbe certamente sorretto l’impatto con l’autobus e impedito la verificazione del sinistro; provvedendo, poi, a dare analitico conto delle simulazioni effettuate dai consulenti, tutte idonee a confermare la conclusione predetta.
Il Tribunale ha peraltro dato atto delle divergenti conclusioni esposte – con particolare riferimento all’effettiva capacità di contenimento delle barriere – dai consulenti nominate dalle difese degli imputati in servizio presso Autostrade per l’Italia e dallo stesso responsabile civile, anche in relazione all’effettivo stato corrosione dei tirafondi, elementi che avevano giustificato la disposizione di una perizia sul punto.
3.2 II giudice di primo grado ha quindi esposto che, sulla base della valutazione del perito (pagg.184-201 della relazione scritta): a) la velocità dell’autobus andava stimata, al momento dell’urto contro le barriere new jersey, in 115 km/h, poi in 109 km/h all’uscita dal primo urto e in 89 km(h al momento del definitivo impatto contro la barriera, succedutosi a valle degli urti contro g altri veicoli; b) l’angolo formato dall’asse longitudinale dell’autobus l’allineamento della barriera era stato stimato in 11,9°; c) la barriera in questione era stata descritta come composta “di singoli moduli prefabbricati in calcestruzzo armato, da ritenersi essenzialmente come corpi monolitici rigidi, collegati tra loro longitudinalmente con connessioni orizzontali (barre rullate passanti, piastre al piede, mancorrente antiribaltamento) e collegati verticalmente al piano di appoggio tramite opportuni ancoraggi, costituiti dai tira fondi meccanici tipo Liebig Ultrapis M16 (acciaio 8,8) con passo 1,5 metri”; d) nel descrivere il cosiddetto dinamismo “dissipativo” dei singoli elementi delle barriere – ovvero l’attrito tra i new jersey e la soletta, la deformazione plastica del tirafondi e quella delle
connessioni orizzontali della struttura – il perito aveva dedotto che una barriera integra e ben mantenuta, con tirafondi efficienti, sarebbe stata perfettamente in grado di sopportare un impatto avente le caratteristiche di quello avvenuto sul viadotto INDIRIZZO; e) mentre, nel caso di specie, erano stati riscontrati molteplici difetti strutturali, che avevano impedito la tenuta della barriera e che, probabilmente, non avrebbe retto neanche a un impatto energicamente più modesto, concludendo che la barriera stessa – nell’allestimento originario di progetto – sarebbe invece stata in grado di assolvere alla propria funzione contenitiva; così riassumendo le conclusioni del perito nel senso che “l’analisi di tutti gli elementi a disposizione e l’esito dei calcoli eseguiti gli hanno permesso di affermare che l’ancoraggio al suolo delle barriere New Jersey bordo ponte oggetto di studio, mediante tira fondi COGNOME non corrosi ed in buono stato di manutenzione, insieme a connessioni orizzontali efficienti ed altrettanto ben manutenute, sarebbero risultati in concreto idonei a scongiurare la tragica fuoriuscita dell’autobus Volvo dall’impalcato del viadotto INDIRIZZO dell’Autostrada A16″.
Il Tribunale ha quindi ritenuto pienamente affidabili le conclusioni formulate dal perito, valorizzando in termini specifici quelle attinenti al ruolo svolto da tirafondi per l’equilibrio e il meccanismo dissipativo della barriera, ritenendo le stesse – peraltro – sostanzialmente coincidenti con quelle formulate dai consulenti del p.m. e non adeguatamente smentite da quelle degli altri consulenti di parte.
3.3 Operate tali conclusioni, il giudice di primo grado ha provveduto a un esame della struttura organizzativa di Autostrade per l’Italia s.p.a., quale ente gestore del tratto di strada in questione (pagg.210-223), con riferimento alle attribuzioni del Presidente e dell’Amministratore Delegato, a propria volta coordinanti una struttura gerarchico-funzionale al cui interno trovavano collocazione, a livello centrale e tra le altre, la Direzione Servizi Tecnici e l Direzione Pavimentazioni e Barriere di Sicurezza (dalla prima dipendente) nonché le Direzioni di Tronco dislocate sul territorio, poi passate sotto la diretta responsabilità – con decorrenza dal 27/06/2011 – della Condirezione Generale RAGIONE_SOCIALE; emergendo quindi “la ripartizione dei compiti e delle responsabilità sul tema della manutenzione autostradale, che è delegato a due livelli; a) un livello intermedio, che è quello delle Direzioni (Direzione Serviz Tecnici, prima, e CGOM, in seguito) e delle relative strutture tecniche; b) un livello territoriale, che è quello delle Direzioni di Tronco”; derivandone la diretta competenza, per le attività di manutenzione ordinaria e straordinaria e per il monitoraggio della tratta, delle strutture locali costituite dalle Direzioni di Tronco.
Il Tribunale ha quindi affrontato il profilo relativo alla eventuale sussistenza di profili di colpa in ordine alla mancata riqualificazione delle barriere d delimitazione del tratto autostradale in questione (pagg.223-272), operando
un’approfondita valutazione dei contributi forniti nel corso dell’istruzion dibattimentale, ritenendo che il perito avesse concluso che la barriera presente sul viadotto (ritenuta corrispondente a una della classe H4) fosse astrattamente idonea a contenere l’urto con l’automezzo, al di là dei riscontrati vizi manutentivi e che la relativa tipologia dovesse intendersi compatibile con le caratteristiche del tratto autostradale e con il limite di velocità ivi previsto; concludendone che, all luce dei predetti contributi, non fosse emerso un obbligo normativo, ma nemmeno un’opportunità tecnica, di sostituzione delle barriere preesistenti.
Il Giudice di primo grado ha affrontato susseguentemente il profilo attinente all’eventuale incidenza causale dell’omessa attività di manutenzione delle barriere, traendo spunto dalle affermazioni rese su tale aspetto da parte del perito (pagg.279-342). Riassumendo il complessivo quadro normativo con specifico riferimento al disposto dell’art.2 del d.m. n.223/1992, il Tribunale ha riassunto le considerazioni dell’ausiliario, in base alle quali era stato ritenuto che non sussistesse un obbligo di sostituzione delle barriere precedentemente installate sul viadotto a condizione, però, che: a) sul viadotto non fossero stati precedentemente eseguiti interventi di “ricostruzione e riqualificazione “interessanti i “parapetti – (condizione contraddetta dall’avvenuta esecuzione nel 2009 di lavori di demolizione parziale e ricostruzione delle travi di bordo in alcune campate); b) tratti “significativi” tronco stradale di appartenenza non fossero stati soggetti ad “adeguamento” (e, anche in questo caso, l’intervento sopra indicato poteva configurarsi come adeguamento strutturale di un tratto non “puntuale”); c) le condizioni di efficienza tecnica dei dispositivi di sicurezza, con particolare riferimento alle modalità d installazione, fossero state scrupolosamente ed esaustivamente verificate con esito positivo (condizione contraddetta dall’assenza di documentazione comprovante l’avvenuta esecuzione di controlli appropriati e, sia pure indirettamente, dal mancato invio delle comunicazioni alla Direzione ministeriale competente); elementi in base ai quali il perito aveva ritenuto che le condizioni di regolarità e conformità delle barriere fossero ormai venute meno, con conseguente obbligo di redigere un progetto conforme a quanto stabilito dall’art.2 del d.m. citato. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il Tribunale, sempre nel fare riferimento alle conclusioni del perito, ha quindi rilevato l’omessa verifica complessiva del livello di protezione delle barriere e, in relazione allo stato del dispositivo all’epoca dell’evento – fondandosi sugl elementi acquisiti al processo – ha dedotto la sussistenza di “gravi fenomeni di corrosione generalizzata non uniforme dei tira fondi, con clamorosa evidenza nel tratto di lavoro compreso nella cameretta di espansione del cordolo dell’impalcato, funzionale al cinematismo di lavoro dello specifico New Jersey. La condizione
accertata dei collegamenti verticali e delle connessioni orizzontali della barriera ael viadotto INDIRIZZO evidenziava che, nel complesso, lo stato manutentivo del dispositivo di sicurezza risultava alquanto scadente; conseguentemente, le condizioni di efficienza del sistema di ritenuta non corrispondevano a quelle che lo stesso avrebbe dovuto nominalmente garantire. Il perito si sofferma poi sulla carenza di una attenta, costante e sistematica attività di manutenzione programmata, che avrebbe potuto limitare o impedire il raggiungimento dell’accertato stato di grave deterioramento, e sulla inadeguatezza dell’azione di controllo eseguita dal gestore in merito alla funzionalità ed efficienza delle barriere”; evidenziando, pertanto, come il perito avesse riscontrato molteplici violazioni della normativa di riferimento, attesa l’omessa predisposizione del necessario progetto e della indispensabile attività di manutenzione.
Il Tribunale ha, peraltro, sottoposto a critica la lettura interpretativa del perito ritenendo non ricavabile l’esistenza di un obbligo di verifica, in sede di progettazione, delle condizioni di manutenzione di una barriera, a propria volta rientrante nelle attività definibili come di “riqualifica”, da tenere del tutto disti da quelle di manutenzione medesima.
3.4 In riferimento alle specifiche contestazioni operate nei confronti dell’Amministratore Delegato e dei dirigenti della Direzione Centrale (pagg.258279), il Tribunale ha poi esaminato le risultanze istruttorie relative al piano pluriennale di riqualifica del bordo laterale, in cui si inseriva l’intervento eseguito negli anni 2012 e 2013 dal km 27 al km 50 dell’autostrada A16, dando conto del rispettivo contenuto.
Il Tribunale ha premesso che, sulla base delle Convenzione conclusa tra ANAS (cui poi era subentrato il Ministero dei Trasporti) e Autostrade per l’Italia non sussistesse alcun obbligo normativo o negoziale di riqualificare tutti i dispositivi di ritenuta presenti sulla rete; peraltro, sulla base del complesso degli elementi acquisiti, il giudice ha ritenuto che la barriere comprese nel viadotto INDIRIZZO fossero ricomprese nel piano di riqualifica ma che il progettista, sulla base di una valutazione compiuta sulla linea, avesse deciso di non sostituire le barriere medesime.
Sul punto, come riportato in motivazione “la discrezionalità del progettista di decidere di riqualificare anche barriere di secondo impianto, tra cui quella posizionata sul viadotto INDIRIZZO, discendeva proprio dal fatto che l’importo stanziato ricom prendeva i chilometri presenti su tutta la tratta ricompresa nell’intervento, per cui tale sua decisione, a differenza di quanto sostenuto dal P.M. in sede di discussione, non avrebbe costituito un ampliamento e non avrebbe comportato uno sforamento del budget, né avrebbe creato difficoltà organizzative o di coordinamento con l’azione di altri progettisti”.
NOME
Traendo le correlative conclusioni, il Tribunale ha ritenuto che – nei confronti di COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME – pur comportando la posizione rivestita all’interno di Autostrade la gestione dello specifico rischio per la sicurez e incolumità degli utenti della strada derivante da eventuali omissioni o scelte inidonee nell’ambito dell’attività di riqualificazione delle barriere di sicure presenti sulla rete – nel caso concreto non fosse ravvisabile alcuna violazione di regole cautelari e ciò pur essendo la relativa posizione di garanzia ravvisabile nella fattispecie in esame, con considerazione estesa anche nei confronti dell’Amministratore Delegato attesa comunque la sussistenza – in capo allo stesso – di un dovere di alta vigilanza.
Sul punto, in sintesi, il Tribunale ha difatti osservato che: a) il pia pluriennale di riqualifica consentiva la riqualificazione di tutte le barriere prese sulla tratte ivi descritte e non solo su quelle di primo impianto, anche i considerazione dell’ampia capienza finanziaria del piano stesso; ritenendo, quindi, che la scelta inerente alla mancata sostituzione delle barriere in calcestruzzo fosse da attribuire alla sola scelta del progettista; b) nella successiva fase di studio, c aveva condotto all’individuazione della barriere – concretamente – da sostituire, non poteva ravvisarsi alcuna violazione di regole cautelari, in quanto nessuna norma imponeva la sostituzione delle barriere in relazione all’art.2 del d.m. 223/1992, fonte dalla quale (pag.276) non era ricavabile un obbligo generalizzato di sostituzione della strutture preesistenti; c) la scelta di non sostituire le barr non era neanche censurabile sotto il profilo dell’opportunità tecnica, in quanto le valutazioni compiute nella fase di studio avevano tenuto conto, tra l’altro, delle caratteristiche delle barriere medesime presenti sul viadotto, aventi capacità di contenimento corrispondente a quella di una barriera di classe H3 ma, di fatto, pari a quella di una barriera di classe H4; d) nessuna violazione di regole precauzionali poteva neanche ravvisarsi per effetto dell’omessa verifica, nella fase di studio, delle condizioni di manutenzione e conservazione delle barriere, atteso che l’attività di riqualifica era disciplinata nella sola fase della progettazione non era sostenibile la tesi prospettata dal perito in ordine alla sussistenza dell’obbligo normativo del progettista di verificare le condizioni delle barriere p decidere se intervenire o meno per, eventualmente, sostituirle, in quanto l’art. 2 d.m. 223/92 disciplina esclusivamente i progetti esecutivi e quindi non consente che l’attività disciplinata da tale norma si concluda con la decisione di non sostituirle e quindi con un progetto che non abbia le caratteristiche di un progetto esecutivo. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Concludendo, da tali considerazioni, che la mancata sostituzione delle barriere non aveva avuto alcuna rilevanza eziologica nella verificazione del
sinistro, la cui causa – in relazione alla tenuta delle medesime – andava individuata esclusivamente nell’omessa manutenzione dei tirafondi.
3.5 In ordine alla valutazione delle contestazioni operate nei confronti di coloro che avevano rivestito un ruolo nell’ambito della gestione del Sesto Tronco (pagg.279-359), il Tribunale ha richiamato gli esiti delle risultanze istruttorie ne parte in cui, dalle stesse, era stato dimostrato che i fenomeni corrosivi degli elementi di collegamento al piede delle strutture e l’errore di progettazione dei giunti a cannocchiale delle barriere non avevano inciso sulla complessiva capacità di tenuta delle stesse, ragione per cui l’unica parte della contestazione effettivamente rilevante era quella attinente al grave fenomeno di degrado dei tirafondi accertato dopo l’incidente.
Il Tribunale ha ampiamente sintetizzato i contributi tecnici forniti da consulenti di parte e dal perito nominato nel corso del giudizio nonché le risultanze di alcune deposizioni testimoniali e della documentazione prodotta dal p.m..
Il Tribunale, in primo luogo, ha quindi operato un’ampia valutazione in punto di modalità di svolgimento delle attività di monitoraggio delle tratte autostradali in questione e riguardo ai soggetti incaricati di tali attività sot profilo della programmazione ed esecuzione; rilevando, sulla base dei numerosi contributi testimoniali, che il compito di organizzare e pianificare l’attivit monitoraggio era attribuito alle strutture territoriali delle Direzioni di Tron nell’ambito delle quali l’unità denominata Area Esercizio era deputata a garantire il mantenimento dello standard qualitativo mediante predisposizione di piani di manutenzione ordinaria e anche effettuazione di interventi non pianificati; risultando, altresì, accertato che l’attività di controllo avesse a oggetto la verif riparazione ed eventuale sostituzione delle barriere di sicurezza anche mediante esame visivo della struttura, ivi compresi i tirafondi; deducendo che, dall’esame dei contributi forniti dagli esperti, era emerso pacificamente che la predetta modalità di controllo non era idonea a evidenziare l’effettiva corrosione dei tirafondi, rimanendo invece controverso l’aspetto attinente alla prevedibilità o meno del fenomeno. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ha premesso che, sulla base di quanto esposto dagli stessi consulenti della difesa, la tematica inerente alla possibile corrosione dei tirafondi delle barriere sicurezza fosse conosciuta già da diverso tempo antecedentemente rispetto al verificarsi dell’evento in questione e ciò anche in relazione al profilo dell’amb concreto di installazione, concludendo che appariva fuorviante l’affermazione dei consulenti della difesa secondo la quale la consapevolezza in ordine all’incidenza delle condizioni ambientali fosse maturata solo in un momento successivo a quello del sinistro.
Il giudice ha quindi condiviso l’affermazione del perito secondo la quale occorreva tenere presente i tempi di costruzione dell’opera, la qualità dei materiali impiegati e la vita utile prevista in progetto oltre alle specifiche condizioni esposizione ambientale, il tutto da valutare previa un’attenta attività di ispezione e monitoraggio; evidenziando, altresì, che la mancanza di una esplicitazione normativa e tecnica di tutte le possibili fasi di sviluppo del fenomeno della corrosione degli ancoranti non poteva essere rilevante, in quanto la problematica evidenziata rientrava in quella propria del fenomeno corrosivo riscontrabile in qualsiasi manufatto in cemento armato.
Da tali premesse, il giudice ha dedotto che la mera ispezione visiva del tirafondo costituisse una modalità del tutto inadeguata ai fini di un effettivo monitoraggio, per il quale potevano essere utilizzati elementi quali le chiavi dinamometriche e gli avvitatori per controllare il serraggio dei tirafondi.
Ha quindi osservato che il fenomeno della corrosione doveva ritenersi prevedibile ed evitabile e che lo stato delle conoscenze scientifiche era tale da consentire di evitare la verificazione del fenomeno attraverso modalità adeguate di monitoraggio, con la conseguente conclusione che esistesse una regola cautelare che imponeva ai soggetti preposti di assicurare la sicurezza nella circolazione stradale mediante la predisposizione del monitoraggio medesimo.
In punto di identificazione dei titolari della posizione di garanzia, il Tribunale ha proceduto ad un analitico esame delle disposizioni interne rilevanti, con particolare riferimento alle competenze attribuite alle Direzioni di Tr giungendo quindi a valorizzare gli specifici compiti attribuiti ai Diretto responsabili dell’Area Esercizio; in tal modo – sulla base dell’analisi delle relative scansioni temporali – accertando la sussistenza di un obbligo di impedire l’evento in capo agli imputati COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME escludendo invece tale obbligo in capo al COGNOME e al COGNOME; ritenendo qui che i suddetti avessero tenuto una condotta negligente caratterizzata d violazione di “una regola cautelare di condotta di fonte sociale”, omettendo di dettare istruzioni sulle modalità di controllo e di monitoraggio in ordine allo stato di manutenzione dei tirafondi; ritenendo che l’evento realizzato avesse costituito la concretizzazione del rischio che la relativa regola cautelare mirava a prevenire ed evitare e che la condotta alternativa lecita avrebbe, con alto grado di probabilità logica, evitato il verificarsi del sinistro.
Il Tribunale giungeva quindi alla conseguente determinazione del trattamento penale; mentre, in relazione alle statuizioni civili, giungeva a quantificare nel 40% il contributo causale di Autostrade per l’Italia, nel 30% quello di NOME COGNOME, nel 18% quello della Ceriola e nel 12% quello di NOME COGNOME.
NOME
La sentenza di appello
Avverso la predetta sentenza hanno proposto appello gli imputati nei cui confronti è stata pronunciata condanna, il responsabile civile nonché il p.m. presso il Tribunale di Avellino in relazione alla posizione degli imputati mandati assolti.
Dopo aver operato un’ampia sintesi della motivazione della sentenza di primo grado, la Corte territoriale ha esaminato i motivi di appello proposti per conto di NOME COGNOME e NOME COGNOME (pagg.57-100), attesa la loro specifica posizione assunta all’interno della vicenda e decidendo per una complessiva valutazione di infondatezza di tutte le censure proposte.
Per quello che riguardava il reato contestato al capo A) e in relazione alla posizione della Ceriola, il Collegio ha rigettato i motivi inerenti alla sussistenza alla qualificazione del reato, prendendo peraltro atto della sua estinzione per intervenuta prescrizione, ritenendo non sussistenti i presupposti per un’assoluzione nel merito ai sensi dell’art.129, comma 2, cod.proc.pen., data la ritenuta inconsistenza delle prospettazioni difensive; mentre analoga conclusione è stata formulata in relazione alla posizione di NOME COGNOME pure nei suoi confronti essendo maturata la prescrizione per il reato contestato al capo A).
In ordine ai medesimi imputati, la Corte ha rigettato i motivi di appello formulati in relazione ai reati contestati al capo B); a tale conclusione giungendo, previa condivisione del percorso seguito dal giudice di primo grado in relazione alla ricostruzione del sinistro e ritenendo del tutto insussistente la dedott interruzione del nesso causale asseritamente determinata dalle condizioni della protezione della strada, rigettando i motivi di appello inerenti alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e confermando in toto, in ordine ai due prevenuti, le statuizioni civili contenute nella sentenza di primo grado.
La Corte è quindi passata a esaminare la posizione degli imputati che avevano rivestito la qualità di Direttori del Sesto Tronco autostradale ovvero la qualifica di responsabile di Area Esercizio dello stesso Tronco oltre che del responsabile civile Autostrade per l’Italia (pagg.101-234), provvedendo a una parcellizzata elencazione dei motivi di impugnazione proposti dagli stessi (ovvero NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME oltre che la suddetta società).
6.1 Il Collegio ha previamente rigettato l’argomentazione difensiva inerente alla dedotta prescrizione del reato contestato ai sensi dell’art.589 cod.pen., ritenendo che l’istruttoria dibattimentale avesse restituito – per tutti gli imputa
la violazione di una regola cautelare idonea a perfezionare l’aggravante prevista dal comma 2.
La Corte territoriale ha poi preso atto della sostanziale omogeneità delle questioni sollevate dai predetti appellanti, procedendo quindi ad una valutazione cumulativa relativa all’esame dei motivi di rito e, successivamente, di quelli attinenti alla ricostruzione della dinamica del sinistro, alle caratteristiche de fenomeno corrosivo e al ruolo dei tirafondi nella produzione dell’evento nonché alla posizione di garanzia, alle regole cautelari violate e al delitto di disastr colposo, con valutazione finale in ordine ai motivi attinenti al trattamento sanzionatorio e al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche oltre che a quelli inerenti alle statuizioni civili.
Sono stati rigettati i motivi riguardanti le ordinanze con le quali il Tribunale aveva respinto la richiesta di consentire l’esame del perito da parte dei consulenti di parte, quella di procedere a un confronto tra gli stessi ausiliari e quella, subordinata, di escutere ulteriormente i consulenti di parte dopo l’esame del perito; rilevando, sulla prima argomentazione, il dato ineludibile dell’obbligatorietà della difesa tecnica, sulla seconda l’insussistenza dei presupposti dettati dall’art.211 cod.proc.pen. e, sulla terza, l’intempestività dell’argomentazione, vertendosi in ipotesi di eventuale nullità a regime intermedio.
6.2 In ordine ai motivi di appello – formulati dal responsabile civile e dalla difesa di alcuni imputati – inerenti alle istanze di rinnovazione dibattimentale (e, specificamente, aventi a oggetto la richiesta di nuova escussione dei consulenti di parte nonché la richiesta di esame di un nuovo consulente), il Collegio ha evocato i parametri dettati dall’articolo 603, comma terzo cod. proc. pen., facente riferimento ai requisiti di assoluta necessità e decisività della prova e ha ritenuto che le istanze non superassero il suddetto vaglio, essendo le stesse attinenti alla ricostruzione della dinamica del sinistro ovvero fondate su profili marginali o su presupposti erronei o meramente ipotetici, rilevando comunque che la Corte aveva disposto la rinnovazione dell’esame del perito tenendo conto del fatto che, nel giudizio di primo grado, i difensori avevano lamentato la difficoltà di potere adeguatamente svolgere in udienza il controesame avendo ricevuto copia della relazione peritale solo sette giorni prima dell’esame medesimo, aggiungendo che l’esame del perito nella fase di appello era avvenuto a ben tre anni di distanza dal deposito della originaria relazione peritale e che era stato consentito ai difensori di far presenziare all’udienza i consulenti di parte al fine di essere coadiuvati nell’esame dell’ausiliario; esponendo, altresì, come la Corte avesse rigettato la richiesta difensiva tendente a consentire ai consulenti di parte di porre direttamente domande nei confronti del perito, trattandosi di modalità di assunzione della prova dichiarativa non prevista da parte del codice di rito.
6.3 In ordine ai motivi di appello attinenti alla ricostruzione della dinamica del sinistro, alle caratteristiche del fenomeno corrosivo e al ruolo dei tirafondi nel produzione dell’evento finale, la Corte territoriale ha ritenuto indispensabil ripercorrere alcuni dati tecnici e normativi di maggior rilievo ritenuti essenziali p la comprensione delle censure formulate dagli appellanti.
Ha premesso che, tra i dispositivi di ritenuta, un ruolo centrale viene rivestito dalle barriere di sicurezza collocabili sul margine esterno della carreggiata ovvero su quello interno, richiamando sul punto i principi già desumibili dalla circolare del Ministero dei Lavori Pubblici numero 2337 dell’Il luglio 1987 (c.d. circolare COGNOME) e dante conto della maturata consapevolezza della centralità del momento della scelta della barriera e della necessità che la scelta stessa fosse preceduta da apposita progettazione; ha quindi fatto riferimento al regolamento emanato con d.m. 223/1992, il cui art.2 codificava in modo definitivo l’obbligo di progettazione delle barriere anche per i casi di intervento su strade già esistenti, mentre l’art.3 prevedeva l’obbligo di installare barriere omologate e, quindi, in possesso di idoneità tecnica, certificata, dal Ministero dei Lavori Pubblici, i riferimento ai requisiti tecnici dettati dall’art.8, poi più volte aggiorn esponendo come, nel tratto di strada interessato dal sinistro, fossero state installate delle barriere del tipo new jersey, in anni compresi tra il 1988 e il 1989 nell’ambito di una complessiva opera di adeguamento dell’assetto di sicurezza in autostrada alle mutate condizioni di traffico sulla rete.
Il Collegio ha quindi dato atto delle specifiche caratteristiche dell’autostrada A16 con riguardo al tratto al cui interno si trova il viadotto INDIRIZZO, protetto da barriere new jersey sottoposte a crash test nel 1987 e corrispondenti a una barriera con livello di contenimento H3, evidenziando che il viadotto era stato interessato nel 2009 da lavori urgenti relativi alla demolizione e ricostruzione delle travi esterne su due campate e che responsabili del procedimento erano stati nominati gli imputati COGNOME e COGNOME ha poi evidenziato che, con delibera del 18 dicembre 2008, il Consiglio di Amministrazione di Autostrade per l’Italia aveva approvato il piano di riqualificazione delle barriere di bordo impianto comprendente anche 163 km della A16, ricadenti nella sfera di competenza del Sesto Tronco; che, in tale quadro, erano stati adottati due piani esecutivi interessanti anche il tratto ove ricadeva il viadotto ma che lo stesso non era stato interessato, su nessuna delle due carreggiate, da lavori di riqualifica aventi a oggetto le barriere in calcestruzzo in quanto considerate (come attestato dalla sigla “RQ” apposta nel correlativo progetto esecutivo) già riqualificate; esponendo quindi che, dai rilievi eseguiti dopo il sinistro, era emerso che – nel tratto cordolo di cemento dove si erano distaccate le barriere – i tirafondi erano del tutto mancanti ovvero interessati da un fenomeno corrosivo che li aveva resi inefficienti.
6.4 Venendo allo stretto merito delle censure sollevate dalla difesa nei motivi di appello in punto di ricostruzione della dinamica del sinistro, la Corte ha osservato che le stesse attenevano alla determinazione della esatta velocità tenuta dall’autobus al momento del primo impatto contro la barriera new jersey e alla ricostruzione degli urti susseguitisi sul viadotto.
Ha evidenziato che, sulla base della ricostruzione offerta dai consulenti del p.m., dopo l’urto contro la barriera new jersey posta all’ingresso del viadotto, l’autobus aveva urtato violentemente sulla parte posteriore destra di una vettura Land Discovery, facendole assumere un moto rotatorio antiorario cagionandone l’urto con una Audi A4 che si trovava nella corsia di sorpasso e che, a propria volta, aveva urtato la barriera metallica centrale posizionandosi in posizione obliq opposta al senso di marcia; che, contemporaneamente, il bus aveva proseguito lungo la propria corsia di marcia urtando altre due vetture, con susseguenza di ulteriori tamponamenti a catena; che l’autobus aveva quindi colpito le barriere laterali contrassegnate dai consulenti con i nn. 9 e 10 e che le collegate dodici barriere erano rovinate al suolo; che il mezzo, reindirizzato verso la carreggiata dopo l’urto con le barriere, aveva colpito un altro veicolo continuando la corsa per un tratto di circa 27 metri per poi cadere nel vuoto.
Dato atto dei contrasti tra i consulenti del p.m. e quelli della difesa e del responsabile civile in ordine alla velocità del mezzo e all’angolo di impatto contro le barriere al momento del contatto con i suddetti elementi nn.9 e 10, il Collegio ha dato conto della ricostruzione operata dal perito e già recepita dal Tribunale, dante atto di una velocità di 115 km/h al momento del primo impatto, di 89 km/h al momento del secondo impatto e di un angolo di collisione con le barriere new jersey collocate sul viadotto compreso tra i 9 e i 13 gradi; rilevando che le obiezioni difensive si fondavano su due elementi congetturali e non incidenti sulla ricostruzione della dinamica, quale l’ipotizzata volontaria sterzata a destra del conducente dopo l’impatto con l’Opel Zafira e il dedotto effetto “sponda” derivante dall’urto contro la Citroen prima della caduta oltre il ciglio della strada; esponendo come unico dato rilevante, in conformità con quanto rilevato dal perito, fo rappresentato dal calcolo dell’angolo di impatto contro la barriera ritenendo, quindi, coerente lo stesso con quello già stimato dai consulenti del pubblico ministero.
La Corte ha sottolineato, in riferimento alle molteplici censure spiegate dalle difese sul punto, che il metodo utilizzato dal perito – ovvero il cosiddetto metodo COGNOME – fosse da ritenere pienamente attendibile e che la fallacia dello stesso non potesse essere ricavata dalla documentazione prodotta dalla difesa; e comunque come non sussistessero elementi da cui ritenere più attendibile il metodo c.d. Dyna utilizzato dai consulenti degli imputati.
D’altra parte, la Corte territoriale ha rilevato che le deduzioni inerenti al determinazione dell’angolo di impatto dopo l’urto contro la Opel Zafira avrebbero trovato una granitica smentita nell’ambito di altri atti processuali, valorizzando i particolare gli accertamenti compiuti dagli agenti operanti subito dopo il sinistro e la rilevanza da attribuire al dettagliatissimo dossier fotografico prodot polizia giudiziaria; sottolineando come la tesi dell’angolo di ingresso 0 ipotizzata dalla difesa fosse – tra l’altro – del tutto inconciliabile anche con deposizione della testimone NOME COGNOME presente a bordo al momento del sinistro.
Ulteriormente, la Corte ha sottolineato l’assoluta irrilevanza probatori crash test eseguito dai consulenti della difesa presso il centro prove AISICO il 29 dicembre 2016 trattandosi di atto del tutto eccentrico dal punto di vista processuale, in quanto effettuato a dibattimento iniziato e in assenza dei rappresentanti delle altre parti; e, comunque, del tutto inidoneo a incidere sulla valutazione inerente allo stato di preesistente corrosione dei tirafondi.
6.5 In ordine ai motivi inerenti alle caratteristiche del fenomeno corrosivo constatato sui tirafondi e alla sua prevedibilità, la Corte territoriale ha f riferimento alle considerazioni contenute nella sentenza di primo grado riguardanti la piena consapevolezza della comunità scientifica in ordine al problema del corrosione della bulloneria in acciaio inossidabile e dell’incidenza dell’ambiente di lavoro ai fini della capacità di resistenza alla corrosione stessa.
Ha argomentato che le considerazioni difensive riguardanti la dedot imprevedibilità del fenomeno corrosivo fossero rimaste al livello di mere peti di principio, ritenendo – incidentalmente – non condivisibile la valutazio Tribunale nella parte in cui aveva fatto richiamo a due deposizioni testimoniali dalle quali sarebbe emerso che il livello di conservazione dei tirafondi nel corso delle operazioni svolte nell’anno 2009 (su campate diverse da quelle interessate dal sinistro) si presentasse ancora come ottimale; questo anche perché, dall’esame delle testimonianze, era emerso che nessuno dei due testi escussi sul punto avesse effettivamente preso contezza delle condizioni integrali dei tirafondi in quello specifico momento.
Ha quindi ritenuto che non vi fosse alcun elemento giuridicamente rilevante che avallasse la prospettazione difensiva in ordine alla imprevedibile e anomala accelerazione del fenomeno corrosivo; ritenendo, altresì, come fosse emerso in modo incontrovertibile che nessun intervento di manutenzione straordinaria mediante ispezione dei tirafondi avesse mai effettivamente interessato il tratto di strada ove si era verificato il sinistro.
La Corte ha altresì rigettato i motivi di ricorso riguardanti l’ef incidenza causale della corrosione dei tirafondi su verificarsi del sinistro.
A tale proposito la Corte ha rilevato che proprio il mancato o inefficiente funzionamento dei tirafondi al momento dell’impatto dell’autobus contro le barriere numerate con i numeri 9 e 10 aveva impedito di attivare il meccanismo che consentiva il moto traslatorio e il mantenimento in sede delle barriere, con la conseguenza che il deficit funzionale stesso aveva determinato la rottura dei pochi ancoranti ancora in sede e il crollo al suolo anche delle barriere non direttamente colpite.
6.6 La Corte ha quindi preso in esame i motivi di appello inerenti alla posizione di garanzia, alle regole cautelari violate e al delitto di disastro colposo.
In ordine al profilo attinente alle modalità operative con cui veniva eseguito il monitoraggio delle barriere, il giudice d’appello ha sottolineato che, sul punto, non era intervenuta alcuna acquisizione documentale, fondandosi quindi il relativo giudizio essenzialmente sugli esiti delle prove testimoniali; che, dalle deposizioni dei testimoni delle difese, era emerso che le indicazioni sulle tratte da monitorare provenivano dal responsabile dell’Area Esercizio e che il monitoraggio rientrava nella quotidiana attività di controllo del piano viabile e delle sue pertinenze, venendo eseguita da personale dell’Area stessa o da personale dell’Area Tecnica a bordo di veicolo marciante a velocità moderata nella corsia di emergenza; sottolineando altresì come, sulla base delle emergenze istruttorie e della documentazione depositata, del tutto diverso fosse l’ambito di intervento dell’autorità concedente e della società controllata RAGIONE_SOCIALE (e che riguardava, in ordine a quest’ultima, la progettazione e sorveglianza delle “opere d’arte” autostradali).
La Corte ha ritenuto, anche in parziale disaccordo con la sentenza di primo grado, che il controllo eseguito da parte dell’ente riguardasse in realtà i soli interventi sulle barriere incidentate in assenza di qualsiasi effettivo monitoraggio esteso, con conseguente violazione degli obblighi connessi alla qualità di ente concessionario; elementi di fatto che sono stati ritenuti pienamente sufficienti per far ritenere provata la violazione della correlativa regola cautelare; ritenendo che, nell’ambito della stessa, rientrasse anche l’omesso controllo dei serraggi mediante chiave dinamometrica, costituendo il medesimo un obbligo specificamente imposto dalla normativa di settore.
In ordine all’individuazione dei soggetti investiti della posizione di garanzia, il giudice d’appello ha rilevato che i compiti in materia di manutenzione nell’ambito della società Autostrade erano condivisi tra il livello centrale e il livello territoriale: essendo affidato al livello centrale il compito programmatico e di definizione delle linee guida della manutenzione nonché il coordinamento delle Direzioni di Tronco, mentre al livello territoriale (composto dalle stesse Direzioni di Tronco e dalle strutture operanti al suo interno) era rimesso il compito di svolgere concretamente
il monitoraggio, ricadendo l’obbligo tanto sul Direttore di COGNOME quanto sul responsabile dell’Area Esercizio.
La Corte ha quindi rilevato che la distribuzione dei compiti in materia di manutenzione presupponeva un continuo contatto e scambio di informazioni tra gli uffici centrali e quelli periferici ma che, di tale attività di rilevamento segnalazione alle strutture centrali, non sussisteva alcun riscontro di tipo documentale; rilevando, in ordine alle doglianze degli imputati COGNOME e COGNOME in punto di successione nella posizione di garanzia, che la situazione constatata nell’anno 2013 era compatibile con un fenomeno corrosivo in atto ormai da svariati anni, ragione per la quale non vi erano motivi per attribuire al solo nuovo garante il rischio derivante dalla situazione di pericolo; essendo anzi emersa pacificamente la piena continuità e integrale sovrapponibilità delle condotte d i Direttori di Tronco succedutesi nel periodo di tempo indicato nel cap imputazione ed essendo a tutti ascrivibile la relativa omissione in punto di corretta manutenzione.
6.7I giudici d’appello hanno ritenuto infondati tutti i motivi di impugnaz attinenti alla configurazione del reato di disastro colposo.
Hanno infatti ritenuto che l’effettivo stato delle barriere di conteni fosse tale, per le sue concrete caratteristiche, sulla base di un giudizio ex ante e indipendentemente dalle caratteristiche concrete dell’evento poi verificato, da denotare un autentico stato di abbandono derivante dall’assenza di manutenzione e di monitoraggio e quindi tale da determinare il pericolo di precipitazione dall’alto di un numero indeterminato di veicoli e di persone anche in caso di urto da parte di mezzi più leggeri; ritenendo, sul punto, del tutto non rilevante la considerazione inerente alle caratteristiche dell’area sottostante e, nello specifico, del s modesto grado di urbanizzazione.
6.8 La Corte ha quindi rigettato i motivi di appello inerenti al richiest riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nei confronti dei Direttori di Tronco in considerazione dell’estrema gravità dei fatti ascritti e del grado concreto della colpa; in considerazione della circostanza attenuante di cui all’arti numero 6, cod. pen., già riconosciuta dal Tribunale agli odierni imputati ha rit doversi operare il giudizio di bilanciamento con la contestata aggravante di cui all’articolo 589 capoverso cod. pen. ritenendo prevalente la circostanza attenuante medesima in considerazione dell’entità dell’onere economico sostenuto per il risarcimento delle persone offese.
La Corte ha ritenuto invece riconoscibili le circostanze attenuanti generiche nei confronti dei responsabili dell’Area Esercizio in ragione della posizione sotto ordinata di costoro rispetto ai Direttori di Tronco.
7. La Corte ha quindi riassunto il contenuto dei motivi di appello formulati dal p.m. nonché delle memorie difensive presentate per conto degli imputati, in ordine alla posizione dell’Amministratore Delegato e dei membri della Direzione Centrale (pagg.252-285).
In relazione all’appello suddetto ha quindi provveduto a una previa definizione del quadro normativo in punto di obblighi gravanti sui gestori della rete autostradale, citando il disposto dell’art.14 del d.lgs. n.285/1992, la Convenzione sottoscritta tra l’ANAS e Autostrade per l’Italia il 12/10/2007, che ha assunto efficacia di legge per effetto dell’art.8duodecies della I. 101/2008, tra l’altro facente riferimento al piano finanziario contenuto nell’allegato “E” alla Convenzione e prevedente, dallo stesso anno 2008, l’avvio di un piano pluriennale di riqualificazione di tutte le barriere laterali mediante installazione di barrier tipo H2, H3 su terra e H3 e H4 su bordo ponte, con specifica menzione – ivi contenuta – dell’autostrada A16 Napoli-Canosa; ha rilevato che l’obbligo di provvedere alla progettazione ed esecuzione degli interventi non conteneva alcuna indicazione o limitazione quanto al tipo di barriera da riqualificare, ma il sol obbligo del rispetto della normativa di settore.
7.1 La Corte ha quindi sottoposto a espressa critica la valutazione operata dal Tribunale in base alla quale alle strutture centrali avrebbero fatto capo i sol compiti di riqualificazione delle barriere di sicurezza mentre a quelle territori sarebbero state in carico tutte le attività inerenti alla manutenzione, compresa quella straordinaria; la Corte ha difatti ritenuto che, sulla base degli organigrammi aziendali, l’attività di manutenzione spettasse espressamente anche alla Direzione Servizi Tecnici – diretta dall’Ing. COGNOME – da cui dipendeva quella Pavimentazioni e Barriere di Sicurezza – diretta dall’Ing. COGNOME – cui pure facevano capo analoghe competenze (dando atto che, nel 2011, la Direzione Servizi Tecnici era stata inglobata nella nuova Condirezione Generale RAGIONE_SOCIALE, nella cui struttura erano state inserite anche le Direzioni di Tronco); precisando altresì come, sulla base delle ricordata normativa unionale, la funzione di manutenzione comprendesse espressamente anche quella di natura preventiva (ovvero quella c.d. ciclica e predittiva).
La Corte si è quindi concentrata sulla specifica condotta omissiva contestata in sede di imputazione e relativa alla omessa riqualificazione delle barriere laterali del viadotto INDIRIZZO; esponendo come il Tribunale avesse posto a fondamento della pronuncia assolutoria un duplice ordine di argomentazioni.
In particolare, il Tribunale aveva ritenuto che non fosse stata provata l’esistenza di un obbligo di riqualificazione delle barriere del viadotto in quant barriere omologate e come tali legittimamente presenti in esercizio; d’altro lato, aveva osservato che la condotta concretamente tenuta dagli imputati (con
specifico riferimento al Castellucci, al INDIRIZZO e al INDIRIZZO), ovvero la predisposizione del piano pluriennale di riqualifica, non violasse il suddetto obbligo perché il piano medesimo limitava solo apparentemente l’intervento alle barriere di cosiddetto primo impianto.
La Corte ha rilevato che il Tribunale, sposando la tesi difensiva, aveva sminuito la rilevanza dell’argomento letterale desumibile dall’intestazione del piano di riqualifica, espressamente denominato come riferito alle sole barriere di primo impianto, ritenendo invece che questo consentisse la sostituzione anche di barriere di secondo impianto demandando la relativa individuazione in concreto alla fase della progettazione esecutiva.
7.2 Pervenendo a una conclusione diversa rispetto a quella raggiunta dal Tribunale, la Corte ha ritenuto che l’oggetto del piano di riqualifica dovesse essere esclusivamente delimitato alle barriere metalliche di primo impianto, con conseguente esclusione delle barriere new jersey, elemento desunto dall’analisi testuale del documento.
La Corte ha espressamente contraddetto la valutazione del Tribunale in base alla quale il dato della lunghezza complessiva dell’intervento sulle barriere laterali di primo impianto, quantificata in una ampiezza pari a 2.202 chilometri e il previsto stanziamento finanziario di 138 milioni di euro fossero elementi tali da far ritenere che l’intervento di riqualifica riguardasse, solo prevalentemente, barriere di primo impianto ben potendosi anche procedere alla riqualificazione delle barriere di secondo impianto eventualmente presenti; difatti, sulla base dell’analisi della tabella contenuta nel piano di riqualificazione, la Corte ha rilevato che essa si riferiva alle sole barriere cosiddette a doppia onda ovvero le barriere metalliche, con la considerazione conseguente per cui la riqualificazione delle barriere in calcestruzzo del tipo new jersey non era affatto stata contemplata dal piano di riqualificazione ma, anzi, ne era stata del tutto esclusa; elemento desunto anche dalla lettura dell’ultima pagina del piano, che nella descrizione delle barriere di seconda generazione non faceva alcun riferimento a quelle del tipo new jersey nonché confermato dalla lettura della progettazione esecutiva, la cui verifica si era limitata alle sole barriere metalliche; citando, sul punto, proprio i dati emergenti dai progetti esecutivi delle due carreggiate e facenti riferimento solo a tale ultima tipologia di barriere, anche in relazione alla sigla “RQ” – ivi riportata – e riferita tratti già qualificati e non oggetto di intervento.
Il giudice di appello ha quindi specificato che, in puntuale relazione all’autostrada A16, l’esame delle sigle ivi riportate induceva a ritenere che non fosse stata prevista la rimozione di alcuna barriera new jersey, ad eccezione di alcuni tratti del tutto trascurabili, dalla lunghezza complessiva di undici metri; sottolineando come tale ricostruzione trovasse riscontro anche in altri progetti
esecutivi depositati dalla difesa e relativi ad altre autostrade in quanto, in tutti casi in cui nei tratti considerati vi erano dei viadotti, le barriere in calcestruzzo new jersey non erano comprese nel nell’intervento.
Ha anche ritenuto che avesse scarsa consistenza l’argomento fondato sulla presunta astratta copertura finanziaria dell’intervento di sostituzione delle barriere di bordo ponte installate sul viadotto, trattandosi di valutazione che non considerava che l’oggetto del piano era testualmente limitato alla sola sostituzione delle barriere metalliche e che quindi gli stanziamenti non riguardavano la sostituzione delle barriere in calcestruzzo.
Concludendo, quindi, che in sede di relazione del piano di riqualifica delle barriere di sicurezza laterali era stata effettuata la scelta di escludere aprioristicamente le barriere in calcestruzzo new jersey insistenti sui viadotti e tanto sulla base del fatto che le stesse erano state sottoposte circa vent prima a crash test e assimilate alle barriere di tipo H3, prescindendo da qualsiasi verifica in concreto sulle loro condizioni effettive.
7.3 Operata tale considerazione, specificamente inerente al contenuto delle argomentazioni difensive svolte dai predetti imputati, i giudici di appello hanno espresso il principio in base al quale l’obbligo di riqualificazione delle barriere di seconda generazione nasceva dalla Convenzione Unica sottoscritta nel 2007, ove era prevista la riqualificazione di tutte le “barriere laterali” senza alcuna limitazion a quelle di tipo metallico; facendo altresì riferimento al contenuto del d.m. n.223/1992, imponente l’obbligo di progettazione in fase esecutiva anche in ordine all'”adeguamento di tratti significativi”.
Soffermando l’attenzione proprio su tale ultima nozione, la Corte ha ritenuto dovesse prediligersi una valutazione funzionale, intendendo per “tratto significativo” quello che permette alla barriera di funzionare e che, comunque, il carattere significativo dell’arteria A16 dovesse essere desunto dal fatto che dei relativi 163 km indicati nel piano di riqualifica, 100 di essi erano costituiti dai prim 50 km delle due carreggiate; conseguendone che, in sede di adempimento dell’obbligo di programmazione pluriennale di riqualificazione delle barriere di bordo laterale, esso non poteva che riguardare tutti i tratti interessati, in modo da consentire al progettista, in sede esecutiva, la verifica dei dispositivi presenti.
Di contro, il giudice di appello ha rilevato che il progetto di riqualificazione delle barriere laterali nella tratta chilometrica compresa tra il km 27 e il km 50 non era stato preceduto da alcun sopralluogo; derivandone che l’eccettuazione delle barriere in calcestruzzo poste sui viadotti compresi nei tratti significativi dell’intervento di adeguamento delle barriere laterali era stata la causa della omessa valutazione del loro stato concreto da parte del tecnico, in sede di progettazione esecutiva e, quindi, della loro omessa sostituzione.
Ha pertanto ritenuto sussistente ii nesso causale tra omesso intervento di riqualificazione e adeguamento ed evento avverso, atteso che un’attività puntuale in sede esecutiva avrebbe consentito di constatare il pessimo stato manutentivo delle barriere in calcestruzzo site sul INDIRIZZO, derivandone quindi secondo una congrua valutazione prospettica – che la loro sostituzione con barriere a protezione massima avrebbe certamente determinato un adeguato contenimento degli urti dell’autobus.
7.4 Venendo all’individuazione dei soggetti titolari dell’obbligo di garanzia, la Corte ha ritenuto che la riqualificazione delle barriere costituisse intervento mirante a ottenere un più elevato standard prestazionale della rete, quindi rientrante nell’ambito delle strategie aziendali e, in quanto tale, non esulante dalla sfera di competenza dell’Amministratore Delegato, dopo la predisposizione del piano avvenuta materialmente ad opera dell’Ing. COGNOMEquale responsabile della Direzione servizi tecnici) e dell’Ing. COGNOME quale responsabile della struttura denominata “Pavimentazioni, barriere e sicurezza”; conseguendone che la relativa decisione non potesse che essere il frutto di una previa concertazione tra il vertice aziendale e la struttura tecnica, con valutazione di responsabilità da estendere al titolare del settore competente per le barriere di sicurezza (Ing. COGNOME peraltro nominato responsabile unico del procedimento in ordine ai lavori eseguiti nel 2012/2013).
Previa negazione delle circostanze attenuanti generiche e riconoscimento dell’attenuante prevista dall’art.62, n.6, cod.pen. – giudicata prevalente su quella prevista dall’art.589 cpv. cod.pen. – la Corte ha quindi determinato, per tali imputati, la pena base in anni cinque di reclusione, aumentata alla misura finale per il concorso formale con il delitto di disastro colposo.
La Corte ha altresì integralmente confermato la sentenza in punto di statuizioni civili nei confronti della sola parte civile ancora costituita.
I ricorsi degli imputati e della responsabile civile
Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati condannati nonché il responsabile civile, con motivi il cui contenuto viene, di seguito, riassunto ai sensi dell’art.173, disp.att., cod.proc.pen..
9. NOME COGNOME ha articolato dieci motivi di ricorso.
9.1 Con il primo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.c), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 521 e 522 cod.proc.pen. nel capo della sentenza relativo alla valutazione della responsabilità dell’imputata, in riferimento agli artt. 129, comma 2 e 578 cod.proc.pen., in relazione al capo A) della rubrica.
Ha dedotto che la Corte d’appello non avrebbe, erroneamente, ravvisato una violazione del principio di corrispondenza tra accusa e sentenza; ha esposto che all’imputata era stato contestato di avere inserito nel sistema informatico della Motorizzazione Civile – mediante proprie credenziali di accesso – il report dei dati comprovanti l’avvenuta revisione con esito positivo dell’autobus in questione ma che, in sentenza, le era invece stato ascritto di avere ceduto la propria password nei confronti di soggetti in servizio presso l’agenzia COGNOME e che avrebbero materialmente provveduto all’inserimento nel sistema informatico dell’esito della revisione stessa; si sarebbe, quindi, trattato di condotta del tutto eterogenea rispetto a quella contestata, con conseguente violazione del diritto di difesa, anche considerando che la condotta di cessione a terzi di proprie credenziali di accesso detenute per ragioni di ufficio forma oggetto della specifica fattispecie prevista dall’art.615quater cod.pen. ovvero di quella di rivelazione di segreto d’ufficio, non sussistendo quindi il rapporto di continenza dedotto dal giudice di appello.
9.2 Con il secondo motivo ha dedotto – in relazione all’art.606, comma 1, lette), cod.proc.pen. – la manifesta illogicità della motivazione, sempre in riferimento al capo A) della rubrica, nella parte attinente all’inidonea valutazione della ricostruzione alternativa operata dalla difesa, in base alla quale l’imputata avrebbe inconsapevolmente subìto la sottrazione delle proprie credenziali di accesso al sistema informatico.
Ha esposto che, dalla stessa sentenza di appello, poteva evincersi l’incertezza degli elementi su cui era fondata la prova logica della esclusiva disponibilità della password in capo all’imputata; che, secondo la prospettazione alternativa, sarebbe invece stata sistematicamente sottratta mediante l’utilizzo di un dispositivo denominato keylogger, la cui consapevolezza era stata acquisita dall’imputata dopo il verificarsi dei fatti ascritti; ritenendo illogico il ragionam della Corte territoriale nella parte in cui aveva valorizzato l’assenza di iniziative, da parte dell’imputata, tese a contrastare tale fenomeno mediante eventuale denuncia alle autorità competenti; spiegazione ritenuta inriplausibile in quanto la scoperta della sottrazione sistematica sarebbe avvenuta in una fase in cui la ricorrente, dato il suo licenziamento, non aveva alcun funzionario superiore cui segnalare la circostanza.
9.3 Con il terzo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – la violazione ed erronea applicazione dell’art.40, comma 1, cod.pen., in relazione agli artt. 113, 589, commi 1 e 4, 434 e 449 cod.pen., in punto di conferma della responsabilità penale in ordine al reato ascritto al capo B) della rubrica.
A tale proposito, ha dedotto che la Corte avrebbe obliterato la circostanza in forza della quale i controlli eseguiti in sede di revisione non avrebbero avuto
incidenza causale sul guasto meccanico, da attribuirsi invece a irregolarità manutentive e – nella specie – al sovraserraggio dei bulloni del giunto cardanico eseguito senza chiave dinamometrica.
Ha dedotto che la Corte avrebbe inizialmente condiviso le valutazioni del giudice di prime cure in punto di natura omissiva del reato per poi sposarne la valenza commissiva, con conseguente insufficienza della motivazione in punto di causalità materiale; ha quindi contestato la sussistenza inerente alla realizzazione di un antecedente causale necessario del fatto ascritto, atteso che il meccanico da cui era derivata la perdita di controllo dell’autobus sarebbe st ascrivere integralmente alla colposa omissione manutentiva, in ordine alla quale alcun contributo era addebitabile alla ricorrente.
9.4 Con il quarto motivo, ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.c), cod.proc.pen. – il vizio di motivazione, in relazione all’art.40, cod.pen. e in riferimento al capo B) della rubrica, nella parte in cui la sentenza aveva estrinsecato il giudizio controfattuale, per travisamento della prova sulla circostanza che sul libretto di circolazione dell’autobus fosse effettivamente stato apposto il tagliando “ripetere revisione”, in conseguenza del mancato superamento di quella del 2008; ha dedotto che tale circostanza sarebbe stata smentita dall’esame del libretto, che non riportava alcuna revisione da ripetere; si trattava, ad avviso della difesa, di un travisamento idoneo a scardinare il giudizio controfattuale relativo all’efficacia deterrente del mancato superamento della revisione.
9.5 Con il quinto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – il vizio di motivazione in relazione all’art.40, comma 2, cod.pen., in punto di giudizio di rilevanza del comportamento alternativo lecito.
Sul punto, ha dedotto che – in sede di appello – era stato dedotto che il Tribunale non si sarebbe raffrontato con la circostanza in base alla quale NOME COGNOME, un mese prima della revisione incriminata, era stato sanzionato ai sensi dell’art.176, comma 18, C.d.s., per avere circolato con un autobus di sua proprietà la cui revisione era scaduta da circa tre anni; ha posto l’accento sul fatto che i codice della strada contempla la medesima risposta sanzionatoria in caso di revisione scaduta ovvero di revisione da ripetere, come sarebbe avvenuto se l’imputata avesse realizzato la condotta doverosa omessa; deducendone che, anche nell’ipotesi del mancato superamento della visita di revisione, il COGNOME ben avrebbe potuto tenere un comportamento analogo a quello già precedentemente sanzionato; ha dedotto che la risposta della Corte territoriale doveva ritenersi irrazionale, in quanto l’atto di appello poneva la sola necessità di adeguare il criterio della “regolarità comportamentale” alla specifica circostanza ricorrente nel caso concreto.
9.6 Con il sesto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – il vizio di motivazione in relazione all’art.41, comma 2, e agli 113, 589, commi 1 e 4, 434 e 449 cod.pen., in punto di conferma dell responsabilità della ricorrente per il reato contestato al capo B) della rubrica, nella parte in cui aveva escluso che la condotta di guida tenuta dal COGNOME avesse costituito, da sola, causa sopravvenuta sufficiente a determinare l’evento.
Ha dedotto che la colposa ostinazione del conducente dell’autobus, proprio in quanto non riconducibile all’id quod plerumque accidit, doveva ritenersi tale da escludere ogni valenza causale al fatto antecedente ascritto alla ricorrente, basandosi quindi la sentenza su un ragionamento meramente congetturale.
9.7 Con il settimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – l’erronea applicazione dell’art.41, comma 2, cod.pen., in relazione agli artt. 113, 589, commi 1 e 4, 449 e 434 cod.pen., in ordine all’affermazione di responsabilità per il reato ascritto al capo B) della rubrica, nel punto in cui la sentenza aveva escluso che il cedimento delle barriere fosse stato, da solo, causa sopravvenuta sufficiente a determinare l’evento; non avendo la Corte considerato i fattori rappresentati dalla imprevedibilità del contributo causale successivo, nel caso di specie del tutto anomalo.
9.8 Con l’ottavo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. cod.proc.pen. – la violazione dell’art.129 cod.proc.pen. in relazione all’ar cod.pen. e all’art.589, commi 1 e 4, cod.pen., per avere la Corte omesso dichiarare la prescrizione dei relativi reati, maturata prima della sentenza impugnata.
Sul punto ha dedotto che, in sede di giudizio di primo grado, l’imputata era stata condannata per il solo reato di omicidio colposo, senza alcun riferimento alle disposizioni in materia di circolazione stradale, conseguendone che al 28/09/2023 – data di lettura della sentenza d’appello – era maturato il termine massimo di sette anni e mezzo applicabile ratione temporis.
9.9 Con il nono motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.c), cod.proc.pen. e in relazione all’art.125 cod.proc.pen. – la illegittimità del capo di sentenza in cui la Corte, stante l’intervenuta prescrizione del reato contestato al capo A), aveva ritenuto superfluo l’esame del motivo di appello con cui si censurava la ritenuta sussistenza del cumulo materiale anziché del concorso formale tra i due delitti ascritti all’imputata, così privando quest’ultim possibilità di beneficiare del più favorevole trattamento previsto in caso di conc formale stesso.
9.10 Con il decimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.c), cod.proc.pen. e in relazione all’art.546, ult.comma, cod.proc.pen violazione della legge processuale, essendo il dispositivo mancante del
determinazione della pena irrogata all’imputata in conseguenza della conferma della responsabilità in relazione al capo B) della rubrica e della contestuale declaratoria di prescrizione in relazione al capo A); chiedendo a questa Corte di provvedere, eventualmente, ai sensi dell’art.620, comma 1, letti), cod.proc.pen, ovvero di rettificare l’errore contenuto nella sentenza impugnata ai sensi dell’art.619 cod.proc.pen..
10.NOME COGNOME ha articolato sei motivi di ricorso.
10.1 Con il primo motivo ha dedotto -ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.d), cod.proc.pen. – la mancata assunzione di una prova decisiva, rappresentata dalla perizia fonica della conversazione intercorsa tra i meccanici NOME COGNOME e NOME COGNOME e che avrebbe assunto importanza di rilievo in ordine alla valutazione della responsabilità del ricorrente per i fatti allo stess ascritti.
Ha richiamato gli esiti di una conversazione privatamente intercettata dallo stesso imputato il 02/05/2014; ha richiamato, altresì, le deposizioni rese in dibattimento dai due predetti soggetti, da cui emergeva che fosse dato indiscutibile quello in base al quale uno dei due meccanici avesse effettuato un controllo sulla trasmissione dell’autobus, ritenendo pertanto che la perizia avrebbe fornito chiarimenti sulla relativa questione, attribuendo con certezza le voci al Favilla o al Tammaro con tutte le conseguenze in punto di attendibilità dei testi.
10.2 Con il secondo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 40 cpv., 41 cpv., 43, 449 e 589 cod.pen., in rapporto agli artt. 192 e 533 cod.proc.pen., in ordine al giudizio di responsabilità del ricorrente per i reat contestati al capo B) della rubrica.
Specificamente, ha argomentato in ordine al reato di falso documentale contestato al capo A), ritenendo carente la prova in ordine alla mancanza delle condizioni per il superamento della revisione alla data del 26/03/2013, in quanto ricavata dalle dichiarazioni rese dall’Isp. COGNOME che aveva visionato l’autobus nel giorno del sinistro e da quanto esposto dai consulenti del p.m., che a tanto avevano proceduto in epoca anche successiva; senza tenere conto che, nel frangente intermedio, l’autobus era stato ulteriormente e largamente utilizzato; evidenziando che, comunque, l’impianto frenante del mezzo era risultato efficiente al 70%, gli pneumatici avevano uno spessore conforme ai limiti di legge, il veicolo presentava ruggine nel solo vano bagagli e non nel telaio portante, mentre u serie di elementi risultavano – di contro – pienamente funzionanti.
Ha dedotto l’illogicità della motivazione nella parte in cui aveva ritenuto provato il concorso del ricorrente nella predisposizione del documento falso,
assumendo che la Corte avrebbe male interpretato la censura spiegata in sede di appello, in cui era stato rappresentato che i dipendenti della Motorizzazione Civile e le agenzie attive nella gestione delle pratiche di revisione locupletassero sulla quota parte incamerata da queste ultime all’insaputa dei clienti; osservava che il COGNOME non era stato in alcun modo coinvolto nell’indicazione fornita dal locale direttore della Motorizzazione Civile al titolare dell’agenzia COGNOME affinché provvedesse a sistemare la situazione e che il report relativo alla revisione non era stato caricato nel sito istituzionale del Ministero; deduceva che tutti i predetti elementi concorrevano nel dimostrare l’estraneità del ricorrente rispetto alla condotta di falso, ritenendo irrilevanti le considerazioni della Corte riguardanti il mancato rinvenimento della ricevuta della tassa di concessione governativa in riferimento alla revisione di altro autobus del Lametta e il fatto che l’ultima revisione documentata risalisse al 2010; ha dedotto l’irrilevanza dei rilievi inerenti al mancato funzionamento della valvola a quattro vie, che non disponeva di spie atte a denotarne il malfunzionamento.
In ordine specifico ai fatti contestati al capo B) della rubrica ha dedotto che – una volta individuata la causa del guasto al giunto cardanico nella cattiva gestione dell’operazione di serraggio dei perni – si sarebbe dovuto mandare assolto il COGNOME, non essendo egli stato il materiale responsabile di tale operazione anziché ritenerne una posizione di garante; esponendo che, nel capo di imputazione, non si faceva effettivo riferimento al nesso tra le omissioni ascritte con il fattore (ovvero il suddetto guasto) che aveva contribuito a determinare l’evento e cui, come prima esposto, il ricorrente non aveva apportato alcun contributo causale, non essendosi occupato materialmente della relativa operazione, con conseguente sovrapposizione della posizione di garanzia rispetto alla violazione della regola cautelare.
Affermava altresì che le motivazioni della sentenza di appello assommavano profili di colpa generica a profili di colpa specifica, per poi diluire le proprie conclusioni in un non specificato atteggiamento di trascuratezza che sarebbe stato imputabile al ricorrente.
Ha dedotto che la Corte territoriale aveva sostanzialmente omesso di rispondere all’obiezione difensiva in base alla quale la regola cautelare violata era stata, di fatto, individuata non nell’omessa manutenzione ma in una mancata verifica circa le modalità di effettuazione della stessa e, quindi, in una culpa in vigilando non effettivamente contestata; evidenziando, altresì, che l’officina presso la quale erano state effettuate le operazioni di manutenzione – ovvero quella gestita dal COGNOME – benché non autorizzata dalla Volvo, era comunque in possesso di tutte le licenze necessarie per poter operare sull’autobus.
10.3 Con il terzo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – l’erronea e/o falsa applicazione degli artt. 40 e 41 cod.pen., nonché l’illogicità e contraddittorietà della motivazione in punto di sussistenza del nesso causale.
Ha dedotto che, erroneamente, i giudici di merito non avrebbero ritenuto la sussistenza – rispetto ai fatti ascritti all’imputato – di fattori sopravvenuti i di per sé stessi, a determinare l’evento e individuati nello stato di manutenzione delle barriere autostradali e al quale doveva essere attribuita valenza di fatto esclusiva valenza causale, sul punto adducendo proprio le argomentazioni de Corte territoriale in ordine all’inadeguatezza delle barriere medesime; deduc che il rischio innescato dall’autobus, in presenza di un adeguato funzionamento delle barriere, sarebbe rimasto nell’alveo di un grave incidente stradale, evocando sul punto quanto esposto dal perito.
10.4 Con il quarto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 40 e 43 cod.pen., c riferimento ai criteri adottati per l’accertamento della causalità della colpa.
Ha dedotto che – a fronte delle regole cautelari la cui violazione era stata ascritta al ricorrente – la classe di eventi non apparteneva a quelli so alla norma cautelare medesima; ritenendo tale connessione pacificamente non sussistente in relazione al disastro, da attribuire esclusivamente alla violazione delle regole cautelari connesse alla corretta manutenzione delle barriere stradali.
10.5 Con il quinto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.62, n.6, cod.pen. per della mancata concessione della relativa attenuante, atteso che, prima del giudizio, la propria società assicuratrice per la responsabilità civile aveva comunque provveduto al congelamento della somma assicurata depositandola su un libretto consegnato al giudice istruttore della parallela causa civile.
10.6 Con il sesto motivo, ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt.133 e 43 cod.pen. nonché dell’art.62bis cod.pen., in punto di commisurazione del trattamento sanzionatorio.
Ha dedotto il carattere meramente apparente e tautologico delle considerazioni attinenti alla gravità del danno conseguente ai reati, in realtà meramente riproduttive dei connotati tipici delle fattispecie imputate, lamentando anche un differente trattamento rispetto ai responsabili del tronco autostradale, nei cui confronti doveva ritenersi come accertata la violazione di un maggior numero di regole cautelari; contestando, altresì, la connotazione nega attribuita dai giudici di merito all’atteggiamento processuale tenuto dal La deducendo che sussistessero comunque tutte le condizioni per l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
11. NOME COGNOME ha articolato sei motivi di impugnazione.
11.1 Con il primo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – la nullità della sentenza per erronea applicazione degli artt.157, 589, comma 1, cod.pen. e 129 cod.proc.pen..
Ha dedotto che la Corte d’appello, erroneamente, non avrebbe rilevato il decorso del termine di prescrizione proprio del reato previsto dall’art.589 cod.pen., atteso che il Tribunale non aveva ravvisato la sussistenza dell’aggravante prevista dal comma 2, invece ritenuta dal giudice di secondo grado in assenza di impugnazione sul punto da parte del p.m..
11.2 Con il secondo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la nullità della sentenza per violazione degli art 157, 589, comma 1, cod.pen., 597, comma 3 e 624 cod.proc.pen..
Ha dedotto che la Corte, non condividendo la qualificazione giuridica operata dal Tribunale in punto di sussistenza della sola colpa generica, aveva attribuito agli imputati un profilo di colpa specifica in conformità con l’origina contestazione, incorrendo in tal modo nella violazione del divieto di reformatio in peius in riferimento al diverso termine di prescrizione previsto per l’ipotesi aggravata.
11.3 Con il terzo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 40 e 41 cod.pen. in relazione agl artt. 589 e 449 cod.pen., in punto di valutazione del nesso di causalità e del criterio del comportamento alternativo lecito, anche in riferimento ai parametri dettati dall’art.192 cod.proc.pen., in ordine ai punti attinenti alla ricostruzione del dinamica del sinistro.
Ha dedotto che la Corte avrebbe eluso la necessità di una corretta formulazione del giudizio esplicativo in punto di corretta determinazione della traiettoria dell’autobus e dell’effettivo angolo di impatto, attribuendo validità quanto riferito dal perito, pur basandosi le relative considerazioni su un metodo scientifico non più in uso.
In punto di nesso di causalità e di comportamento alternativo lecito ha dedotto che – pure ritenendosi obbligatoria la riqualificazione della struttura nessun comportamento alternativo lecito avrebbe potuto tenere lo Spadavecchia, le cui funzioni erano cessate nel 2009, atteso che i lavori si sarebbero sicuramente dopo il 2011.
11.4 Con il quarto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma lett.b) ed e), cod.proc.pen. – l’erronea applicazione dell’art.43 cod.pen., i relazione agli artt. 449, 434 e 589 cod.pen. nonché l’errata valutazione del dato probatorio.
Ha dedotto che la Corte territoriale avrebbe, di fatto, omesso di individuare la regola cautelare violata, atteso che il monitoraggio delle barriere, asseritamente omesso, era stato regolarmente compiuto da parte del personale della concessionaria mediante ispezione visiva e che la stessa costitutiva l’unica modalità nota di controllo; in punto di prevedibilità dell’evento, ha dedotto che la stessa Corte territoriale aveva dato atto del carattere anomalo del fenomeno corrosivo e che – sulla base delle risultanze dibattimentali – il giudice di appello si era discostato dal dato probatorio ritenendo non acquisito il dato relativo alle adeguate condizioni dei tirafondi in occasione della manutenzione straordinaria eseguita nel 2009, dopo la quale lo COGNOME aveva cessato le proprie funzioni di Direttore di Tronco; elementi sulla base dei quali la difesa ha quindi dedotto l’insussistenza dell’aggravante contestata ai sensi dell’art.589, comma 2, cod.pen., anche in considerazione del fatto che la regola normativa in tema di sicurezza delle infrastrutture stradali era intervenuta solo con il d.lgs. 15 marzo 2011, n.35.
11.5 Con il quinto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – l’erronea applicazione dell’art.43 cod.pen. in punto di valutazione della sussistenza della posizione di garanzia.
Ha dedotto che la Corte territoriale non si sarebbe adeguatamente confrontata con il motivo di appello, attinente alla circostanza in base alla quale il ricorrente – nell’attività di monitoraggio – avesse pienamente rispettato le procedure vigenti, solo successivamente innovate con la circolare n.62032 del 21/07/2010, con il citato d.lgs. 35/2011 e con la disciplina convenzionale di cui alla norma UNI EN 13117 del 2010; ritenendo pure errata l’affermazione della Corte in ordine alle particolari condizioni del viadotto INDIRIZZO e allo specifico limite di velocità, in realtà introdotto solo nel 2010.
11.6 Con il sesto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 133, 62bis e 81 cod.pen..
Ha dedotto che le considerazioni spiegate dalla Corte in punto di trattamento sanzionatorio dovevano ritenersi illogiche, non essendo stati richiamati gli elementi positivi già valutati dal primo giudice (quali il minore grado della colpa e l’inferiore prevedibilità del fenomeno corrosivo), in tal modo illogicamente negando la concessione delle circostanze attenuanti generiche e non considerando il dato della risalenza delle funzioni di garanzia rivestite dall’imputato, pur avendo espressamente attribuito maggiore gravità alle condotte tenute dai responsabili in epoca più prossima al fatto; ha anche valutato eccessivo l’aumento apportato per la ritenuta continuazione.
12. NOME COGNOME ha articolato otto motivi di impugnazione.
12.1 Con il primo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.c), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 581, comma 1, lett.a), 597, comma 3 e 568, comma 4, cod.proc.pen. e l’erronea applicazione dell’art.157 cod.pen., per avere il giudice di appello omesso di dichiarare l’intervenuta prescrizione del reato contestato al capo B) della rubrica.
Ha dedotto che la Corte territoriale avrebbe errato nel non dichiarare l’intervenuta estinzione del reato per decorso del termine massimo di prescrizione, pure in presenza della espressa esclusione, da parte del Tribunale, del profilo di colpa specifica originariamente contestato e in assenza di impugnativa del p.m. sul punto; non potendosi richiamare i principi attinenti alla diversa qualificazione giuridica del fatto, dovendosi quindi escludere la possibilità, in capo al giudice d appello, di ritenere perfezionata – in assenza di gravame – un’aggravante esclusa dal giudice di primo grado ed essendo richiannabile il principio della formazione progressiva del giudicato.
12.2 Con il secondo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – l’inosservanza o erronea applicazione dell’art.589, comma 2, cod.pen., in ordine alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante della violazione delle norme in tema di disciplina della circolazione stradale e la contraddittorietà della sentenza sul punto.
Ha esposto che la disposizione contenuta nell’art.14 C.d.s., posta a fondamento della ritenuta sussistenza della “colpa stradale”, non sarebbe fonte di una regola cautelare ma una mera norma attributiva di competenze e, quindi, fondativa di un solo obbligo di garanzia; ha altresì contestato la motivazione della Corte nella parte in cui aveva ravvisato la regola cautelare violata nell’ambito di una ritenuta disciplina di settore, negando tale valenza alla norma UNI 11603 del 2003 – attinente alla sola definizione del concetto di manutenzione – ovvero alla circolare del 25/08/2004, avente a oggetto la sola materia della progettazione dei dispositivi di ritenzione, così come alla norma tecnica EN 1090 del 2008, attinente al solo uso della chiave dinamonnetrica per verificare il livello di serraggio dei bulloni; concludendone che, nel caso di specie, non poteva ravvisarsi la violazione di alcuna regola specifica attinente alla disciplina della circolazione stradale.
12.3 Con il terzo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per travisamento e omessa valutazione delle risultanze processuali in punto di valutazione del nesso causale, con specifico riferimento alla tematica dell’intensità dell’impatto contro le barriere e del ruolo dei tirafondi funzionamento delle barriere di sicurezza.
Ha premesso che il giudice di primo grado, con valutazione confermata dalla Corte territoriale, anziché prendere atto della contraddittorietà dei contribut
scientifici acquisiti nel corso del processo, avrebbe acriticamente aderito alle conclusioni del perito e ha altresì contestato la ricostruzione del sinistro operata dai giudici di appello.
Su tale ultimo aspetto, ha esposto che la Corte aveva smentito le censure difensive inerenti alla ipotizzata sterzata a destra del conducente dell’autobus dopo l’impatto con la Opel Zafira e all’effetto “sponda” derivante dall’impatto de contro la vettura suddetta e poi con una Lancia Y, elemento tale da incidere su traiettoria originaria, argomentando come la Corte avesse ritenuto incontestati gli snodi essenziali della ricostruzione dinamica dell’evento pure in presenza di espressi rilievi operati dai consulenti della difesa, con particolare riferim all’individuazione della traiettoria del mezzo all’uscita del primo impatto con barriera e ai parametri fisici inerenti all’angolo di collisione; ne sarebbe r l’illogicità del ragionamento della Corte nella parte in cui aveva ritenuto le conclusioni del perito compatibili con quelle dei consulenti del p.m., quando risultava un’oggettiva divergenza, avendo il perito concluso che il bus avesse seguito una traiettoria curvilinea solo con un raggio maggiore di quello ipotizzato dalla difesa; esponendo come la Corte territoriale avesse omesso il raffronto tra le conclusioni del perito e gli accertamenti effettuati dalla Polizia stradale e dagli stessi consulenti del p.m., da cui la difesa aveva esposto l’incoerenza della ricostruzione facente riferimento a un’unica traiettoria destrorsa e l’incompatibilità delle conclusioni stesse in relazione all’impatto contro le barriere di protezione, con la conseguenza che la traiettoria che il perito aveva indicato come quella percorsa tra il primo e il secondo urto contro le barriere non poteva corrispondere a quanto effettivamente avvenuto; derivandone l’invalidazione della conclusione sull’angolo geometrico dell’inclinazione dell’asse del veicolo rispetto alle barriere al momento del secondo impatto, elemento che sarebbe risultato smentito anche dall’esame della posizione assunta dall’autobus dopo l’uscita dalla sede stradale. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ha dedotto che la Corte non avrebbe assunto adeguata posizione sulle critiche rivolte ai metodi di calcolo adottati dal perito e dagli stessi consulenti del p.m., sottraendosi al suo principale onere, ovvero quello di verificare quale il metodo più idoneo a garantire il miglior risultato in termini di credibilit conclusioni; ha esposto che il perito aveva adottato un metodo (quello di COGNOME) da ritenersi abbandonato da anni, al contrario di quello COGNOME (adottato dai consulenti della difesa) e di quello COGNOME (adottato dai consulenti del p.m.); dal complesso delle predette considerazioni ne sarebbe derivata la non affidabilità delle conclusioni espresse dal perito, pure recepite dalla Corte territoriale.
Ha spiegato un ulteriore argomento di critica, esponendo che la Corte avrebbe addirittura negato la sostanziale rilevanza della prova scienti valorizzando quanto dichiarato dall’autore dei rilievi e da altri testimoni in
di traiettoria del mezzo al momento dell’impatto con le barriere; ha altresì contestato la valutazione dei giudici di appello in punto di irrilevanza del crash test eseguito dai consulenti della difesa il 29/12/2016.
E’ stata altresì criticata la motivazione dei giudici di appello in punto di riferimento all’incidenza causale attribuibile agli ancoranti nel comportamento della barriera di sicurezza; ha dedotto che l’affermazione del perito in base alla quale una barriera ben mantenuta e con tirafondi efficienti sarebbe stata in grado di sopportare l’impatto, risultava esatta solo nell’evenienza in cui non si fosse tenuto conto del giunto di dilatazione, elemento in grado di rendere instabile la protezione anche in caso di integrità del tirafondo.
12.4 Con il quarto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.c), d) ed e), cod.proc.pen. – la nullità della sentenza per avere la Corte rigettato la richiesta di consentire che l’esame del perito venisse svolto direttamente dai consulenti di parte nonché la richiesta di confronto tra gli stessi tecnici, con conseguente inutilizzabilità del risultato probatorio, nonché per avere rigettato la richiesta di rinnovazione istruttoria ai sensi dell’art.603 cod.proc.pen.
Ha dichiarato di impugnare la sentenza nella parte in cui aveva rigettato l’appello avverso l’ordinanza resa il 12/09/2018 dal Tribunale, con la quale era stata respinta la richiesta di consentire ai consulenti tecnici di esaminare direttamente il perito, quella di disporre un confronto tra gli stessi e quella d integrare l’istruttoria mediante esame dell’Ing. NOME COGNOME che si era occupato della prova di crash test eseguita il 29/12/2016.
Ha quindi dedotto che la Corte, al cospetto delle relative nullità, avrebbe dovuto disporre la rinnovazione degli atti istruttori nulli.
Ha, altresì, impugnato l’ordinanza con cui la Corte territoriale aveva rigettato la richiesta di rinnovazione istruttoria, contemporaneamente disponendo una nuova audizione del perito; ravvisando la contraddittorietà di tale decisione, in quanto l’esame del perito doveva vertere sui medesimi temi oggetto di doglianza e in ordine ai quali era stata però affermata l’irrilevanza dell’escussione dei testi della difesa; essendo, ulteriormente, rimasta priva di riscontro la richiesta di audizione dell’Ing. COGNOME
12.5 Con il quinto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 40 cpv. e 43 cod.pen., in ordine all’attribuzione della posizione di garanzia e alla congruenza della stessa rispetto alla regola cautelare assunta come violata nonché il travisamento e l’omessa valutazione delle risultanze processuali e della normativa di riferimento, in ordine al medesimo profilo.
Ha premesso che l’imputazione del fatto non può esaurirsi nella rilevazione della titolarità formale di una posizione di garanzia ma implica, necessariamente,
la verifica in ordine alla sussistenza di una regola cautelare che il garante era abilitato ad esercitare.
Nello specifico, ha dedotto che la regola cautelare rientrava nella competenza delle articolazioni centrali della società concessionaria e che alle articolazioni decentrate spettasse la mera attuazione delle procedure e delle norme tecniche, mancando quindi l’elemento decisivo rappresentato dal potere di autonormazione cautelare in materia di manutenzione delle infrastrutture quali le barriere new jersey; richiamando, al proposito, il contenuto dell’istruzione di servizio n.24/2008, da cui si evinceva la competenza delle strutture centrali nell’elaborazione di modalità tecniche e norme di manutenzione, nonché l’ordine di servizio n.12/2012, in cui si ribadiva la competenza centralizzata per l’individuazione delle linee guida in materia di manutenzione; richiamando, sul punto, anche le dichiarazioni del teste COGNOME quale soggetto responsabile del coordinamento delle Direzioni di Tronco.
12.6 Con il sesto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.43 cod.pen., anche sotto la specie del travisamento delle risultanze processuali, con riguardo al giudizio di prevedibilità dell’evento e al giudizio di evitabilità afferente al comportamento alternativo lecito.
Ha dedotto che, erroneamente, la Corte territoriale avrebbe ritenuto che il dato dell’inadeguatezza delle modalità di monitoraggio già adottate avrebbe costituito un dato pacificamente noto agli operatori già in epoca anteriore al sinistro; ritenendo, invece, che tale livello di consapevolezza fosse emerso solo successivamente all’evento in questione.
Al riguardo, ha sostenuto che l’ispezione visiva aveva rappresentato e tuttora rappresenti l’unica metodologia disponibile per valutare lo stato di conservazione delle barriere di sicurezza, richiamando sul punto il contenuto di alcune deposizioni testimoniali e rilevando che, dal complesso dell’istruzione dibattimentale, era risultato che le modalità di controllo visivo erano quelle generalmente adottate anche da parte di altri concessionari.
Ha dedotto che la motivazione della sentenza doveva ritenersi illogica nella parte in cui aveva limitato le modalità di controllo visivo adottate dal concedente alle sole visite ispettive, trascurando di considerare che medesime modalità erano adottate nelle ulteriori visite di esercizio e di controllo, sottolineando come la modalità di controllo della coppia di serraggio dei bulloni nell’ambito di tale attività fosse stata prevista solo in epoca successiva al sinistro; deducendo anche che la sentenza avrebbe travisato gli elementi di prova dimostrativi del fatto che l’ente concessionario svolgesse controlli a campione sui dispositivi di ritenuta, a propria volta corrispondenti al contenuto della regola di diligenza che la sentenza impugnata aveva ritenuto violata; tutti elementi dai quali è stata dedotta
l’imprevedibilità del fenomeno di usura e l’inutilità della pretesa condotta alternativa lecita.
Ha poi censurato la decisione impugnata nella parte in cui aveva ritenuto codificata la modalità di controllo rappresentata dall’uso della chiave dinamometrica dalla norma armonizzata EN 1090, risalente al 2008, assumendo che tale modalità aveva – in precedenza – un carattere meramente sperimentale e che la predetta norma si riferiva alla sola fase del serraggio e non alla manutenzione propriamente intesa, non riferendosi alla materia delle modalità di controllo su barriere autostradali e non essendo idonea comunque a verificare il fenomeno della corrosione di un ancorante annegato nel cemento.
Ha dedotto come anche l’introduzione delle modalità di controllo tramite chiave dinamometrica avesse evidenziato il carattere non risolutivo di tale strumento, non esistendo correlazione diretta tra il mantenimento del valore della coppia di serraggio del dato del tirafondo e lo stato di corrosione dell’asta filettata; evidenziando il carattere non rilevante del riferimento, operato dalla Corte, alla precedente adozione di tale modalità di controllo sull’autostrada Torino-Savona.
Ha quindi esposto che la normativa di prodotto rilevante, ovvero i manuali di installazione e monitoraggio delle barriere, non conteneva alcuna avvertenza circa la possibile corrosione a cui potevano andare soggetti gli ancoranti né forniva indicazioni specifiche circa le modalità di manutenzione e controllo, in coerenza con le conoscenze disponibili al momento della introduzione di tali barriere e comunque al momento in cui il ricorrente aveva esercitato le proprie funzioni di Direttore di Tronco.
Ha dedotto che la Corte aveva illogicamente disatteso le censure inerenti all’imprevedibilità del fenomeno corrosivo e allegava comunque il dato della improvvisa accelerazione del medesimo solo a partire dal 2009, anno in cui erano stati svolti dei lavori di manutenzione straordinaria sulla stessa tratta autostradale, in ordine ai quali il Collegio aveva ritenuto non credibili – contrariamente a quanto argomentato dal Tribunale – le testimonianze rese dal COGNOME e dall’COGNOME, con specifico riferimento al dato in base al quale, all’epoca suddetta, le condizioni dei tiranti si presentassero come ottimali; adducendo, sul profilo relativo alla valutazione delle predette testimonianze, un vizio di travisamento della prova.
Nel richiamare quanto esposto nei motivi di appello, ha dedotto che – nella evoluzione del fenomeno si ammaloramento – si era manifestato quello dovuto alla corrosione del ferro determinata dallo sviluppo della magnetite e che avrebbe costituito un meccanismo di degrado inaspettato e imprevedibile; ha dedotto che la sentenza avrebbe valutato, in ordine al fenomeno corrosivo, le sole considerazioni espresse dal perito nell’elaborato scritto senza tenere conto del
fatto che lo stesso, in sede di dibattimento, aveva sostanzialmente aderito alla spiegazione contraria fornita dai consulenti di Autostrade.
Ha contestato l’argomentazione della Corte in base alla quale le cautele assunte al fine di prevenire il fenomeno corrosivo avrebbero soltanto dimostrato che tale rischio era conosciuto, dovendosi invece ritenere che le guaine e le guarnizioni apposte per impermeabilizzare il cordolo fossero funzionali a impedire infiltrazioni di acqua e sali disgelanti tra la barriera e il cordolo stesso, non potend immaginarsi che l’acqua potesse raggiungere la cameretta d’espansione.
12.7 Con il settimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.449 cod.pen, e il difetto motivazione sul punto.
Ha premesso che, sulla base del ragionamento seguito dalla Corte, la fattispecie del disastro colposo sarebbe stata ravvisabile in presenza delle condizioni di rischio per la sicurezza della circolazione, innestate dalle condotte colpose; omettendo così di valutare le argomentazioni difensive in ordine alla necessità di un effettivo e reale pericolo per l’incolumità pubblica, tanto in assenza di verifica del necessario macro-evento di danno e finendo per interpretare la fattispecie del disastro come si trattasse di una previsione incriminatrice tale da anticipare la tutela penale alla condizione della sola soglia di pericolo della verificazione del disastro, pertanto prescindendo dall’analisi in ordine all’effettiv sussistenza di un pericolo comune per l’incolumità pubblica, in ossequio alla necessaria valutazione dell’offensività in concreto.
Elementi che avrebbero dovuto condurre la Corte, tra l’altro, ad attribuire una particolare rilevanza all’analisi del luogo in cui si era verificato l’evento.
12.8 Con l’ottavo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.133 cod.pen., con specifico riferimento al parametro commisurativo del grado della colpa e il difetto di motivazione in punto di giudizio di determinazione della pena, dichiarando altresì di censurare la sentenza impugnata anche in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Ha dedotto l’illogicità intrinseca della motivazione nel punto in cui, in sede di commisurazione della pena, aveva ritenuto – tra i soggetti investiti della medesima funzione di responsabile di Tronco – maggiormente censurabile la condotta di chi aveva assunto l’incarico per un minore tempo antecedente rispetto ai fatti.
Ha esposto che era mancata qualsiasi effettiva valutazione del grado della colpa in relazione a elementi quali la gravità delle violazioni e l’estensione obiettiva dell’inosservanza cautelare accertata oltre che al carattere generico o specifico della colpa medesima; ritenendo che una valutazione condotta secondo tali
parametri avrebbe dovuto condurre ad un diverso giudizio GLYPH punto di graduazione della pena; ha dedotto che la Corte avrebbe dovuto tenere conto – in punto di apporto causale -impeditivo della condotta colposa – della ritenuta responsabilità anche di membri della Direzione Centrale nonché del grado di evitabilità dell’evento; ha dedotto l’omessa considerazione degli elementi tipici del versante soggettivo della colpa con particolare riferimento alla riconoscibilità della regola cautelare, alla prevedibilità in concreto dell’evento e al contesto situazionale, anche alla luce del predetto coinvolgimento dei livelli centrali della società.
Ha dedotto che la motivazione doveva ritenersi altrettanto carente in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche, fondandosi la stessa su considerazioni meramente tautologiche quali la gravità del fatto e deducendo la superficialità nell’approccio al tema della sicurezza stradale, richiamando sul punto le precedenti considerazioni in tema di prevedibilità dell’evento e di rimproverabilità soggettiva, essendo mancata qualsiasi considerazione in ordine al concreto contesto operativo in cui il ricorrente aveva svolto il suo incarico, anche alla luce della brevità del lasso temporale nella quale era stata ricoperta la carica di Direttore di Tronco; non essendo altresì stato valorizzato l’esemplare comportamento processuale tenuto.
13. NOME COGNOME ha articolato undici motivi di impugnazione.
13.1 Con il primo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 157 e 589 cod.pen., nonché degli artt. 581, comma 1, lett.a), 597, comma 3 e 568, comma 4, cod.proc.pen. per avere la sentenza gravata escluso l’intervenuta prescrizione del reato contestato ai sensi dell’art.589, commi 1 e 2, cod.pen..
Ha evidenziato che il Tribunale aveva pronunciato sentenza di condanna per il reato previsto dall’art.589, comma 1, cod.pen., previa esclusione dell’aggravante attinente alla violazione di norme sulla circolazione stradale punto sul quale non era intervenuta alcuna impugnazione da parte del p.m. – con la conseguenza che, al momento della celebrazione del giudizio di fronte alla Corte d’appello, era già decorso il relativo termine di prescrizione di sette anni e sei mesi; ha dedotto che la Corte d’appello, nel riconoscere, al contrario, l’esistenza della predetta aggravante avrebbe violato il principio del divieto di reformatio in peius previsto dall’art.597, comma 3, cod.proc.pen.
Ha dedotto – in relazione ai rapporti tra l’art.589 cod.pen. nella vecchia formulazione e l’attuale art.589bis cod,pen. – che la disciplina più favorevole andava considerata quella previgente in quanto idonea, previa esclusione dell’aggravante, a condurre alla dichiarazione di prescrizione del reato; ha dedotto che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non fosse sufficiente
che l’aggravante relativa alla colpa specifica fosse stata richiamata nel capo di imputazione per concludere che la stessa, una volta esclusa in primo grado e in assenza di impugnazione da parte del p.m., potesse essere applicata ex officio in grado di appello, non potendosi richiamare – attesa la natura delle circostanze il potere, conferito dall’art.597, comma 3, cod.proc.pen. al giudice di appello, di dare del fatto una definizione giuridica più grave rispetto a quella ritenuta in prim grado; neanche essendo richiamabili i principi contenuti nella sentenza di questa Corte avente n.47488/2022, richiamata dal giudice di appello, attesa la mancata interdipendenza con l’impugnazione proposta dal p.m. avverso l’assoluzione degli imputati posti in posizioni apicali e nemmeno essendo ravvisabile tale vincolo con l’impugnazione proposta dagli altri imputati, dovendosi altresì richiamare il principio di formazione progressiva del giudicato.
13.2 Con il secondo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.c), d) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 178, lett.c), 191, 501, 526 e 603, comma 3, cod.proc.pen. e la nullità della sentenza derivante dal rigetto della richiesta difensiva di consentire che l’esame del perito venisse svolto direttamente dai consulenti di parte e di quella di escutere nuovamente i consulenti di parte dopo l’esame del perito; con conseguente inutilizzabilità del risultat probatorio dell’esame medesimo; nonché l’illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla predetta richiesta attinente allo svolgimento dell’esame del perito e alla richiesta di confronto con i consulenti di parte.
Ha premesso che, con specifico motivo di appello, erano state impugnate le ordinanze emesse dal Tribunale il 12/09/2018 con cui era stata rigettata la richiesta difensiva di permettere ai consulenti di parte l’esame diretto del perito la richiesta di confronto tra questo e i consulenti stessi.
Ha dedotto che la motivazione della Corte doveva ritenersi errata nella parte in cui non aveva ravvisato alcuna violazione del diritto al contraddittorio tanto in relazione alla richiesta di esame diretto da parte dei consulenti di parte quanto in riferimento alla richiesta di confronto, atteso che le conclusioni esposte dai consulenti di parte erano da ritenersi sostanzialmente difformi da quelle del perito in punto di ricostruzione della dinamica del sinistro; ha pure dedotto la non fondatezza dell’argomentazione della Corte in base alla quale la violazione del diritto di escutere i consulenti di parte dopo il perito concretizzava una nullità regime intermedio non tempestivamente eccepita e ciò atteso che i difensori avevano prospettato la relativa eccezione già prima dell’adozione dell’ordinanza; ne conseguiva che, al cospetto della nullità dell’ordinanza del Tribunale, la Corte avrebbe dovuto disporre la rinnovazione dell’attività istruttoria; deducendo un ulteriore profilo di inutilizzabilità derivante dalla negazione del confronto co
consulenti di parte, in violazione dei principi specifici applicabili alla pr scientifica.
13.3 Con il terzo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione delle ordinanz rese dai giudici di appello e della sentenza nella parte in cui era stata rigettata richiesta di rinnovazione istruttoria, in riferimento al disposto dell’art.603, comm 1 e 3, cod.proc.pen..
Specificamente, ha rilevato la contraddizione tra tale decisione e quella cui era stato disposto il nuovo esame del perito, cui – dopo avere preso att della volontà dei difensori di non procedere all’esame – la Corte non aveva peraltro posto alcuna domanda, in violazione dell’art.151, comma 2, disp.att., cod . proc. pen
Ha dedotto altresì l’illogicità dell’ordinanza che aveva rigettato la richiest di espletamento di una nuova perizia, da ritenere pure in contraddizione con quella che aveva disposto il nuovo esame del perito nominato dal Tribunale.
13.4 Con il quarto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 40, 41 e 589 cpv. cod.pen per avere la sentenza gravata riconosciuto il nesso di causalità ricostruendo il sinistro mediante un modello di elaborazione superato e in violazione del principio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”.
Ha richiamato i principi dettati da questa Corte in punto di valutazione della prova scientifica e della necessità di un’adeguata certezza nell’ambito della comunità degli esperti sui metodi adottati, con particolare riferimento alla tematica del nesso di causalità; ha dedotto che la Corte non avrebbe, di fatto, giustificato l’adeguatezza del metodo di calcolo adottato dal perito, ovvero il metodo COGNOME, da ritenere superato, anche alla luce della normativa convenzionale, al cospetto dei metodi MUSIAC e Ls-Dyna, rispettivamente adoperati dai consulenti del p.m. e da quelli della difesa e non in grado di effettuare il riscontro dei risultati otte con le evidenze rappresentate da tracce, segni e traiettorie; ha quindi esposto che, sulla base della propria consulenza di parte, la velocità del mezzo e l’angolo di impatto avrebbero prodotto un’energia d’urto superiore a quella che le barriere potevano sopportare, pur appartenendo le stesse alla classe H4 ovvero quella dotata della massima capacità di contenimento; contestando che la correttezza del metodo seguito dal perito potesse essere confermata dalle dichiarazioni rese dal teste COGNOME e dalla tese COGNOME, pure valorizzate dalla Corte territoriale; operava quindi un integrale rinvio al motivo di appello già formulato in pun di ricostruzione della dinamica del sinistro; ha pure dedotto l’illogicità del motivazione in ordine alla valenza probatoria del crash test eseguito il 29/12/2016
presso il Centro prove RAGIONE_SOCIALE dai consulenti della difesa, risultando inconferente il richiamo alla carenza di contraddittorio.
Ha dedotto che, nell’atto di appello, era stata evidenziata la diversa funzione che i tirafondi svolgono nella struttura del dispositivo rispetto a quell ipotizzata dalla sentenza di primo grado e che, in particolare, la componente corrosiva non implicava un’automatica compromissione della prestazione di contenimento; che, in ogni caso, la conclusione dei consulenti della difesa era quella in base alla quale il bus sarebbe caduto anche in presenza di ancoranti perfettamente integri e che l’opposta conclusione poteva essere giustificata solo non tenendo conto della presenza del giunto di dilatazione; evidenziando, ulteriormente, il dato rappresentato dalla decisiva deviazione della traiettoria derivante, dopo il primo urto contro le barriere, dalla collisione con altro mezzo che aveva impedito all’autobus di proseguire verso il centro della carreggiata.
13.5 Con il quinto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 40, 41, 589 cpv. cod.pen. dell’art.14 del d.lgs. n.285/1992, per avere la sentenza impugnata affermato la sussistenza di una posizione di garanzia in termini generali e astratti.
Sul punto, ha richiamato il contenuto di alcune istruzioni di servizio (la n.1 del 2005 e la n.9 del 2013) nonché della procura notarile del 13/10/2009; ha dedotto che l’istruzione n.1/2005, nel definire le responsabilità del Direttore di Tronco (posizione rivestita dal ricorrente dal 12/10/2009 al 06/05/2012), indicava quella di monitorare lo stato dell’infrastruttura attraverso gli elementi forniti da competenti strutture interne ed esterne; ha quindi dedotto che le rispettive strutture e tra cui, in particolare, l’unità organizzativa Esercizio, erano dotate di autonomia, derivandone che la posizione di garanzia poteva attivarsi solo con la comunicazione di anomalie da parte dei responsabili di tali strutture interne, come confermato dall’istruzione n.9/2013 nella parte in cui indicava tra la aree di responsabilità del Direttore di COGNOME quella del monitoraggio dell’infrastruttura “anche” attraverso gli elementi forniti dalle strutture interne, introducendo quindi ex novo la congiunzione “anche”, elemento che faceva ritenere che – per il pregresso – il monitoraggio dovesse avvenire solo attraverso gli elementi forniti dalle stesse strutture interne; evidenziava altresì il contenuto della citata procur notarile, la quale definiva i compiti del Direttore di Tronco facendo dirett riferimento agli ordini e le istruzioni di servizio vigenti; ne conseguiva che, poiché nel periodo in cui il ricorrente aveva esercitato le proprie funzioni alcuna segnalazione di anomalia era pervenuta, mancavano i presupposti per il riconoscimento della posizione di garanzia.
Ha esposto come, pure di fronte a uno specifico motivo di appello, la Cor territoriale avesse omesso di argomentare in ordine al profilo di auton
rivestito dal Centro Esercizio in relazione al monitoraggio delle arterie; richiamando, sul punto, anche le risultanze dell’istruzione dibattimentale e delle prove testimoniali ivi acquisite; esponendo come, nel periodo di svolgimento dei compiti di Direttore di Tronco, non risultasse l’attivazione di alcun flusso d comunicazione da parte delle strutture interne.
13.6 Con il sesto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 43 e 589 cpv. cod.pen., per avere la sentenza impugnata ritenuto la prevedibilità ed evitabilità della corrosione dei tirafondi con argomentazione in parte omessa e in parte illogica.
Ha premesso che la sentenza impugnata aveva disatteso le censure articolate nei motivi di appello in relazione all’imprevedibilità del fenomeno corrosivo dei tirafondi delle barriere installate sul viadotto INDIRIZZO, ponendosi in contrasto con la consolidata esegesi in materia di reati omissivi impropri colposi; contestando la conclusione della sentenza impugnata in base alla quale il fenomeno della corrosione sarebbe stato già elaborato e conosciuto dalla comun scientifica da tempo addietro rispetto all’evento, appuntando perciò il conseguente giudizio di prevedibilità, non sull’evento concreto, ma su un evento generale e non tenendo conto delle anomalie del caso esaminato; in particolare, deduceva che sulla base dei contributi tecnici apportati dai consulenti di parte – il fenomeno dell corrosione interna dei tirafondi (sino alla c.d. cameretta di espansione) e in assenza di rottura o scollamento della barriera, fosse assolutamente imprevedibile all’epoca in cui si era concretamente verificato, essendo il sistema di protezione approntato all’epoca dell’installazione da ritenere del tutto idoneo sulla base delle conoscenze allora disponibili; sottolineando la sussistenza di un fattore imprevedibile, rappresentato dall’accoppiamento tra ferro e magnetite e richiamando, sul punto, le considerazioni svolte dai consulenti di Autostrade in ordine all’incolpevole assenza di consapevolezza in riferimento alla problematica in questione; conseguendone che il tema della prevedibilità avrebbe dovuto essere trattato non in relazione al fenomeno della corrosione, in sé considerato, ma in riferimento alle specifiche e impreviste condizioni che avevano determinato l’accelerazione della corrosione medesima in ragione dell’accoppiamento suddetto. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Formulava, altresì, espressa censura in ordine alle affermazioni della Corte relative alle modalità di accelerazione del fenomeno, che sarebbero state asseritamente sostenute dalle difese in riferimento ai lavori di manutenz straordinaria eseguiti nell’anno 2009 sulle travi esterne delle campate nn.3 e del viadotto INDIRIZZO e ritenute indimostrate; evincendosi dalla relazione di Autostrade che – nell’occasione – lo stato dei tiranti non aveva denotato situazioni critiche; dovendosi quindi ritenere che la corrosione – che aveva interessato in modo particolare il tratto di ancorante in corrispondenza della cavità realizzata nel
cordolo di base per permettere la flessione laterale del tassello e non visibile nelle attigue zone esterne visibili – fosse stato il frutto di un fenomeno di accelerazione negli anni immediatamente a ridosso dell’incidente.
Ha, altresì, dedotto l’omessa motivazione in ordine alle contraddittorie affermazioni che sarebbero state rese dal perito sul fenomeno corrosivo; deducendo come, dalle dichiarazioni rese in sede di esame, doveva desumersi una sostanziale adesione alla tesi dei consulenti di Autostrade in ordine alla particolarità del fenomeno medesimo.
Ha dedotto l’illogicità della conclusione in base alla quale la mancata corrosione dei tirafondi sostituiti nel 2009 – come constatata nel 2013 – dovesse ritenersi come una smentita circa l’accelerazione del fenomeno corrosivo; ha dedotto l’illogicità dell’affermazione secondo cui le cautele assunte per evitare i contatto con le acque avrebbero dimostrato la notorietà del fenomeno in questione, argomentando che la collocazione delle guaine e della guarnizioni di impermeabilizzazione erano risultate perfettamente integre, in tal modo dimostrando come non fosse assolutamente ipotizzabile che l’acqua potesse raggiungere la cameretta di espansione; esponendo che il complesso dell’istruttoria aveva dimostrato che l’insieme delle forme di protezione fosse dimostrativo della particolare attenzione e cautela con la quale era stato installato il prodotto, da ritenere – sulla base delle conoscenze dell’epoca – di una durata potenzialmente equivalente a quella della barriera nel suo complesso; concludendone che la sentenza impugnata aveva omesso di valutare la situazione concreta e i profili di prevedibilità ed evitabilità riferiti all’agente “reale”; ha, contestato la congruità della motivazione in ordine alla tematica dell’azione dei sali disgelanti, ritenendo che l’imprevedibilità dell’evento non fosse connessa con gli effetti di questi ultimi ma a un’evoluzione inattesa del fenomeno corrosivo. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
13.7 Con il settimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 43 e 589 cpv. cod.pen., pe avere la sentenza impugnata affermato la sussistenza di una regola cautelare, fondante la colpa specifica, attinente ai controlli da eseguire sulle barriere.
Ha dedotto che l’istruttoria aveva dimostrato che, solo successivamente al sinistro e in seguito a una valutazione postuma, potesse desumersi il carattere inadeguato delle modalità di controllo adottate dal concessionario; ha dedotto il travisamento delle prove per omissione e la conseguente illogicità della motivazione in ordine all’inadeguatezza dei controlli visivi, atteso che l’istruzion dibattimentale aveva dimostrato che questi costituivano l’unica metodologia disponibile per valutare lo stato di conservazione delle barriere di sicurezza e argomentando come la procedura di controllo visiva fosse stata adottata anche dai consulenti del p.m. nella parte di operazioni finalizzate a valutare il livello di
sicurezza della barriere al di fuori della zona d’urto dell’incidente; ha dedott l’illogicità della motivazione nella parte in cui avrebbe, da un lato, convalidato modalità di controllo visivo operate dall’ANAS e il conseguente travisamento per omissione in relazione alle visite di esercizio o di controllo durante le quali eran state adottate le stesse modalità.
In particolare, ha dedotto che la Corte sarebbe partita dal presupposto rappresentato dalla diversità tra le modalità di monitoraggio adottate dal concessionario rispetto a quelle riservate al concedente e limitate alla sola verifica visiva, deducendo il travisamento della Convenzione Unica del 12/10/2007 con l’ANAS, che abilitava quest’ultimo a disporre visite cd. di esercizio o di controll per verificare lo stato di manutenzione dell’infrastruttura oltre alle vis programmate sulla base del piano annuale di monitoraggio (PAM) e nel cui ambito pure si esercitava la modalità di verifica visiva.
Ha dedotto un vizio di travisamento della prova nella parte in cui la Corte aveva ritenuto che Autostrade perimetrasse il controllo visivo alle sole visite biennali del programma PAM, deducendo come le visite si effettuassero anche a piedi e non solo su veicolo (come ritenuto dal giudice d’appello) e che lo strumento visivo era quello più importante, ma non l’unico adottato, evidenziando come le linee guida in materia da parte della struttura deputata alla vigilanza su concessionario fossero mutate proprio a seguito dell’incidente in oggetto.
Ha ritenuto illogica la motivazione nella parte in cui aveva escluso che la concessionaria effettuasse controlli a campione sulle barriere, ritenendo tale affermazione smentita dalle risultanze istruttorie; e concludendo che, se tali controlli non avevano rilevato anomalie, ciò deponeva per il carattere imprevedibile del fenomeno di corrosione, l’inutilità della pretesa condotta alternativa lecita e la conseguente inesistenza della previa e necessaria regola cautelare; in relazione alla quale censurava altresì sotto il profilo dell’illogic travisamento della prova le considerazioni della Corte circa l’uso della chiave dinamometrica, essendo destituita di fondamento l’argomentazione secondo cui la disciplina della regola cautelare sarebbe stata contenuta nella norma EN 1090, che limitava il ricorso a tale strumento solo per il serraggio di viti e bulloni e non il controllo di manutenzione, al di là del difetto – comunque – di idoneità anche della relativa operazione (con ulteriore censura spiegata sul punto in cui la Corte aveva escluso che il ricorso alla chiave dinannometrica fosse stata un’iniziativa isolata e comunque sperimentale – nella gestione dell’autostrada Torino-Savona nel corso di ispezioni effettuate nel 2012).
13.8 Con l’ottavo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 43 e 589 cpv. cod.pen., per avere la sentenza impugnata affermato la responsabilità del ricorrente senza conside
la c.d. misura soggettiva della colpa, sotto il profilo della esigibilità comportamento dovuto rapportato alle peculiarità del caso concreto.
Ha dedotto che – sulla base delle risultanze istruttorie – era emerso che il ricorrente avesse agito ritenendo la correttezza della metodologia di carattere visivo adottata dagli stessi enti concedenti, autorità amministrative deputate alla tutela dell’interesse pubblico; ha altresì dedotto che – nel periodo compreso tra l’ottobre del 2009 e il maggio del 2012 – il ricorrente aveva ricoperto anche il ruolo di direttore del Quinto Tronco di Fiano e del Sesto Tronco di Cassino, con il conseguente carico di incombenze; che la decisione impugnata aveva omesso di motivare in ordine alle iniziative adottate dal ricorrente sul tema della manutenzione nell’ambito dell’organizzazione delle strutture dallo stesso gestite oltre che su quello della formazione; argomentando che il ricorrente aveva agito sulla base della conoscenza acquisita all’esito dei lavori di somma urgenza svolti nell’anno 2009, nel corso dei quali non erano state segnalate anomalie; sottolineando, altresì, l’assenza di competenze specifiche in materia di barriere di sicurezza.
13.9 Con il nono motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.449 cod.pen., in relazione all’art.43 cod.pen., per avere la sentenza gravata ritenuto la sussistenza del pericolo per la pubblica incolumità
Ha dedotto che fosse carente, nel caso di specie, l’elemento rappresentato dal pericolo per la pubblica incolumità e, quindi, per un numero indeterminato di soggetti; ha dedotto che la sentenza aveva omesso di considerare le condizioni ex ante effettivamente presenti, ma preso in esame solo quelle potenziali, tenendo conto di dati non disponibili quali quelli relativi al traffico; derivandone che valutazione era stata operata ex post sulla base di quanto, di fatto, verificatosi; essendo altresì illogica la mancata considerazione delle condizioni dell’area sottostante il viadotto, trattandosi di zona non urbanizzata.
13.10 Con il decimo motivo, ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.c) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.533 cod.proc.pen., per avere la sentenza pronunciato una condanna in violazione della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio”.
Ha argomentato che la sentenza era affetta da un palese vizio metodologico in punto di valutazione comparativa degli esiti istruttori, violando quindi l suddetta regola di giudizio.
13.11 Con l’undicesimo motivo, ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 62b1s, 132, 133, 589 cpv., 449 (in relazione all’art.434) cod.pen., per avere la sentenza irrogato una pena
edittale incongrua e denegato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Ha evidenziato che il giudizio in punto di dosimetria della pena e di diniego della circostanze attenuanti generiche si fondava su una motivazione apparente e non individualizzata; ritenendo insufficiente il mero richiamo alla gravità dell condotta, atteso il mancato riferimento alle circostanze specifiche del caso concreto, che avrebbero dovuto indurre a irrogare una pena contenuta nel minimo edittale e con un minimo aumento a titolo di concorso formale; con considerazioni richiamate anche in riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
14. NOME COGNOME – nel ricorso sottoscritto dall’Avv. NOME COGNOME – ha articolato cinque motivi di impugnazione.
14.1 Con il primo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.c), cod.proc.pen. – la violazione degli artt.581, comma 1, lett.a), 597, comma 3 e 568, comma 4, cod.proc.pen., per avere la sentenza gravata escluso l’intervenuta prescrizione del reato previsto dall’art.589 cod.pen., previo riconoscimento dell’aggravante prevista dal comma 2, in assenza di appello del p.m. sul punto.
Ha dedotto che, in assenza della suddetta impugnazione, la Corte territoriale aveva riconosciuto l’aggravante prevista dall’art.589, comma 2, cod.pen., esclusa dal giudice di primo grado, in tal modo violando il divieto di reformatio in peius previsto dall’art.597, comma 3, cod.proc.pen., essendo carente il potere del giudice di appello di ritenere sussistente una circostanza aggravante non oggetto di pregressa devoluzione.
14.2 Con il secondo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità dell motivazione con riguardo al giudizio di prevedibilità dell’evento in relazione al fenomeno corrosivo constatato sui tirafondi delle barriere del viadotto INDIRIZZO, con violazione degli artt. 40 e 43 cod.pen..
Ha dedotto che la Corte territoriale avrebbe violato le norme richiamate assumendo che il solo controllo visivo non rappresentasse un’idonea regola cautelare; ha evidenziato che i consulenti di Autostrade avevano qualificato il fenomeno corrosivo, non come fisiologico ma come patologico, trattandosi di evenienza sconosciuta prima del verificarsi dell’incidente, elemento desumibile proprio dalle modalità dei controlli eseguiti, non solo per conto del concessionario ma anche da parte dei funzionari del proprietario della rete, evidenziando che nel corso delle operazioni – anche i consulenti del p.m. avevano adoperato tale modalità di controllo sullo stato delle barriere di protezione dello stesso viadotto ne conseguiva, secondo la prospettazione difensiva, che il carattere eccezionale
dell’accelerazione della corrosione doveva essere qualificato come fattore sopravvenuto idoneo a escludere il nesso di causalità.
14.3 Con d terzo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità motivazione, con riguardo agli artt. 40 e 43 cod.pen., in ordine all’adeguat a prevenire l’evento ravvisata nel comportamento alternativo consistente nell’uso della chiave dinamometrica.
Esponeva che la sola posizione di garanzia non fosse idonea a fondare un giudizio di colpevolezza in assenza dell’accertamento della violazione di una r cautelare; specificamente, in relazione all’uso della chiave dinannometric esposto che l’istruttoria aveva invece dimostrato che tale strumento non avrebbe potuto fornire informazioni utili al fine di prevenire l’evento, richiamando quant dichiarato dal consulente di Autostrade, con la conseguenza che la motivazione della Corte doveva ritenersi carente in punto di indicazione dell’efficacia dell condotta alternativa lecita.
14.4 Con il quarto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità dell motivazione, con riguardo agli artt. 40 e 43 cod.pen., in ordine all’individua della posizione di garanzia del ricorrente.
Ha censurato la decisione del giudice di appello in punto di ritenuta inadeguatezza delle modalità di monitoraggio e nella parte in cui aveva addebitato al ricorrente delle (omesse) modalità di controllo che esorbitavano dai suoi compiti specifici, con particolare riferimento al controllo dei dadi posti sulla tes tirafondi; ha evidenziato che, sulla base dell’istruzione di servizio n.1/2005, l’Area Esercizio (coincidente con quella gestita dall’imputato) era competente per la sola manutenzione ordinaria – da effettuare tramite controllo visivo – e che, nel periodo di tempo in cui l’incarico era stato ricoperto, mai era stato segnalato alcu fenomeno corrosivo interessante i tirafondi; evidenziando, altresì, come i compiti del responsabile dell’Area Esercizio fossero solo quelli di garantire la viabilità del tratta e che quelli attinenti al monitoraggio erano solo a tal fine previsti; ha espo che i lavori di urgenza del 2009 avevano evidenziato l’integrità delle barriere e dei tirafondi e che l’incarico era stato svolto dal ricorrente sino al 2010, con conseguente insussistenza del necessario nesso causale.
14.5 Con il quinto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.449 cod,pen., in riferime all’art.434 cod.pen. in punto di ritenuta sussistenza del delitto di disastr e il vizio di motivazione sul punto.
Ha dedotto che, nel caso di specie, l’evento dannoso in concreto verificatosi doveva ritenersi coincidente con la caduta dell’automezzo ovvero, eventualmente,
nella concatenazione di urto tra i mezzi, unico evento astrattamente imputabile al ricorrente ma privo della caratteristica dell’idoneità a ledere un numero indeterminato di persone.
15. NOME COGNOME – nel ricorso sottoscritto dall’Avv. NOME COGNOME – ha articolato otto motivi di impugnazione.
15.1 Con il primo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.597, comma 3, cod.proc.pen., in relazione all’art.589, comma 2, cod.pen. e all’art.157, comma 6, cod.pen..
Ha dedotto che la Corte avrebbe ritenuto sussistente la possibilità, in capo al giudice di appello, di riconoscere perfezionata – in assenza di impugnazione del p.m. sul punto – un’aggravante esclusa dal giudice di primo grado e di ritenere tale riforma rilevante anche ai fini del calcolo del termine di prescrizione, i assenza di devoluzione del relativo punto della decisione di primo grado.
15.2 Con il secondo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – l’omessa motivazione in punto di sussistenza dell’aggravante contestata ai sensi dell’art.589, comma 2, cod.pen..
In via subordinata rispetto al primo motivo, deduceva la carenza di motivazione in punto di qualificazione del fatto come aggravato dalla violazione di norme sulla circolazione stradale, non essendo stata motivata la asserita sussistenza della violazione dell’art.14 C.d.s.; esponendo che il giudice di appello si sarebbe sottratto all’onere di motivazione rafforzata dovuta in caso di riqualificazione in peius.
15.3 Con il terzo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.589 cpv. cod.pen., in relazione agli artt. 40 e 43 cod.pen. e all’art.14 C.d.s..
Ha dedotto che la Corte territoriale avrebbe erroneamente attribuito all’art.14 C.d.s. la funzione di fonte della regola cautelare, allorquando la norma avrebbe la sola funzione di fonte della posizione di garanzia, evidenziando peraltro come la natura non cautelare della predetta disposizione fosse stata evidenziata dallo stesso giudice d’appello in alcuni passaggi della sentenza.
15.4 Con il quarto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.449 cod.pen. e, comunque, l’omessa motivazione sulle componenti del delitto di disastro colposo.
Ha dedotto che la Corte avrebbe valorizzato il pericolo derivan dall’ammaloramento delle barriere finendo per qualificare il reato come di pericolo e di pura condotta, quando la fattispecie di disastro colposo richiede necessariamente un evento di danno da cui sia scaturito un reale pericolo per la pubblica incolumità; deducendo come la Corte avesse indebitamente sovrapposto,
nel giudizio di pericolosità, le due distinte condotte rappresentate dalla circolazion del veicolo e dalle condizioni manutentive delle barriere, unico frammento di condotta astrattamente imputabile al ricorrente; deducendo come l’evento costituito dalla fuoriuscita del bus dalla sede stradale non fosse stato compiutamente esaminato dal giudice di appello in ordine alle dedotte connotazioni disastrose.
15.5 Con il quinto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 40 e 43 cod.pen., anche relazione all’art.27 Cost. e il difetto di motivazione su specifici motivi di appell
Ha dedotto che la Corte territoriale non avrebbe esaminato i puntuali profili di doglianza attinenti alla posizione del COGNOME, con specifico riferimento al modalità di controllo dello stato delle barriere di protezione; ha dedotto che la Corte avrebbe individuato una violazione di regole cautelari ascrivibili alle modalità di controllo medesime ma non avrebbe fornito alcuna spiegazione sul perché tale violazione fosse ascrivibile anche al ricorrente, senza tenere conto della divisione di competenze prevista nei vari rami della società concessionaria e della specifica attività di ciascuno; richiamava il contenuto dell’atto di appello, in cui si fac riferimento all’istruzione di servizio 1/2005, delimitante i compiti dell’a Esercizio e poi a quella 24/2008, concernente le aree di responsabilità della Direzione competente per la pavimentazione e le barriere di sicurezza; concludendo che la sentenza impugnata non avrebbe individuato la fonte della dedotta posizione di garanzia.
15.6 Con il sesto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.43 cod.pen., in riferimento al modalità di individuazione della regola cautelare violata e della condotta alternativa lecita, con conseguente apoditticità del giudizio controfattuale.
Ha dedotto che la Corte avrebbe individuato la regola cautelare violata sulla base di una valutazione condotta ex post e attribuendo una valenza salvifica a una condotta – l’uso della chiave dinamometrica – in assenza di una effettiva legge scientifica di copertura, evocando quanto riferito sul punto dai consulenti di Autostrade; in tal modo, formulando un erroneo giudizio controfattuale in assenza della prova della condotta salvifica del comportamento alternativo ritenuto come dovuto.
15.7 Con il settimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.43 cod.pen. in relazione a componenti soggettive della colpa e al difetto di prevedibilità dell’evento.
Ha dedotto che la Corte non avrebbe motivato adeguatamente in ordine alla posizione specifica del COGNOME che aveva assunto la veste di responsabile di Esercizio solo quattordici mesi prima dell’evento, senza essere dotato delle
effettive competenze per occuparsi dello stato manutentivo delle barriere, al di là della prosecuzione della prassi prevedente un solo controllo di carattere visivo; ha anche evidenziato la particolare natura del materiale in relazione al quale si sarebbe consumata l’asserita omissione di controllo, attese le difficoltà connesse alla particolare collocazione dei tirafondi; esponendo che, sulla base delle stesse operazioni eseguite dai consulenti del p.m., era stato evidenziato come il fenomeno corrosivo non fosse lineare e omogeneo per ciascuna barriera, il che avrebbe comportato l’onere di un controllo individualizzato.
Ha pure esposto che la tesi difensiva, tesa a sostenere l’imprevedibilità dello sviluppo locale della corrosione, era fondata su precisi referenti scientific sui quali il giudice di appello aveva omesso di motivare e specificamente attinenti alla effettiva prevedibilità del fenomeno in rapporto alla protezione adottata sulla barriera, in relazione al particolare e atipico fattore rappresentat dall’accoppiamento galvanico tra ferro e magnetite e agli effetti localizzati su gambo dei tirafondi.
15.8 Con l’ottavo motivo ha dedotto la violazione dell’art.43 cod.pen. in relazione alla mancata valutazione del principio dell’affidamento.
Esponeva che l’argomento era strettamente correlato a quello della prevedibilità dell’evento, in quanto teso a valorizzare la posizione secondo la quale il COGNOME non aveva motivo fondato o ragionevole per temere (‘evento corrosivo poi verificatosi; ha dedotto che la componente “valutativa” in ordine alle modalità del controllo da eseguire non spettava al responsabile dell’Area Esercizio il quale – richiamando, sul punto, il relativo motivo di appello – non avrebbe avuto le competente tecniche per definire lo standard relativo sulle barriere di sicurezza, definito invece a livello centrale; conseguendone che il ricorrente aveva fatto legittimo affidamento sull’impiego, da parte dei tecnici della Direzione centrale, della diligenza richiesta per fornire le migliori indicazioni operative sugli standard di manutenzione delle barriere e che aveva quindi ragionevolmente confidato sull’idoneità delle modalità di controllo visivo sino ad allora adottate.
16. NOME COGNOME e NOME COGNOME – a mezzo del comune difensore Avv. NOME COGNOME hanno altresì proposto ulteriore ricorso, articolando undici motivi di impugnazione.
16.1 Con il primo motivo hanno dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 40, 41 e 43 cod.pen., con riguard al tema della causalità.
Hanno dedotto che la Corte sarebbe incorsa in un errore giuridico confondendo la causalità materiale e la causalità della colpa e non comprendendo la peculiarità della causalità omissiva, ponendosi in radicale contrasto con il
principio della certezza condizionalistica e accedendo a un erroneo criterio di probabilità statistica anziché di elevata probabilità logica, violando altresì la regol di giudizio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”.
Hanno dedotto che, in un quadro fattuale contrassegnato da molteplici difficoltà tecniche e in presenza di divergenti opinioni scientifiche, i giudici merito avessero scelto un criterio di remota approssimazione alla certezza, in tal modo violando le regole tipiche della controfattualità omissiva e del conseguente ragionamento predittivo.
16.2 Con il secondo motivo hanno dedotto la violazione dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. per illogicità della motivazione con riguardo agli esiti del prova scientifica.
In ordine alla dinamica del sinistro, hanno osservato che i tecnici e giunti a conclusioni difformi in ordine alla velocità finale e all’angolo d’urto, superabili solo attraverso il supporto di modelli di analisi digitale affidabil l’effettuazione di simulazioni, contributi proposti dalle difese ma ignorati trascurati dalle sentenze di merito; hanno esposto che il perito aveva utilizzat metodo COGNOME, non più considerato dalla normativa tecnica UNI, mentre quello utilizzato dai consulenti della difesa era riconosciuto come uno dei più affid ne derivava che l’approccio tenuto dai giudici di merito avrebbe violato i principi dettati da questa Corte in punto di valutazione della prova scientifica, avendo i giudici stessi aderito apoditticamente alle conclusioni espresse dal perito e – in particolare – negando rilevanza al dato attinente alla esatta ricostruzione della traiettoria dell’automezzo e attribuendosi quindi un ruolo non coincidente con i principi enunciati in sede di legittimità.
16.3 Con il terzo motivo hanno dedotto la violazione degli artt. 606, comma 1, lett.c) ed e), cod.proc.pen., in relazione all’art.125 cod.proc.pen. e al comma 3bis, cod.pen..
Hanno dedotto che, sulla base dell’apporto dei consulenti della difesa, si poteva concludere che nemmeno una barriera in stato ottimale sarebbe stata in grado di evitare la precipitazione del veicolo, essendo stata offerta la relativa dimostrazione anche mediante una simulazione con crash test e ivi dimostrando che il veicolo aveva espresso un’energia d’urto ben superiore a quella sopportabile dalle barriere installate sul viadotto, appartenenti alla classe H4, ovvero quelle aventi la massima capacità di contenimento; esponendo che la valenza della simulazione era stata negata dal perito sulla base del dedotto carattere realistico della stessa ma con argomentazioni smentite dalla difesa e disa dagli stessi giudici di merito; hanno censurato le argomentazioni dei giudic secondo grado in ordine alla irrilevanza probatoria di un atto espletato in as
di contraddittorio, atteso che lo scopo dell’esperimento era quello di sollecitare un approfondimento della tematica su base scientifica.
16.4 Con il quarto motivo hanno dedotto la violazione dell’art.606, comma 1, lette), cod.proc.pen., per mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, in relazione all’art.125 cod.proc.pen., con riguardo al ruolo del perito e al mancato confronto con le tesi scientifiche avverse.
Hanno dedotto che il ragionamento seguito dalla Corte territoriale, adesivo rispetto alle conclusioni del perito e omissivo del raffronto con le tesi difensive aveva violato plurime disposizioni enunciate dal codice di rito, con conseguente lesione dell’obbligo della motivazione e del principio del contraddittorio, evocando nuovamente i principi attinenti al ruolo del giudice nella valutazione della prova scientifica; deducendo che i giudici di merito si sarebbero sottratti ai necessari oneri di valutazione sulla base di una mera prognosi probabilistica anziché sulla scorta dei principi propri della certezza condizionalistica; conseguendone che i giudici, in presenza del relativo quadro probatorio, sarebbero dovuti giungere a una pronuncia di assoluzione sulla base della presenza di un ragionevole dubbio.
16.5 Con il quinto motivo hanno dedotto la violazione dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen., in relazione all’art.41 cod.pen. e per mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione in ordine al ruolo dei tirafondi.
Hanno esposto che le indagini difensive avevano dimostrato che l’energia espressa dal veicolo, per via del peso, della velocità e dell’angolo di impatto, era superiore alla capacità di contenimento della barriera, quale che fosse stata la condizione dei tirafondi, apparati aventi peraltro un solo ruolo ammortizzatore e quindi secondario nel meccanismo di funzionamento delle barriere; hanno quindi contestato la valutazione dei giudici di merito in base alla quale l’effetto d trascinamento sarebbe stato determinato dal solo stato dei tirafondi.
16.6 Con il sesto motivo hanno dedotto la violazione dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen., per manifesta illogicità e contraddittorietà dell motivazione.
Hanno dedotto che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere sussistente un profilo di colpa generica in ordine alla manutenzione delle barriere e che – sulla base di quanto esposto dai consulenti della difesa – la mancata tenuta era da ascrivere a un fenomeno corrosivo imprevedibile e ignoto alla letteratura scientifica; ricostruendo, quindi, una regola cautelare fondata sulla violazione dell’obbligo costante di monitoraggio e manutenzione del fenomeno della corrosione del metallo; concludendone che esistesse una “regola cautelare di fonte sociale” che imponeva di garantire la sicurezza della circolazione stradale, il in violazione dei canoni rappresentati dall’adeguatezza e dalla prevedib dell’evento valutati in chiave di responsabilità colposa e non prendendo in
considerazione – tra l’altro – la circostanza che, in occasione dei lavori eseguiti s altra campata dello stesso viadotto nel 2009, i tirafondi fossero risultat perfettamente integri; hanno contestato altresì la logicità della valutazione del giudice di primo grado in punto di utilità dell’uso delle chiavi dinamometriche, ritenuto – da un lato – non decisivo ma, dall’altro, utile se inserito in un’atti continua di monitoraggio, con conseguente illogicità della motivazione e contrasto con i principi in tema di causalità della colpa affermati da questa Corte.
Ha esposto che la materia della sicurezza delle componenti metalliche delle barriere autostradali è fatta oggetto di regolamentazione ad hoc, comportante un grado di variabilità correttamente governata – nel caso in esame – mediante l’apposizione di una zincatura a caldo di spessore anche superiore a quello previsto dalla regolamentazione e con un sovradimensionamento dei tirafondi oltre che con l’apposizione di una guaina in neoprene tra cordolo e barriera, il tutto accompagnato da periodiche ispezioni visive; ne conseguiva che la valutazione in tema di responsabilità colposa non poteva prescindere dall’analisi in ordine alla preesistenza di regole cautelari positivizzate ovvero dalla eventuale inefficacia preventiva delle stesse alla luce di regole scientifiche preesistenti; ne conseguiva, ulteriormente, che l’apparato argomentativo della sentenza del Tribunale, non corretta sul punto dalla Corte d’appello, si basava su una regola non precostituita e tale da vulnerare i principi di legalità e determinatezza della fattispecie colposa.
16.7 Con il settimo motivo hanno dedotto la violazione dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen., in relazione agli artt. 40, 41 e 43 cod.pen. e per manifest illogicità e contraddittorietà della motivazione, con specifico riferimento al governo dei principi in tema di causalità della colpa riguardo ai Dirigenti di Tronco e a profilo della evitabilità dell’evento.
Hanno osservato che la Corte territoriale aveva ritenuto non sussistesse alcun profilo di anomalia nel processo corrosivo, asseritamente collocabile solo dopo il 2009 (sulla base della prospettazione difensiva), smentendo quanto riferito dai testi COGNOME e COGNOME in ordine alle attività svolte su altre parti del viad ove era stata constatata l’integrità dei tirafondi, senza tenere conto delle concrete modalità di controllo tenute nell’occasione e comportanti comunque un completo smontaggio delle barriere; ritenendo quindi ragionevolmente provato che, in realtà, il processo di corrosione dovesse ritenersi del tutto imprevedibile e ascrivibile a una patologica accelerazione collocabile successivamente all’esecuzione dei lavori del 2009, in correlazione a un sistema di protezione originario del tutto corrispondente alle conoscenza dell’epoca e riguardo al quale hanno ritenuto vaghe le considerazioni spiegate dalla Corte territoriale in ordine alla sicura efficacia preventiva dell’uso di chiavi dinamometriche.
16.8 Con l’ottavo motivo hanno dedotto la violazione dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen., in relazione all’art.589, comma 2, cod.pen., con riguardo alla ritenuta circostanza aggravante, ravvisata dalla Corte territoriale.
Hanno contestato che il mancato uso della chiave dinamometrica potesse configurare un profilo di colpa specifica discendente da violazione di regole attinenti alla circolazione stradale, non essendo quindi strumento specifico del relativo contesto di rischio.
16.9 Con il nono motivo hanno dedotto la violazione dell’art.606, comma 1, lett.c), cod.proc.pen., in relazione agli artt. 178, comma 1, 180, 533, 603, comma 3bis cod.proc.pen. e all’art.6 della CEDU.
Hanno desunto, sulla base dei principi ricavabili dalla giurisprudenza di questa Corte e da quella europea, l’obbligo di rinnovazione dell’esame del perito esponendo come lo stesso non fosse stato disposto ex officio dal giudice di appello, non essendo rilevante la rinuncia all’esame successivamente espressa da parte delle difese e senza che la Corte avesse ritenuto di disporre comunque la rinnovazione della prova, con considerazioni espresse anche a proposito della consulente di parte prof.ssa COGNOME.
16.10 Con il decimo motivo hanno dedotto la violazione dell’art.606, comnna 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen., in relazione agli artt. 449 e 434 cod.pen. e per manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in punto di elementi costitutivi del reato di disastro colposo.
Hanno dedotto che la Corte territoriale non avrebbe fatto buon governo dei principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità e dalla Corte Costituzionale, n effettuando una corretta valutazione circa gli elementi costitutivi del reato l’offensività in concreto del fatto; hanno dedotto che i giudici di appello avrebber sovrapposto due eventi distinti tra loro quali il maxitamponamento e la caduta al suolo delle barriere di contenimento; esponendo che tale secondo evento, in assenza di quello precedente, non sarebbe stato – di per sé solo – idoneo a integrare la fattispecie ascritta, al contrario di quello pregresso, peraltro ascrivib esclusivamente alle compromesse condizioni meccaniche dell’automezzo.
16.11 Con l’undicesimo motivo hanno dedotto la violazione dell’art.606, comma 1, lett.c), cod.proc.pen., in relazione agli artt. 597, comma 3, cod.proc.pen., 589, commi 1 e 4, cod,pen., con riguardo alla violazione del divieto di reformatio in peius e all’esclusione della prescrizione, previo riconoscimento in fatto della circostanza aggravante di cui all’art.589, comma 2, cod.pen., precedentemente non contestata.
Hanno dedotto che, sulla base di quanto esposto dalla stessa Corte territoriale, l’art.14 C.d.s. non era idoneo a radicare un profilo di colpa specifi con la conseguenza che i giudici di appello avrebbero ravvisato l’aggravante in
assenza di effettiva contestazione, in tal modo violando anche i principi dettati dalla Corte EDU.
NOME COGNOME ha articolato cinque motivi di impugnazione.
17.1 Con il primo motivo ha dedotto la violazione dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen., in riferimento all’art.589, comma 2, cod.pen., in ordine al ritenuta sussistenza della relativa circostanza aggravante.
Ha dedotto che il Tribunale aveva pronunciato una sentenza di condanna in relazione all’art.589, comma 1, cod.pen., per effetto della violazione di una regola di diligenza non scritta, in tal modo escludendo l’aggravante della violazione delle norme dettate in tema di circolazione stradale; conseguendone che la Corte territoriale, nel riconoscere, invece, la sussistenza dell’aggravante stessa e in assenza di impugnativa da parte del p.m., avrebbe violato i principi desumibili dall’art.597, comma 3, cod.proc.pen., attesa la mancata devoluzione del tema al giudice di appello; nonché, attesa la giurisprudenza richiamata dalla Corte, in assenza di connessione con un capo o punto oggetto di impugnazione.
17.2 Con il secondo motivo ha dedotto la violazione dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen., per contraddittorietà e manifesta illogicità de motivazione, anche con travisamento, in merito alla ritenuta sussistenza del nesso causale, con particolare riferimento alla valutazione della prova scientifica in merito al calcolo dell’intensità dell’impatto del veicolo contro le barr sicurezza del viadotto nonché in ordine al ruolo, tirafondi nel funzionamento delle stesse.
Ha dedotto che la Corte avrebbe aprioristicamente recepito le conclusioni del perito senza tenere conto delle criticità evidenziate da;consulenti degli imputati in punto di ricostruzione della dinamica dell’evento e tanto con specifico riferimento all’interazione tra il bus e due veicoli, che avrebbe ostacolato meccanismo di redirezione impresso inizialmente dalla barriera; ha quindi dedotto che la Corte avrebbe omesso di valutare la mancanza di competenza dell’esperto in tema di barriere di sicurezza e di corrosione e l’inadeguatezza del metodo adottato per la ricostruzione del sinistro (il metodo COGNOME), ormai espunto dalla normativa tecnica di settore, conseguendone che la Corte non avrebbe fatto buon governo dei principi richiamabili in tema di nesso causale.
Analoghe considerazioni ha esposto sul tema della manutenzione dei tirafondi, atteso il carattere inaspettato e imprevedibile del fenomeno corrosivo, l’effettuazione delle regolari procedure di controllo visivo e il fatto che la strut della barriera avrebbe comunque potuto contenere l’urto con un veicolo pesante anche con gli ancoranti corrosi, con la conseguenza che il sinistro non era da ascrivere alle condizioni di conservazione delle protezioni.
17.3 Con il terzo motivo ha dedotto la violazione dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen., per vizio di motivazione apparente in relazione alla corretta applicazione dell’art.192 cod.proc.pen., in ordine al problema della corrosione dei tirafondi.
Ha esposto che la Corte non avrebbe tenuto conto del fatto che la tematica della corrosione dei tirafondi non era assolutamente conosciuta a livello di anomalie autostradali, per cui le criticità relative non sarebbero state riscontrabi se non a seguito dello svellimento delle barriere; esponendo che il cedimento della protezione non sarebbe stato da ascrivere allo stato di usura dei tirafondi ma all’angolo di impatto.
In ordine alla posizione specifica del ricorrente ha dedotto che questi non aveva avuto nessuna possibilità di incidenza nell’intervento di manutenzione straordinaria del 2009, quando era responsabile di altro Tronco; ha evidenziato che lo stato di corrosione dei tirafondi non poteva comunque essere constatato nell’ambito degli interventi programmati di manutenzione in quanto dovuto a un fenomeno imprevedibile, ritenendo la contraria convinzione della Corte come fondata su considerazioni generiche, esponendo che l’eventualità del fenomeno corrosivo non era stata affatto sottovalutata, come dimostrato dalla predisposizione di un sistema di protezione articolato su tre livelli; ha altre dedotto che le sentenze di merito avrebbero acriticamente recepito le conclusioni del perito in odine all’azione dei sali disgelanti, i cui effetti erano stati prev fase progettuale attraverso l’individuazione del relativo grado di corrosività.
17.4 Con il quarto motivo ha dedotto la violazione dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen., per motivazione illogica e contraddittoria in relazione al sussistenza di una posizione di garanzia in capo al ricorrente.
Ha premesso che l’imputato aveva rivestito la carica di responsabile dell’Area Esercizio dal 01/02/2010 al 07/05/2012 e che la Corte d’appello gli aveva addebitato dei profili di responsabilità che esulavano dai suoi compiti specifici e tanto alla luce del contenuto dell’istruzione di servizio 1/2005, in base alla quale compiti affidati all’area suddetta attenevano al controllo della viabilità piutto che alla manutenzione delle strutture o comunque solo alla manutenzione ordinaria, come emerso nel corso dell’istruttoria espletata; esponeva, quindi, che la presenza di fenomeni corrosivi sugli elementi di collegamento posti ai piedi barriere avrebbe potuto essere rilevatig solo nell’ambito di un’atti manutenzione straordinaria, cui l’imputato era estraneo; esponeva che le barriere erano state sottoposte a un continuo controllo di tipo visivo, adottato anche durante i sopralluoghi, eseguiti per due volte all’anno in contraddittorio con funzionari dell’ANAS e, successivamente, del Ministero delle Infrastruttu Trasporti, nel corso dei quali non era emersa alcuna criticità riguardante i ti
ha comunque contestato le valutazioni della Corte territoriale in punto di utilità de ricorso allo strumento della chiave dinamometrica, richiamando quanto riferito dai consulenti della difesa; evidenziando che sussisteva una contraddizione intrinseca tra le motivazioni poste alla base del riconoscimento di responsabilità con quelle giustificative della concessione delle circostanze attenuanti generiche, in cui si era fatto riferimento alla posizione sottordinata dei responsabili dell’Area Esercizio rispetto ai Direttori di Tronco.
17.5 Con il quinto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art.449 cod.pen. e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità in ordine alla struttura del fatto tipico del delitto di disastro.
Ha dedotto che la Corte territoriale avrebbe sovrapposto due condotte distinte tra loro, ovvero quella relativa alla circolazione del veicolo e que concernente la capacità di contenimento delle barriere; esponeva che, nel caso di specie, l’evento dannoso in concreto verificato era stato la precipitazione dell’automezzo, rispetto al quale alcun rilievo assumeva il crollo delle barriere e in relazione al quale non era ravvisabile alcuna attitudine a ledere la vita o l’incolumità fisica di un numero indeterminato di persone.
18.NOME COGNOME ha articolato dodici motivi di impugnazione.
18.1 Con il primo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) e c), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 157 e 589 cod.pen., nonché degli artt. 581, comma 1, lett.a), 597, comma 3 e 568, comnna 4, cod.proc.pen. per avere la sentenza gravata escluso l’intervenuta prescrizione del reato contestato ai sensi dell’art.589, commi 1 e 2, cod.pen., previo riconoscimento della contestata aggravante e in assenza di appello del p.m. sul punto.
Ha evidenziato che il Tribunale aveva pronunciato sentenza di condanna per il reato previsto dall’art.589, comma 1, cod.pen., previa esclusione dell’aggravante attinente alla violazione di norme sulla circolazione stradale esclusione sulla quale non era intervenuta alcuna impugnazione da parte del p.m. – con la conseguenza che, al momento della celebrazione del giudizio di fronte alla Corte d’appello, era già decorso il relativo termine di prescrizione di sette anni e sei mesi; ha dedotto che la Corte d’appello, nel riconoscere, al contrario, l’esistenza della predetta aggravante avrebbe violato il principio del divieto d reformatio in peius previsto dall’art.597, connnna 3, cod.proc.pen.
Ha dedotto – in relazione ai rapporti tra l’art.589 cod.pen. nella vecchia formulazione e l’attuale art.589bis cod,pen. – che la disciplina più favorevole andava considerata quella previgente in quanto idonea, previa esclusione dell’aggravante, a condurre alla dichiarazione di prescrizione del reato; ha dedotto
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che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non era sufficiente che l’aggravante relativa alla colpa specifica fosse richiamata nel capo di imputazione per concludere che la stessa, una volta esclusa in primo grado e in assenza di impugnazione da parte del p.m. – che aveva genericamente appellato il capo di sentenza che aveva assolto il ricorrente senza devolvere espressamente il punto relativo alla circostanza aggravante – potesse essere applicata ex officio in grado di appello, non potendosi richiamare – attesa la natura delle circostanze – il potere conferito dall’art.597, comma 3, cod.proc.pen. al giudice di secondo grado, di dare del fatto una definizione giuridica più grave rispetto a quella ritenu in primo grado; neanche essendo richiamabili i principi contenuti nella sentenza d/ questa Corte n.47488/2022, richiamata dal giudice di appello, atteso che la stessa faceva riferimento alla riqualificazione del fatto e non alla ricognizione di una circostanza e non sussistendo la connessione con il punto attinente alla declaratoria di responsabilità.
18.2 Con il secondo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.c), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 581, comma 1, lett.a) e 5 cod.proc.pen., per avere la sentenza impugnata affermato la responsabilità del ricorrente anche per il delitto di disastro in mancanza di impugnazione del relativo capo assolutorio della sentenza di primo grado.
Esponeva che, dalla formulazione testuale delle conclusioni dell’appello del p.m., non era dato desumere se l’organo d’accusa avesse inteso impugnare la sola assoluzione per il delitto di omicidio colposo plurimo ovvero anche quello relativo al disastro colposo; esponendo che la parte argomentativa dell’appello non faceva alcun riferimento del delitto di disastro, non esponendo quindi alcuna ragione di diritto o di fatto a sostegno della riforma del relativo capo.
18.3 Con il terzo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.c) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.125 cod.proc.pen. e l contraddittorietà, manifesta illogicità e carenza di motivazione nonché il mancato rispetto del canone dell'”oltre ogni ragionevole dubbio” nella parte in cui l sentenza aveva affermato la responsabilità del ricorrente senza confutare, in maniera specifica, le argomentazioni utilizzate dal Tribunale.
Ha dedotto che la sentenza impugnata, nel dichiarare la responsabilità del ricorrente, si sarebbe sottrattA all’obbligo di motivazione c.d. rafforzat omettendo di esplicitare in modo adeguato e compiuto le ragioni di dissenso rispetto alla sentenza assolutoria e senza dare conto in modo soddisfacente della diversa valutazione dell’ampio materiale istruttorio, con specifico riferimento al profilo di fatto attinente alla violazione dell’obbligo di riqualificazione delle barriere autostradali.
In punto di valutazione dell’obbligo di riqualifica, ha ripercorso l argomentazioni addotte dal Tribunale a fondamento dell’assoluzione e, in relazione alla motivazione della sentenza di appello, ha dedotto: che la Corte avrebbe affermato tale obbligo, in relazione alla Convenzione conclusa con l’ANAS, in base all’allegato “E” alla stessa, senza argomentare in merito all’adeguatezza prestazionale e di classe di ritenuta delle barriere; che, in ordine all’applicazion del d.m. n.223/1992, aveva ritenuto che, per “tratto significativo”, dovesse intendersi quello che consente alla barriera di funzionare, estendendo l’obbligo di sostituzione a tutti i 100 km della A16 indicati nel piano pluriennale di riqu che un obbligo in tale senso sarebbe comunque derivato dal d.lgs. n.35/2011, che avrebbe imposto la obbligatoria sostituzione con barriere dotate di marcatura CE di classe H3 o H4.
Ha quindi argomentato che la Corte avrebbe individuato la regola cautelare in riferimento alla sussistenza dell’obbligo di riqualifica, che sarebbe stato violat dalla delibera assunta dal Consiglio di amministrazione di Autostrade il 18 dicembre 2008, che limitava la riqualifica medesima alle sole barriere di primo impianto, in tal modo escludendo quelle del viadotto INDIRIZZO, che erano di seconda generazione.
Ha argomentato che la motivazione doveva ritenersi illogica in ordine alla ricostruzione del nesso causale, poiché la Corte aveva osservato che lo stesso sussisteva in quanto – se il piano di riqualifica non avesse escluso le barriere da quelle oggetto di sostituzione – il progettista esecutivo avrebbe potuto constatarne il pessimo stato di manutenzione e disposto la sostituzione con barriere idonee, senza dare adeguato conto delle eventuali tempistiche della sostituzione medesima e senza argomentare in modo idoneo in ordine alla rilevanza causale della violazione dell’obbligo di manutenzione.
18.4 Con il quarto motivo, ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.c), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.603, commi 3 e 3bis, cod.proc.pen., per avere la Corte pronunciato sentenza di condanna sulla base di un diverso apprezzamento delle prove dichiarative senza la loro necessaria rinnovazione nel giudizio di appello.
Ha dedotto che la Corte, in ordine all’esatto contenuto del piano di riqualifica, aveva fatto esclusivo affidamento a prove documentali, deducendo dalle stesse la non attendibilità di quanto dichiarato dai testimoni escussi in ordine all’effettivo contenuto del piano, mentre la rinnovazione avrebbe altresì consentito di superare alcune lacune colmate dal giudice d’appello con non dimostrate argomentazioni tecniche; ha dedotto che la Corte non aveva disposto la rinnovazione dell’esame del perito in ordine alla sua valutazione sul contenuto della progettazione esecutiva in riferimento al d.m. 223/1992; ha pure dedotto
come la Corte non avesse disposto la rinnovazione dei contributi testimoniali attinenti all’estensione dell’obbligo di manutenzione, nella sentenza impugnata ritenuta come facente capo anche al ricorrente.
18.5 Con il quinto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – l’erronea applicazione dell’art.521 cod.proc.pen. in riferimento alla mancanza di correlazione tra l’imputazione formulata e il fatto ritenuto in sentenza e la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione sullo specifico punto anche sotto il profilo della omessa valutazione globale degli elementi di prova e del loro travisamento.
Ha esposto che il punto n.1) del capo C), contenente l’imputazione a carico del ricorrente, non faceva alcun riferimento alla violazione dell’obbligo di manutenzione, oggetto di diversa contestazione operata al successivo punto n.2); obbligo invece incluso tra le ragioni poste a base della riforma della sentenza assolutoria, introducendo altresì – la sentenza di appello – il nuovo parametro tecnico della differenziazione tra barriere metalliche e barriere in calcestruzzo; evidenziava la conseguente violazione del principio di correlazione e il pregiudizio per le garanzie difensive, con considerazione estesa anche all’interpretazione del contenuto della delibera del 18 dicembre 2008.
18.6 Con il sesto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt.40, 41 e 589 cpv. cod.pen., per avere la sentenza gravata affermato la sussistenza del nesso di causalità tra condotta ed evento nell’ambito della ricostruzione del sinistro e il vizio di motivazione relazione alla ricostruzione medesima, operata con un modello superato e inadeguato e in violazione del principio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”.
Ha richiamato i principi dettati da questa Corte in punto di valutazione della prova scientifica e della necessità di un’adeguata certezza nell’ambito della comunità degli esperti sui metodi adottati, con particolare riferimento alla tematica D nesso di causalità; ha dedotto che la Corte non avrebbe, di fatto, giustificato l’adeguatezza del metodo di calcolo adottato dal perito, ovvero il metodo COGNOME da ritenere superato anche alla luce della normativa convenzionale al cospetto dei metodi MUSIAC e Ls-Dyna, rispettivamente adoperati dai consulenti del p.m. e da quelli della difesa – e non in grado di effettuare il riscontro dei risultati ottenut le evidenze rappresentate da tracce, segni e traiettorie; ha quindi esposto che la velocità del mezzo e l’angolo di impatto avrebbero prodotto un’energia d’urto superiore a quella che le barriere potevano sopportare, pur appartenendo alla classe H4 ovvero quella dotata della massima capacità di contenimento; contestando che la correttezza del metodo seguito dal perito potesse essere smentita dalle dichiarazioni rese dal teste COGNOME e dalla tese COGNOME, pure valorizzate nella sentenza impugnata.
In ordine al ruolo dei tirafondi ha dedotto che la valenza della componente corrosiva, ampiamente valorizzata nelle sentenze di merito, non implicasse un’automatica compromissione della prestazione di contenimento del dispositivo di ritenuta, atteso il comunque elevatissimo attrito determinato dal peso della barriera; esponendo che l’affermazione peritale in base alla quale una barriera con tirafondi integri sarebbe stata in grado di sopportare l’impatto sarebbe risultata esatta solo nell’evenienza in cui non si fosse tenuto conto del giunto di dilatazione, elemento in grado di aggravare le condizioni di instabilità della protezione; ha dedotto che la Corte non avrebbe adeguatamente considerato che, dopo l’iniziale urto contro le barriere, l’autobus era stato reindirizzato in carreggiata e che i rientro si era interrotto per la presenza lungo la traiettoria di un altro mezzo che aveva impedito di proseguire verso il centro della carreggiata stessa e non tenendo conto del fatto che le barriere non erano comunque state progettate per reggere a due urti consecutivi.
18.7 Con il settimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – l’erronea applicazione degli artt. 40 e 41 cod.pen. con riferimento alla ritenuta sussistenza del nesso di causalità tra la condotta antidoverosa e l’evento, con manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione sul punto.
Ha dedotto il carattere del tutto ipotetico del collegamento tra l’attività de progettista e la condotta dell’Amministratore Delegato, partecipe della deliberazione di spesa che si era poi concretizzata nel mandato attribuito al primo; conferendo, in punto di causalità materiale, la valenza di fattore condizionante anche alla violazione dell’obbligo manutentivo, ma attribuendone la responsabilità anche all’Amministratore Delegato non tenendo conto del riparto di competenze all’interno della società e che non coinvolgeva la stessa figura apicale in tali compiti.
18.8 Con l’ottavo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 40 e 41 cod.pen. e dell’art.14 del d.lgs. n.285/1992, per avere la sentenza impugnata ritenuto sussistente la posizione di garanzia in ordine a un evento non riconducibile all’area di rischio alla stessa inerente, indipendentemente dall’organizzazione aziendale e dalla delega di funzioni, con motivazione illogica su tale punto.
Ha premesso che entrambe le sentenze di merito avevano fondato le proprie motivazioni sulla distinzione tra riqualificazione e manutenzione e che le stesse avevano concordato nel ritenere che l’eziologia del sinistro dovesse e ricondotta a un deficit funzionale della barriera derivante da omessa manutenzione e non dalla omessa riqualificazione di barriere oggettivamente inadeguate, elemento che escludeva l’inadempimento di un obbligo di garanzia riconducibile al
ricorrente; mentre nemmeno doveva ritenersi pertinente il riferimento all’omessa programmazione della sostituzione, che aveva impedito di verificare la pessima manutenzione delle barriere, in quanto la relativa condotta si ricollegava comunque a una verifica manutentiva connessa alla progettazione; ha dedotto che, nel caso di specie, il ricorrente sarebbe stato destinatario dell’obbligo d impedire sinistri mediante la riqualificazione delle barriere e non mediante la manutenzione.
Ha dedotto che, sulla base delle disposizioni interne, la predisposizione del piano di riqualifica era stata operata senza alcuna ingerenza dell’Amministratore Delegato, la cui partecipazione si era limitata alla deliberazione relativa al piano e allo stanziamento delle risorse necessarie, senza che ciò comportasse alcuna responsabilità in ordine alle decisioni di natura squisitamente tecnica, con conseguente illogicità della conclusione in base alla quale i contenuti operativi della delibera fossero riferibili anche alla figura apicale.
Ha esposto che, nei confronti delle concessionarie autostradali, si applicavano le disposizioni del d.lgs. n.163/2006, che non prevedevano l’intervento dell’Amministratore Delegato nell’ambito degli appalti pubblici con specifico riferimento alla responsabilità di attuazione dei contenuti tecnici dell delibera di affidamento; esponendo che, ai sensi della normativa vigente, l’individuazione della zona in cui installare le barriere di sicurezza in applicazion delle istruzioni tecniche, con individuazione delle relative modalità di predisposizione, competeva al solo progettista; deduceva, quindi, che la sentenza impugnata avrebbe sterilizzato l’istituto della delega di funzioni su cui le istruzion di servizio si fondavano.
18.9 Con il nono motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, connma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – l’erronea applicazione dell’art.2, connmi 1 e 3, del d.m. 223/1992 e della Circolare n.62032 del Ministero della Infrastrutture e Trasporti, nonché degli allegati E) e F) alla Convenzione Unica sottoscritta nel 2007 tra ANAS e Autostrade, in relazione alla dedotta sussistenza di un obbligo giuridico di riqualificare le barriere new jersey presenti sul viadotto INDIRIZZO, nonché il vizio di manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione sul punto.
Ha premesso che la Corte territoriale era giunta all’affermazione di responsabilità sostenendo che la citata delibera del 18 dicembre 2008 avrebbe impedito la sostituzione delle barriere new jersey presenti sul INDIRIZZO, violando l’obbligo di riqualificazione discendente dalla Convenzione sottoscritta con ANAS e dalla previsione del d.m. 223/1992; ha dedotto che, dalla lettura dell’art.3, comma 1, lett.b) della Convenzione, non si evinceva un obbligo di riqualificazione in capo al concessionario ma solo di mantenimento della funzionalità delle infrastrutture, mentre dalla successiva lett.f) si evinceva una serie definita d
obblighi che, però, non ricomprendeva la riqualifica della barriere di bordo ponte; esponeva che il piano finanziario, richiamato dall’art.11 della Convenzione, contemplava l’avvio di un piano pluriennale di riqualificazione di tutte le barriere laterali, con previsione dal contenuto temporale non determinato e che, comunque, tale piano non potesse che riferirsi agli interventi specificamente indicati nel già richiamato art.3, lett.f), della Convenzione; conseguendone che, da quest’ultima, non poteva discendere alcun obbligo specifico di sostituire le barriere new jersey presenti sul INDIRIZZO.
Ha argomentato che, in ogni caso, gli obblighi derivanti dalla Convenzione non attenevano all’attività di manutenzione; mentre, anche volendo ritenere sussistente un obbligo di riqualificazione, questo non avrebbe potuto riguardare che le barriere riqualificabili e per le quali fosse stato possibile elevare il liv prestazionale, mentre quelle presenti sul viadotto INDIRIZZO appartenevano alla massima classe di contenimento (H4), elemento confermato anche da parte del perito.
Deduceva un’erronea interpretazione del d.nn. 223/1992 in riferimento alla nozione di “adeguamento di tratto significativo”; ha esposto che la norma relativa non era posta a presidio della manutenzione delle barriere, dettando piuttosto le modalità di intervento del progettista; deducendo che, sulla base del complessivo tenore dell’art.2 del d.m. citato, in assenza di nuove costruzioni di tratt autostradali, di interventi di adeguamento di tratti significativi di tronchi esiste o di riqualificazione e ricostruzione di parapetti di ponti e viadotti stimati posizione pericolosa, non sussistesse alcun obbligo di installazione o di riqualificazione e sostituzione di barriere in capo al gestore; e che, interpretando tale disposto alla luce della Convenzione, ne derivava che gli interventi previsti nell’art.2, comma 2, consistenti nella realizzazione di nuove opere autostradali o di potenziamento, dovessero comprendere la progettazione e posa in opera di barriere di sicurezza, elemento non richiesto in ordine alla manutenzione ordinaria.
Ha comunque dedotto un’erronea interpretazione del concetto di “tratto significativo”; argomentando che la sentenza impugnata, da un lato, aveva aderito all’interpretazione funzionale della nozione e, dall’altro, aveva condiviso l’interpretazione data dal teste COGNOME, funzionario dell’ANAC, per concluderne che tutti i 161 km della A16 rientranti nel piano di riqualifica dovessero considerarsi come “tratto significativo”; ha dedotto l’erronea interpretazione dell’art.2 del d.m. 223/1992 anche sotto altro profilo, esponendo che il livello di dettaglio ivi richiest era proprio della sola progettazione esecutiva, per cui era necessario prima individuare il tratto di studio e, all’interno di questo, il tratto di adeguamento; c la conseguenza che l’obbligo di redigere il progetto esecutivo necessario
riqualifica sussisteva per i soli dispositivi di contenimento che, in una precedente fase, si fosse ritenuto di sostituire con barriere più performanti.
Ha dedotto che nemmeno un obbligo di riqualificazione potesse discendere dalla dedotta pericolosità del percorso, ritenuta dalla Corte territoriale sulla bas di parametri non tecnici e prescindenti dai criteri rappresentati dall’incidentalità dal volume di traffico; esponendo che, comunque, sul viadotto erano state installate barriere di massima capacità prestazionale.
Ha pure argomentato che alcun obbligo di riqualificazione potesse fondarsi sulla circolare n.62032 del 2010, trattandosi di provvedimento non vincolante; mentre, in ordine alla mancata sostituzione della barriera con altra di medesima categoria prestazionale ma recante la marcatura CE, evidenziava che tale obbligo nasceva da fonte (il d.l. n.35/2011) successiva rispetto all’adozione della delibera in questione.
18.10 Con il decimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione all’affermata violazione dell’asserito obbligo di riqualificazione dell barriere del viadotto INDIRIZZO per effetto di esclusione dall’ambito di intervento di cui alla delibera del 18 dicembre 2008 delle barriere in calcestruzzo, anche sotto il profilo della omessa valutazione e travisamento degli elementi di prova.
Premetteva che il piano adottato con la suddetta delibera costituiva la prima attuazione del piano di sicurezza previsto dal piano finanziario allegato alla Convenzione con ANAS, con lo stanziamento di 138 milioni di euro per riqualificare le tratte indicate; ha dedotto che lo stesso allegato “E” prevedeva tale riqualificazione in sola relazione all’impiego di barriere comprese nella classe H; ha esposto che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che la delibera avesse a oggetto la riqualificazione delle sole barriere metalliche, soffermandosi sul contenuto della prima tabella allegata.
Ha ritenuto che tale assunto fosse stato contraddetto da molteplici risultanze istruttorie; sul punto, ha preso ad esempio la ripartizione delle tratte intervento presenti sulla autostrada A23 e sulla A30, dalla quale sarebbe risultata la sussistenza di plurimi interventi su barriere in calcestruzzo, per cui l’indicazion complessiva di km 2.202 atteneva ai chilometri di bordo laterale interessati dall’intervento indipendentemente dalla tipologia di barriere presenti, con rilievi validi per tutte le tratte autostradali interessate; deduceva la conseguente contraddittorietà tra l’assunto probatorio fatto proprio dalla Corte e le prove raccolte nei due gradi di giudizio; esponeva altresì che, se nella relazione generale si parlava di “sostituzione e potenziamento delle barriere metalliche”, questo non significava l’esclusione delle barriere in calcestruzzo, essendo tale elemento da ascrivere al solo dato contingente in base al quale la quasi totalità delle barriere
presenti lungo le tratte interessate dal piano di riqualifica erano effettivamente metalliche e di primo impianto; mentre l’indicazione dei 2.202 km doveva intendersi riferita al bordo autostradale complessivo; per cui la conclusione in base alla quale l’eventuale sostituzione di barriere di secondo impianto sarebbe avvenuta per tratti esigui risultava smentita dalla circostanza per qui la quasi totalità delle barriere di secondo livello erano state oggetto di sostituzione.
Esponeva che la distanza chilometrica considerata per quantificare il finanziamento comprendeva tutte le tratte incluse nell’intervento che potevano ospitare barriere di sicurezza, indipendentemente dalla loro tipologia e in contrasto con quanto ritenuto dalla Corte, in assenza comunque di riscontri probatori.
Censurava, altresì, la sentenza gravata in ordine al tema attinente all’intervento dell’Amministratore Delegato nella fase esecutiva delle attività finanziate con l’approvazione della delibera del 18 dicembre 2008; con considerazioni, peraltro, fondate sul punto su dichiarazioni spontanee del coimputato COGNOME, non utilizzabili nei confronti di terzi; esponeva che unico soggetto competente all’attuazione della delibera era comunque il Direttore dei servizi tecnici.
18.11 Con l’undicesimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.449 cod.pen., in relazio all’art.434 cod.pen., per avere la sentenza gravata ritenuto la sussistenza del pericolo per la pubblica incolumità.
Ha dedotto che fosse carente, nel caso di specie, l’elemento rappresentato dal pericolo stesso e, quindi, nei confronti di un numero indeterminato di soggetti; ha dedotto che la sentenza aveva omesso di considerare le condizioni ex ante effettivamente presenti, avendo presenti solo quelle potenziali e tenendo conto di dati non disponibili quali quelli relativi al traffico; derivandone che la valutazi era stata operata ex post sulla base di quanto, di fatto, verificatosi; essendo altresì illogica la mancata considerazione delle condizioni dell’area sottostante il viadotto, trattandosi di zona non urbanizzata.
18.12 Con il dodicesimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 62b1s, 132 e 133 cod.pen., per avere la sentenza impugnata irrogato una pena incongrua e denegato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, con manifesta illogicità della motivazione sul punto.
In via subordinata rispetto agli altri motivi, censurava la sentenza in punto di dosimetria della pena ritenendola fondata su motivazione apparente; esponeva che il trattamento punitivo non era stato adeguatamente individualizzato, affidandosi a osservazioni di carattere generale con il mero richiamo alla gravità della condotta senza considerare le argomentazioni difensive in punto di mancata
ricezione di informazioni da parte della struttura tecnica che potessero indurre il ricorrente ad attivare poteri impeditivi; elementi che, uniti alla peculiarità dei f – caratterizzati dalla connessione causale tra due pretese violazioni di norme cautelari – avrebbero dovuto indurre il Collegio a contenere la pena in una cornice minore; ritenendo, altresì, inadeguata la motivazione posta alla base del diniego delle circostanze attenuanti generiche, indebitamente fondato sulle modalità con cui era stato attuato il diritto di difesa.
19. NOME COGNOME ha articolato quattordici motivi di impugnazione.
19.1 Con il primo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 40, 41 e 43 cod.pen. con riguard al tema della causalità e alla violazione dei principi del condizionalismo causale, avendo la sentenza impugnata confuso i piani della causalità materiale e della causalità della colpa senza comprendere le peculiarità della causalità omissiva.
Ha dedotto che le pronunce di merito avrebbero fatto erroneamente applicazione del criterio di probabilità statistica, in violazione ulteriore della re di giudizio dell'”al di là di ogni ragionevole dubbio”, adottando non consentiti crite probabilistici, esperendo un c.d. giudizio controfattuale impressionistico e senza applicare correttamente i principi della controfattualità omissiva; ha dedotto che la sentenze di merito avrebbero sovrapposto la causalità materiale con la causalità della colpa, quest’ultima solo presupponente un giudizio di alta probabilità logica.
19.2 Con il secondo motivo, ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – la manifesta illogicità della motivazione circa gli esiti d prova scientifica.
In punto di ricostruzione dell’evento, ha premesso che si era rilevata di decisiva importanza la determinazione dell’energia espressa dal veicolo al momento dell’urto contro la barriera, atteso che la normativa pubblicistica stabilisce, in base alla classificazione dei dispositivi di ritenuta, la capacit contenimento; ha dedotto che gli esperti erano giunti a valutazioni difformi sul punto, in ordine a velocità finale e angolazione dell’urto; ha argomentato che la relativa incertezza poteva essere superata solo attraverso il supporto di affidabili meccanismi di analisi digitale e l’effettuazione di simulazioni; contributi propost dalle difese ma ignorati o trascurati dalle sentenze di merito; ha esposto che il perito aveva utilizzato il metodo COGNOME, non più considerato dalla normativa tecnica UNI, mentre quello utilizzato dai consulenti della difesa era riconosciuto come uno dei più affidabili; ne derivava che l’approccio tenuto dai giudici di merito violava principi dettati da questa Corte in punto di valutazione della prova scientifica avendo gli stessi aderito apoditticamente alle conclusioni espresse dal perito e in particolare – negando rilevanza al dato attinente alla esatta ricostruzio
traiettoria dell’automezzo e attribuendosi quindi un ruolo non coincidente con i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità.
19.3 Con il terzo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lette), cod.proc.pen. – la mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione all’art.125 cod.proc.pen., con riguardo al ruolo del perito e al mancato confronto con le tesi scientifiche avverse.
Ha dedotto che le sentenze di merito non avrebbero operato il necessario confronto con le tesi espresse dai consulenti di parte, con conseguente lesione dell’obbligo della motivazione e del principio del contraddittorio, ciò facendo mediante un’acritica adesione alle tesi del perito e non applicando correttamente i principi in tema di necessaria certezza del giudizio predittivo.
19.4 Con il quarto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett.c) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt.125 cod.proc.pen. all’art.603, comma 3bis, cod.pen..
Ha dedotto che, sulla base dell’apporto dei consulenti della difesa, si poteva concludere che nemmeno una barriera in stato ottimale sarebbe stata in grado di evitare la precipitazione del veicolo, essendo stata offerta la relativa dimostrazione anche mediante una simulazione con crash test e ivi essendo emerso che il veicolo aveva espresso un’energia d’urto ben superiore a quella sopportabile dalle barriere installate sul viadotto e appartenenti alla classe H4, ovvero quelle aventi la massima capacità di contenimento; esponendo che la valenza della simulazione era stata negata dal perito sulla base del dedotto carattere non realistico della stessa ma con argomentazioni smentite dalla difesa, le quali erano però state disattese dai giudici di merito; ha censurato le argomentazioni dei giudici di secondo grado in ordine alla irrilevanza probatoria di un atto espletato in assenza di contraddittorio, atteso che lo scopo dell’esperimento era quella di sollecitare un approfondimento della tematica su base scientifica.
19.5 Con il quinto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.41 cod.pen. e la mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione in ordine al ruolo dei tirafondi.
Ha esposto che le indagini difensive avevano dimostrato che l’energia espressa dal veicolo, per via del peso, della velocità e dell’angolo di impatto, era superiore alla capacità di contenimento della barriera, quale che fosse stata la condizione dei tirafondi, apparati aventi peraltro un solo ruolo ammortizzatore e pertanto secondario nel meccanismo di funzionamento delle barriere; ha quindi contestato la valutazione dei giudici di merito in base alla quale l’effetto trascinamento sarebbe stato determinato dal solo stato dei tirafondi.
19.6 Con il sesto motivo, ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), c) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 40, 43 cod.pen., 125
533 cod.proc.pen., per assenza di motivazione rafforzata e mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, con riguardo alla dedotta condotta colposa per omessa riqualifica delle barriere del viadotto INDIRIZZO.
Ha dedotto che, nel ribaltare l’originaria pronuncia assolutoria, la Corte territoriale non si sarebbe attenuta ai principi dettati in tema di motivazion rafforzata; ha esposto che la sentenza di primo grado si era diffusamente confrontata con le acquisizioni probatorie e che la stessa aveva ritenuto, interpretando il disposto dell’art.2 del d.m. n.223/1992, la mancanza di un obbligo di riqualificare le barriere site tra il km 27 e il 50 dell’autostrada A16, anche considerazione del loro concreto coefficiente di contenimento e l’assenza delle condizioni per la redazione di un progetto esecutivo riguardante tali manufatti, atteso che il viadotto INDIRIZZO risultava dotato di barriere prestazionalmente adeguate; concludendone che l’incidente si era verificato non per inidoneità tipologica della barriera ma per difetto di manutenzione; concludendo, comunque, che il piano di riqualifica adottato nel 2008 non escludeva a priori anche le barriere di seconda generazione in relazione alla previa valutazione del progettista.
Ha quindi dedotto che la Corte territoriale avrebbe irrazionalmente accantonato gli argomenti del Tribunale tentando di dimostrare, con argomentazioni meramente lessicali, che il piano di riqualifica avesse escluso la sostituzione delle barriere di secondo impianto e comunque diverse da quelle metalliche, ignorando che la mancata menzione delle barriere in cemento dipendesse dal fatto che queste erano state già riqualificate e che la relativa scelta si collocava comunque nel momento della progettazione; ha argomentato che gli interventi di riqualifica avevano comunque interessato anche barriere in cemento, come desumibile dal progetto esecutivo relativo all’autostrada A23 e a quella A30, in cui l’intervento aveva riguardato 25 km di barriere new jersey, derivandone che nei complessivi km 2.202 interessati dal progetto di finanziamento erano sicuramente comprese anche barriere in calcestruzzo; esponeva che, dalla lettura della relazione generale del progetto esecutivo relativo alla A16 dal km 26 al km 50, redatta nel 2011, si evinceva la presa in considerazione di tutte le tipologie di barriera; ha altresì dedotto un travisamento probatorio in ordine al dato della copertura finanziaria del piano di riqualifica, atteso che – come rilevato dal primo giudice – i dati numerici ivi riportati erano incompatibili con un interven effettuato sulle sole barriere metalliche.
Ha esposto che la Corte d’appello avrebbe ritenuto sussistente un obbligo di riqualifica della relativa tratta autostradale, sulla base della Convenzion conclusa con il concedente e dell’art.2 del d.m. n.223/1992; con riferimento all’obbligo contrattuale, esponeva quindi che tra gli obblighi relativi non er contemplata la riqualificazione delle barriere di sicurezza e che nemmeno vi
fossero obblighi normativi, mentre il piano di riqualificazione non poteva che riguardare i tratti autostradali in cui le barriere non rispondessero ai requisiti del barriere H2 e H3 su terra e H3 e H4 su bordo ponte, ma non quelli in cui fossero già installate barriere corrispondenti a tali classi; in ordine al d.m. n.223/1992 e in particolare, all’art.2, comma 3, ha osservato che lo stesso prevedeva l’obbligo di progettazione delle barriere solo nell’ipotesi di adeguamento di tratti significati di tronchi stradali, anche atteso il carattere non normativo della successiva circolare 62032 del 2010; ne discendeva che, nel momento in cui era stato deliberato il piano di riqualifica, non sussisteva un obbligo di riqualificare tutte barriere comprese tra i km 27 e 50 della A16, nella parte non costituente un tratto “significativo” in quanto già oggetto di pregressa riqualificazione; ha altres esposto che la Corte avrebbe omesso di considerare la parte della sentenza di primo grado nella quale era stato dato atto delle elevate caratteristiche prestazionali delle barriere installate sul viadotto e sulla conseguente assenza di un obbligo di sostituzione, pure in assenza della marcatura CE, peraltro prevista da una fonte sopravvenuta rispetto all’adozione del piano (d.m. 28/06/2011).
Alla luce di tali considerazioni, deduceva che il ricorrente non aveva violato alcuna regola cautelare inerente all’attività di riqualifica in contestazione esponeva che la sentenza di appello era affetta da vuoto motivazionale in ordine alla dimostrazione della responsabilità colposa, ovvero della misura soggettiva della colpa, avendo statuito una responsabilità unicamente di posizione, non individuando adeguatamente la regola cautelare violata; esponendo come, altresì, la Corte territoriale avrebbe trascurato i contributi dichiarativi risult dall’istruttoria.
19.7 Con il settimo motivo, ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.c), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 178, 180, 533, 603, comma 3bis cod.proc.pen. e dell’art.6 della CEDU.
Ha dedotto, sulla base dei principi ricavabili dalla giurisprudenza di questa Corte e da quella europea, la sussistenza dell’obbligo di rinnovazione dell’esame del perito esponendo come lo stesso non fosse stato disposto ex officio dal giudice di appello, non essendo rilevante la rinuncia all’esame successivamente espressa da parte delle difese e senza che la Corte avesse ritenuto di disporre comunque la rinnovazione della prova, con considerazioni espresse anche a proposito della consulente di parte prof.ssa COGNOME.
19.8 Con l’ottavo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.c) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 429, 521 e 522 cod.proc.pen.e la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, per avere la Corte ritenuto sussistente la responsabilità dell’imputato per violazione di una regola cautelare in ambito di manutenzione.
Deduceva che la sentenza impugnata, pur esplicitamente ammettendo che l’inadempimento rispetto a pretesi obblighi di manutenzione non era stato oggetto di contestazione, aveva indebitamente introdotto questo tema nel tessuto motivazionale; anzi rilevando, in un passaggio, che i relativi obblighi dovevano ritenersi condivisi tra strutture centrali – sotto il profilo della re programmazione – e strutture periferiche; il tutto con conseguente introduzione di un tema non contestato e con violazione del principio di correlazione.
19.9 Con il nono motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), c) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 43 e 589, comma 2, cod.pen. e degli artt. 429, 521, 522 e 581, comma 1, lett.a), cod.proc.pen.e la mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della sentenza con riguardo al riconoscimento dell’aggravante della violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale.
Ha dedotto che le regole cautelari contestate al ricorrente esulavano dall’ambito della disciplina della circolazione stradale, con i conseguenti effetti anche in tema di prescrizione; ha dedotto che la suddetta aggravante non era stata contestata nel capo di imputazione, facente riferimento al solo comma 1 dell’art.589 cod.pen. ed era invece stata ritenuta dalla Corte d’appello pur in assenza di impugnazione da parte del p.m.; ha dedotto che l’art.14 del d.lgs. n.285/1992 non costituiva regola cautelare e che la menzione nel capo di imputazione non poteva far ritenere contestata l’aggravante suddetta; concludendone che mancavano i presupposti per ritenere contestata, anche solo in fatto, la relativa aggravante.
19.10 Con il decimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 40, 41 e 43 cod.pen. pe mancanza di motivazione rafforzata o comunque manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in punto di efficienza causale della omessa riqualificazione delle barriere di sicurezza del viadotto INDIRIZZO.
Ha dedotto che il Tribunale aveva ritenuto che una barriera in buono stato di manutenzione sarebbe stata comunque idonea a contenere l’urto, escludendo il nesso causale con la mancata sostituzione del dispositivo di protezione; ha quindi esposto che tale motivazione era stata ribaltata dalla Corte d’appello ritenendo che, qualora le barriere in calcestruzzo fossero state contemplate nel piano di riqualifica, il progettista esecutivo non avrebbe potuto non constatare il pe stato di manutenzione delle barriere presenti sul viadotto provvedendo alla loro sostituzione, individuando nell’adozione di una corretta programmazione il comportamento alternativo lecito; ha dedotto che la verifica dell’adempimento dell’obbligo manutentivo esulava del tutto dai compiti del progettista, esponendo che non sussisteva alcuna prognosi sull4 sviluppo temporale delle opere
riqualifica tale da accertare l’evitabilità del sinistro; esponendo che la Corte avrebbe “recuperato” la tematica del nesso di causalità ascrivendo al ricorrente anche pretesi obblighi in ambito manutentivo.
19.11 Con l’undicesimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) e c), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 581, comma 1, letta) cod.proc.pen. e 589, commi 1 e 4, cod.pen., riguardo alla mancata dichiarazione di inammissibilità dell’appello del p.m. e all’esclusione della intervenuta prescrizione previo riconoscimento della circostanza aggravante prevista dall’art.589, comma 2, cod.pen., in assenza di impugnazione del p.m. sul punto.
Ha dedotto che la Corte territoriale sarebbe giunta al riconoscimento della predetta aggravante in assenza di impugnativa del p.m. su tale profilo, visto che l’appello aveva devoluto alla cognizione del giudice di appello il solo capo assolutorio e non il profilo relativo alla circostanza in questione.
19.12 Con il dodicesimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 449 e 434 cod.pen. e per manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in punto di elementi costitutivi del reato di disastro colposo.
Ha dedotto che la Corte territoriale non avrebbe fatto buon governo dei principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità e dalla Corte Costituzionale, non effettuando una corretta valutazione circa gli elementi costitutivi del reato e l’offensività in concreto del fatto; ha dedotto che i giudici di appello avrebbero sovrapposto due eventi distinti tra loro quali il maxitamponamento e la caduta al suolo delle barriere di contenimento; esponendo che tale secondo evento, in assenza di quello precedente, non sarebbe stato – di per sé solo – idoneo a integrare la fattispecie ascritta, al contrario di quello pregresso, peraltro ascrivibile esclusivamente alle compromesse condizioni meccaniche dell’automezzo.
19.13 Con il tredicesimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt.62bis e 132 cod.pen. e la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, in relazione all’art.125 cod.proc.pen., con riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Ha ritenuto censurabile il ragionamento della Corte territoriale nella parte in cui aveva ritenuto negativamente valorizzabile il comportamento processuale del ricorrente, atteso che la negazione della propria responsabilità era riconducibile al legittimo esercizio dei propri diritti di difesa; ha altresì ritenuto tautologi mero riferimento alla gravità delle imputazioni ascritte, attesa anche la preponderanza eziologica della condotta contestata nei confronti del coimputato COGNOME
19.14 Con il quattordicesimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) e c), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.125 cod.proc.pen., in relazione agli artt. 132, 133 e 589, commi 1 e 4, cod.pen..
Ha dedotto che la Corte aveva individuato una pena base ben superiore rispetto al minimo edittale senza dare conto dello scostamento con adeguato iter argomentativo e con il solo riferimento alla gravità della condotta ascritta, in tal modo non soddisfacendo gli oneri motivazionali pretesi dalla giurisprudenza di questa Corte e valorizzando un elemento già posto alla base del diniego delle circostanze attenuanti generiche; comunque non esponendo alcun effettivo elemento significativo ai fini della valutazione della gravità dell’elemento soggettivo imposta dall’art.133 cod.pen..
20. NOME COGNOME ha articolato sette motivi di impugnazione.
20.1 Con il primo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.c), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 581 e 591 cod.proc.pen., per dedotta aspecificità dell’appello proposto dal p.m. nei confronti del ricorrente con conseguente sua inammissibilità e formazione del giudicato sulla pronuncia di assoluzione.
Ha dedotto che gli argomenti sviluppati nell’atto di appello nei confronti del ricorrente avrebbero del tutto difettato di specificità, essendo stati svolti pe relationem rispetto a quelli enunciati per l’imputato COGNOME peraltro avente diversa posizione nel contesto aziendale.
20.2 Con il secondo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.c) ed e), cod.proc.pen. – il vizio di motivazione della sentenza nella parte in cui la Corte aveva riconosciuto una posizione di garanzia in capo ai funzionari della Direzione centrale in ordine alla manutenzione delle barriere di sicurezza, nonché il vizio di correlazione tra accusa e sentenza.
Ha dedotto che la motivazione della sentenza impugnata aveva ascritto al ricorrente obblighi manutentivi esclusi dall’imputazione, attinente invece ai soli obblighi di riqualifica; ha esposto che la Corte, pur avendo escluso tali obblighi dal perimetro della contestazione, avrebbe – di fatto – reso una pronuncia di condanna anche in riferimento agli stessi.
Ha quindi dedotto l’illegittimità della motivazione sotto due distinti profili sotto un primo profilo deduceva il travisamento della prova, concretizzatosi per avere la Corte ritenuto la sussistenza di obblighi manutentivi in capo al ricorrente, pur in presenza della lettura degli ordini di servizio richiamati alle pagg.254 e 255 della sentenza, dai quali si potevano evincere che i compiti della Direzione RAGIONE_SOCIALE erano limitati alle pavimentazioni, al cui interno l’unità gestita dal ricorrente non aveva alcun compito manutentivo;
assumendo comunque che l’ascrizione di tale obbligo era tale da violare il principio di correlazione con il fatto ascritto.
20.3 Con il terzo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.c) ed e), cod.proc.pen. – il vizio derivante dall’omessa adozione di una motivazione rafforzata e la violazione degli artt. 125, 178, lett.c) e 180 cod.proc.pen., per l mancata rinnovazione delle prove dichiarative poste alla base della sentenza di assoluzione.
Ha dedotto che il metodo argomentativo adottato dalla Corte si sarebbe posto in contrasto con l’obbligo di motivazione rafforzata e con il correlato dovere di rinnovazione delle prove dichiarative, nel caso di specie eseguita solo parzialmente dal giudice di appello, non rimanendo trattati i punti relativi all’adeguatezza tecnica delle barriere e quello attinente al legittimo affidamento nell’assolvimento dei compiti altrui; sottolineando come, in ordine al dato afferente alla circostanza per cui il piano di riqualificazione consentisse l’intervento su tutte le barriere presenti sulle tratte e non solo su quelle metalliche, la Corte aveva ribaltato il giudizio del Tribunale senza disporre la necessaria rinnovazione delle prove dichiarative.
Ha, altresì, sottolineato che la Corte era giunta a una diversa interpretazione dell’art.2 del d.m. n.223/1992 in punto di presenza di un obbligo normativo di sostituzione delle barriere del viadotto INDIRIZZO, smentendo l’interpretazione del perito in base alla quale questi aveva sostenuto che il progettista avesse l’obbligo di riscontrare l’adeguatezza tecnica delle barriere; ponendo, altresì, in evidenza il principio di affidamento, da parte dei componenti delle strutture centrali, sul corretto adempimento degli obblighi manutentivi gravanti sulle strutture periferiche; elementi a fronte dei quali la Corte non aveva adeguatamente motivato sul presunto obbligo di sostituzione di tutte le barriere presenti su un tratti autostradali e sull’obbligo del progettista inerente a funzioni proprie della fase esecutiva; senza confutare il dato riguardante l’astratta idoneità tecnica delle barriere già installate, al netto delle problematiche di manutenzione, in quanto appartenenti alle classi H3 e H4.
20.4 Con il quarto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di responsabilità del ricorrente e la violazione degli artt. 40, comma 2, 43, 113 e 589, comma 1, cod.pen..
Ha premesso che la Corte avrebbe fondato la decisione di condanna dopo avere attribuito all’imputato un duplice ruolo, ovvero, da un lato, quello di responsabile dell’unità operativa competente per le barriere di sicurezza e, dall’altro quello di responsabile del procedimento del progetto di sostituzione delle barriere di bordo laterale del tratto autostradale interessato dall’incidente.
Ha quindi osservato che l’unità RAGIONE_SOCIALE, gestita dal ricorrente, faceva capo alla struttura centrale RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (diretta dal Fornaci), a propria volta sottoposta alla direzione della Condirezione RAGIONE_SOCIALE (già Direzione Servizi Tecnici) diretta dal COGNOME, e che in ogni caso – tra i compiti gestiti dall’unità dell’imputato, così come per l’inte Direzione Centrale, non rientravano quelli manutentivi se non delle pavimentazioni e non delle barriere di sicurezza.
Ha dedotto che la Corte territoriale sarebbe incorsa in un’erronea interpretazione del contenuto del piano di riqualifica adottato nel 2008, facente in realtà riferimento al solo criterio prestazionale e che le barriere presenti sul INDIRIZZO erano state menzionate nel piano e ritenute dal progettista come non bisognose di intervento di sostituzione in quanto valutate come già riqualificate; concludendone che la mancata inclusione della barriere new jersey nell’attività di riqualificazione era da ascrivere alla sola scelta del progettista, sul base della piena discrezionalità conferita dal piano in ordine ai tratti da riqualificare; ritenendo che il dato dell’esclusione dell’intervento sulle barriere d secondo impianto fosse non condivisibile sulla base della circostanza testuale per cui l’indicazione chilometrica contenuta nella tabella analizzata dalla Corte territoriale si riferiva all’intero tratto stradale e del fatto che l’importo stanziat piano fosse stato calcolato prendendo in considerazione tutti i chilometri del bordo laterale senza alcuna differenziazione in base alla tipologia della barriera.
Ha poi argomentato in ordine all’insussistenza di un obbligo di riqualificazione; ha contestato che lo stesso discendesse puntualmente dalla Convenzione del 2007, prevedente un piano non immediatamente esecutivo ma necessariamente progressivo (come ravvisato dal Tribunale); ha dedotto che, seguendo la tesi della Corte d’appello, se il concessionario avesse violato il proprio obbligo contrattuale, imponendo nel piano di riqualifica un divieto di sostituzione delle barriere sul viadotto INDIRIZZO e se il progettista non avesse avuto quindi alcuna discrezionalità sul punto nell’individuazione dei tratti significativi, no sarebbe rimasto spazio per giudicare la questione del tratto significativo medesimo ( essendosi trattate di una scelta obbligata per gli imputati intervenuti nella fase esecutiva; ha quindi argomentato che tale considerazione si riverberava sulla posizione del ricorrente avendo egli assunto il ruolo di responsabile dell’unità organizzativa competente sulle barriere di sicurezza solo nel 2010 e quello di responsabile del procedimento solo alla fine del 2011 e non avendo quindi partecipato alla formazione del piano medesimo.
In ordine alla nozione di tratto significativo, ha fatto riferimento all dichiarazioni rese dai testi escussi nel primo grado di giudizio in base alle quali l’individuazione dei chilometri dal 26 al 50 dell’autostrada A16 non comportava
automaticamente la loro qualificazione come tratto significativo, in quanto la normativa vigente non imponeva la sostituzione di tutte le barriere, sostenendo che la contraria conclusione della Corte d’appello non trovasse alcun conforto nella normativa di settore; ritenendo che l’individuazione del “tratto significativo” fosse, di contro, momento specifico della progettazione esecutiva.
Ha quindi escluso la sussistenza di qualsiasi profilo di responsabilità in ordine alla omessa manutenzione delle barriere in calcestruzzo, atteso che ì relativi obblighi ricadevano su soggetti esterni rispetto alla Direzione centrale; esponendo, comunque, che, data la classificazione delle barriere (H4), la scelta di non sostituirle non sarebbe stata censurabile neanche sotto il profilo della discrezionalità tecnica.
In relazione specifica alla posizione del ricorrente, esponeva che la sentenza impugnata non aveva illustrato le ragioni poste alla base della ravvisata posizione di garanzia, se non nelle conclusioni del relativo ragionamento; evidenziando che l’imputato non era titolare dell’unità Barriere di sicurezza al momento dell’approvazione del piano di rìqualifica, alla cui redazione non aveva quindi partecipato, mancando quindi la fonte della posizione medesima; elemento, quello della posizione di garanzia, non desumibíle neanche dalla qualifica di responsabile del procedimento e non derivante dal d.lgs. n.35/2011 e neanche dal codice dei contratti pubblici, dai quali si evinceva la sussistenza di un solo ruolo nella fase di progettazione, affidamento ed esecuzione dei lavori e non nella fase di programmazione e di studio, con conseguente carenza della competenza a segnalare le dedotta illegittimità delle scelte adottate a monte e di intervenire sulle scelte del progettista esecutivo anche in riferimento alla scelta delle tratte da riqualìficare.
20.5 Con il quinto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – l’inosservanza degli artt. 449 e 434 cod.pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione sul punto.
Ha dedotto che la causa genetica del disastro, come individuata dai giudici di merito, non poteva coinvolgere la posizione del ricorrente, essendo l’evento da addebitare a un deficit manutentivo delle barriere, di competenza delle strutture territoriali della società; argomentava, comunque, in ordine alla non configurabilítà dell’elemento oggettivo del reato non essendo stato svolto un adeguato giudizio prognostico sull’effettiva sussistenza di un pericolo per la pubblica incolumità, anche in considerazione del carattere non urbanizzato del luogo in cui era avvenuta la caduta dell’autobus.
20.6 Con il sesto motivo di impugnazione ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.c), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 581, comma 1, letta), e lbis, 597, comma 3 e 568, comma 4, cod.proc.pen., per avere la sentenza
impugnata riconosciuto la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art.589, comma 2, cod.pen., in assenza di impugnazione del p.m., escludendo quindi l’intervenuta prescrizione del reato.
Ha dedotto che, a fronte dell’originaria sentenza di assoluzione, il p.m. aveva proposto appello senza specificare che l’impugnazione atteneva anche al mancato riconoscimento dell’aggravante prevista dall’art.589, comma 2, cod.pen., punto quindi non devoluto in sede di gravame e non essendo consentito al giudice di secondo grado di dare al fatto una definizione giuridica più grave di quella contestata, come invece operato dalla Corte in assenza di appello da parte del p.m.
20.7 Con il settimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – l’inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 133 e 62bis cod.pen. e la mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della sentenza in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e di commisurazione della pena.
Ha censurato la decisione della Corte territoriale nella parte in cui si riferiv alla negativa valutazione della condotta processuale dell’imputato, da ricondurre al legittimo esercizio delle proprie facoltà difensive; ha altresì desunto che la Cort non avrebbe adeguatamente individualizzato il giudizio di responsabilità alla luce della posizione gerarchicamente subordinata rivestita dall’imputato, con ingiustificata disparità di trattamento rispetto a quanto statuito per i responsabil delle Aree Esercizio.
Ha censurato altresì l’omessa individualizzazione del trattamento sanzionatorio, alla luce della vaghezza degli elementi da cui era stata desunta la gravità dell’omissione colposa.
21. NOME COGNOME ha articolato quattordici motivi di impugnazione.
21.1 Con il primo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen., la carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione riferimento alla mancata rinnovazione dell’istruttoria in appello mediante escussione dei consulenti tecnici delle difese, in ordine alla ricostruzione della dinamica del sinistro e alla conseguente tematica del nesso causale in riferimento al fenomeno di corrosione dei tirafondi e alla affidabilità e correttezza del metodo seguito dal perito.
Premesse alcune considerazioni in tema all’onere di motivazione rafforzata in caso di ribaltamento di sentenza di assoluzione, ha osservato che, in sede di giudizio di primo grado e con istanza rigettata dal Tribunale, i difensori avevano chiesto di consentire il riesame dei propri consulenti tecnici all’esito dell’esame de perito; che tale richiesta era stata quindi riproposta in sede di motivi di gravame
con istanza rivolta alla Corte affinché questa, quanto meno, attivasse il potere di rinnovazione istruttoria ai sensi dell’art.603 cod.proc.pen. mediante confronto tra perito e consulenti o comunque mediante escussione di questi ultimi; che la Corte aveva rigettato la relativa eccezione di nullità ritenendola tardiva e aveva disposto il solo riesame del perito ma non dei consulenti tecnici; ha quindi ritenuto ravvisabile una lesione del diritto al contraddittorio, censurando la valutazione di superfluità emessa sul punto dalla Corte nella motivazione della sentenza impugnata, anche perché tali dichiarazioni sarebbero state le prime rese dopo l’escussione del perito avvenuta in primo grado.
21.2 Con il secondo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – la mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione, nella parte in cui aveva affermato la responsabilità del ricorrente affidandosi a un metodo scientifico inadeguato per ricostruire la dinamica del sinistro.
Ha osservato che il Tribunale aveva nominato quale perito un professionista non esperto né di barriere di sicurezza e né di corrosione e che aveva ricostruito la dinamica del sinistro affidandosi a un metodo, il c.d. modello COGNOME, abbandonato dalla comunità scientifica in guanto ritenuto inadeguato ed espunto dalla UNI EN 1317 pubblicata nell’agosto 2010, a favore di metodi basati sulla meccanica computazionale ovvero su modelli di simulazione, ora previsti dalla noma armonizzata suddetta; esponeva – richiamando le argomentazioni contenuti nella consulenza depositata dalla responsabile civile – come il modello -adottato doveva comunque ritenersi inadeguato nel caso concreto, in quanto non idoneo a valutare le modalità del sinistro in questione, non sussistendo le concrete condizioni per l’utilizzo del metodo di calcolo e per i limiti impliciti dello ste elementi sui quali i rilievi della difesa erano stati immotivatamente ritenuti irrilevanti; ha quindi dedotto l’inadeguato governo, da parte della Corte territoriale, dei principi dettati da questa Corte in materia di prova scientifica.
21.3 Con il terzo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – la violazione di legge consistente nell’avere ritenuto sussistente l’aggravante di cui all’art.589, comma 2, cod.pen.; con conseguente violazione dell’art.157, cod.pen. per omessa rilevazione della prescrizione del reato nonché la violazione degli artt. 581, comma 1, lett.a), 597, comma 3 e 568, comma 4, cod.proc.pen., vista la mancanza di appello del p.m. sul punto.
Ha censurato la sentenza nella parte in cui, pur non essendovi stata specifica impugnazione da parte del p.m. – che non aveva devoluto esplicitamente il relativo punto alla cognizione del giudice d’appello neanche in relazione ai coimputati – aveva ritenuto comunque sussistente la predetta circostanza aggravante, ritenendo, in relazione agli imputati condannati in primo grado, non
applicabile il divieto della reformatio in peius; esponeva che, per effetto di tale riconoscimento, la Corte territoriale aveva quindi illegittimamente escluso la declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione.
21.4 Con il quarto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.589, comma 2, cod.pen., per avere la sentenza riconosciuto sussistente la colpa specifica derivante dalla violazione delle norme in materia di circolazione stradale in relazione all’art.14 C.d.s..
Ha desunto che la disposizione suddetta non era fonte di regole cautelari, con la conseguenza che non poteva essere posta alla base della ritenuta aggravante.
21.5 Con il quinto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 434 e 449 cod.pen., in ordine all sussistenza della fattispecie di disastro innominato.
Ha dedotto che la Corte territoriale avrebbe indebitamente sovrapposto la sussistenza dei requisiti integrativi del delitto di omicidio colposo plurimo con quell propri del disastro, ravvisando gli elementi propri di quest’ultimo in un incidente stradale di particolare gravità, la cui attitudine lesiva si era esplicata nei confro di un numero rilevante di persone, ma senza che fosse stata messa a repentaglio la pubblica incolumità e tanto alla luce della contestualizzazione dell’evento e dei fenomeni concretamente determinatisi; ha quindi desunto che il giudice di primo grado avrebbe dedotto la situazione di pericolo avendo riguardo unicamente al numero delle persone coinvolte nell’incidente; ha argomentato che, contrariamente alla prospettazione della Corte territoriale, in sede di imputazione la fattispecie di disastro sarebbe stata concretizzata, non per effetto dell’omessa sostituzione dei dispositivi di contenimento, bensì della sola precipitazione dell’autobus dal viadotto, oltretutto avvenuta in zona boschiva e priva di densità abitativa.
21.6 Con il sesto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. l’illogicità e/o la contraddittorietà della motivazione in ordine alla pretesa sussistenza, in capo alla struttura diretta dall’imputato, d deleghe di funzioni e/o poteri di direzione e coordinamento, attinenti alla manutenzione delle barriere di sicurezza, in realtà appannaggio delle Direzioni di Tronco.
Ha dedotto che la Corte, pur prendendo atto della mancata contestazione della violazione di obblighi connessi alle attività di manutenzione avrebbe – di fatto – ascritto al ricorrente anche tale profilo di addebito colposo; ha desunto che sulla base degli ordini di servizio emessi nel corso del 2008 (nn.5, 8 e 24) nessun compito in materia di manutenzione delle barriere laterali era ascrivibile all’unità organizzativa gestita dal ricorrente ovvero quella competente pe
pavinnentazione e le barriere di sicurezza, avendo la stessa sentenza impugnata riconosciuto la sussistenza solo di compiti in materia di riqualificazione e non di manutenzione, secondo una divisione di competenze rimasta immutata dopo l’ordine di servizio del 22 giugno 2011; in tal modo, la Corte avrebbe quindi travisato il contenuto delle predette disposizioni interne.
21.7 Con il settimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – l’illogicità e/o la contraddittorietà della motivazion ordine alla presunta esclusione delle barriere new jersey dal piano di riqualificazione approvato nel 2008.
Ha dedotto che lo stesso giudice di appello aveva constatato che il piano suddetto aveva conferito al progettista esecutivo la facoltà di disporre la sostituzione anche di barriere non metalliche, dando atto che – dalle dichiarazioni spontanee rese dall’imputato – risultava la complessiva sostituzione di 213 km di barriere di c.d. secondo impianto; ha quindi dedotto che il giudice d’appello sarebbe incorso in un vero e proprio travisamento della prova, in particolare male interpretando le tabelle allegate al piano di riqualificazione e dalle quali si evincev che anche i bordi ponte in calcestruzzo fossero pienamente compresi nell’oggetto del piano medesimo; evidenziando che la pressoché mancata sostituzione di barriere di calcestruzzo non costituiva elemento indiziario idoneo legittimare alcuna conclusione in ordine alle atteggiarsi della discrezionalità tecnica di cui godeva il progettista esecutivo e cioè in quanto le barriere del tipo new jersey erano risultate comunque prestazionalmente conformi ai dispositivi di ultima generazione e tanto con specifico riferimento proprio alle barriere installate sull’autostrada A16; esponendo come, dalla lettura del piano, si evinceva che la sua estensione era relativa all’intero complesso delle tratte e aveva quale oggetto anche la sostituzione delle barriere di bordo ponte, come dimostrato pure dalla lettura inerente la copertura finanziaria del piano medesimo; contestando i passi della motivazione in cui non era stata attribuita credibilità a quanto dichiarato da teste COGNOME quale progettista esecutivo e in ordine alle ragioni in base alle quali non erano state sostituite la barriere presenti sul viadotto Acqualonga Corte di Cassazione – copia non ufficiale
21.8 Con l’ottavo motivo di ricorso ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.2 del d.m. n.223/1992 con riferimento al suo ambito di applicazione e alla definizione della nozione di “tratto significativo”, di cui al comma 3, con conseguente sussistenza di un vizio di violazione della legge extrapenale.
Ha esposto che, sulla base della tesi difensiva, la predetta disposizione riguardava solo alcuni aspetti della progettazione esecutiva relativa ai tipi d barriera da adottare senza stabilire disposizioni in tema di riqualifica, stabilend l’obbligo di progettazione medesima in caso di costruzione di nuovi tronchi
autostradali o di sostituzione di loro tratti significativi, non specificando quin relativi criteri di individuazione; ha quindi sostenuto che, sulla base dell’eseges delle disposizioni in questione, l’individuazione dei tratti significativi era ambito di attività non disciplinato dal suddetto d.m. ma attinente alle scelte progettuali poste a monte della progettazione esecutiva; le quali, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte, non avrebbero comportato alcuna necessaria verifica concreta delle condizioni dell’installato, prescindendo quindi da qualsiasi obbligo attinente alla verifica manutentiva.
21.9 Con il nono motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.40 cod.pen., in rapporto al d.m. 223/1992, in dipendenza della errata ricostruzione dei requisiti causali di imputazione dell’evento, nonché l’illogicità e/o la contraddittorietà dell motivazione in ordine al raggiungimento di un coefficiente di certezza fondato sulla base del canone dell'”al di là di ogni ragionevole dubbio”, circa l’idoneità dell condotta assertivamente omessa a impedire l’evento ascritto.
In riferimento al ragionamento seguito dalla Corte territoriale, ha evidenziato che – in relazione al disposto del citato d.m. – il progettista non er titolare di alcun obbligo di sopralluogo e né di alcun obbligo di verifica dello stat manutentivo delle barriere; mentre ha censurato sotto il profilo della illogicità l considerazione per la quale il progettista – nel caso in cui il viadotto INDIRIZZO fosse stato ricompreso in uno dei tratti significativi – avrebbe dovuto disporre la sostituzione delle barriere esistenti con altre dotate di marcatura CE, di classe H3 o H4, atteso che le barriere già installate garantivano livelli prestazional equipollenti alle predette, sulla base di elementi ritenuti acquisiti dalla stes sentenza impugnata; derivandone quindi, quanto meno, un ragionevole dubbio sull’efficacia salvifica della condotta alternativa ipotizzata, riguardo alla quale Corte aveva comunque omesso qualsiasi considerazione inerente ai tempi di effettiva cantierizzazione e realizzazione.
21.10 Con il decimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.43 cod.pen. in dipendenza della errata ricostruzione dei requisiti di imputazione colposa dell’evento nonché l’illogicità e/o la contraddittorietà della motivazione circa l’idoneità della condo asseritamente omessa a impedire l’evento, sulla base del canone dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”.
Osservava che la causa immediata dell’evento, per come identificata dalla stessa sentenza impugnata, era stata rappresentata dal degrado manutentivo delle barriere, elemento di fatto non imputabile al ricorrente, ritenendo che i dispositivi di protezione fossero nominalmente corrispondenti a quelli adeguati al caso concreto; ne sarebbe conseguito che l’omissione contestata al ricorrente non
era idonea, sul piano della causalità della colpa, a giustificare un giudizio d addebito colposo, atteso che l’evento si era verificato non per la inadeguatezza delle barriere bensì per effetto della loro omessa manutenzione.
21.11 Con l’undicesimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comm 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.27 Cost. e degli a e 113 cod.pen. in dipendenza dell’errata ricostruzione dei requisiti di imputazione causale e colposa dell’evento nonché l’illogicità e/o la contraddittorietà della motivazione circa l’idoneità della condotta asseritamente omessa a impedire l’evento anche in relazione all’errata valutazione del principio di affidamento sull’altrui condotta doverosa.
Ha dedotto che la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente motivato in ordine all’interruzione del nesso causale derivante dall’inadempimento rispetto agli obblighi manutentivi facenti capo alle strutture periferiche, con conseguente violazione dei principi in tema di cooperazione colposa, anche in considerazione della mancanza di competenze della struttura gestita dal ricorrente nell’ambito della manutenzione medesima; in riferimento alla quale veniva quindi in considerazione la corretta applicazione dei principi in tema di affidamento sulla correttezza della altrui condotta.
21.12 Con il dodicesimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.c), cod.proc.pen. – la nullità della sentenza derivante dal difetto correlazione tra fatto imputato e fatto ascritto, in relazione agli artt. 521 cod . proc. pen
Ha dedotto che la Corte territoriale avrebbe ascritto all’imputato l’om esercizio dei compiti di programmazione, coordinamento e controllo e, quindi, di quelli attinenti alla corretta manutenzione dei dispositivi di ritenuta, addebito non corrispondente a quello indicato nell’atto di esercizio dell’azione penale.
21.13 Con il tredicesimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 27 Cost., 40, cod.pen. in dipendenza della errata ricostruzione dei profili di imputazione ca degli eventi ascritti e l’illogicità e/o la contraddittorietà della motivazione in ord alla sussistenza di una posizione di garanzia.
Ha dedotto che la Corte, nell’individuare dei profili di colpa specifica in relazione all’art.14 C.d.s. e all’art.2 del d.m. n.223/1992, non avrebbe esplicitato la posizione di garanzia riconducibile all’imputato, in considerazione della particolare competenza dell’unità cui lo stesso era preposto.
21.14 Con il quattordicesimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art. comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – la carenza e illogicità della motivazione in al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla commisurazione della sanzione finale.
Ha dedotto che la Corte avrebbe illogicamente negato le circostanze attenuanti generiche sulla base della gravità del reato e del grado della colpa, in assenza di qualsiasi valutazione individualizzante; e che pure censurabile doveva ritenersi il riferimento al comportamento processuale tenuto dall’imputato, con quale era stato sostanzialmente stigmatizzato l’esercizio dei diritti propr difesa; ha dedotto che alcuna valutazione individualizzante si rinveniva anche a proposito della determinazione della pena base, non tenente conto della specifica posizione rivestita dall’imputato all’interno della società e ciò anche sulla s una valutazione comparativa rispetto alla sanzione inflitta ai Direttori di Tr ai Responsabili dell’Area Esercizio, in realtà gravati dello specifico obbl monitoraggio dell’efficienza delle barriere.
22. La responsabile civile RAGIONE_SOCIALE ha articolato quattordici motivi di impugnazione.
22.1 Con il primo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 40 e 43 cod.pen e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con connesso travisamento della prova, nella parte in cui la sentenza aveva affermat la responsabilità degli esponenti della società affidandosi a un metodo scientifico superato e inadeguato al fine di ricostruire la dinamica del sinistro.
Sul punto, ha introdotto due aspetti di criticità attinenti alla decisione d merito; il primo, riguardante la qualificazione professionale del perito, trattandosi di soggetto non esperto né di barriere di sicurezza e né di corrosione; il se attinente all’affidabilità del metodo scientifico utilizzato dal perito, avendo preso le mosse – ai fini della ricostruzione del sinistro – dal metodo COGNOME, abbandonato dalla comunità scientifica e inidoneo a fornire conclusioni attendibili; sottolineava che il riferimento a tale metodo era stato abbandonato nella versione della norma armonizzata UNI EN dell’agosto del 2010 e che la stessa norma prevedeva l’utilizzo di metodi fondati sulla meccanica computazionale ovvero su modelli di simulazione a elementi finiti (quali Ls-Dyma o MUSIAC); esponeva che il metodo COGNOME era soggetto a limiti di utilizzo e a condizioni che, nel caso in esame, non potevano essere completamente rispettate; ha quindi dedotto che, su tali aspetti, la Corte di appello aveva omesso di fornire adeguata motivazione e che avrebbe conseguentemente violato la regola di giudizio dell'”al di là di ogni ragionevole dubbio”; ha dedotto che la difesa aveva chiesto un confronto tra perito e consulenti di parte, un nuovo esame dei consulenti già ascoltati, la rinnova della perizia e l’esame di un nuovo consulente di parte, ma che nessuna di qu richiesta aveva, ingiustificatamente, trovato accoglimento da parte della Corte.
22.2 Con il secondo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.178, comma 1, lett.c cod.proc.pen. e la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione delle ordinanze emesse dalla Corte il 25/03/2021, il 30/09/2021, il 03/02/2022 e il 09/03/2023 e della sentenza, nella parte in cui avevano negato il confronto tra perito e consulenti tecnici.
Ha premesso che, in sede di impugnazione, la difesa aveva eccepito la nullità delle ordinanze adottate dal Tribunale il 12/09/2018 ove questo aveva negato la possibilità di svolgere l’esame del perito direttamente ad opera dei consulenti di parte e rigettato la richiesta di disporsi il confronto tra quest l’ausiliario, nonché la richiesta di escutere nuovamente i consulenti tecnici al termine dell’esame del perito; tutte argomentazioni disattese dalla Corte in sentenza ritenendosi, tra l’altro, intempestiva l’eccezione in ordine alla richiesta d nuova escussione dei consulenti; ha dedotto che i consulenti di parte avevano ripetutamente interloquito nell’ambito delle operazioni peritali e che, di conseguenza, andava consentito il massimo contraddittorio tra i tecnici; ha quindi esposto che la Corte non aveva disatteso tale impostazione ma che aveva ritenuto tardiva la relativa eccezione di nullità formulata dalle difese, secondo un assunto non condivisibile, come dimostrato dalla lettura del verbale del 12 settembre 2018; ne conseguiva che l’accertata lesione del diritto di difesa avrebbe dovuto indurre il giudice d’appello a condurre l’esame secondo le predette modalità, non disposte in primo grado,e che del tutto illogica doveva ritenersi la motivazione alla base del rigetto della richiesta di confronto.
22.3 Con il terzo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.603 cod.proc.pen. e la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nella parte in cui erano state rigettate l richieste di rinnovazione dibattimentale formulate nei motivi di impugnazione e nei motivi aggiunti.
Ha esposto che, in sede di gravame, era stato richiesto il confronto tra consulenti e perito e un nuovo esame dei consulenti già sentiti dal tribunale oltre che l’espletamento di una nuova perizia e l’esame di un nuovo consulente di parte; con istanze rigettate dalla Corte in relazione al disposto dell’articolo 603 commi 1 e 3, cod.proc.pen.; osservava, sul punto, che la formulazione del relativo motivo era del tutto conseguente alla richiesta di rinnovazione dell’atto nullo formulata nel motivo precedente, il cui accoglimento avrebbe comportato la necessaria rinnovazione dell’atto invalido medesimo mentre le richieste nuove, concretizzatesi nell’istanza di espletamento di una nuova perizia e nell’audizione di un nuovo consulente, dovevano ritenersi fondate ai sensi dell’articolo 603, comma uno, cod.proc.pen..
22.4 Con il quarto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità dell motivazione, anche sotto la specie del travisamento della prova e del mancato rispetto del canone dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”, in relazione al calcolo dell’angolo di impatto dell’autobus sulla barriera in opera sul viadotto INDIRIZZO.
Ha operato una complessiva contestazione della ricostruzione operata dalla Corte in punto di dinamica del sinistro rilevando come la motivazione del giudice d’appello avesse contraddetto le critiche formulate dalle difese e attinenti all’ipotizzata volontaria sterzata a destra del conducente dopo l’impatto contro la Opel Zafira e all’effetto sponda derivante dall’impatto contro la vettura Citroen; evidenziando come gli elementi oggettivi contraddicessero la lettura finale perito in ordine alla sussistenza di un’unica traiettoria curvilinea seguit dall’autobus dopo il primo impatto contro la barriera laterale, deponendo invece tali elementi per una deviazione conseguente all’impatto con altri veicoli, mentre la tesi del perito sarebbe stata confliggente anche con l’individuazione dell’effettivo punto d’urto finale, sottolineando le contraddittorietà delle conclusioni del t in ordine all’effettiva angolazione del mezzo al momento dall’uscita di strada.
22.5 Con il quinto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 43, 113, 589 e 449 cod.pen. in relazione all’art.434 cod.pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova e del rispetto del canone dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”, in relazione ai profili di colpa riconosciuti in capo agli esponenti della Direzione del Sesto Tronco della società ricorrente.
Ha dedotto la censurabilità della motivazione in ordine alla ricostruzione del fenomeno corrosivo sotto il profilo della prevedibilità, della regola cautelar asseritamente violata e della esigibilità della condotta.
Ha dedotto che la tesi dell’accusa si fondava sul dato in base al quale i tirafondi delle barriere sarebbero state oggetto di un normale e fisiologico fenomeno di corrosione, avente la propria origine nell’utilizzo improprio di acciaio zincato e nelle caratteristiche della piattaforma stradale, che avrebbero dato luogo a un fenomeno sviluppatosi in pochi anni dalla posa in opera; tesi, a fronte della quale, i consulenti tecnici della difesa avevano ritenuto non potesse parlarsi degrado fisiologico ma che lo stesso fosse dovuto alla formazione di magnet nella cameretta di espansione; secondo una ricostruzione peraltro smentita giudici di appello senza confrontarsi con le argomentazioni difensive, che avevano sostenuto il carattere del tutto imprevedibile del fenomeno alla luce delle leggi scientifiche condivise al momento dell’installazione, sulla base delle quali era stato adottato un meccanismo di protezione da ritenere del tutto idoneo.
In ordine alla valenza probatoria dei lavori svolti nel 2009, ha evidenziato che – in tale contesto – i tirafondi apposti sulle campate 3 e 7 del INDIRIZZO Acqualonga non erano stati aggrediti dal fenomeno di intensa corrosione riscontrato nel 2013 nelle campate 10 e 11, tanto sulla base di testimonianze la cui valenza era stata indebitamente sminuita da parte del giudice d’appello.
Ha dedotto che la motivazione doveva ritenersi viziata sul punto attinente alle modalità di ispezione delle barriere, essendo emerso dal dibattimento che la medesima era avvenuta, in maniera frequente e puntuale, da parte dei viabili e dei tecnici di tratta con modalità visive nonché dell’ufficio informazione e controllo del traffico e del personale di imprese terze oltre che della SPEA, con cui era stata sottoscritta apposita convenzione; inoltre, era emerso il dato rappresentato dalle ispezioni eseguite da parte delle autorità di vigilanza, in esecuzione del piano annuale di monitoraggio (PAM) e dell’attività svolta a sorpresa e non calendarizzata che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, avveniva con frequenza e prescindendo dalla presenza di barriere incidentate.
In ordine alle violazioni delle regole cautelari riscontrate dalla Corte ha argomentato che le modalità indicate (ovvero l’utilizzo della chiave dinamometrica) si riferivano a interventi posti in essere dopo l’incidente e non contemplati nei manuali di installazione e monitoraggio vigenti al momento dei fatti, contestando la valenza probatoria dei dati apportati dal p.m. in ordine alle modalità di verifica dello stato dei tiranti effettuata nel 2012 sull’autostra Torino-Savona.
Censurava la sentenza impugnata nella parte in cui aveva ravvisato non una colpa generica, come ritenuto nella sentenza di primo grado, ma specifica, facendosi riferimento alle normative contenute nelle norme armonizzate – le quali si riferivano alla sola nozione generale di manutenzione – e nell’articolo 14 del Codice della strada, in realtà da considerare una mera norma attributiva dell’obbligo di garanzia ma non tale da concretizzare una regola cautelare; ha altresì dedotto che la Corte non avrebbe tenuto conto del profilo della esigibilità della condotta.
22.6 Con il sesto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 581, comma 1, lett.a), e 597, comma 3, cod.proc.pen., per avere la Corte di appello, in assenza di appello del p.m., riconosciuto l’aggravante della violazione delle norme sulla circolazione stradale per le posizioni dei dirigenti ed esponenti del Sesto Tronco di Autostrade, non rilevando in tale modo l’intervenuta prescrizione del reato.
Ha esposto che il Tribunale aveva pronunciato una sentenza di condanna per il delitto previsto dall’art.589 cod.pen., previo riconoscimento della sola colpa generica, con la conseguenza che doveva intendersi decorso il termine massimo
di prescrizione di sette anni e sei mesi; premessa la natura più favorevole della disposizione nel testo anteriore all’entrata in vigore della I. n.241/2016, ha dedotto che la sussistenza dell’aggravante, quale punto autonomo della decisione, non era stata devoluta al giudice di appello mediante motivo di impugnazione, con conseguente violazione del divieto della reformatio in peius; tanto anche in relazione al precedente di legittimità richiamato dalla Corte, attinente alla sola riqualificazione del fatto e presupponente comunque un rapporto di connessione con un capo o un punto fatto oggetto di impugnazione, richiamando a tale proposito anche i principi in tema di formazione progressiva del giudicato.
22.7 Con il settimo motivo di impugnazione ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.125 cod.proc.pen. nonché del canone dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”, nella parte in cui la sentenza aveva riconosciuto la responsabilità dell’Amministratore Delegato e degli esponenti della direzione generale, senza confutare in maniera specifica le argomentazioni della pronuncia assolutoria e senza provvedere alla rinnovazione delle prove assunte in primo grado.
Ha dedotto che la Corte territoriale sarebbe giunta a una pronuncia di condanna degli esponenti dei vertici aziendali in assenza di una motivazione rafforzata, ribaltando l’esito assolutorio raggiunto dal Tribunale con una motivazione parziale e parcellizzata.
In particolare, ha sottolineato che il Tribunale in relazione agli obblighi discendenti dalla Convenzione del 2007 – aveva escluso la sussistenza di obbligo generalizzato di riqualificazione delle barriere autostradali; che, pur in presenza di un intervento in tale senso, la normativa vigente non imponeva la necessaria sostituzione di tutte le barriere e che – anche in relazione all’art.2 de d.m. n.223/1992 – pure in occasione di adeguamento di tratti significativi di tronchi stradali si presupponeva un intervento a monte in ordine all’individuazione dei medesimi da parte del progettista; ha sottolineato che, di contro, la Corte territoriale aveva desunto dal testo della Convenzione la sussistenza di un obbligo generalizzato di riqualifica e che – una volta individuato quale oggetto di intervento il tratto compreso tra il km 26 e il km 50 della A16 – l’intervento stesso avrebbe dovuto riguardare tutto lo sviluppo chilometrico, senza che l’adeguamento fosse legato alla valutazione del progettista; fermo restando, sempre secondo la valutazione della Corte, che il piano di riqualifica aveva escluso dall’ambito di intervento le barriere in calcestruzzo, anche perché prive della necessaria marcatura CE.
Ha quindi sostenuto che la riqualificazione delle barriere di sicurezza non era imposta da alcuna norma primaria o secondaria e nemmeno poteva ritenersi imposta dalla Convenzione; mentre, quanto all’inserimento nel piano pluriennale
del tratto compreso tra il km 26 e il km 50 della A16, ha dedotto che – sulla base di quanto affermato dallo stesso consulente del p.m. – si trattava di un tratto di “studio” e non di intervento, contenente al proprio interno dei tratti significativi, la cui individuazione era comunque compito esclusivo del progettista.
Ha premesso che la violazione di una regola cautelare, discendente dall’approvazione di un progetto di riqualifica del chilometraggio compreso tra i km 26 e 50 della A16 e dalla pericolosità del tracciato, era stata esclusa dal Tribunale, sulla base di una conclusione giustificata anche sulla scorta del materiale istruttorio raccolto e ivi concludendosi – tra l’altro – che nessun disposizione normativa prevedeva che il progettista dovesse verificare preventivamente lo stato di manutenzione delle barriere; escludendo, altresì, che la delibera del 18/12/2008 avesse limitato l’intervento alle sole barriere di primo impianto; ha quindi argomentato che, a fronte di tali motivazioni, la Corte territoriale aveva ritenuto che il piano di riqualifica limitasse gli interventi alle barriere metalliche, pur ammettendo successivamente che gli interventi avevano riguardato anche barriere di secondo impianto.
Ha contestato la motivazione della sentenza di appello in ordine al riconoscimento della causalità della colpa tra omessa riqualifica delle barriere ed evento; sul punto, ha sottolineato che il Tribunale aveva rilevato che le barriere new jersey già installate sul viadotto avevano comunque una capacità di contenimento pari a quella di una barriera H4 e quindi pienamente corrispondente ai requisiti previsti dal d.m. n.223/1992; essendosi concretizzato un rischio del tutto diverso, dipendente dal difetto di manutenzione delle barriere medesime.
Ha altresì censurato la motivazione della sentenza in punto di ricostruzione del nesso causale tra l’omessa riqualifica delle barriere e l’evento, atteso che costituiva circostanza acquisita quella per cui una barriera regolarmente tenuta avrebbe comunque potuto evitare la precipitazione dell’autobus; argomento superato dalla Corte territoriale ritenendo che, se l’intervento di riqualifica avesse interessato tutte le barriere installate sul viadotto, il tecnico avrebbe potuto sicuramente constatare il loro carente stato di manutenzione; ha dedotto che non vi fosse alcun elemento per ritenere che il progettista, quand’anche la barriera fosse stata ricompresa nel piano di riqualifica, avrebbe dovuto valutarne lo stato di corrosione e che mancava comunque qualsiasi considerazione inerente ai tempi di effettiva attuazione di tale intervento.
22.8 Con l’ottavo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, connma 1, lett.c), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 178, comma 1, lett.c) e 18 cod.proc.pen., in riferimento all’art.603, comma 3bis, cod.proc.pen. e all’art.6 della CEDU, avendo riguardo alla mancata rinnovazione delle prove dichiarative ritenute decisive assunte in primo grado e poste alla base della sentenza di
assoluzione dell’Amministratore Delegato e degli esponenti della Direzione generale.
Ha dedotto che il Tribunale aveva fondato la sentenza assolutoria anche sulle risultanze delle prove orali assunte nel dibattimento e che la rinnovazione istruttoria disposta dalla Corte territoriale era stata solo parziale, n comprendendo – tra gli altri – i consulenti tecnici della difesa; ha dedotto che l sussistenza di un obbligo giuridico di riqualifica era stato escluso dalla deposizione dei testi COGNOME COGNOME dai consulenti tecnici del p.m. e della difesa nonché dal perito, tra cui solo il COGNOME era stato riascoltato; analoga considerazion spiegava a proposito del punto attinente alla violazione della regola cautelare, su cui avevano deposto alcuni testimoni e i consulenti della difesa, nessuno dei quali ascoltato dalla Corte; mentre l’interpretazione del piano di riqualifica era avvenuta sul piano documentale senza disporre la nuova audizione di tutti i testi della difesa; mentre, altresì, nessuno spazio nell’istruttoria aveva trovato il profilo relativo a causalità della colpa, su cui pure avevano deposto consulenti tecnici e perito.
22.9 Con il nono motivo di ricorso ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 40, 41, 43, 113 e 5 cod.pen. e dell’art.2 del d.m. 223/1992, nonché la contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione sulla ritenuta sussistenza di una posizione di garanzia in capo all’allora Amministratore Delegato e agli esponenti della Direzione Generale in materia di manutenzione delle barriere di sicurezza.
Ha operato una complessiva disamina sulla insussistenza di tutti i presupposti necessari per ravvisare una responsabilità colposa, con specifico riferimento alla prevedibilità dell’evento e in ordine alla dedotta violazione degl obblighi manutentivi, atteso che la stessa Corte territoriale aveva riconosciuto la distinzione tra l’attività di manutenzione e l’attività di riqualifica.
22.10 Con il decimo motivo ha dedotto – ai sensi degli artt. 521 e 522 cod.proc.pen. – la violazione di legge e la conseguente nullità della sentenza, per violazione dell’obbligo di correlazione tra fatto ascritto e fatto ritenuto, nella pa in cui il giudice di appello aveva pronunciato condanna dei vertici societari anche in relazione alla condotta di omessa manutenzione.
Ha dedotto che la Corte, di fatto, aveva ascritto all’Amministratore Delegato e ai membri degli uffici centrali anche la violazione degli obblighi manutenti tal modo incorrendo nella violazione delle suddette disposizioni.
22.11 Con l’undicesimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.589, comma 2, cod.pen. e la mancanza di motivazione in relazione al riconoscimento della colpa specif connessa alla violazione delle norme sulla circolazione stradale in all’Amministratore Delegato e agli esponenti della Direzione Generale.
Ha dedotto che il d.m. 223/1992 non disciplinava la fase propedeutica della riqualificazione, con la conseguenza che non sussisteva una disciplina specifica che avrebbe imposto un diverso modo di decidere e deliberare l’investimento, con la conseguenza ulteriore che in nessun caso la condotta tenuta poteva assurgere a violazione di una specifica norma sulla circolazione stradale.
22.12 Con il dodicesimo motivo ha dedotto- ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) e c), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 581, comma 1, lett.a), 597, comma 1, cod.proc.pen., per avere la Corte di appello, in assenza di appello del p.m., riconosciuto l’aggravante della violazione delle norme sulla circolazione stradale per l’Amministratore Delegato e per gli esponenti della Direzione Generale, non rilevando in tale modo l’intervenuta prescrizione del reato.
Richiamando quanto esposto nel motivo di ricorso attinente ai Direttori di Tronco, ha esposto che la conclusione della Corte si sarebbe posta in contrasto con i medesimi principi; atteso che l’appello proposto dal p.m. in ordine tali posizioni non atteneva al riconoscimento della predetta aggravante speciale, con la conseguenza che il relativo punto della sentenza di primo grado non aveva formato oggetto di devoluzione.
22.13 Con il tredicesimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 40, comma 2, 43, 11 cod.pen., in relazione all’art.434 cod.pen., per erronea applicazione dei principi in materia di idoneità della condotta a cagionare un pericolo per la pubblica incolumità.
Ha dedotto che la Corte territoriale avrebbe identificato il pericolo per la pubblica incolumità sulla base delle condizioni di elevata pericolosità della sede stradale derivante dalle omissioni colpose in materia di manutenzione e monitoraggio; ha esposto che la Corte non aveva però affrontato la questione dell’accertamento di un pericolo comune secondo lo schema del danno qualificato dal pericolo, assumendo tale elemento come insito nella pericolosità della sede stradale, delineando in tal modo un reato di mera condotta in luogo di uno di evento; evento, nel caso di specie, non ravvisabile; ha quindi dedotto che la Corte avrebbe attribuito rilievo a una condizione di “elevata pericolosità” per la sicurezza dei trasporti omettendo di accertare la sussistenza dell’evento materiale di danno ovvero il pericolo effettivo per l’incolumità pubblica e prescindendo, pert dalla necessaria valutazione delle circostanza concrete in cui si era svolto il fatto.
22.14 Con il quattordicesimo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen – la violazione dell’art.2049 cod.civ. parte in cui la sentenza aveva confermato la quantificazione del contributo cau all’evento nei confronti della responsabile civile.
Ha premesso che tale contributo era stato quantificato dai giudici di merito nella misura del 40%, ritenuta del tutto sproporzionata rispetto a quella riconosciuta agli altri soggetti condannati (Lametta e Ceriola), il tutto senza tenere adeguato conto della dinamica concreta del sinistro e delle condizioni del mezzo la cui circolazione ne era stata all’origine.
23. Le difese di alcuni imputati hanno successivamente presentato memorie illustrative.
La difesa di NOME COGNOME ha depositato memoria illustrativa specificamente relativa al primo, quinto, sesto e settimo motivo di ricorso.
La difesa del COGNOME ha depositato memoria illustrativa attinente: agli addebiti riconosciuti dalla Corte di appello, alle qualifiche effettivamente ricoperte dall’imputato, all’erronea ricostruzione della ripartizione degli obblighi riqualificazione e manutenzione, al perimetro dei doveri derivanti dalla normativa di settore e alla conseguente correttezza del comportamento tenuto dal ricorrente, al comportamento lecito alternativo individuato e all’assenza di responsabilità dell’imputato medesimo.
La difesa dello COGNOME ha depositato memoria illustrativa nella quale ha insistito per l’accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso.
La difesa del COGNOME ha depositato memoria illustrativa nella quale si è soffermato specificamente sulla valenza da attribuire al d.m. n.223/1992 e all’adeguatezza prestazionale della barriera investita dall’autobus.
La difesa di NOME COGNOME ha depositato memoria illustrativa nella quale si è soffermata specificamente sull’ottavo motivo di ricorso nonché su alcuni aspetti di fatto e di diritto già oggetto di approfondimento in sede di ricors introduttivo.
La difesa della responsabile civile ha depositato delle note di udienza nelle quali ha pure approfondito alcune tematiche già oggetto di trattazione nell’originario ricorso.
24. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta nella quale ha espresso alcune conclusioni parziali per poi precisare definitivamente le proprie argomentazioni in sede di udienza.
Ha concluso per il rigetto dei ricorsi presentati dal COGNOME e dalla COGNOME; in ordine alla posizione di COGNOME COGNOME e COGNOME ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata ai fini penali, quanto al reato di cui all’art.589 cod.pen., per essersi il reato estinto per prescrizione e quanto a reato di cui all’art.449 cod.pen. perché il fatto non sussiste; con annullamento con rinvio ai fini civili.
In ordine alla posizione di COGNOME COGNOME e COGNOME ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata ai fini penali, quanto al reato di cui all’art. 589 cod.pen., per essersi il reato estinto per prescrizione e quanto a reato di cui all’art.449 cod.pen. perché il fatto non sussiste; con rigetto dell domande ai fini civili.
In ordine alla posizione di COGNOME, COGNOME e COGNOME ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata quanto al reato di cui all’art.589 cod.pen.; ha chiesto l’annullamento senza rinvio riguardo al reato di cui all’art.449 cod.pen., perché il fatto non sussiste.
Le parti civili hanno depositato conclusioni e nota spese.
La responsabile civile ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME va parzialmente accolto, in relazione all’ultimo motivo di ricorso, attinente alla rideterminazione della pena, con statuizione che, in ordine al medesimo profilo, si riflette anche sulla posizione del COGNOME in relazione al disposto dell’art.587, comma 1, cod.pen.; con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata ai sensi dell’art.620, lett.1), cod.proc.pen..
I ricorsi proposti dagli altri imputati e dalla responsabile civile vann integralmente rigettati.
I ricorsi proposti da NOME COGNOME e NOME COGNOME
Vanno inizialmente esaminati i ricorsi proposti da NOME COGNOME e da NOME COGNOME in quanto attinenti a condotte poste in essere in un preciso segmento temporale della vicenda in oggetto, collocato in una fase antecedente rispetto al concreto svolgimento della dinamica del sinistro.
Va premesso che, in relazione alla posizione di entrambi i suddetti ricorrenti, si verte in una fattispecie di c.d. doppia conforme, per cui le du decisioni di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi le stesse a vicenda, secondo il tradizionale insegnamento della Suprema Corte; tanto in base al principio per cui: «Il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congr della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile» (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997 COGNOME, Rv. 209145; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 11878
20/01/2003, Vigevano, Rv. 224079; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, COGNOME, Rv. 225671; Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617).
Il ricorso proposto da NOME COGNOME va rigettato quanto ai primi nove motivi e accolto limitatamente al decimo motivo, inerente alla concreta determinazione della pena da parte del giudice di appello.
Deve essere premesso che i primi due motivi di impugnazione articolati dalla COGNOME hanno quale oggetto il capo della sentenza che ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione in ordine al reato contestato al capo A); sul punto, deve quindi osservarsi che, in tema di impugnazioni, l’interesse del ricorrente è ravvisabile non solo quando questi miri a conseguire effetti penali più vantaggiosi, ma anche quando tenda ad evitare conseguenze extrapenali pregiudizievoli o ad assicurarsi effetti penali più favorevoli che l’ordinamento faccia dipendere dalla pronuncia domandata, come quelli che l’ordinamento rispettivamente riconnette all’efficacia del giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione nel giudizio di danno (artt. 651 e 652 cod. proc. pen.), al giudicato di assoluzione nel giudizio disciplinare (art. 653 cod. proc. pen.) e al giudicato delle sentenze di condanna e di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativ (art. 654 cod. proc. pen.).
Difatti, stante il principio di unitarietà dell’ordinamento giuridico, se u sentenza penale produce effetti giuridicamente rilevanti in altri campi dell’ordinamento, con pregiudizio delle situazioni giuridiche soggettive facenti capo all’imputato, questi ha interesse ad impugnare la sentenza penale qualora dalla modifica di essa possa derivare in suo favore, in modo diretto e concreto, l’eliminazione di qualsiasi effetto giuridico extrapenale per lui pregiudizievole (Sez. 5, n. 37677 del 10/07/2012, COGNOME, Rv. 254557; Sez. 6, n. 35989 del 01/07/2015, COGNOME, Rv. 265604; Sez. 4, n. 18343 del 05/02/2019, COGNOME, Rv. 275760). Interesse che, nel caso di specie, deve ritenersi concretamente sussistente in relazione alla presenza delle parti civili nonché agli eventuali e potenziali effetti extrapenali derivanti da una sentenza di proscioglimento.
A propria volta, quanto alla regola di giudizio da osservare in tale fattispecie, vertendosi – nel caso in questione – in ipotesi di impugnazione proposta ai soli fini civili, stante la declaratoria di prescrizione emessa da parte d giudice di appello, vanno tenuti presenti i criteri dettati nella sentenza della Corte Costituzionale del 7 luglio 2021, n.182, nella cui parte motiva è stato ril con specifico riferimento alla tematica del nesso causale – che, nel decid in sede di impugnazione ai fini risarcitori, il giudice deve avere riguardo al fatto ch nell’illecito civile «vale, invece, il criterio del “più probabile che non” o
“probabilità prevalente” che consente di ritenere adeguatamente dimostrata (e dunque processualmente provata) una determinata ipotesi fattuale se essa, avuto riguardo ai complessivi risultati delle prove dichiarative e documentali, appare più probabile di ogni altra ipotesi e in particolare dell’ipotesi contraria»; criterio sulla base dell’impianto argonnentativo dell’ arresto espresso da Sez. U, n. 36208 del 28/03/2024, COGNOME, Rv. 286880 è applicabile, specificamente, nei casi di impugnazione proposta ai soli fini civili.
Mentre, di contro e sempre sulla base della predetta pronuncia, nel giudizio di appello avverso la sentenza di condanna dell’imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l’estinzione del reato per prescrizione, non può limitarsi a prendere atto della causa estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili fondate sui criteri enunciati dalla sentenza della Cor costituzionale n. 182 del 2021, ma è comunque tenuto, stante la presenza della parte civile, a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, sussistenza dei presupposti per l’assoluzione nel merito (con conseguente e persistente validità dei principi dettati da Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244273).
Il primo motivo, attinente alla dedotta violazione del principio di corrispondenza tra imputazione contestata e fatto ritenuto in condanna (in relazione agli artt. 521 e 522 cod.proc.pen.) è infondato.
Specificamente, l’imputata ha prospettato la violazione del predetto principio in quanto, a differenza rispetto alla contestazione originaria – in cui e stata ascritta alla ricorrente la condotta consistente nel materiale inserimento nel sistema informatico della Motorizzazione Civile del report dei dati comprovante la (mai avvenuta) revisione del autobus Volvo tg. CODICE_FISCALE – le sentenze di merito avrebbero posto alla base della dichiarazione di responsabilità, con conseguente assenza dei presupposti per un proscioglimento nel merito, la (diversa) condotta consistente nella cessione della password di accesso al sistema nei confronti di terzi e, in particolare, a diversi soggetti abilitati al collegamento, concretament identificati -tanto già nella sede della motivazione del giudizio di primo grado -nel personale in servizio presso l’agenzia COGNOME; specificamente concludendo, all’esito del complesso del materiale istruttorio esaminato che “Ne deriva che è ben possibile e deve anzi ritenersi accertato sulla base delle indicate convergenti risultanze istruttorie che la COGNOME abbia fornito le proprie credenziali ad u soggetto abilitato al collegamento – come il titolare dell’agenzia COGNOME o altr soggetto operante in tale agenzia, da lei frequentata abitualmente per motivi lavorativi e coinvolta anche in altre indagini aventi ad oggetto reati analoghi – e l
stesso abbia provveduto ad inserire materialmente l’esito della revisione in questione con le sue credenziali” (pag.84 della sentenza di primo grado).
Da tale circostanza, e in relazione alla diversità del fatto contestato rispetto a quello ascritto, sarebbe conseguita, secondo la prospettazione difensiva, la eterogeneità tra il fatto contestato medesimo e quello oggetto di condanna, atteso che la contestazione faceva riferimento alla condotta materiale rappresentata dall’effettivo inserimento del falso report nella banca dati della Motorizzazione Civile.
5.1 Sul relativo profilo di diritto – e in relazione a problematica sulla qual si avrà successivamente modo di ritornare – le Sezioni Unite hanno affermato, in più occasioni, il principio in base al quale, in relazione al rispetto del combinat disposto degli artt. 521 e 522 cod.proc.pen., per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei propri elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, cosicché si pervenga ad una incertezza sull’oggetto della imputazione da cui scaturisce un reale pregiudizio dei diritti della difesa; conseguendone che l’indagine non va esaurita nel mero e pedissequo confronto puramente letterale tra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter de processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto della imputazione (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di COGNOME, Rv. 205619; Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051); potendosi quindi ravvisare la violazione del principio di correlazione nel solo caso in cui si sia fronte a un radicale mutamento, negli aspetti costitutivi essenziali, delle condotte contestate, produttivo di un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. 4, n. 18366 de 17/01/2024, T., Rv. 286379). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tali principi sono coerenti con quelli costituzionali racchiusi nella norma di cui all’art. 111 della Carta fondamentale, ma anche con l’art. 6 della CEDU, siccome interpretato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, a partire dalla pronuncia RAGIONE_SOCIALE (CEDU, 2 sez., 11 dicembre 2007); ma anche, successivamente, con la pronuncia del 22 febbraio 2018, RAGIONE_SOCIALE (n.2), con la quale la Corte di Strasburgo ha escluso la violazione dell’art. 6 cit. nel caso in cui l’interessato abbia avuto una possibilità di preparare adeguatamente la propria difesa e di discutere in contraddittorio sull’accusa alla fine formulata ne suoi confronti (così, in motivazione, Sez.4, n.3922 del 17/12/2020, dep.2021, COGNOME, n.m.).
5.2 Nel caso di specie, come osservato dalla Corte territoriale, viene quindi in considerazione anche l’ulteriore e puntuale principio in forza del quale non
sussiste la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui l’imputato, al quale sia stato contestato di essere l’autore materiale del fatt sia riconosciuto responsabile a titolo di concorso morale, giacché tale modifica non comporta una trasformazione essenziale del fatto addebitato, né può provocare menomazioni del diritto di difesa, ponendosi in rapporto di continenza e non di eterogeneità rispetto alla originaria contestazione (Sez. 2, n. 122 17/03/2015, Abruzzese, Rv. 263017; Sez. 2, n. 30488 del 09/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284953).
Nel caso in esame, si rileva altresì, come pure evidenziato dal giudice di appello, che in ordine alla concreta manifestazione della condotta ritenuta nelle sentenze di merito – la difesa ha avuto esteso modo di confrontarsi di controdedurre, avendo la stessa ampiamente contestato, tanto nel corso del giudizio di primo grado quanto in sede di impugnazione, la circostanza relativa alla dedotta e volontaria cessione delle proprie credenziali di accesso al sistema a terzi non autorizzati e sostenendo, in tali sedi, di avere subito un furto delle credenziali medesime, facendo specifico riferimento all’utilizzo di chiavette utilizzate abusivamente a tale fine (c.d. keylogger).
Pertanto, in relazione al suddetto motivo di ricorso, deve dedursene la complessiva infondatezza proprio in quanto il dato fenonnenico relativo alla condotta ravvisata dai giudici di merito è stato fatto oggetto di ampia interlocuzione nel corso del primo e secondo grado del procedimento e, anzi, lo stesso ha formato specifico oggetto, in punto di fatto, delle argomentazioni difensive articolate dalla ricorrente.
Con il secondo motivo, la ricorrente ha censurato la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui questa ha disatteso la configurazione alternativa del fatto prospettata dalla difesa e in forza della quale l’imputat avrebbe subìto una sistematica e inconsapevole sottrazione – a opera di terzi delle proprie credenziali di accesso al sistema informatico della Motorizzazione Civile.
Il motivo è infondato.
6.1 Deve essere premesso, in riferimento al contenuto della doglianza, che eccede dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti n compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, le e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illog dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che
iy ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal tes impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen, Rv. 284556, Sez. 1, n. 45331 del 17/02/2023, Rezzuto, Rv. 285504, tra le altre).
Si ricorda, altresì, che non è consentita in sede di legittimità una rivalutazione nello stretto merito delle risultanze processuali, essendo preclusa in questa sede la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, COGNOME, RV. 234559; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, B., Rv. 280601); essendo, infatti, stato più volte ribadito che la Corte di cassazione non può sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio (Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, COGNOME, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, COGNOME, Rv. 253099), restando esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 7380 d 11/1/2007, Messina, Rv. 235716).
6.2 Deve quindi rilevarsi che, contrariamente all’assunto difensivo, la conclusione raggiunta dai giudici di merito è stata fondata su un ragionamento probatorio pienamente rispettoso dei criteri dettati dall’art.192, comma 2, cod.proc.pen., non ravvisandosi pertanto il ravvisato vizio di motivazione.
In particolare, la Corte ha valorizzato gli elementi rappresentati partendo dal fondamentale presupposto fattuale in forza del quale l’inserimento degli esiti mendaci della non avvenuta revisione è avvenuto utilizzando le credenziali di accesso della Ceriola (elemento già di per sé ritenuto, con valutazione del tutto logica, come un’evidenza probatoria di alto valore dimostrativo) – anche da altri fattori quali: l’utilizzo sistematico, in un ristretto arco di tempo, delle medesime credenziali per l’inserimento di un numero altissimo (quantificato in circa seimila nel solo periodo compreso tra giugno 2013 e maggio 2014) di falsi esiti di operazioni di revisione e la mancata denuncia – da parte della ricorrente – del dedotto utilizzo abusivo delle credenziali medesime, tra l’altro sistematicamente mutate nei mesi anteriori rispetto alla condotta imputata; avendo quindi la Corte, con motivazione consequenziale e del tutto congrua, ritenuto di trovarsi di fronte
a un complesso di elementi (di tipo documentale e logico) pienamente idoneo a sostenere la conclusione raggiunta.
D’altra parte, la Corte ha evidenziato che la specifica tesi alternativa sostenuta dalla difesa, ovvero il dedotto furto delle credenziali di accesso mediante il predetto strumento informatico (argomento sostenuto in riferimento alle considerazioni introdotte a opera del consulente di parte) sia rimasta un dato del tutto congetturale e privo di qualsiasi sostegno fattuale, anche in considerazione del mancato rinvenimento di tale apparecchio.
Così come, la Corte territoriale ha evidenziato, con logiche argomentazioni, l’infondatezza delle argomentazioni difensive inerenti al riscontro cartaceo attinente all’effettuazione della revisione; rilevando come gli elementi istruttor emersi nel corso del primo grado di giudizio deponessero univocamente nel senso che il modello fosse stato compilato nei giorni immediatamente successivi al sinistro, sulla base di concordanti elementi fattuali sulla scorta dei quali: nessun modello analogo era stato rinvenuto per i mezzi per i quali era stata attestata la revisione nel pomeriggio del 26/03/2013; il modello utilizzato non era più in uso ed era diverso da quello utilizzato per gli altri veicoli sottoposti a revisi nella giornata; sullo stesso risultava apposta un marca da bollo già utilizzata per un’altra operazione regolarmente compiuta.
Si deve quindi rammentare che, in tema di giudizio di legittimità, l’introduzione nel disposto dell’art. 533 cod. proc. pen. del richiamato principio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio” ad opera della legge 20 febbraio 2006, n. 46, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza, sicché la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, segnalata dalla difesa, non integra un vizio di motivazione se sia stata oggetto di disamina – come nel caso di specie – da parte del giudice di merito (Sez. 1, n. 5517 del 30/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285801).
Peraltro, il dubbio idoneo ad introdurre una ipotesi alternativa di ricostruzione dei fatti è soltanto quello «ragionevole», ovvero quello che trova conforto nella logica, sicché, in caso di prospettazioni alternative, occorre comunque individuare gli elementi di conferma dell’ipotesi ricostruttiva accolta, non potendo il dubbio fondarsi su un’ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile (Sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014, COGNOME, Rv. 259204; Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, P., Rv. 281647 – 04).
Ne consegue che alcun profilo di illogicità può ravvisarsi nella motivazion resa sul punto dalla Corte territoriale, che appare pienamente rispettosa regula iuris applicabile nel caso concreto alla luce dei richiamati arresti espressi dalla giurisprudenza di legittimità.
7. Con il terzo motivo di impugnazione, la difesa ha contestato la conclusione delle sentenze di merito in punto di penale responsabilità relativamente al capo B) della rubrica, per avere attribuito valenza causale rispetto ai contestati reati di omicidio plurimo colposo e di disastro colposo – a rilascio della falsa attestazione della compiuta revisione e censurando, di conseguenza, il giudizio controfattuale formulato da parte dei giudici di primo e secondo grado; ciò in quanto, secondo la prospettazione contenuta nel motivo, l’effettuazione di una regolare visita di revisione non avrebbe impedito la successiva circolazione dell’autobus e il perfezionamento del successivo evento; affermandosi che le cause della perdita del controllo del mezzo (ovver malfunzionamento dell’impianto frenante), sarebbero sopravvenute rispetto all -non effettuata – visita di revisione.
7.1 II motivo è inammissibile, in quanto – oltre che reiterativo di censure già spiegate di fronte alla Corte territoriale – del tutto omissivo del necessari onere di raffronto con le argomentazioni poste alla base della correlativa argomentazione del giudice di appello.
Difatti, la Corte ha congruamente individuato – sulla base dei generali principi in tema di responsabilità per colpa – nella condotta (commissiva) tenuta dall’imputata un sicuro antecedente logico degli eventi successivamente perfezionati; sul punto ricordando che, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, in tema di reati colposi, la natura commissiva della condotta consistente nella trasgressione di un divieto e, quindi, in un’azione difforme dal comportamento imposto dalla regola cautelare, implica, per l’accertamento del nesso causale con l’evento, che il giudizio controfattuale sia operato valutando l’evento si sarebbe ugualmente verificato anche in assenza della condotta commissiva medesima (Sez. 4, n. 15002 del 01/03/2011, Reif, Rv. 250268; Sez. 3, n. 47979 del 28/09/2016, Urru, Rv. 268658).
Nel caso in esame, la Corte ha congruamente rilevato che la condotta positiva tenuta dall’imputata, attinente alla conclusiva attestazione non veritiera dell’esito positivo della revisione, ha determinato – costituendone un antecedente logico necessario – la possibilità, in capo al proprietario del mezzo, della successiva utilizzazione del mezzo, che, altrimenti, sarebbe stata del tutto inibita, sul autostrade, ai sensi dell’art.176, comma 18, d.lgs. 30 aprile 1992, n.285.
Il motivo appare, quindi, omissivo del predetto e necessario onere di confronto con la sentenza impugnata, proprio in quanto non tiene conto del collegamento operato dai giudici di merito – sul piano del determinismo causale tra la apparente liceità della circolazione del mezzo e gli eventi successivi; collegamento che non viene meno, come invece prospetta la difesa, sulla base del mero dato del carattere sopravvenuto del guasto meccanico rispetto a quanto
verificabile in sede di revisione. Si rileva infatti che la valutazione difensiva appalesa comunque come del tutto apodittica anche rispetto a tale ultimo profilo, attesi gli strumenti normativi applicabili ratione temporis (consistenti nelle direttive autoapplicative 2009/40/CE e 2010/48/UE), i quali prevedevano un approfondito esame, in sede di visite di revisione, sull’impianto frenante del mezzo.
In particolare, la direttiva 2010/48/UE prevedeva, al punto 4, contenente i “requisiti minimi di ispezione” e, al successivo punto 1.5, attinente all’esame dell’impianto frenante un esame visivo di tutti i componenti dell’impi medesimo.
Con il quarto motivo di impugnazione, la difesa ha contestato la motivazione del giudice di secondo grado nella parte in cui ha attribuito rilevanza a uno specifico dato fattuale; ovvero quello in forza del quale il Lametta, a seguito dell’esito negativo della revisione dello stesso mezzo effettuata nel 2008, avrebbe operato una riparazione sui freni dell’autobus e quindi di nuovo intrapreso, stavolta con esito positivo, il relativo iter.
Sul punto, la ricorrente ha dedotto che la circostanza dell’apposizione del tagliando con la scritta “ripetere revisione”, datata 2008, sarebbe stata smentita dalla copia del libretto di circolazione depositata dalla difesa nel corso del giudizi di primo grado – e allegato al ricorso per cassazione – dal quale sarebbe emersa l’assenza effettiva del tagliando con la scritta “ripetere”; con tali deduzion implicitamente, configurando un vizio di travisamento della prova, che – in ipote di c.d. doppia conforme – è prospettabile sia nell’ipotesi in cui il giudice di appel per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L., Rv. 272018; Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, COGNOME, Rv. 280155).
8.1 Il motivo è manifestamente infondato, oltre che estrinsecannente aspecifico.
Difatti, dalla lettura delle motivazioni delle sentenze di merito si evince chiaramente che la relativa circostanza è stata dedotta sulla base del dichiarazioni rese in sede di interrogatorio da parte dello stesso coimputato COGNOME il quale – con affermazione ritenuta attendibile dai giudici di merito – ha
univocamente riferito sul punto e non, quindi, sulla base dell’esame visivo della carta di circolazione del mezzo.
Ne consegue che il correlativo elemento è del tutto ininfluente in ordine alla valutazione compiuta dai giudici di primo e secondo grado e attinente, specificamente, alla circostanza di fatto inerente alla effettiva ripetizione dell operazioni di revisione nell’anno 2008; circostanza in ordine alla quale, comunque, il motivo si appalesa del tutto aspecifico in ordine all’indicazione della potenzial incidenza di tale circostanza sul complessivo apparato argomentativo della sentenza impugnata.
9. Con il quinto motivo, la difesa ha censurato la motivazione della sentenza d’appello sotto il profilo del giudizio controfattuale; ha evidenziato che, sulla bas della motivazione della stessa sentenza, si evinceva come il Lametta avesse comunque, già in precedenza, circolato in autostrada in assenza di una revisione in corso di validità tra il 2010 e il 2013, per cui doveva ritenersi indimostrato ch – in caso di revisione culminata con esito negativo – il coimputato avrebbe tenuto un comportamento diverso rispetto a quello effettivamente tenuto.
Il motivo è manifestamente infondato.
9.1 La difesa della ricorrente ha richiamato il principio espresso da Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, COGNOME, Rv. 261103, in base al quale, nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistic ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolari del caso concreto; ritenendo che proprio il comportamento concretamente tenuto dal COGNOME, che aveva comunque circolato tra il 14/02/2010 e il 17/02/2013 in assenza della prescritta revisione, fosse tale da connotare la sussistenza di circostanze concrete tali da far escludere la valenza causale del comportamento tenuto dalla ricorrente.
Va quindi rilevato che il predetto precedente giurisprudenziale è stato impropriamente richiamato dalla difesa, attenendo lo stesso all’ipotesi di causalità omissiva mentre, nel caso di specie, si verte invece in una fattispecie di evento colposo determinato da condotta commissiva.
In ogni caso, come congruamente rilevato dal giudice di appello, con motivazione non palesemente illogica, la valutazione della condotta illecita previamente tenuta dal COGNOME non vale a riverberarsi sulla valutazione della sequenza causale verificatasi nel caso di specie; in occasione delle quale la
condotta tenuta dalla Ceriola, contribuendo alla conclusione con esito positivo di un procedimento autorizzativo avente quale esito l’abilitazione all’utilizzo del mezzo, ha (come sopra sottolineato) perfezionato un antecedente storico logicamente necessario in relazione agli eventi concretizzatisi.
Si deve quindi ritenere che la valutazione in ordine alla sussistenza di un’ipotetica e permanente condotta illecita da parte del Lametta – consistente nella persistente violazione del divieto di circolazione in assenza di valida revisione assurga a nulla di più di un giudizio nneramente ipotetico del tutto inidoneo a riverberarsi sulla concreta sequenza causale verificatasi nel caso di specie.
10. Con il sesto motivo di ricorso, la difesa ha censurato la sentenza di appello nella parte in cui ha escluso che la condotta di guida dell’autobus tenuta da NOME COGNOME dovesse considerarsi una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento e quindi tale da escludere il nesso causale con la condotta contestata all’imputata.
10.1 Il motivo è manifestamente infondato, oltre che meramente reiterativo di una tematica (peraltro esaustivamente trattata dal giudice di primo grado) già prospettata di fronte dal giudice di appello, che sul punto ha argomentato con motivazione logica nonché conforme rispetto ai principi di diritto rilevanti nel caso concreto.
Deve infatti ritenersi che la Corte territoriale abbia fatto un complessivo buon governo dei principi in tema di nesso di causalità desumibili dagli artt. 40 e 41 cod.pen..
Sul punto va ricordato che, in riferimento al principio dettato dal comma secondo dell’art.41 cod.pen., in presenza del requisito positivo concretizzato dall’aver posto in essere, con la propria condotta, un antecedente necessario in relazione alla verificazione dell’evento, il nesso causale può ritenersi interrotto con conseguente esclusione della responsabilità dell’agente – in presenza di una serie causale del tutto autonoma e indipendente.
Specificamente, come sottolineato dalla giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale interruzione del nesso causale tra condotta ed evento, le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità sono solo quelle che innescano un processo eziologico completamente autonomo da quello determinato dalla condotta omissiva o commissiva dell’agente, ovvero danno luogo ad uno sviluppo anomalo, imprevedibile e atipico, pur se causalmente riconducibile ad essa (tra le altre, Sez. 4, n. 53541 del 26/10/2017, COGNOME, Rv. 271846; Sez. 5, n. 7205 del 09/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284338 02; Sez. 4, n. 10656 del 13/02/2024, COGNOME, Rv. 286013), dovendosi quindi essere in presenza di un processo indipendente di cause che faccia sì che l’evento
non possa verificarsi se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta posta in essere dall’agente (Sez. 2, n. 17804 del 18/03/2015, Vasile, Rv. 263581).
10.2 Deve quindi escludersi che, nel caso di specie, il dato rappresent dalla condotta di guida del conducente abbia innescato – in prese dell’antecedente fattuale riconducibile alla condotta della ricorrente – una serie causale del tutto autonoma, tale da escludere la condotta medesima come antecedente logico dell’evento.
Non può quindi in alcun modo ritenersi che il dedotto comportamento colposo del conducente – consistente nel mancato arresto del veicolo in sali a seguito dei rumori provenienti dagli organi di trasmissione dell’autobus e che gli sarebbero stati segnalati da un passeggero – siano stati tali da innescare una linea di sviluppo completamente distinta e indipendente rispetto alla predetta condotta commissiva tenuta dalla ricorrente.
Ciò anche sulla base della logica considerazione in forza della quale proprio l’efficienza del sistema frenante avrebbe dovuto costituire oggetto (come sopra rilevato) dell’esame del mezzo qualora fosse stata effettivamente svolta una visita di revisione, in luogo di quella fittizia attestata per effetto della condotta do della parte impugnante.
11. Con il settimo motivo, la difesa della ricorrente ha contestato l’affermazione di penale responsabilità in ordine al capo B) della rubrica, nel in cui i giudici di merito hanno escluso la valenza di causa sopravvenuta – da sufficiente a determinare l’evento – in relazione al cedimento delle barriere new jersey.
Il motivo è manifestamente infondato, anche in considerazione della sua natura meramente reiterativa rispetto ad argomentazioni già sottoposte al giudice di appello e da questi analizzate con motivazione non illogica.
11.1 Vanno integralmente richiamate le considerazioni svolte a proposit del precedente motivo sulle connotazioni idonee ad attribuire a una serie fenomenica sopravvenuta l’esclusiva efficacia causale in ordine al successivo evento.
Nel caso di specie, come argomentato dalla Corte territoriale, tale interruzione della valenza causale della condotta commissiva tenuta dalla ricorrente non può ritenersi perfezionata in relazione alla dedotta incapacità contenitiva delle barriere autostradali (e fatto ovviamente salvo quanto esposto sullo specifico tema in ordine alla posizione di altri imputati).
Appare, difatti, del tutto pertinente il richiamo, operato dal giudici d appello, alla consolidata lettura offerta da questa Corte in base alla quale
l’incidente stradale causato da omessa o insufficiente manutenzione della strada determina la responsabilità del soggetto incaricato del relativo servizio, il quale risponde penalmente della morte conseguita al sinistro medesimo secondo gli ordinari criteri di imputazione della colpa e non solo quando il pericolo determinato dal difetto di manutenzione risulti occulto, configurandosi come insidia o trabocchetto, ferma però restando la concorrente responsabilità dell’utente della strada, ove tenga una condotta colposa causalmente efficiente (Sez. 4, n. 46831 del 27/10/2011, COGNOME, Rv. 252141; Sez. 4, n. 3290 del 04/10/2016, dep. 2017, Piccolo, Rv. 268878).
Quindi, in ordine alla tematica rilevante in questa sede, è stato specificamente evidenziato come – in presenza di una condotta colposa dell’utente della strada, che determini l’impatto contro un guard rail o comunque contro una barriera laterale – non è invocabile ai fini dell’esclusione del nesso causale con l’antecedente condotta il dato del cedimento o comunque del cattivo funzionamento della protezione; il quale, pur potendo evidentemente assumere una valenza concausale, non è comunque connotato dei necessari caratteri di autonomia oltre che di assoluta eccezionalità e atipicità.
11.2 A tale proposito, è stato rilevato che la funzione dei sistemi di ritenuta non è certo quella di consentire agli utenti della strada l’adozione di comportamenti imprudenti o negligenti, né tantomeno di sollevare gli stessi da responsabilità per le conseguenze derivanti da tali comportamenti, essendo piuttosto quella di prevenire e limitare le conseguenze più gravi, incidendo in tal senso la loro inidonea realizzazione in una fase della dinamica causale logicamente successiva al primo originarsi della relativa catena seriale, con finalità evidentemente contenitive non sempre né sicuramente raggiungibili, ma ovviamente condizionate dalle modalità e dalla gravità dell’incidente (in termini, Sez.4, n.16400 del 16/03/2015, COGNOME, n.m.; Sez.4, n.37489 del 30/05/2023, COGNOME, n.m.).
11.3 Applicando i suddetti principi al caso di specie – e contrariamente alla prospettazione difensiva – deve ritenersi che l’eventuale inidonea risposta delle barriere stradali non sia stata tale da eliminare l’incidenza causale delle specifiche condotte colpose ravvisate, nel caso concreto, a carico dell’odierna ricorrente e in relazione all’antecedente eziologico necessario rispetto alla circolazione del mezzo rappresentato dalla violazione delle disposizioni contenute nell’art.80 C.d.s..
12. Con l’ottavo motivo, la difesa ha contestato la sentenza per non avere dichiarato l’estinzione del reato previsto dall’art.589, commi 1 e 4, cod.pen., per effetto di intervenuta prescrizione
Secondo la prospettazione difensiva, difatti, la sentenza di primo grado avrebbe condannato l’imputata solo in riferimento alla fattispecie di omicidio
colposo plurimo, senza riferimento alle disposizioni in tema di circolazione stradale (e, quindi, all’aggravante prevista dall’art.589, comma 2, nel testo applicabile ratione temporis) e né la Corte territoriale, come avvenuto per altri imputati, avrebbe operato una riqualificazione della fattispecie ascritta in tal senso, con la conseguenza che – alla data della lettura del dispositivo della sentenza di appello – sarebbe decorso il termine prescrizionale massimo previsto dall’art.157 cod.pen..
Il motivo è infondato.
12.1 Va premesso che, sulla base del tenore letterale del capo di imputazione, alla ricorrente (pur senza espressa menzione del comma 2 dell’art.589 cod.pen., nel testo vigente all’epoca dei fatti) era esplicitamente stat ascritta la «violazione delle norme sulle circolazione stradale (artt.79-80 D.L.vo 30.4.1992, n.285)»; la quale, a propria volta, non era stata in alcun modo esclusa dal Tribunale né in sede di valutazione della condotta tenuta e né in sede di valutazione della pena, la cui quantificazione (anni tre) era compatibile con la misura prevista dal previgente testo dei commi 2 e 4 dell’art.589 cod.pen., come all’epoca in vigore per effetto delle modifiche apportate dal d.l. 23 maggio 2008, n.92.
Ne consegue che – essendo stata ritenuta sussistente dal Tribunale la correlativa aggravante e non essendo stata esclusa la medesima da parte della Corte territoriale – il relativo termine di prescrizione non era maturato al momento della pronuncia della sentenza di appello, in riferimento al regime speciale previsto dallo stesso d.l. n.92/2008, applicabile all’epoca del fatto e prevedente il raddoppio del termine di prescrizione per il reato già previsto dall’art.589, comma 2, cod.pen., in riferimento al regime dettato dall’art.157, comma 6, cod.pen..
13. Con il nono motivo, la difesa ha censurato la sentenza nella parte in cui – stante l’intervenuta dichiarazione di prescrizione del reato contestato al capo A) – ha ritenuto superfluo l’esame del motivo di appello inerente alla richiesta di applicare il regime del concorso formale tra i due reati ascritti anziché quello del cumulo materiale.
Il motivo è inammissibile, in quanto manifestamente infondato e comunque del tutto aspecifico.
Difatti, nella sentenza di primo grado era stato ritenuto non applicabile il regime del concorso formale ovvero della continuazione tra i reati ascritti ai capi A) e B), in ragione della diversa natura dei medesimi, trattandosi rispettivamente di un reato doloso avente a oggetto la falsa attestazione in ordine all’esito p della revisione e di un reato colposo, solo conseguenza del primo e determinato dalla susseguente violazione del disposto dell’art.80 C.d.s., in riferimento al quale
non era ravvisabile né il presupposto dell’unicità del disegno criminoso e nemmeno l’unitarietà dell’azione o dell’omissione, in relazione all’art.81, comma 1, cod.pen..
Per l’effetto, del tutto correttamente la Corte territoriale, all’e dell’intervenuta dichiarazione di prescrizione per il reato contestato al capo A), ha ritenuto inammissibile il relativo motivo di appello per sopravvenuta carenza di interesse ai sensi dell’art.591, comma 1, lett.a), cod.proc.pen..
Con il decimo motivo, la difesa ha dedotto che la Corte territoriale avrebbe violato il disposto dell’art.546, ultimo comma, cod.proc.pen., in quanto il dispositivo della Corte di appello non ha indicato la pena concretamente irrogata nei confronti della ricorrente, a seguito della dichiarazione di estinzione del reato contestato al capo A).
Il motivo è fondato, nel senso delle argomentazioni che seguono.
Va premesso che, in sede di dispositivo della sentenza di appello, non è stata effettivamente indicata la quantificazione della pena inflitta nei confront della Ceriola; lo stesso dispositivo, peraltro, da un lato ha dichiarato il non dovers procedere nei confronti della suddetta in ordine al capo A) per intervenuta prescrizione e, dall’altro, ha confermato nel resto la precedente sentenz per quanto non statuito nel dispositivo medesimo.
Deve quindi essere richiamato il principio in base al quale, nell’ipotesi in cui il dispositivo sia incompleto, ciò determina la nullità della sentenza soltanto quando manchino gli elementi idonei a identificare la statuizione del giudice; ne consegue che l’omessa esplicita conferma della sentenza di primo grado, nell’ipotesi di riforma parziale, non comporta la nullità della sentenza d’appello quando, attraverso l’interpretazione del dispositivo in correlazione con la motivazione, che ne costituisce la premessa, sia possibile ricostruire le complete statuizioni del giudice nel caso concreto (Sez. 2, n. 40611 del 11/07/2012, COGNOME, Rv. 254343; Sez. 2, n. 32907 del 03/05/2017, COGNOME, Rv. 270657).
Nel caso di specie, sulla base del combinato della dichiarazione di estinzione del reato contestato al capo A) e della conferma – nel resto – della sentenza di primo grado, si evince agevolmente la volontà del giudice di appello nel senso di ritenere che la pena definitivamente inflitta alla Ceriola per le fattispecie contestat al capo B) era da intendersi quella determinata dal Tribunale alla pag.368 della sentenza di primo grado e pari ad anni quattro di reclusione.
Per l’effetto, in relazione all’art.620, letti), cod.proc.pen., la senten impugnata deve essere annullata senza rinvio, con conseguente rideterminazione della pena inflitta alla ricorrente nella misura predetta.
15. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato.
15.1 Con il primo motivo, il ricorrente ha censurato ia sentenza di appello sotto il profilo dell’omessa assunzione di una prova decisiva, specificamente consistente nell’espletamento di una perizia fonica avente a oggetto la conversazione intercorsa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME; profilo oggetto di una richiesta formulata durante il giudizio di secondo grado nel corso dell’udienza del 17/03/2022, all’esito dell’assunzione della prova testimoniale di tale ultimo soggetto (avvenuta ai sensi dell’art.603, comma 3, cod.proc.pen.); richiesta rigettata dalla Corte, la cui ordinanza è stata, quindi, impugnata in relazione al disposto dell’art.586 cod.proc.pen. (cfr. Sez. 3, n. 17713 del 15/02/2019, Quaranta, Rv. 275449).
Al fine di motivare tale richiesta, la difesa ha fatto riferimento all’escussion testimoniale del suddetto NOME COGNOME nonché a quella del meccanico NOME COGNOME avvenuta nel corso del giudizio di primo grado ai sensi dell’art.507 cod.proc.pen., deducendo che – avendo il COGNOME negato di riconoscere la propria voce in un dialogo direttamente intercettato dal COGNOME e acquisito al fascicolo del dibattimento di primo grado – tale mezzo di prova sarebbe stato finalizzato a comprendere chi avesse effettivamente pronunciato la frase “la trasmissione l’abbiamo controllata”, al fine di valutare l’effettiva responsabilità in ordine al guasto posto all’origine della successiva perdita di controllo del mezzo.
15.2 Il motivo è inammissibile.
Va rilevato, in limine, che il motivo presente un evidente profilo di aspecificità intrinseca, in quanto non si comprende, sulla base della formulazione della censura, quale sia la rilevanza dell’individuazione esatta dell’identità dei dialoganti in relazione allo specifico profilo di colpa contestato all’imputato correlazione all’art.79 C.d.s. e agli obblighi gravanti sul proprietario del mezzo i ordine alla sua corretta manutenzione; rammentando che deve ritenersi «decisiva», secondo la previsione dell’art. 606, comma l, lett. d), cod. proc. pen., la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (Sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, COGNOME, Rv. 259323; Sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020, R., Rv. 278670).
15.3 In ogni caso, il motivo si appalesa inammissibile anche sotto ulteriore profilo, avendo la giurisprudenza di questa Corte costantemente enunciato il principio in forza del quale la mancata effettuazione di un accertamento peritale non possa costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., non potendo la perizia farsi rientrare nel concetto prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova “neutro”, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove il cit
art. 606, attraverso il richiamo all’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., si riferisc esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività.
Ne consegue che il diniego della perizia, in quanto giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione (tra le altre, Sez. 4, n. 7444 del 17/01/2013, COGNOME, Rv. 225152; Sez. 2, n. 52517 del 03/11/2016, Russo, Rv. 268815; Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A., Rv. 270936), come riscontrabile nel caso di specie avendo la Corte dedotto l’irrilevanza del mezzo di prova anche luce della valutazione, compiuta nella motivazione della sentenza, della complessiva attendibilità delle dichiarazioni rese dal COGNOME con specifico riferimento alla mancanza di attività di manutenzione – presso la propria officina – degli organi della trasmissione dell’autobus.
16. Con il secondo motivo, il ricorrente ha contestato la dichiarazione di responsabilità in relazione al reato contestato al capo B) dell’imputazione, sotto una molteplicità di profili, in realtà riferiti anche all’imputazione di falso contest al capo A), in quanto raffigurata quale antecedente necessario dell’ulteriore fattispecie ascritta. In sintesi, ha dedotto: a) che il dato dello stato di ineffici del veicolo, ritenuto acclarato dalla Corte territoriale, si poneva in contrasto con l circostanza in base alla quale -nel frangente intercorrente tra la data della non esperita revisione (26/03/2013) e quella del sinistro – il mezzo era stato utilizzato per viaggi anche all’estero e quindi in attività idonee a incrementarne il logorio, evidenziando l’efficienza del sistema frenante, comunque stimata al 70%, la presenza di un battistrada degli pneumatici conforme ai limiti di legge, la scarsa incidenza del fenomeno della ruggine e il generale buon funzionamento di una serie di componenti tecnici; b) che la Corte avrebbe erroneamente valutato la tesi alternativa prospettata dal ricorrente, sulla indebita locupletazione da parte della Ceriola e dell’agenzia COGNOME sulle pratiche di revisione affidate da ignari clienti c) che il mancato rinvenimento dell’attestazione di pagamento della tassa di concessione governativa riguardo ad altro autobus dell’imputato, sottoposto a visita di revisione il 26/02/2013, non era elemento valutabile a suo carico; d) che il malfunzionamento della valvola a quattro vie non poteva desumersi da alcuna spia di segnalazione; e) che la causa concreta della perdita di controllo del mezzo era da ascrivere a un elemento di fatto – ovvero il guasto del giunto cardanico in relazione al quale poteva eventualmente ascriversi una, non contestata, culpa in vigilando senza che la Corte avesse specificamente individuato i profili di colpa generica ovvero di colpa specifica ascrivibili al ricorrente nonché la regola cautelare violata, in sostanza non chiarendo adeguatamente quale sarebbe stato il richiest comportamento alternativo lecito. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
16.1 n motivo è inammissibile.
Ciò in quanto, da un lato, lo stesso tende a sollecitare una non consentita rivisitazione in fatto di elementi già ampiamente vagliati dai giudici di merito; e dall’altro, in quanto estrinsecamente aspecifico, contenendo lo stesso una serie di deduzioni di rango meramente oppositivo rispetto al contenuto della decisione impugnata, omettendo, di fatto, il necessario confronto con la medesima.
In riferimento al reato contestato al capo A) – non fatto oggetto di specifico motivo di impugnazione in punto di responsabilità ma trattato in quanto necessario antefatto della condotta contestata al capo B) – va rilevato che non si ravvisa, in capo alla Corte territoriale, alcuna erronea interpretazione del contenuto del motivo di appello (con il conseguente vizio, implicitamente dedotto, di omessa pronuncia); risultando, dalla lettura del medesimo e come ritenuto dal giudice di secondo grado, che la prospettazione difensiva andasse interpretata nel senso di sostenere che l’imputato sarebbe stato inconsapevole del meccanismo fraudolento posto in atto dai dipendenti della Motorizzazione Civile e dal titolare dell’agenzia di pratiche automobilistiche COGNOME, in tal modo risultando del tutto ignaro della mancata sottoposizione del mezzo alle operazioni di revisione.
Va quindi ribadito il principio già sopra richiamato per cui il dubbio idoneo ad introdurre una ipotesi alternativa di ricostruzione dei fatti è soltanto quel «ragionevole», ovvero quello che trova conforto nella logica, sicché, in caso di prospettazioni alternative, occorre comunque individuare gli elementi di conferma dell’ipotesi ricostruttiva accolta, non potendo il dubbio fondarsi su un’ipotesi de tutto congetturale, seppure plausibile (Sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014, COGNOME, Rv. 259204; Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, P., Rv. 281647 – 04).
La Corte, con motivazione congrua e intrinsecamente logica – operata anche con riferimento alle ampie argomentazioni sviluppate dal Tribunale – ha sottolineato il carattere del tutto implausibile della versione alternativa forn dall’imputato.
Ciò alla luce di un primo argomento logico, in base al quale il soggetto titolare del mezzo è l’unico effettivamente interessato rispetto all’esito positiv della revisione (cfr. Sez.5, n.38119 del 08/07/2016, COGNOME, n.m.); nonché di quello, ulteriore e di assoluta pregnanza – rispetto al quale le deduzioni difensive sono di rango meramente apodittico e oppositivo – in base al quale il mezzo, oltre a essere oggettivamente privo dei requisiti per ottenere la revisione, avrebbe necessitato di una rilevante somma da investire per le riparazioni necessarie per essere in possesso dei requisiti medesimi (quantificata dai consulenti del p. i 12.400,00 e i 17.400,00 Euro), in tal modo giustificando vieppiù una valutaz logica in ordine all’interesse del proprietario ad eludere lo svolgimento ef delle operazioni di revisione.
A ciò si aggiunge l’ulteriore elemento fattuale, valorizzato dal giudice di primo grado e rimasto privo di contestazione, derivante dalla materiale apposizione del tagliando di avvenuta revisione sulla carta di circolazione, elemento pure evidentemente idoneo a dimostrare la consapevolezza della assoluta fittizietà del relativo procedimento amministrativo.
Elementi in forza dei quali le considerazioni difensive con le quali sono state contestate le conclusioni dei giudici di merito in ordine allo stato di manutenzione del mezzo ed è stato dedotto che lo stesso – nel marzo 2013 – sarebbe stato nelle condizioni per ottenere positivamente la revisione, appaiono (oltre che del tutto apodittiche) comunque scollegate dagli elementi posti alla base del ragionamento dei giudici di merito.
16.2 Le considerazioni riferite al capo B) dell’imputazione sono altresì aspecifiche in quanto omissive del necessario raffronto con il contenuto delle sentenze di merito, ove sono stati adeguatamente individuati gli elementi attinenti ai profili di colpa specifica ascrivibili nei confronti dell’imputato e all’individuaz della regola cautelare violata; ciò in dipendenza della sicura sussistenza di un obbligo di garanzia nei confronti dei passeggeri del mezzo derivante dalla conclusione del contratto di trasporto.
In particolare, i giudici di merito – in conformità con l’ipotesi accusatoria hanno individuato le regole cautelari violate facendo, da un lato, riferimento all’art.79 C.d.s., il quale prevede che «I veicoli a motore ed i loro rimorchi durante la circolazione devono essere tenuti in condizioni di massima efficienza», con rinvio alle disposizioni del regolamento di attuazione in ordine a «le prescrizioni tecniche relative alle caratteristiche funzionali ed a quelle dei dispositivi di equipaggiamento cui devono corrispondere i veicoli, particolarmente per quanto riguarda gli pneumatici e i sistemi equivalenti, la frenatura, i dispositivi di segnalazione visiv e di illuminazione, la limitazione della rumorosità e delle emissioni inquinanti»; e, dall’altro, all’art.80 C.d.s., il cui comma 4 prevede che «Per i veicoli destinati trasporto di persone con numero di posti superiore a 9 compreso quello del conducente», la sottoposizione alla revisione abbia una scadenza annuale.
I giudici di merito hanno quindi rilevato, con argomentazione del tutto priva di incoerenze logiche, che le risultanze istruttorie avevano dimostrato inequivocabilmente il cattivo stato di manutenzione del mezzo, il quale – con particolare riferimento a quanto accertato dai consulenti del p.m. – doveva ritenersi del tutto inadeguato alla circolazione e avrebbe richiesto l’esborso della predetta somma per un ripristino di condizioni minime di sicurezza.
Sul punto, sempre con motivazione del tutto coerente con le risultanze istruttorie, i giudici di merito hanno evidenziato che le argomentazioni difensive –
r
già proposte nell’atto di appello e reiterate in questa sede – in ordine all’adeguato stato di manutenzione della vettura fossero meramente assertive.
Quanto al dato, riportato nella prima parte del motivo di ricorso, in base al quale il mezzo si sarebbe trovato in condizioni peggiorate, rispetto a quelle sussistenti all’epoca della non espletata revisione, in condizione dell’usura derivante da successivi viaggi, la stessa non è certamente idonea a smentire le conclusioni dei giudici di merito in ordine al cattivo stato di manutenzione del mezzo stesso e, anzi, finisce sostanzialmente per corroborarle.
16.4 Del tutto distoniche rispetto alla formulazione del capo di imputazione e alle conclusioni dei giudici di merito sono anche le considerazioni – pure già formulate in sede di appello – in forza delle quali la causa ultima della perdita d controllo del mezzo (ovvero il distacco del giunto cardanico) sarebbe stata da attribuire a un intervento manutentivo eseguito da terzi e quindi non imputabile al COGNOME, anche in considerazione del fatto che l’editto accusatorio non faceva riferimento a una condotta concretizzata per culpa in vigilando.
Al di là della considerazione in forza della quale non è stata raggiunta alcuna prova effettiva in ordine a un dedotto errore manutentivo che avrebbe portato al sovraserraggio dei perni del giunto, va evidenziato che l’art.79 C.d.s. pone a carico del proprietario del mezzo un obbligo di “tenuta” del veicolo in adeguate condizioni di manutenzione, fissando una regola cautelare il cui contenuto si estende evidentemente anche alla valutazione dello stato generale del mezzo medesimo indipendentemente da chi sia stato l’autore materiale di opere di riparazione o di ripristino; essendo, quindi, del tutto scollegate con il tessuto argomentativo delle sentenza di merito – e, conseguentemente, affette da aspecificità estrinseca – le considerazioni inerenti alla mancata individuazione del soggetto che materialmente avrebbe eseguito il predetto intervento così come le considerazioni, su cui la difesa si è soffermata in sede di discussione, in ordine all’identificazion delle officine presso le quali sarebbero avvenuti i precedenti interventi manutentivi.
16.5 D’altra parte, la violazione della predetta regola cautelare si riconnette logicamente a quella attinente alla mancata sottoposizione alle operazioni di revisione, in cui la regola medesima è posta specificamente a presidio del controllo in ordine al corretto stato di manutenzione del mezzo. Di modo da ritenere che il successivo evento abbia rappresentato una concretizzazione del rischio ex ante riconducibile alla violazione delle predette regole cautelari, la cui finalit chiaramente quella di tutelare la sicurezza della circolazione stradale.
Ulteriormente, il complesso delle argomentazioni spese nel motivo non si confronta adeguatamente con la fondamentale argomentazione dei giudici di merito in forza della quale la sottoposizione del mezzo a periodici controlli di
efficienza e alle operazioni di revisione sarebbe stata in grado, come ritenuto con motivazione fondata su idonei presupposti di carattere logico, di individuare l’inconveniente del bus, attribuito dal Tribunale (sulla base della relazione dei consulenti del p.m.) al fatto, con “verosimiglianza prossima alla certezza, che il giunto fosse vincolato alla flangia utilizzando perni e bulloni “non a specifica”, ciò significando che “i perni o non erano originali Volvo oppure non erano della classe di acciaio 10.9 oppure ancora non erano serrati a 54 Nm, che sono le specifiche richieste dalla Volvo”.
A tale proposito, come già sopra evidenziato, le norme in materia di revisione degli automezzi applicabili ratione temporis, ovvero le direttive autoapplicative 2009/40/CE e 2010/48/UE, prevedevano un approfondito esame delle parti frenanti; e tutto ciò fermo restando, come compiutamente rilevato dal giudice di primo grado, che la dovuta sottoposizione alla revisione avrebbe – sulla base dei citati elementi istruttori – attestato il pessimo stato di manutenzione del mezzo e la conseguenza carenza dei requisiti per ottenere il relativo provvedimento autorizzativo.
17. Con il terzo motivo, il ricorrente ha contestato, sotto il profilo del violazione di legge e del vizio di motivazione, le conclusioni dei giudici di merito i punto di sussistenza del nesso causale, deducendo la concretizzazione di cause interruttive del medesimo in riferimento all’art.41, comma 2, cod.pen.; ritenendo che lo stato di erosione delle barriere avrebbe innescato un processo eziologico del tutto autonomo rispetto al rischio governato dall’imputato.
17.1 II motivo – anche in questo caso reiterativo di argomentazioni già poste a fondamento di motivo di appello – è manifestamente infondato.
Va difatti ribadito, in conformità rispetto a quanto sopra esposto in relazione allo specifico motivo proposto dalla difesa della COGNOME in punto di applicazione dell’art.41, comma 2, cod.pen., che, in presenza del requisito positivo concretizzato dall’aver posto in essere, con la propria condotta, un antecedente necessario in relazione alla verificazione dell’evento, il nesso causale può ritenersi interrotto – con conseguente esclusione della responsabilità dell’agente – in presenza di una serie causale del tutto autonoma e indipendente.
Difatti, come sottolineato dalla giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale interruzione del nesso causale tra condotta ed evento, le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità sono solo quelle che innescano un processo eziologico completamente autonomo da quello determinato dalla condotta omissiva o commissiva dell’agente, ovvero danno luogo ad uno sviluppo anomalo, imprevedibile e atipico, pur se causalmente riconducibile ad essa (tra le altre, Sez. 4, n. 53541 del 26/10/2017, COGNOME
Rv. 271846; Sez. 5, n. 7205 del 09/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284338 02; Sez. 4, n. 10656 del 13/02/2024, COGNOME, Rv. 286013), dovendosi quin essere in presenza di un processo indipendente di cause che faccia sì che l’evento non possa verificarsi se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta posta in essere dall’agente (Sez. 2, n. 17804 del 18/03/2015, COGNOME, Rv. 263581).
17.2 A tale riguardo occorre brevemente rammentare che l’art. 41 cod.pen., comma 1, enuncia il principio secondo cui la condotta umana è causale quando costituisce una delle condizioni necessarie dell’evento, e che tale nesso non è escluso quando concorrono altre condizioni preesistenti, simultanee o sopravvenute.
Tale formulazione esprime senza dubbio l’adesione alla teoria condizionalistica o dell’equivalenza causale: per cui ciascun fattore assume rilievo condizionante quando presenta un ruolo logicamente essenziale, necessario, inelinninabile ai fini della realizzazione dell’evento.
Le condizioni, d’altra parte, si caratterizzano per tale relazione di necessità rispetto all’evento e sono quindi tra loro equivalenti; l’art. 41, al comma conferma il principio condizionalistico: la connessione tra la condotta umana e l’evento si configura anche quando il processo causale mostra la presenza di condizioni costituite dal fatto illecito altrui.
Nel caso di specie tale nesso condizionalistico tra l’evento e la condotta dell’imputato è reso evidente dalla ovvia considerazione che, eliminata mentalmente tale condotta dalla serie dei fatti antecedenti che hanno condotto al verificarsi dell’evento, lo stesso non si sarebbe affatto verificato.
E, specificamente in relazione a quanto argomentato nel complesso del motivo di impugnazione, deve ricordarsi che il concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento di cui all’art. 41 co. 2 cod. pen. si riferisce comunque non al caso di un processo causale del tutto autonomo, ma anche a quello di un processo non completamente avulso dall’antecedente, e però caratterizzato da un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta (così, in motivazione, la citata Sez. 4, n. 10656 del 13/02/2024, COGNOME, Rv. 286013).
17.3 Per cui, in relazione al complesso della tematica inerente alla val causale da attribuire al cedimento delle barriere new jersey, deve pure essere ribadito quanto sopra esposto in relazione alla posizione della Ceriola, con integrale richiamo ai principi di diritto inerenti all’incidenza sulla sequenza caus ipotesi di incidente stradale – dell’inadeguata risposta rispetto alla loro delle barriere di contenimento.
Ne consegue che – con motivazione intrinsecamente logica e del tutto consequenziale rispetto ai predetti principi – la Corte territoriale, richiamand quanto argomentato sul punto dal Tribunale, ha ritenuto che lo stato di inadeguata manutenzione delle barriere non costituisse fattore eccezionale tale da escludere il nesso di causalità, dovendosi considerare come fattore astrattamente ipotizzabile – e comunque non assumente il necessario connotato di eccezionalità – un non adeguato funzionamento delle barriere di contenimento a seguito di un incidente stradale; ed essendo evidente, nel caso in esame, che la specifica violazione delle regole cautelari ravvisabili in capo all’imputato (e che hanno consentito la circolazione autostradale di un mezzo in cattive condizioni di manutenzione e privo della necessaria autorizzazione derivante dell’esito positivo della revisione) abbia comunque costituito un antecedente necessario logico del verificarsi dell’evento, in relazione alla quale si è pienamente inserito ne complessivo processo causale, dovendosi attribuire alla inadeguatezza della risposta delle barriere la sola valenza di fattore sopravvenuto ma non di esclusiva valenza eziologica; rimanendo quindi – sul punto – del tutto irrilevanti l considerazioni difensive inerenti all’effettivo grado di corrosione delle barriere alla loro conseguente inidoneità (elemento tratto dalla difesa dalla lettura della sentenza di appello) a reggere urti anche di violenza inferiore a quello ravvisato nel caso di specie.
17.4 Si deve anche richiamare il principio, da ritenere pertinente al caso di specie, in forza del quale, in presenza di un’accertata posizione di garanzia, eventuali corresponsabilità nella causazione dell’evento di altri soggetti parimenti investiti di una posizione di garanzia nei confronti della persona offesa non determinano il venir meno dell’obbligo giuridico d’impedire l’evento e non fungono da esimente, configurandosi, in tale ipotesi, un concorso di cause ai sensi dell’art. 41, comma primo, cod. pen., poiché, in questa ipotesi, la mancata eliminazione di una situazione di pericolo (derivante da fatto commissivo od omissivo dell’agente), ad opera di terzi, non è una distinta causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento, ma una causa/condizione negativa grazie alla quale la prima continua ad essere efficace (Sez. 4, n. 17887 del 02/02/2022, Bello, Rv. 283208).
Non si ravvisa, quindi, in relazione al complessivo percorso motivazionale seguito sul punto dalla Corte territoriale, né la lamentata violazione di legge né alcun vizio di contraddittorietà rispetto al complesso delle risultanze istruttor ovvero ad altri punti della motivazione, inerenti alla effettiva capacit prestazionale delle barriere crollate.
18. Con il quarto motivo, la difesa ha contestato la valutazione della Corte territoriale in punto di accertamento della causalità della colpa rispetto agli event
ascritti al capo B); ritenendo che l’evento verificatosi non avrebbe costituito la concretizzazione dei rischi che le norme cautelari tendevano a evitare, con conseguente inevitabilità dell’evento medesimo.
18.1 Il motivo è infondato.
Va premesso che, una volta accertata la sussistenza della violazione della regola cautelare e del nesso causale tra tale violazione e il verificarsi dell’evento, un necessario passaggio logico nell’individuazione della responsabilità è costituito da quello attinente alla causalità della colpa, che va esclusa allorquando l’evento non sarebbe stato evitabile neanche tenendo il comportamento doveroso, ovvero quello alternativo lecito (cfr., tra le altre, Sez. 4, n. 7783 del 11/02/201 COGNOME, Rv. 266356; Sez. 4, n. 9390 del 13/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269254).
Ulteriore questione attiene alla concretizzazione dello specifico rischio ex ante riconducibile alle medesime violazioni, poiché alla colpa dell’agente va ricondotto non qualsiasi evento realizzatosi, ma solo quello causalmente riconducibile alla condotta posta in essere in violazione della regola cautelare volta a prevenire quello specifico rischio (Sez. 4, n. 40050 del 29/03/2018, COGNOME, Rv. 273870; Sez. 4, n. 30985 del 16/07/2019, COGNOME, Rv. 277476); con la conseguenza che
A propria volta, tali principi vanno letti alla luce di quello, ad esso collegat in forza del quale la pur necessaria prevedibilità dell’evento non può riguardare la configurazione dello specifico fatto in tutte le sue più minute articolazioni, ma la classe di eventi in cui quello oggetto del processo si colloca; ciò in quanto la descrizione dell’evento non può discendere oltre un determinato livello di dettaglio e deve mantenere un certo grado di categorialità; giacché un fatto descritto in tutti i suoi accidentali ragguagli diviene sempre, inevitabilmente, unico ed in quanto tale irripetibile ed imprevedibile (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, COGNOME, Rv. 261106), dovendosi quindi ricondurre l’evento verificatosi a una più ampia categoria, tenuto conto anche della realtà morfologica, geografica e spaziale del luogo del sinistro (Sez. 4, n. 30616 del 07/05/2024, COGNOME, Rv. 286883 – 02) e individuando la classe categoriale di eventi sulla base di categorie sistematizzate secondo un processo razionale che, se fondato su criteri logici, è incensurabile in sede di legittimità (Sez. 4, n. 35016 del 17/06/2024, Appendino, Rv. 286987 02).
18.2 Nel caso di specie, con motivazione del tutto rispondente ai prede principi, i giudici di merito hanno ritenuto l’evento verificatosi come concretizzazione dello specifico rischio che le regole cautelari sottese tendevano a evitare, rientrando il sinistro stradale – pure nelle concrete e gravissime modalità con la quali lo stesso si è verificato – nella classe categoriale degli accadimenti
che il rispetto delle regole cautelari violate (e identificate nelle citate disposiz del Codice della strada) tendeva a prevenire
Con il quinto motivo, la difesa ha censurato la motivazione della Corte territoriale nella parte in cui non ha ritenuto di concedere la circostanza attenuante prevista dall’art.62, n.6, cod.pen., pure in presenza dell’avvenuto “congelamento” del massimale della polizza assicurativa del mezzo per la responsabilità civile.
19.1 II motivo è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.
L’applicazione della specifica ipotesi contemplata nell’art.62, n.6, cod.pen. e concretizzata dal ristoro integrale del danno nei confronti della persona offesa, presuppone – innanzi tutto – che la relativa condotta sia tenuta dall’imputato “prima” del giudizio; dovendosi intendere tale locuzione, in caso di procedimento celebrato (come nel caso di specie) nelle forme del rito ordinario, come prima dell’apertura del dibattimento.
D’altra parte, è necessario che il colpevole abbia provveduto, prima giudizio, alla riparazione del danno mediante il risarcimento totale ed effettivo (Sez. 5, n. 44562 del 28/05/2015, Talji, Rv. 265092; Sez. 2, n. 9535 del 11/02/2022, Cortiglia, Rv. 282793) e riferito a tutte le componenti del pregiudizio, ivi comprese quelle di carattere non patrimoniale (Sez. 2, n. 9143 del 24/01/2013, COGNOME, Rv. 254880; Sez. 2, n. 17346 del 28/03/2024, COGNOME, Rv. 286329); essendo poi necessario, nell’eventualità in cui la persona offesa non abbia accettato la somma, che la stessa venga depositata secondo le modalità dell’offerta reale regolata dagli artt. 1209 e ss. cod.civ., rimanendo poi riservat al giudice la valutazione in ordine alla congruità dell’importo in riferimento a suddetti parametri (Sez. 2, n. 56380 del 07/11/2017, Avventurato, Rv. 271556; Sez. 1, n. 16493 del 23/02/2024, S., Rv. 286309).
19.2 Come rilevato dalla Corte territoriale, pertanto, nessuna delle condizioni suddette si è concretizzata nel caso di specie; atteso che quello che il ricorrente ha definito come un “congelamento” della somma corrispondente al massimale di polizza è avvenuto a opera di un terzo e, comunque, non conseguentemente a un’iniziativa dell’imputato bensì all’esecuzione di un’ordinanza di sequestro (liberatorio) disposta dal Tribunale nell’ambito del procedimento civile incardinato da parte della stessa società al fine di stabilire la percentuale di distribuzione della somma tra gli eredi e i parenti delle vittime.
20. Con il sesto motivo, la difesa ha censurato la decisione della Corte territoriale in punto di commisurazione del trattamento sanzionatorio e di mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
In particolare, il ricorrente ha dedotto che la Corte avrebbe attribuito rilevanza a conseguenze dannose del fatto rientranti nei connotati tipici delle fattispecie astratte, richiamando il dato costituito dalla maggiore gravosità della pena inflitta rispetto a quella irrogata ai responsabili di Tronco e del Esercizio dipendente dalla società Autostrade e il rilievo attribuito a comportamento processuale, asseritamente negativo, tenuto dall’imputato e senza che tale elemento fosse stato valorizzato per tutti gli altri imputati.
20.1 Tutti gli argomenti suddetti sono inammissibili in quan manifestamente infondati ovvero aspecifici.
In particolare, è manifestamente infondato l’argomento in base al quale il giudice d’appello – ai fini previsti dall’art.133 cod.pen. – si sarebbe limitato, motivazione asseritamente apparente, a valorizzare i soli connotati tipici della fattispecie astratta; avendo invece la Corte, con motivazione del tutto congrua e con riferimento implicito anche a quanto argomentato dal Tribunale, evidenziato la gravità concreta del fatto ascritto, in considerazione dell’elevatissimo numero di vittime e del numero e della tipologia delle regole cautelari violate.
Manifestamente infondata è anche la deduzione attinente al divers trattamento sanzionatorio riservato ai soggetti in servizio presso il Tronco autostradale; ciò in quanto, per consolidato principio, in tema di determinazione della misura della pena, il giudice del merito, nell’ipotesi di più soggetti imputa in concorso tra loro dello stesso reato, non è gravato dell’onere di procedere alla valutazione comparativa delle singole posizioni e di motivare in ordine eventuale differenziazione delle pene inflitte (Sez. 2, n. 7191 del 20/01/ COGNOME, Rv. 266446; Sez. 2, n. 1886 del 15/12/2016, COGNOME, Rv. 269317), con la conseguenza che l’imputato non può dolersi di tale mancato raffronto in sede di legittimità.
20.2 Quanto al giudizio relativo alla negazione delle circostanze attenuanti generiche va ricordato che il mancato riconoscimento delle medesime può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62bis cod.pen., disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione dell diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986; Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489); mentre, sul punto, il giudice esprime giudizio di merito, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Se
Sentenza n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549, che ha specificato che al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quell che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente).
Nel caso di specie, in conformità con i predetti principi, la Corte ha motivato il diniego delle circostanze attenuanti generiche sulla base dell’assenza di fattori idonei a consentirne l’applicazione ed evidenziando – in relazione agli elementi previsti dall’art.133 cod.pen. – l’oggettiva gravità dei fatti ascritti, anche luce dell’antefatto rappresentato dalla falsificazione del documento attestante la revisione (pure in presenza della dichiarazione di estinzione del relativo reato).
21. Peraltro, anche nei confronti del COGNOME va fatta applicazione dell’art.620, lett.1), cod.proc.pen., in ordine alla rideterminazione della pena, i correlazione alla predetta censura formulata sul punto dalla COGNOME e in relazione al disposto dell’art.587, comma 1, cod.proc.pen., ai sensi del quale «nel caso di concorso di più persone in uno stesso reato, l’impugnazione proposta da uno degli imputati, purché non fondata su motivi esclusivamente personali, giova anche agli altri imputati».
A tale proposito, questa Corte ha ritenuto che il principio dettato dall’art. 587 cod. proc. pen. consenta l’estensione all’imputato non impugnante sul punto degli effetti favorevoli derivanti dall’accoglimento del motivo di natura oggettiva dedotto dal coimputato (Sez. 2, n. 22903 del 1/2/2023, COGNOME, Rv. 284727 – 05; Sez. 6, n. 21739 del 29/1/2016, COGNOME, Rv. 266917 – 01).
Nel caso di specie, deve quindi affermarsi che la decisione di annullamento della sentenza limitatamente al trattamento sanzionatorio, a seguito della specifica doglianza della COGNOME, giova anche al COGNOME, che non ha dedotto quella specifica violazione di legge; in quanto entrambi i predetti imputati concorrono nei medesimi reati e il motivo in punto di criteri di determinazione della pena proposto dalla COGNOME deve intendersi non caratterizzato da riferimenti personali, attingendo il profilo oggettivo delle regole che presidiano il calcolo della pena in presenza della dichiarazione di prescrizione per un reato pure originariamente contestato a entrambi gli imputati; tanto, quindi, in conformità con il principio in forza del qua l’accoglimento del ricorso per cassazione proposto da uno dei coimputati per l’errata applicazione dei criteri sul calcolo della pena è estensibile ai coimputat concorrenti nel medesimo reato, che non l’abbiano proposto ex art. 587, comma
1, cod. proc. pen., in quanto il motivo di impugnazione non ha natura strettamente personale (Sez. 2, n. 7977 del 25/01/2024, Nicosia, Rv. 286002 – 01).
Pertanto, in ordine alla posizione del COGNOME, dalla motivazione della sentenza di appello si evince univocamente la volontà del giudice di secondo grado nel senso di ritenere che la pena definitivamente inflitta al ricorrente f da intendersi pari, previa esclusione di quella già irrogata per il reato ascritto al ca A), a complessivi anni nove di reclusione (pag.94).
Per l’effetto, in relazione all’art.620, lett.1), cod.proc.pen., anche nei confronti del Lametta la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, c conseguente rideterminazione della pena inflitta al ricorrente nella misura predetta.
I motivi di ricorso attinenti alla dedotta prescrizione del reato contestato al capo B)
22. Per ragioni di anteriorità logica, devono – a questo punto – essere esaminati (congiuntamente, in considerazione della loro omogeneità argomentativa) i motivi di ricorso attinenti alla dedotta violazione di legge in cu sarebbe incorsa la Corte territoriale, derivante dall’omesso rilievo della intervenuta prescrizione del reato contestato al capo B), in riferimento al disposto dell’art.589, commi 1 e 4, cod.pen..
22.1 Si tratta dei motivi proposti dagli imputati aventi il ruolo pro tempore di Direttori del Sesto Tronco della Autostrade per l’Italia nonché di respons sempre pro tempore, dell’Area Esercizio della stessa articolazione.
E, in particolare, del primo e del secondo motivo (congiuntament esaminabili, in quanto attinenti alla medesima questione di diritto) del ricorso proposto da NOME COGNOME, del primo motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME, del primo motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME del primo motivo del ricorso proposto da NOME COGNOMEnell’atto sottoscritto dall’Avv. COGNOME, del primo motivo del ricorso proposto da NOME COGNOMEnel ricorso sottoscritto dall’Avv. COGNOME), dell’undicesimo motivo del ricorso proposto nell’interesse comune del COGNOME e del COGNOME (sottoscritto dall’Avv. COGNOME), del primo motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME e del sesto motivo del ricorso proposto dalla responsabile civile.
Va premesso, in relazione al contenuto del primo motivo articolato dallo COGNOME che è infondata la deduzione (sviluppata anche nel nono motivo articolato nel ricorso proposto dal COGNOME, in riferimento a doglianza su cui infra) in forza della quale l’aggravante speciale prevista dall’art.589, comma 2, cod.pen.,
nel testo applicabile ratione temporis, non sarebbe – in realtà – stata effettivamente contestata.
Sul punto (richiamando quanto già argomentato in ordine al ricorso proposto dalla COGNOME) occorre evidentemente prendere le mosse dal consolidato principio espresso da questa Corte, in forza del quale, in tema di citazione a giudizio, il fatto deve ritenersi enunciato in forma chiara e precisa quando i suoi elementi strutturali e sostanziali siano descritti in modo tale da consentire un completo contraddittorio e il pieno esercizio del diritto di difesa da part dell’imputato (Sez. 3, n. 9314 del 16/11/2023, dep. 2024, P., Rv. 286023) e che, in ogni caso, non vi è incertezza sui fatti descritti nella imputazione quando questa contenga, con adeguata specificità, i tratti essenziali del fatto di reato contestato in modo da consentire all’imputato di difendersi nello stretto merito (Sez. 3, n. 5469 del 05/12/2013, dep.2014, Russo, Rv. 258920; Sez. 5, n. 16993 del 02/03/2020, COGNOME, Rv. 279090).
Nel caso di specie, pure in assenza dell’espresso riferimento, nell’incipit del capo di imputazione, alla circostanza aggravante prevista dall’art.589, comma 2, cod.pen. (sempre nel testo applicabile ratíone temporís, atteso il riferimento espresso ai soli numeri 1 e 4), per tutti gli imputati in servizio presso Autostrad per l’Italia, l’edito accusatorio conteneva l’espressa menzione, nella contestazione del fatto ascritto, della “violazione delle norme che garantiscono la circolazione stradale in condizioni di sicurezza (artt.1-14 D. Lvo 30.04.1992, n.285)”, con la conseguenza – alla luce dei principi predetti – che non può esservi alcuna incertezza in ordine alla contestazione della relativa aggravante speciale.
22.2 Deve quindi premettersi, come già esposto in sede di precedente riassunto dello svolgimento del processo, che la sentenza di primo grado, in riferimento specifico alla condotta ravvisata in capo ai suddetti imputati nell’ambito di quelle contestate (ovvero quella di avere omesso un costante monitoraggio della tratta autostradale in questione e di avere quindi omesso il necessario adeguamento funzionale delle barriere di bordo-ponte), ha ritenuto – pagg.342 e ss. – che ai suddetti funzionari andasse riconosciuta la necessaria posizione di garanzia derivante dall’art.14 C.d.s., anche alla luce delle disposizioni interne attributive delle relative competenze e del dato rappresentato dalla correlativa autonomia decisionale.
Peraltro il Tribunale ha ravvisato – in riferimento ad aspetti di fatto sui qua si ritornerà più approfonditamente infra in capo ai Direttori di Tronco e ai responsabili dell’Area Esercizio pro tempore, la violazione di una “regola cautelare di fonte sociale” (pag. 348), nascente dai giudizi di prevedibilità ed evitabili effettuati sulla base della scienza ed esperienza del caso concreto e derivante dal mancato utilizzo di strumenti effettivamente adeguati per il monitoraggio dello
stato di manutenzione delle barriere, quali le chiavi dinamometriche o gli avvitatori finalizzati al controllo del serraggio dei tirafondi apposti all’interno delle barr medesime, qualificando espressamente la responsabilità sotto il profilo della colpa generica (pag.349).
22.3 II complessivo ragionamento del Tribunale – relativo alla dedotta statuizione, in punto di qualificazione della tipologia della colpa ravvisabile agli imputati – ha trovato espressa contraddizione da parte della Corte d’appello a pag.147 e ss. della sentenza di secondo grado.
Difatti, la Corte ha rilevato che la qualificazione giuridica del fatto sott specie della colpa generica non potesse essere condivisa, ritenendo “l’istruttoria dibattimentale abbia pienamente restituito, per entrambe le due categorie di imputati – Direttori di Tronco e Responsabili Area Esercizio – la violazione di una regola cautelare della normativa di settore e, pertanto, /a sussistenza della contestata colpa specifica”.
In particolare, pur prendendo espressamente atto della mancata impugnazione, da parte dell’Ufficio di Procura, del relativo punto della sentenza di primo grado, la Corte ha ritenuto perfezionata una fattispecie di violazione di regole cautelari specifiche, con particolare riferimento alle norme armonizzate UNI-EN, quali la disposizione UNI 11603 del 2003 e che comprende nel concetto di manutenzione “ordinaria” anche quella “ciclica e predittiva”; riconducendo comunque la nozione di colpa specifica alla violazione delle regole cui il concessionario era tenuto in qualità di gestore di bene pubblico, facendo altresì riferimento alla norma EN 1090 (risalente al 2008) e che indica la chiave dinamometrica quale strumento essenziale per operare il serraggio delle barrie (pag.218).
Prendendo atto di tali argomentazioni (e prescindendo dalle ulteriori considerazioni inerenti all’effettiva sussistenza dell’aggravante, fatte oggetto d distinti motivi di ricorso che verranno successivamente esaminati), le difese dei suddetti imputati hanno contestato la valutazione della Corte territoriale in al profilo processuale attinente alla legittimità di una riqualificazione op in peius rispetto al fatto ritenuto dal giudice di primo grado e in assenza – sulla base di un elemento oggettivamente riscontrabile sulla base della lettura del relativo atto di appello – di impugnazione da parte del p.m. in ordine a tale specifico punto, essendosi, in tale sede, l’ufficio di Procura unicamente incentrato sulla posizione degli imputati assolti all’esito del primo grado di giudizio.
Sulla scorta di tale premessa, già nel corso del giudizio di appello era quindi stato dedotto che doveva – prima della relativa decisione – considerarsi decorso termine massimo di prescrizione previsto dagli artt. 157, comma 1 e 161, comm 2, cod.pen. (pari a sette anni e sei mesi); non potendosi applicare, in
considerazione dell’espressa esclusione dell’aggravante speciale, il regime di raddoppio dei termini massimi di prescrizione già previsto per l’ipotesi di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme in materia di circolazione stradale intervenuto per effetto già dell’originaria modifica apportata dall’art.6, comma 1, della I. 5 dicembre 2005, n.251.
E tanto sull’evidente presupposto del carattere più favorevole, in punto di trattamento sanzionatorio, del disposto dell’art. 589, commi 1 e 2 rispetto alla disciplina in tema di omicidio stradale derivante dall’introduzione dell’art.589bis avvenuta per effetto della I. 23 marzo 2016, n.41.
22.4 In sede di decisione impugnata – e riesaminando la relativa questione, già dichiarata infondata nel corso del giudizio – la Corte territoriale ha osservat che la relativa riqualificazione ben poteva ritenersi consentita in sede di appello, configurandosi il divieto di reformatio in peius in ordine alla sola determinazione del trattamento sanzionatorio, ritenendo altresì improprio il riferimento (operato dalla difesa) al principio del c.d. giudicato progressivo, trattandosi di fattispec rinvenibile nel solo specifico caso della sentenza di annullamento pronunciata dalla Corte di legittimità in relazione a solo alcune delle imputazioni ascritte.
Su tale aspetto, tutte le predette difese hanno quindi dedotto, proprio sul presupposto della mancata impugnazione del p.m. (con richiamo al disposto dell’art.581, comma 1, lett.a), cod.proc.pen.) sul punto inerente alla (dedotta) esclusione della circostanza aggravante speciale, che il medesimo non era conseguentemente stato oggetto di devoluzione di fronte al giudice di appello, essendosi quindi formata una preclusione processuale su tale aspetto ed essendo, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, invocabile il principio di preclusione medesimo, che opera in tutti i casi in cui il processo debba considerarsi esaurito in ordine a specifici punti e susseguente formazione di un giudicato interno sulla questione; che, in assenza di devoluzione, doveva intendersi esulante dai poteri della Corte territoriale quello di riconoscere ex officio una circostanza aggravante espressamente esclusa da parte del giudice di primo grado, non rientrando tale potere nell’ambito di quelli esercitabili ai sensi dell’art.597, comma 3, cod.proc.pen., ai sensi del quale «Quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l’imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1, di dare al fatto una definizi giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado»; derivandone, per diretta conseguenza, che il giudice di secondo grado avrebbe violato il divieto di reformatio in peius imposto in sede di impugnazione.
23. Le deduzioni poste alla base dei motivi di ricorso (con considerazioni, peraltro, estensibili anche al complesso delle argomentazioni spiegate dalla Corte d’appello nel citato passaggio motivazionale, con conseguente rettifica del medesimo ai sensi dell’art.619, comma 1, cod.proc.pen.) sono infondate in quanto, sotto un primo profilo, basate su un’errata lettura del complessivo percorso motivazionale seguito dal Tribunale.
In particolare, le deduzioni poste alla base dei vari motivi di rico si fondano sul passaggio, contenuto alla pag.342 della sentenza di primo grado, in base al quale “essendosi concluso positivamente il giudizio di prevedibilità ed evitabilità dell’evento condotto secondo la migliore scienza ed esperienza, va rilevato che sussisteva nel caso concreto una regola cautelare di condotta di fonte sociale, che imponeva ai soggetti preposti ad assicurare la sicurezza nella circolazione stradale di stabilire modalità di monitoraggio delle barriere adeguate ad accertare un eventuale difetto di funzionalità dei tira fondi”; con la conseguenza “che la violazione di tale regola di comportamento integra un difetto di diligenza e quindi un profilo di colpa generica dei soggetti tenuti a garantire la sicurezza dell infrastrutture autostradali e ad evitare la verificazione di quella tipologia evento”.
Per l’effetto, sulla base di tale prospettazione, il ritenuto e mancato perfezionamento di un’ipotesi di colpa specifica, con contemporanea integrazione di una fattispecie di sola colpa generica, avrebbe determinato la conseguente esclusione della circostanza aggravante originariamente contestata, con la necessità di dover tenere conto – con specifico riferimento al calcolo del termine prescrizionale – del solo trattamento sanzionatorio derivante dall’ipotesi base del reato previsto dall’articolo 589 cod.pen., nel testo applicabile ratione temporis.
Al contrario, peraltro, secondo un orientamento cui questa Corte ritiene di dover dare continuità, l’aggravante già prevista dall’art.589, comma 2, cod.pen., deve ritenersi ravvisabile anche in relazione alla violazione di precetti che, pur integrando, sotto il profilo squisitamente logico, regole di colpa generica sono recepiti dalla normativa in tema di circolazione stradale, come si desume disposto dell’art. 140 cod. strada, la cui violazione, dunque, assume lo valore della violazione di una disposizione specifica (Sez. 4, n. 35665 del 19/06/2007, COGNOME, Rv. 237453; Sez. 4, n. 18204 del 15/03/2016, COGNOME, Rv. 266641).
D’altra parte, va altresì richiamato il consolidato orientamento di questa Corte in forza del quale, in tema di responsabilità per omicidio colposo da sinistro stradale, la circostanza aggravante della violazione della normativa sulla circolazione stradale è ravvisabile non solo quando la violazione della normativa di riferimento sia commessa da utenti della strada alla guida di veicoli ma anche
nel caso di violazione di qualsiasi norma che preveda a carico di un soggetto, pur non impegnato in concreto nella fase della circolazione, un obbligo di garanzia finalizzato alla tutela della sicurezza degli utenti medesimi (Sez. 4, n. 44811 del 03/10/2014, COGNOME, Rv. 260643; Sez. 4, n. 45576 del 28/10/2021, COGNOME, Rv. 282546).
Deve quindi essere enunciato il seguente principio di diritto: “l’aggravante già prevista dall’art.589, comma 2, cod.pen., deve ritenersi ravvisabile anche nei confronti di soggetti non impegnati in concreto nella fase della circolazione, ma investiti di un obbligo di garanzia finalizzato alla tutela della sicurezza degli ute della strada”.
D’altra parte, la circostanza che il giudice di primo grado non abbia in alcun modo escluso la sussistenza della circostanza aggravante già prevista dall’articolo 589, comma 2, cod.pen., è chiaramente desumibile da alcuni passaggi argomentativi della pronuncia medesima.
In particolare, alla citata pagina 342, il Tribunale – nel fare riferimento un’ipotesi di colpa generica derivante dalla violazione di una regola di carattere sociale – ha peraltro fatto specifica menzione della violazione dei doveri connessi all’obbligo di assicurare la sicurezza nella circolazione stradale, in tal modo facendo espresso riferimento proprio alla suddetta circostanza aggravante originariamente contestata.
Dall’altra parte, nelle pagine dedicate alla quantificazione del trattamento sanzionatorio (pag.367 e ss.), il giudice di primo grado ha determinato la pena base in riferimento al testo dell’articolo 589, comma 3, cod.pen. (con rinvio chiaramente operato al comma regolativo della quantificazione della pena in ipotesi di omicidio plurimo colposo in concorso con le lesioni colpose vigente ratione temporis), senza alcun riferimento alla dedotta esclusione della circostanza aggravante speciale.
Sul punto va difatti ricordato che il previgente testo dell’art.589 cod.pen., come all’epoca modificato dall’art.1 del d.l. 23 maggio 2008, n.92 (convertito dalla I. 24 luglio 2008, n.125) aveva inserito, all’interno dell’ultimo comma e nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone di lesioni di uno o più persone, la pena che doveva infliggersi per la più grave delle violazioni con il limite massimo di anni quindici, tanto nel testo applicabile sulla base dell’epoca dei fatti e antecedente rispetto all’introduzione della specifica fattispecie omicidio stradale.
Deve quindi ritenersi che l’unico argomento testuale ricavabile dal corpo della sentenza di primo grado, idoneo astrattamente a sostenere le deduzioni difensive, sia rappresentato dall’omesso espletamento del giudizio di bilanciamento tra la predetta circostanza aggravante e l’attenuante, concessa ai
dipendenti in servizio presso il Sesto tronco di Autostrade per l’Italia ai sens dell’articolo 62, numero 6, cod.pen.; argomento testuale che, sulla base del complessivo tessuto motivazionale della sentenza di primo grado, come prima riassunto, non è tale da far ritenere che il giudice di primo grado abbia inteso escludere la circostanza aggravante originariamente contestata ai sensi dell’articolo 589, comma 2, cod.pen., con tutte le correlative conseguenze in materia di prescrizione del reato, atteso il raddoppio dei termini previsto per articolo 157 comma 6, cod.pen., per il reato di omicidio aggravato dalla violazione delle norme in materia di circolazione stradale (e determinato, come accennato, per effetto dell’art.6 della I. 5 dicembre 2005, n.251, riferito specificamente a tal ipotesi circostanziata di reato).
24. Tale complesso di argomentazioni priva quindi di effettiva valenza le deduzioni difensive, comuni ai predetti motivi di ricorso, facenti riferimento all’omessa impugnativa del p.m. del punto attinente all’omesso riconoscimento dell’aggravante, così come quelle attinenti alle modalità di applicazione dell’articolo 597 cod.proc.pen. da parte del giudice di appello.
Difatti, sotto il primo punto di vista, il pubblico ministero – atteso che giudice di primo grado non aveva in alcun modo escluso la sussistenza della circostanza aggravante originariamente contestata ma anzi la aveva, come emergente dai predetti passaggi motivazionali, di fatto ritenuta – non era, in realtà titolare di alcun interesse a impugnare la relativa statuizione in riferimento all’art.591, comma 1, lett.a), cod.proc.pen.
24.1 Mentre, altresì, dalla conclusione predetta ne consegue il dato della conseguente insussistenza della dedotta violazione del disposto dell’articolo 597, comma 3, cod.proc.pen., oggetto di plurime censure da parte delle difese, in quanto fondate sul dato – come detto, da ritenersi smentito dalla lettura della sentenza – dell’esclusione dell’aggravante speciale da parte del giudice di primo grado.
In ogni caso, anche in relazione all’applicazione della predetta disposizione, questa Corte deve comunque osservare che il complessivo ragionamento seguito dal giudice di appello va ritenuto del tutto ineccepibile e conforme a consolidati orientamenti della giurisprudenza di legittimità.
Nello specifico e in relazione alla complessiva interpretazione del disposto dell’art.597, comma 3, cod.proc.pen., va osservato che il presupposto per l’eventuale applicazione della disposizione è costituito dalla proposizione dell’appello da parte del solo imputato; d’altra parte, ferma restando l’intangibilit del trattamento sanzionatorio (esteso alle misure di sicurezza), la norma conferisce al giudice di secondo grado la possibilità di dare al fatto ascritto una
qualificazione giuridica anche più grave di quella ritenuta nella sentenza impugnata, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado.
A tale proposito, la giurisprudenza di questa Corte ha rilevato che l’eventuale riqualificazione in peius del fatto ascritto non determina alcuna compressione o limite al diritto al contraddittorio, anche alla luce della giurisprudenza europea e rimanendo comunque ferma, per l’imputato, la possibilità di contestare la riqualificazione medesima mediante il ricorso per cassazione.
Questa Corte, nel suo massimo consesso ha difatti osservato che «La giurisprudenza della Corte di Strasburgo, infatti, pur nella estrema varietà degli accenti dovuta all’intervento casistico tipico di quella Corte, ha in più occasioni escluso la violazione dei parametri convenzionali in tutti i casi in cui la prospettiv della nuova definizione giuridica fosse nota o comunque prevedibile per l’imputato, censurando, in concreto, le ipotesi in cui la riqualificazione dell’addebito avesse assunto le caratteristiche di atto a sorpresa. Accanto a ciò, la stessa Corte non ha mancato di sottolineare come il diritto di difesa e quello al contraddittorio non fossero vulnerati nei casi in cui i fatti costitutivi del nuovo reato fossero già presenti nella originaria imputazione: e ciò, evidentemente, anche nella ipotesi in cui la nuova definizione giuridica non fosse stata di per sé prevedibile per l’imputato (v. fra le tante, sentenze 10 marzo 2001, Dallos c. Ungheria; 3 luglio 2006, Vesque c. Francia; 7 gennaio 2010, COGNOME c. Bulgaria; 12 aprile 2011, NOME COGNOME c. Romania; 3 maggio 2011, COGNOME c. Grecia; 15 gennaio 2015, COGNOME c. Slovenia, nella quale ultima si è in particolare rilevato come l’imputato fosse pienamente a conoscenza degli elementi fattuali posti alla base della contestazione originaria, dai quali era possibile desumere l’oggetto della contestazione così come modificata nel corso del dibattimento). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La violazione, infatti – secondo la impostazione tutt’altro che formalistica della Corte di Strasburgo – deve essere tale da comportare un concreto e non meramente ipotetico regresso sul piano dei diritti difensivi, attraverso un mutamento della cornice accusatoria che abbia effettivamente comportato una novazione dei termini dell’addebito tali da rendere la difesa menomata proprio sui profili di novità che da quel mutamento sono scaturiti», non sussistendo quindi alcuna incompatibilità tra l’applicazione della disposizione e i principi enunciati nella pronuncia della Corte EDU del 11/12/2007, RAGIONE_SOCIALE (Sez. U, Sentenza n. 31617 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 264438).
Ne deriva, pertanto e per principio consolidato, che il giudice di appello, pur in difetto di gravame del pubblico ministero, può dare al fatto una diversa e più grave qualificazione giuridica, ove la questione sia strettamente connessa ad un capo o ad un punto della sentenza che abbia costituito oggetto dell’impugnazione
e che il divieto imposto dalla disposizione non è teso a garantire un trattamento, sotto ogni aspetto, migliore di quello applicato in primo grado ma solo ad impedire l’applicazione di un trattamento sanzionatorio più grave, avendo riguardo unicamente alla pena sotto il profilo sia della specie, sia della quantità della sua complessiva determinazione (tra le altre, Sez. 2, n. 4640 del 01/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280560; Sez. 6, n. 47488 del 17/11/2022, F., Rv. 284025).
Tale conclusione è peraltro conforme all’orientamento, già espresso da risalenti pronunce e consolidatosi in tempi più recenti, (Sez. 6, n. 23024 del 04/02/2004, COGNOME, Rv. 230440; Sez. 5, n. 4984 del 19/12/2006, COGNOME, Rv. 236318), anche in relazione al disposto dell’art.609, comma 2, cod.proc.pen., che aveva ritenuto che rientri nei poteri del giudice di legittimità la corret qualificazione giuridica del fatto e quello di escludere, a seguito di tal riqualificazione, l’applicazione di una causa di estinzione del reato, considerato che ciò non comporta alcuna variazione in ordine al trattamento sanzionatorio e che, pertanto, non verrebbe vulnerato il divieto di reformatio in peius, il quale è unicamente preordinato a conservare l’integrità della pena ed a salvaguardare la preclusione nascente dal giudicato in ordine al trattamento sanzionatorio operato dal giudice a quo in assenza di impugnazione da parte del p.m. (con i conseguenti riflessi in materia di computo dei termini di prescrizione).
In specifica relazione al giudizio di secondo grado, già Sez. 2, n. 11935 del 08/03/2007, Tricarico, Rv. 236134, in ordine alla questione del divieto di reformatio in peius in appello aveva rilevato che «il principio in questione consiste esclusivamente nell’impossibilità di irrogare all’imputato, in assenza d’impugnazione del P.M., una sanzione più grave di quella già inflittagli, e non implica affatto l’intangibilità del trattamento penale nel suo complesso, tanto che l’art. 597 c.p., comma 3 prevede espressamente la facoltà del giudice di dare al fatto una definizione giuridica più grave. Il ricorrente non può quindi dolersi dell’allungamento dei termini di prescrizione derivato dalla nuova definizione giuridica». Si tratta di una lettura espressamente avvalorata da successive pronunce quali Sez. 6, n. 11055 del 30/01/2008, COGNOME, Rv. 239424; Sez. 5, Sentenza n. 3246 del 22/10/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 242953; Sez. 2, n. 36217 del 16/06/2011, COGNOME; Sez. 1, n. 474 del 17/12/2012, Presti, Rv. 254207; Sez. 2, n. 26729 del 05/03/2013, COGNOME, Rv. 256649; Sez. 6, n. 32710 del 16/07/2014, Schepis, Rv. 260663; nonché Sez. 1, n. 49671 del 24/09/2019, COGNOME, Rv. 277859, nella cui parte motiva era stato rilevato che «va chiarito che l’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., nell’occuparsi dell’appello proposto dal solo imputato, fa salva la possibilità di una definizione giuridica più grave i relazione ai fatti ai quali si riferiscono i motivi, ma pone determinati limiti rispe alle modifiche in peius. Si ha al riguardo una precisa elencazione che vieta
l’irrogazione di una pena più grave, l’applicazione di una misura di sicurezza nuova o più grave, il proscioglimento dell’imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza impugnata, la revoca dei benefici. Tale specificazione non garantisce così un trattamento sotto ogni altro aspetto uguale o migliore rispetto a quello intervenuto in primo grado. L’errore nella qualificazione giuridica riscontrato in sede di appello può allora giovare all’imputato solamente in detti tassativi casi. Mentre per il resto rimane preminente l’interesse dell’ordinamento giuridico a vedere la decisione giurisdizionale uniformarsi correttamente al diritto. E ci si riferisce non solo alta prescrizione, ma anche alle altre cause estintive del reato o della pena e, più in generale, a tutti i rimanen effetti della condanna dovuti alla riqualificazione giuridica del fatto».
Ancora più recentemente, Sez. 2, n. 23410 del 01/07/2020, Ndiaye, Rv. 279772, ha osservato in parte motiva che «(non) sussiste alcuna irragionevolezza della previsione normativa così interpretata. Il legislatore si è preoccupato, invero, di consentire, in presenza di un errore del primo giudice in ordine alla qualificazione giuridica del fatto, al giudice di appello di porvi rimedio e ciò al di garantire una corretta applicazione della legge penale. È evidente che da una diversa e più grave qualificazione possono derivare effetti negativi per l’imputato (in termini di impossibilità di applicare cause estintive o benefici), (v. in materia di confisca obbligatoria Sez. 6, 10708/2016, Rv. 266558; in ordine all’aggravamento del trattamento penitenziario Sez. 2, n. 2884/2015; con riferimento alla diminuzione di pena proporzionalmente inferiore in relazione alle ritenute attenuanti generiche Sez. 5, 4118/2014), ma questa è una conseguenza necessaria collegata allo “statuto” della fattispecie giuridica individuata una volt qualificato diversamente il fatto. Il legislatore nel prevedere tale possibilità, ritenuto preminente l’interesse alla corretta applicazione della legge».
Mentre la successiva Sez. 6, Sentenza n. 47488 del 17/11/2022, F., 15/12/2022, Rv. 284025 (specificamente citata dalla Corte territoriale) ha ritenuto di aderire a tale orientamento puntualizzando che « Questa Corte di cassazione ha reiteratamente puntualizzato come il potere di dare la corretta qualificazione giuridica al fatto contestato e accertato costituisce espressione diretta del potere giurisdizionale, dunque aspetto immanente al sistema processuale: compito che spetta anche al giudice di impugnazione laddove la questione, pur esaminata d’ufficio, sia strettamente connessa ad un capo o ad un punto della decisione impugnata che ha costituito oggetto del ricorso e che sia stato così devoluto alla sua cognizione (in questo senso Sez. 6, n. 3716 del 24/11/2015, COGNOME, Rv. 266953; Sez. 2, n. 3211 del 20/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258538; Sez. 2, n. 37413 del 15/5/2013, COGNOME, Rv. 256653)» (decisioni, queste ultime, peraltro relative specificamente al giudizio di legittimità).
Altresì espressiva di analogo principio, da ultimo, va citata anche Sez. 5, n. 41534 del 09/10/2024, G., Rv. 287231 – 02; la quale ha evidenziato in parte motiva che «nella specie non può parlarsi di violazione del diritto di difesa, evocata in quelle pronunce (quali Sez. 2, n. 37795 del 28/06/2019, Rv. 277087 – 02), qui non condivise, che vedono nella mera riqualificazione del fatto la «reviviscenza dell’imputazione, che alla data della pronunzia di secondo grado doveva ritenersi già estinta per intervenuta prescrizione». Invero, ad avviso della Corte non può parlarsi di “estinzione” e “reviviscenza” della fattispecie di reato ab origi contestata e rimasta assolutamente immutata, laddove (con sviluppo – si ripete del tutto prevedibile e comunque fatto oggetto di possibile discussione per le parti: il che elide anche qualsivoglia ipotesi di violazione del diritto di difesa) ci si ad applicare la corretta disposizione di legge a quel determinato fatto reato: che, a ben vedere, se interpretato nel giusto modo sin dall’inizio, deve ritenersi non essersi mai prescritto, evidentemente».
25. In sintesi, deve quindi rilevarsi che tutte le argomentazioni giuridiche poggianti sui limiti di applicazione dell’articolo 597 cod. proc. pen., come risul evidente dalla lettura delle motivazioni nonché delle correlative massime ufficiali, si fondano sul dato fondamentale della espressa esclusione originaria della circostanza aggravante da parte del giudice di primo grado; esclusione che come sopra visto e sulla base dell’esame del complessivo tessuto argomentativo, non è stata affatto disposta da parte del Tribunale, evincendosi anzi, dai citati passaggi testuali, il dato in base alla quale la sussistenza dell’aggravante sarebbe – in realt – stata, di fatto, ritenuta dal giudice di primo grado.
Correttamente, pertanto, la Corte d’appello ha fatto applicazione del principio iura novit curia, di cui l’art.597, comma 3, cod.proc.pen. – con i correlativi poteri attribuiti al giudice dell’impugnazione di attribuire la corr qualificazione giuridica al fatto, ferma restando l’intangibilità del trattame sanzionatorio – deve ritenersi diretta applicazione.
26. Va altresì rilevato che la relativa statuizione della Corte d’appello sull specifico punto è stata posta alla base di espresse censure anche da parte di imputati assolti nel corso del primo grado di giudizio; essendo tale deduzione posta a fondamento del primo motivo del ricorso proposto dal COGNOME, dell’undicesimo motivo del ricorso proposto dal COGNOME, del terzo motivo del ricorso proposto dal COGNOME, del sesto motivo del ricorso proposto dal COGNOME nonché del dodicesimo motivo proposto dalla responsabile civile.
Le argomentazioni difensive espresse sul punto si fondano, in sintesi, sul dato attinente alla violazione del principio devolutivo, in quanto il p.m. n
avrebbe – nel proprio atto di appello – fatto espresso riferimento al riconoscimento della predetta circostanza aggravante anche nei confronti dei coimputati assolti all’esito del giudizio di primo grado.
I motivi sono manifestamente infondati.
Difatti, ferma restando l’assoluta irrilevanza del riferimento al disposto dell’art.597, comma 3, cod.proc.pen. (disposizione applicabile nel caso di appello proposto dal solo imputato), deve rilevarsi come l’atto di appello del p.m. contenesse un’esplicita richiesta di condanna dei suddetti imputati in ordine a tutti “i reati loro rispettivamente ascritti”; con conseguente diretto rimando per relationem al contenuto dell’originaria imputazione e alla conseguente violazione delle disposizioni sulla sicurezza della circolazione stradale, peraltro da ritener ampiamente richiamate in sede di illustrazione del motivo di impugnazione.
I motivi di ricorso attinenti alle modalità di escussione del perito
27. Vanno a questo punto esaminati, in quanto attinenti a questioni processuali suscettibili di riverberarsi sul piano delle risultanze probator utilizzabili ai fini della decisione, i motivi di ricorso attinenti – in riferimento all’art.606, comma 1, lett.c), d), ed e), cod.proc.pen. – al rigetto dei motivi appello con i quali era stata censurata l’ordinanza pronunciata dal Tribunale il 12/09/2018, emessa nel momento processuale immediatamente antecedente rispetto all’esame del perito nominato dal giudice.
In quella sede, il Tribunale aveva rigettato la richiesta di consentire a che l’esame del perito venisse svolto direttamente dai consulenti di parte; quella formulata al termine dell’esame stesso – di disporre il confronto tra il perito e consulenti e quella, formulata in via subordinata sempre all’esito dell’esame dell’ausiliario, di consentire nuovamente l’escussione dei consulenti medesimi.
La Corte territoriale, specificamente alle pagg.149-152 della sentenza gravata, ha rigettato le impugnazioni proposte in ordine a tali profili e tale punt di decisione è stato oggetto del quarto motivo di ricorso formulato dal COGNOME, del secondo motivo di ricorso formulato dal COGNOME, del terzo motivo di ricorso formulato dal COGNOME, del primo motivo di ricorso formulato dal COGNOME (contenente un’ulteriore censura che verrà successivamente esaminata) e del secondo motivo di ricorso formulato dalla responsabile civile, fondati su argomentazioni reciprocamente sovrapponibili.
In particolare, le difese hanno sottolineato – quanto alla prima richiesta la complessiva illogicità della decisione dei giudici di primo e di secondo grado, nella parte in cui non avevano consentito che l’escussione del perito fosse direttamente condotta da parte dei consulenti tecnici, in considerazione delle
questioni spiccatamente specialistiche sulle quali doveva essere espletato l’esame dell’ausiliario; in ordine alla richiesta di confronto, hanno contestato la coerenz della decisione in considerazione dei marcati contrasti che sussistevano tra la relazione di perizia e le consulenze di parte, con specifico riferimento all metodologia adottata per la ricostruzione della dinamica del sinistro; mentre, in ordine al terzo profilo – in relazione alla quale la Corte ha ritenuto vertersi un’ipotesi di nullità, peraltro tardivamente eccepita nella sola sede dei motivi d appello – hanno ritenuto (richiamando, ai fini dell’autosufficienza del ricorso, contenuto del verbale del 12/09/2018) che la stessa fosse, in realtà, stata dedotta già anteriormente rispetto all’adozione delle ordinanza impugnate.
28. I motivi sono infondati.
28.1 Va osservato che il complesso delle predette deduzioni difensive trae spunto da alcuni recenti arresti di questa Corte e, in particolare, da quello espresso da Sez. 2, n. 19134 del 17/03/2022, COGNOME, Rv. 283187, ove è stato espresso il principio di diritto in base al quale, in tema di prova scientifica, il dir contraddittorio deve essere tutelato in tutte le fasi che ne caratterizzano l formazione, con la conseguenza che i tecnici di parte: a) devono avere la possibilità di presenziare al conferimento dell’incarico e alla formulazione del quesito; b) devono essere posti in condizione di partecipare alle operazioni tecniche; c) ove la parte lo richieda, devono essere esaminati in contraddittorio nel dibattimento (o nell’incidente probatorio), senza che a tal fine sia necessario che la partecipazione dei medesimi allo svolgimento delle operazioni peritali sia stata “reattiva”, in quanto caratterizzata dalla proposizione di specifiche critic avverso il metodo utilizzato dal tecnico d’ufficio.
Venendo, più specificamente, a esaminare la parte motiva di tale ultima sentenza, va premesso che il principio è stato espresso in una fattispecie concreta, in realtà, non sovrapponibile a quella oggetto di esame in questa sede e nella quale il giudice di merito aveva negato il diritto all’escussione del consulente di part (nonché all’acquisizione della relazione dallo stesso redatta) in ragione della mancata partecipazione di quest’ultimo alle operazioni peritali e in assenza quindi del presupposto, ritenuto necessario nella pronuncia di merito, della partecipazione “reattiva” ad opera del consulente di parte.
La Corte – sempre nel predetto arresto – ha quindi affrontato la tematica rilevando che il contraddittorio nella formazione della prova scientifica deve essere salvaguardato nel corso di tutte le fasi che caratterizzano la formazione della prova medesima, a partire dal conferimento dell’incarico fino allo svolgimento delle operazioni peritali e all’esame dibattimentale del perito e dei consulenti di parte osservando che il diritto al contraddittorio nella formazione della prova scientific
è garantito, oltre che dalla nostra Carta fondamentale, anche dal diritto convenzionale, che ha chiarito come in tale area lo stesso si risolva nel tutelare la “parità delle armi” (art. 6 Convenzione EDU), ovvero nell’offrire all’accusato la possibilità di contrastare le tesi del tecnico di parte o di ufficio – attraverso la veicolata nel processo dal proprio consulente.
Il Collegio altresì ha fatto riferimento alla giurisprudenza espressa dalla Corte europea nel caso COGNOME v. Russia (27 aprile 2014), ove questa ha identificato la lesione del contraddittorio proprio nella mancata acquisizione delle prove tecniche di parte e, segnatamente, nella mancata escussione degli esperti dell’accusa dei quali era stata acquisita la relazione; mentre, nel caso COGNOME v. Francia (18 marzo 1997), la Corte europea ha rilevato l’iniquità del processo e la violazione dell’art. 6, par.1, della CEDU, perché ai ricorrenti non era stat consentito di partecipare alle operazioni peritali extraprocessuali, sviluppatesi attraverso l’audizione di persone in possesso di informazioni decisive.
Osservando che, sul versante interno, questa Corte era stata inv costante nel ritenere che la violazione del diritto al contraddittorio fosse ri solo nel caso dell’omesso esame di consulenti di parte “attivi”, che avessero cioè fornito un concreto contributo allo svolgimento delle operazioni peritali in ambiente extraprocessuale: si era infatti affermato che il giudice, dopo l’esame del perito, fosse tenuto ad integrare il contraddittorio con l’esame del consulente tecnico dell’imputato, qualora questi avesse assunto iniziative di sollecitazione e di contestazione rispetto all’attività peritale ed ai relativi esiti (Sez. 1, n. 5449 05/04/2017, COGNOME, Rv. 271899 – 01; Sez. 6, n. 27928 del 01/04/2014, COGNOME, Rv. 261641; Sez.6, n. 12610 del 14/01/2010, Rv 246725; Sez. 1, Sentenza n. 11867 del 26/10/1995, COGNOME, Rv. 203247).
28.2 Questa Corte – nella citata pronuncia 19134/2022 – ha quindi ritenuto che tale giurisprudenza meritasse di essere aggiornata nella parte in cui legittimava l’omesso esame del tecnico di parte nei casi in cui questo non avesse tenuto un atteggiamento “reattivo” nel corso delle operazioni peritali.Tanto su presupposto in forza del quale la tutela del diritto al contraddittorio nel formazione della prova scientifica assume una configurazione più complessa di quella del semplice diritto al controesame, che connota la prova dichiarativa e si concretizza – di contro – nel costante confronto tra tecnico d’ufficio e consulenti parte che deve essere tutelato dalla fase del conferimento dell’incarico, durante lo svolgimento delle operazioni peritali, fino alla esposizione in contradditori dibattimentale dei pareri. Non ritenendo, conseguentemente, sussistere alcuna ragione che legittimi il condizionamento dell’audizione del tecnico di parte – ove richiesta – ad una partecipazione “reattiva” e non acquiescente alle operazioni extradibattimentali: non essendo caso insolito, infatti, che i tecnici ch
rappresentano gli interessi delle parti condividano il metodo proposto dal perito e, dunque, non si oppongano all’uso dello stesso, pur avendo opinioni diverse quanto alle valutazioni finali, espresse nella relazione. Ha ritenuto che il non consentir alla parte che lo richiede che il proprio tecnico esprima in contraddittorio le ragion del dissenso sulle conclusioni del perito, denegando l’esame sulla base della acquiescenza mostrata nel corso delle operazioni peritali, integri – invece – una lesione del diritto di difesa, dato che si impedisce alla parte di “contraddire” un prova sfavorevole con le armi disponibili, che, nel caso della prova scientifica, si traducono nella veicolazione nel processo di un parere tecnico antagonista.
La Corte ha quindi espresso il principio di diritto suddetto ritenendo che tale interpretazione, oltre ad essere coerente con la tensione verso la massima tutela del diritto al contraddittorio, che si ricava tanto dalla Costituzione quanto dal CEDU, trova conforto anche nel tessuto codicistico, tenuto conto che: (a) l’art. 230 cod. proc. pen. riconosce ai consulenti di parte il diritto ad assistere conferimento dell’incarico e a partecipare attivamente allo stesso, presentando al giudice richieste, osservazioni e riserve delle quali è fatta menzione nel verbale; (b) lo stesso articolo riconosce ai consulenti il diritto a “partecipare” alle operazio peritali, “anche” e “non solo” attraverso la proposizione di specifiche indagini, osservazioni e riserve; (c) l’art. 468 cod. proc. pen. facoltizza le parti ad inser in lista i consulenti e ad ottenerne l’esame, anche attraverso la presentazione diretta in dibattimento.
Rilevando che il diritto al contraddittorio nella formazione della prova scientifica è tutelato anche dalla previsione del diritto a nominare consulenti tecnici «dopo l’esaurimento delle operazioni peritali» nonché anche in caso di mancata nomina di un perito d’ufficio (art. 230, comma 3 e 233 comma 1 cod. proc. pen.), norme che risulterebbero incompatibili con la contrazione della tutela delle prerogative del consulente di parte endoperitale.
Ha quindi ritenuto che il predetto quadro normativo disegnasse una griglia di tutela, che – all’evidenza – sostiene tutto l’iter di formazione della pr scientifica (e si dipana anche “oltre”, con la previsione del diritto alla nomina consulenti extraperitali); la quale non appare compatibile con la limitazione del diritto all’esame del consulente di parte nei soli casi in cui questi, nel corso del operazioni peritali, abbia manifestato il suo parere contrario rispetto al metodo proposto e in concreto utilizzato (in senso conforme, successivamente, Sez. 1, n. 39832 del 17/03/2023, COGNOME, Rv. 285328).
28.3 Tali principi hanno poi trovato delle rilevanti specificazioni, in punto d rito, ad opera della successiva Sez. 3, n. 12815 del 08/02/2023, P, Rv. 284350; nella quale è stato espresso il principio in forza del quale il rigetto in udienza del richiesta di esaminare il proprio consulente in contraddittorio con il perito
iq- determina una nullità di ordine generale a regime intermedio ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., che deve essere dedotta, dalla parte che vi assiste, prima del compimento dell’atto, ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente dopo, secondo quanto previsto dall’art.182, comma 2, cod.proc.pen.; principio espresso in una fattispecie concreta in cui, nel corso di un incidente probatorio, il giudice aveva negato il diritto all’escussione del consulente di parte successivamente all’esame del perito.
29. Riassumendo l’incidenza dei predetti principi nel caso concreto in esame, questa Corte ritiene che la questione attinente al diniego della richiesta di consentire l’esame diretto del perito ad opera dei consulenti di parte sia infondata, trattandosi di profilo insuscettibile di essere collocato all’origine di qualsiasi pr di patologia processuale.
Premettendo che si verte in una tematica già oggetto di attenzione da parte della dottrina (e con conclusioni non sempre convergenti) va ritenuta conforme alla legge processuale la valutazione compiuta dalla Corte, la quale ha fatto perno – oltre che sul principio della tassatività delle ipotesi di nullità sull’incompatibilità della relativa istanza con il principio di assistenza tecn dell’imputato che permea il nostro sistema processuale e che attribuisce al solo difensore la prerogativa di procedere all’esame dei testimoni e dei periti.
Aspetto in relazione al quale già risalente giurisprudenza aveva invece ritenuto possibile ricorrere allo strumento del confronto, rilevando che nessuna violazione di legge sia riscontrabile, di per sé, nella predisposizione di confronto dibattimentale tra periti e consulenti, dato che l’art. 211 del codice di rito n limita il confronto a categorie di soggetti predeterminati e l’art. 501, comma 1, cod.proc.pen., fornisce una indicazione di massima nel senso della assimilazione della posizione dei periti e consulenti a quella dei testimoni: Sez. 1, n. 34947 del 24/05/2006, COGNOME, Rv. 235253.
Va peraltro ricordato che il confronto non costituisce adempimento di cui sia imposta obbligatoriamente l’effettuazione da parte di alcuna norma processuale, in quanto, a fronte di contrastanti versioni fornite dai dichiaranti, spetta al giud apprezzare, secondo il proprio libero convincimento, il grado di attendibilità dell’una piuttosto che dell’altra dichiarazione (Sez. 6, n. 20269 del 20/04/2016, COGNOME, Rv. 266747; Sez. 6, n. 37691 del 16/09/2022, B., Rv. 283935 – 02); con la conseguenza che l’omessa disposizione del confronto non è suscettibile di concretizzare alcuna ipotesi di nullità.
Deve invece ritenersi – alla luce delle considerazioni predette – che il rigett delle richieste di ascoltare i consulenti di parte all’esito dell’esame dell’ausilia
anche in contraddittorio con quest’ultimo, sia astrattamente suscettibile di concretizzare un’ipotesi di nullità a regime intermedio.
Tutto ciò premettendo, in adesione a quanto ritenuto dalla stessa Corte d’appello, che la questione del contributo eventualmente “reattivo” fornito dai consulenti di parte deve ritenersi superato alla luce della citata giurisprudenza e che, in ogni caso, i consulenti di parte hanno preso parte allo svolgimento delle operazioni peritali ed erano già stati escussi in dibattimento antecedentemente all’esame del perito, per cui il loro contributo critico era risultato già sicurame acquisito nel corso del giudizio e faceva parte della piattaforma probatoria utilizzabile ai fini della decisione.
Sul punto, va quindi espresso il seguente principio di diritto: “In tema di prova scientifica, il rigetto in udienza della richiesta della parte di esaminare il pro consulente in contraddittorio con il perito, all’esito dell’esame di quest’ultim determina una nullità di ordine generale a regime intermedio ex art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., che deve essere dedotta, dalla parte che vi assiste, prima del compimento dell’atto, ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente dopo nelle modalità previste dall’art.182, comma 2, cod.proc.pen.”.
30. Va quindi esaminato il profilo di diritto attinente alla sussistenz patologie prospettate dalla difesa – con particolare riferimento al d dell’art.606, comma 1, lett.c), cod.proc.pen. – in relazione alla valu compiuta dalla Corte territoriale la quale, pur ravvisando un’astratta ipotesi di nullità a regime intermedio e conformandosi ai principi sopra citati, ha ritenuto tardiva la relativa eccezione.
Ricordando, sul punto, che, allorché sia dedotto, mediante ricorso per cassazione, un error in procedendo ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la Corte di legittimità è giudice anche del fatto processuale e, pe risolvere la relativa questione, può accedere all’esame diretto degli atti processuali, che resta, invece, precluso dal riferimento al testo del provvedimento impugnato contenuto nella lett. e), del citato articolo, quando risulti denunziata l mancanza o la manifesta illogicità della motivazione (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092, in senso conforme Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, F., Rv. 273525).
Ritiene il Collegio che la valutazione compiuta dalla Corte territoriale specifico riferimento al contenuto del verbale del 12/09/2018 (richiamato suddette difese a fondamento dei relativi motivi), sia stata conforme alle disposizioni processuali di riferimento; non potendosi ritenere che, antecedentemente o immediatamente dopo l’esame del perito, avvenuto nel corso della predetta udienza e anteriormente ovvero all’esito della pronuncia della
ordinanza del Tribunale (emessa successivamente all’esame stesso), sia stata formulata un’effettiva eccezione di nullità valutabile ai sensi dell’art.182, comma 2, cod.proc.pen.
A tale proposito, deve premettersi come l’eccezione di una nullità processuale rilevabile su impulso di parte non possa essere ricavata da una lettura sinottica e interpretativa delle argomentazioni utilizzate dalle parti, così com verbalizzate, ma che la stessa debba essere (pur senza necessità della specifica e corretta indicazione delle norme di riferimento) esplicita nella sua richiesta d dichiarazione di invalidazione dell’atto processuale.
Dall’esame diretto del verbale del 12/09/2018, si evince dunque che -immediatamente prima dell’esame del perito, l’Avv. COGNOME – a nome di tutti gli imputati dipendenti da Autostrade – aveva richiesto di poter consentire l’esame diretto dell’ausiliario da parte dei consulenti, mentre l’Avv. COGNOMEdifensore della responsabile civile) aveva illustrato argomentazioni a sostegno della prede specifica richiesta.
Terminato l’esame ad opera del p.m. e nella fase immediatamente antecedente al controesame da parte delle difese, l’Avv. COGNOME aveva sviluppato argomentazioni univocamente riferibili alla richiesta di consentire l’esame del perito direttamente da parte dei consulenti tecnici; mentre l’Avv. COGNOME nel riferirsi al disposto dell’art.189 cod.proc.pen., aveva replicato analoga richiesta e aveva chiesto al giudice di valutare l’opportunità di disporre un confronto tra perito e consulenti di parte, sollecitando il Tribunale in tal senso.
All’esito dell’esame del perito, l’Avv. COGNOME aveva richiamato il principio attinente all’onere previsto per il Giudice di escutere nuovamente il consulente di parte, in caso di contributo “attivo” alle operazioni peritali, sollecitando il Tribunale a disporre un confronto ovvero a escutere nuovamente i consulenti di parte; mentre, dopo la pronuncia dell’ordinanza citata, sempre l’Avv. COGNOME, in relazione a una richiesta di acquisizione di nuovi documenti formulata dal p.m., aveva sottolineato che “a noi si è negato il confronto, si è negata la responsabilità di risentire i consulenti su una serie di punti”.
Va quindi condivisa da questa Corte – quale giudice del fatto ai sensi dei richiamati principi – la valutazione operata dalla Corte di appello, nella parte in c ha ritenuto che le predette deduzioni, sollecitanti il confronto tra perito e consulent di parte ovvero la nuova escussione di questi ultimi, non abbiano sollevato alcuna eccezione di nullità, con conseguente tardività dell’eccezione medesima proposta nei successivi atti di appello e con i connessi riflessi in punto di inaapplicabilità disposto dell’art.604, comma 5, cod.proc.pen..
Deve difatti ritenersi, proprio sulla base della lettura del predetto verbale, che la questione attinente all’omesso e nuovo esame dei consulenti di parte sia
stata sollevata dalle difese unicamente sotto il profilo logico-giuridico e non sott quello strettamente processuale se non, intempestivamente, nel successivo atto di impugnazione.
Ne consegue, alla luce del principio di diritto sopra espresso, l’infondatezza di tutte le deduzioni poste alla base dei relativi motivi di ricorso.
I motivi di ricorso attinenti all’omesso accoglimento delle istanze di rinnovazione istruttoria
31. Alle suddette argomentazioni difensive in punto di dedotta violazione del contraddittorio nella fase di escussione del perito, si riconnettono direttamente alcuni ulteriori motivi di ricorso incentrati sul rigetto della richiesta di rinnovaz istruttoria, anche – peraltro – afferenti alla tematica relativa alla ricostruzione de esatta dinamica del sinistro e che verrà più avanti esaminata.
In particolare, con doglianza specificamente formulata nell’ambito del quarto motivo di ricorso (incentrato sulla dedotta violazione del contraddittorio conseguente al mancato esame dei consulenti di parte dopo l’escussione del perito), la difesa del COGNOME ha censurato alcune ordinanze della Corte territoriale (emesse il 25/03/2021, il 30/09/2021 e il 03/02/2022), attinenti alla richiesta di rinnovazione istruttoria, specificamente nella parte in cui non è stato consentito un nuovo esame dei consulenti di parte; lamentando, altresì, il rigetto della richiesta di integrazione istruttoria già avanzata nel corso del primo grado di giudizio, ai sensi dell’art.507 cod.proc.pen., avente quale oggetto l’escussione dell’Ing. NOME COGNOME
Con il terzo motivo di ricorso, la difesa del COGNOME ha censurato, per analoghe considerazioni, le suddette ordinanze emesse dalla Corte territoriale, incentrandosi in particolare sul rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria, da opera mediante nomina di un nuovo perito; sottolineando il carattere contraddittorio tra tale parte dell’ordinanza e quella che aveva disposto un nuovo esame del perito nominato nel corso del primo grado di giudizio, in realtà non richiesto da alcuna delle parti processuali.
Con l’ultimo punto del secondo motivo di ricorso, la difesa del COGNOME ha pure censurato la decisione della Corte territoriale di non nominare un nuovo per o comunque di non disporre un effettivo confronto tra quello già nominato e i consulenti di parte.
Mentre, con il terzo motivo di ricorso, la responsabile civile ha censurato il rigetto della richiesta di rinnovazione del dibattimento, come formulata nei motivi di appello e in quelli aggiunti del 10/01/2020, mediante il confronto tra consulenti e perito e un nuovo esame dei consulenti di parte ovvero la richiesta di procedere
a una rinnovazione integrale della perizia, nonché la richiesta di ascoltare un nuovo consulente di parte, nominato dopo la pronuncia della sentenza.
32.1 I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, data la loro stretta affinità tematica, sono infondati.
Va quindi preliminarmente rilevato, in riferimento alle argomentazioni sviluppate da parte del responsabile civile, che non può porsi questione inerente all’applicazione dell’art.604, comma 5, cod.proc.pen. in punto di richiesta di rinnovazione della perizia; difatti, come sopra sottolineato, deve ritenersi corretta la decisione della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto sanata la nullità regime intermedio derivante dalla mancata escussione dei consulenti di parte in contraddittorio con il perito, ragione per la quale non sussisteva alcun obbligo di disporre la relativa assunzione al fine di sanare la nullità medesima.
Per l’effetto, anche la correttezza dei rilievi . formulati dal responsabile civile – così come di quelli formulati nei motivi di ricorso sopra riassunti – deve essere esaminata, come condivisibilmente ritenuto dalla Corte territoriale, alla lu disposto dell’art.603, commi 1-3, cod.proc.pen., ai sensi dei quali la riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento ovvero l’assunzione di nuove prove viene disposta dal giudice di appello qualora: a) a seguito di istanza di parte, lo stesso ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti; b) ovvero, si trat di prove sopravvenute rispetto al giudizio di primo grado; c) ovvero, ancora, sia ritenuta assolutamente necessaria, sulla base di una valutazione compiuta d’ufficio; il tutto chiarendo, ulteriormente, che si tratta di tematiche esulanti profili di patologia processuale invece dedotti con l’ordine di motivi esaminati nel precedente punto.
32.2 Deve quindi pregiudizialmente rilevarsi, in ordine alla richiesta di attivazione dei poteri conferiti al giudice di appello da parte degli artt. 603, commi 1 e 3, cod.proc.pen., che l’istanza medesima deve essere condotta sulla scorta dei principi della assoluta necessarietà e decisività della prova, in relazione ai quali l’intervento del giudice di legittimità non può che essere ricondotto, prescindendo da strette valutazioni di merito, sui parametri della coerenza e logicità della decisione adottata da parte del giudice di appello.
Specificamente, questa Corte ha rilevato che deve ritenersi consolidato il principio secondo cui la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello costituisce un’evenienza eccezionale, subordinata a una valutazione giudiziale di assoluta necessità conseguente all’insufficienza degli elementi istruttori già acquisiti, che impone l’assunzione di ulteriori mezzi istruttori pur le parti non abbiano provveduto a presentare la relativa istanza nel termine stabilito dall’art. 468 cod.proc.pen. (Sez. 2, n. 3458 del 01/12/2005, Di Gloria COGNOME, dep. 2006, Rv. 233391).
Proprio in ragione del carattere eccezionale della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, il mancato accoglimento della richiesta intanto può essere censurato in sede di legittimità, in quanto risulti dimostrata la oggettiva necessità dell’adempimento in questione e, dunque, l’erroneità di quanto esplicitamente o implicitamente ritenuto dal giudice di merito circa la possibilità di «decidere allo stato degli atti», come previsto dall’art. 603, comma 1, cod. proc. pe n..
Ne discende che il ricorrente deve dimostrare l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate qualora fosse stato provveduto, come richiesto, all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in sede di appello (Sez. 1, n. 9151 del 28/06/1999, Capitani, Rv. 213923; Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013, dep. 2024, COGNOME, Rv. 258236; Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014, dep. 2015, PR, Rv. 261799), essendo quindi essenziale la desumibilità, dal tessuto argomentativo della sentenza, posto in relazione alle censure difensive, di una grave lacuna del ragionamento probatorio e della sua rappresentazione a livello motivazionale (Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Rv. 273577).
D’altro canto, sempre in riferimento alle censure suddette, costituisce pure principio consolidato quello per il quale la mancata assunzione di una prova decisiva, quale motivo d’impugnazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d) cod. proc. pen., può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione ai sensi dell’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., sicché iI motivo non potrà essere validamente articolato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito al giudice di merito ad avvaler dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all’art. 507 cod. proc. pen e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (Sez. 2, n. 841 del 18/12/2012, COGNOME, Rv. 254052; Sez. 5, n. 4672 del 24/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269270; Sez. 2, n. 884 del 22/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285722); mentre, come sottolineato dalla Corte territoriale, deve essere ritenuta eccentrica rispetto al sistema disegnato dall’art.603 cod.proc.pen. la richiesta di escussione di consulenti tecnici nominati dopo il giudizio di primo grado, non vertendosi evidentemente nella specifica ipotesi prevista dall’art.603, comma 2, cod.proc.pen. e relative alle prove «sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado».
32.3 Dal complesso delle predette argomentazioni consegue che non sussisteva – in linea di principio – alcun obbligo da parte della Corte territoriale attivare i poteri di rinnovazione istruttoria conferiti dall’art.603, comma 1 -3,
cod.proc.pen.; con la conseguenza che il rigetto delle relative richieste deve essere valutato in riferimento alla sola tenuta logica della parte argomentativa della sentenza coinvolgente le valutazioni tecniche del perito e che saranno oggetto di trattazione successiva.
Risultano quindi non censurabili, in questa sede e in relazione ai motivi suddetti, le determinazioni della Corte territoriale adottate nell’udienza del 03/02/2022; nella quale questa ha ritenuto non sussistere i presupposti per la rinnovazione delle operazioni peritali, attesa la carenza del pregiudiziale presupposto inerente alla non decidibilità del giudizio allo stato degli atti.
I motivi di ricorso attinenti alla ricostruzione della dinamica del sinistro
33. Devono, a questo punto – in quanto attinenti alla sussistenza dell’elemento oggettivo dei reati contestati al capo C) – essere esaminate le questioni relative alla correttezza delle decisioni di merito (che, su questo aspetto, hanno espresso argomentazioni del tutto conformi) in ordine al tema della esatta ricostruzione della dinamica del sinistro, censurate dalle difese sotto molteplici profili.
Considerazioni rispetto alle quali – riconnettendosi per via logica alle argomentazioni sopra esposte a proposito delle censure spiegate in riferimento all’art.603, commi 1-3, cod.proc.pen. – devono essere prioritariamente esaminati i punti di doglianza afferenti alla necessaria qualificazione tecnica e professionale del perito nominato nel corso del primo grado di giudizio.
In particolare, con censura espressamente sottoposta nell’ambito del secondo motivo spiegato dalla difesa del Fornaci e del primo motivo spiegato dalla responsabile civile, ma con argomentazioni da ritenersi sottese al complesso delle deduzioni difensive inerenti alla ricostruzione della dinamica dell’evento, sono state formulate ad opera delle parti delle valutazioni con le quali è stata contestata l’adeguata qualificazione professionale del perito nominato dal giudice (l’Ing. NOME COGNOME, in quanto soggetto asseritamente non esperto in materia di problematiche riguardanti la corrosione delle barriere stradali e che avrebbe operato la ricostruzione della dinamica del sinistro secondo un metodo scientifico ritenuto superato.
Si tratta di profili di diritto che, peraltro, devono essere esaminati unitamente a quelli attinenti alla ricostruzione del sinistro, essendo da ritenere in astratto – non rilevanti le deduzioni inerenti ai titoli di qualificaz professionale dell’esperto nominato dal giudice, dovendosi invece porre l’attenzione esclusivamente sulla oggettiva attendibilità delle sue conclusioni alla
luce del metodo di analisi adoperato e della complessiva valutazione delle ulteriori emergenze processuali.
33.1 Ciò premesso, il suddetto profilo di fatto – attinente alla corretta valutazione dei parametri di ricostruzione del sinistro – è stato dedotto nei ricorsi proposti da tutti gli imputati in servizio presso Autostrade per l’Italia (co l’eccezione del COGNOME) nonché dal responsabile civile.
Ci si riferisce, in particolare, al terzo motivo articolato dalla difesa del COGNOME, al terzo motivo articolato dalla difesa del COGNOME, al quarto motivo articolato dalla difesa del COGNOME, al secondo e terzo motivo del ricorso presentato dall’Avv. COGNOME per conto del COGNOME e del COGNOME, al secondo motivo articolato dalla difesa del COGNOME, al sesto motivo articolato dalla difesa del COGNOME, al secondo, al terzo e al quarto motivo (strettamente connessi e unitariamente esaminabili) articolati dalla difesa del COGNOME, al primo punto del secondo motivo articolato dalla difesa del Fornaci e al primo motivo articolato dalla difesa della responsabile civile.
33.2 Atteso che i predetti motivi attengono a un profilo strettamente fattuale, ovvero alla validità dei parametri adottati dai giudici di primo e secondo grado nella complessiva ricostruzione della dinamica dell’evento, va necessariamente ribadito – in via logicamente pregiudiziale – che eccede dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pe alla sola verifica dell’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen, Rv. 284556, tra le altre). E’ sempre da tener presente, altresì, che non è consentita in sede di legittimità una rivalutazione nello stretto merito delle risultanze processuali, essendo preclusa in questa sede la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, COGNOME, RV. 234559; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, B., Rv. 280601); essendo, infatti, stato più volte
ribadito che la Corte di cassazione non può sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio (Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, COGNOME, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, COGNOME, Rv. 253099), restando esclusa la possibilità di una nuova valutazi delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di pr (Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina, Rv. 235716).
33.3 Va quindi rilevato che la complessiva ricostruzione della dinamica del sinistro è stata operata dal Tribunale alle pagg.119 e ss. della sentenza di primo grado, nella quale è stato ampiamente dato atto delle conclusioni raggiunte dai consulenti del p.m. – all’esito delle operazioni disposte ai sensi dell’art.36 cod.proc.pen. – nonché di quelle, ritenute sostanzialmente coincidenti, raggiunte dal perito successivamente nominato.
A propria volta, il giudice di appello – nell’esaminare i motivi di impugnazione spiegati sul punto (alle pagg.183-198) – ha pure fatto riferimento alle conclusioni dei consulenti tecnici del p.m. e a quelle del perito, al fine sconfessare la ricostruzione alternativa ipotizzata dalle difese le quali, fondandosi essenzialmente sulla ricostruzione operata dai consulenti della responsabile ci avevano contestato le conclusioni medesime in punto di effettiva individuazione dell’angolo di impatto tra l’autobus e le barriere nel momento immediatamente antecedente all’uscita dalla sede stradale e alla precipitazione del mezzo nel vuoto; tematica, a propria volta, strettamente connessa a quella della valenza causal riconoscersi in ordine al fenomeno di ammaloramento della barriere latera (aspetto che sarà successivamente esaminato).
33.4 Il giudice di appello, in estrema sintesi, ha dato conto delle valutazioni dei consulenti del p.m. e del perito in ordine alla velocità tenuta dal mezzo – dopo i ripetuti urti conseguenti al primo contatto con la barriera laterale rispettivamente stimata in 85 km/h e 89 km/h e della valutazione dell’angolo di impatto con le barriere, che i consulenti del p.m. avevano indicato in un range compreso tra i 9° e i 13° e che il perito, facendo riferimento alla traiettoria di ti curvilineo assunta dal mezzo prima dell’urto, ha quantificato in 11,9°
I motivi di ricorso proposti dai suddetti imputati si fondano su linee argomentative comuni, che ne impongono una trattazione di tipo unitario.
In particolare, le difese hanno censurato la ricostruzione operata dai giudici di merito – in una valutazione a tutti gli effetti costituente una doppia conforme sotto il profilo dell’illogicità, per avere aderito a conclusioni formulate dal per sulla base di un metodo di analisi ritenuto obsoleto, in tal modo violando il canone dell'”oltre ogni ragionevole dubbio” (specificamente evocato nel secondo motivo
articolato dalla difesa del COGNOME e nel quarto motivo, oltre che nell’undicesimo, articolati dalla difesa del COGNOME).
Si deve quindi ricordare, in limine e ribadendo osservazioni già sopra esplicitate, che il principio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”, introdotto nell’ 533 cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza e non può essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello, giacché la Corte è chiamata ad un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di es imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito (Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, COGNOME, Rv. 270519; Sez. 1, n. 5517 del 30/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285801).
33.5 Tanto premesso, le difese hanno censurato la sentenza di appello nella parte in cui non ha accolto la prospettazione difensiva – essenzialmente fondata sulle conclusioni raggiunte nella consulenza espletata da parte della responsabile civile – in base alla quale l’angolo di impatto dovesse essere stimato nella diversa misura di 19°, elemento di fatto che avrebbe comunque reso impossibile alle barriere – anche se, ipoteticamente, in stato di perfetta manutenzione – di evitare lo sfondamento delle medesime e la successiva precipitazione del mezzo.
Al fine di sostenere la complessiva illogicità del ragionamento seguito dai giudici di merito, le difese hanno dedotto che gli stessi avrebbero sposato la ricostruzione operata dal perito, pur essendo la medesima fondata su un metodo scientifico (il c.d. metodo COGNOME) da ritenersi obsoleto, con la conseguenza che le relative conclusioni sarebbero state raggiunte con adozione di una tipologia di elaborazione concettuale non più condivisa all’interno della comunità scientifica; le difese, ulteriormente, hanno contestato il riferimento – operato dall’ausiliario alle norma tecnica UNI EN 1317-1-2000, che avrebbe trascurato versioni aggiornate della medesima disposizione e nelle quali sarebbe stato dato conto del carattere eccessivamente approssimativo di tale metodo, rispetto a quelli denominati RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, adoperati invece dai consulenti del p.m. e da quelli della difesa (e menzionati nella stessa più recente versione della norma UNI EN 1317 e in quella EN 16303 2020, che cita solo tale ultime metodologie), fondati sulla meccanica computazionale; è stata altresì contestata – in implicito riferimento al vizio di travisamento per omissione – la conclusione dei giudici di merito in punto di mancata valutazione delle risultanze del crash test eseguito dai consulenti della difesa presso il centro prove AISICO il 29/12/2016 e nel corso del
quale sarebbe stata replicata la dinamica del sinistro, riproducendo le condizioni delle barriere al momento del fatto, sulla base dell’angolo di impatto già ipotizzato dai consulenti medesimi.
34. Tutti i motivi sono infondati, dovendo ritenersi che – mediante gli s – siano state contestate valutazioni operate dai giudici di merito sul piano della sola ricostruzione in fatto e non ravvisandosi vizi di illogicità in ordine allo specifi punto della valutazione dei contributi tecnici forniti nel corso dell’istruzio dibattimentale; con la conclusione che i giudici di merito sono giunti a una valutazione del tutto congrua e non palesemente illogica in punto di ricostruzione dell’evento.
Si deve necessariamente ricordare, in via di premessa, che in particolare riferimento alla tematica in esame – strettamente attinente alla ricostruzione del decorso causale dell’evento e alla conseguente formulazione del cd. giudizio esplicativo – deve puntualizzarsi che la necessità del raggiungimento della certezza processuale in ordine all’evoluzione eziologica della susseguenza tra i fattori determinativi implica comunque che il giudice di merito, al fine di raggiungere la certezza medesima, possa fondarsi sull’esame combinato degli elementi probatori acquisiti al processo, anche in applicazione della regola di giudizio dettata dall’art.192, comma 2, cod.proc.pen. e quindi desumere l’esistenza del fatto e delle pertinenti correlazioni causali anche sulla base di elementi di fatto gravi, precisi e concordanti (Sez. 4, n. 2030 del 21/11/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287517 – 02).
In ordine ai principi di diritto rilevanti nel caso di specie e attin alla valutazione dei contributi tecnici utilizzabili ai fini della decisione, va alt richiamato il principio, costantemente ribadito da questa Corte, in base al quale il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni del perito d’ufficio, in difformità quelle del consulente di parte, non può essere gravato dell’obbligo di fornire, in motivazione, autonoma dimostrazione dell’esattezza scientifica delle prime e dell’erroneità, per converso, delle altre, dovendosi al contrario considerare sufficiente la dimostrazione del fatto che le conclusioni peritali siano state valutate in termini di affidabilità e completezza e che non siano state ignorate argomentazioni dei consulenti di parte (Sez. 6, Ordinanza n. 5749 del 09/01/2014, Homm, Rv. 258630; Sez. 5, n. 18975 del 13/02/2017, Cadore, Rv. 269909).
Mentre, di contro, questa Corte ha evidenziato la diversa posizione processuale dei consulenti di parte rispetto ai periti, essendo i primi, a di degli altri, chiamati a prestare la loro opera nel solo interesse della parte nominati, senza assunzione, quindi, dell’impegno di obiettività previsto, per i soli periti, dall’art. 226 cod.proc.pen.; tale distinzione riverbera, richiamando
predetto principio, nel diverso onere motivazionale gravante sul giudice di merito, il quale, nel caso in cui ritenga di aderire alle conclusioni del perito d’ufficio, n condivise da consulenti di parte, non dovrà per ciò necessariamente fornire, in motivazione, la dimostrazione autonoma della loro esattezza scientifica e della erroneità, per converso, delle altre; in tale ipotesi è difatti sufficiente che e dimostri di aver comunque criticamente valutato le conclusioni del perito d’ufficio, senza ignorare le argomentazioni dei consulenti, ragione per cui potrà configurarsi vizio di motivazione solo quando risulti che queste ultime fossero tali da dimostrare in modo assolutamente lampante ed inconfutabile la fallacia di quanto affermato dal perito e recepito dal giudice (Sez. 5, n. 9831 del 15/12/2015, dep.2016, COGNOME, Rv. 267566; Sez. 3, n. 17368 del 31/01/2019, COGNOME, Rv. 275945; Sez. 2, n. 49742 del 10/10/2023, B., Rv. 285866).
35. D’altra parte, in riferimento alle specifiche argomentazioni difensive inerenti alla intrinseca correttezza del metodo scientifico adottato dal perito, va ricordato che non è compito del giudice di legittimità quello di stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica; la Corte, infatti, non è giudice del sapere scientifico ed è solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica i ordine all’affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fa
Ne deriva che il giudice di legittimità non può operare una differente valutazione degli esiti di una perizia o di una consulenza, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (Sez. 5, n. 6754 del 07/10/2014, dep. 2015, C., Rv. 262722; Sez. 1, n. 47678 del 04/10/2024, M., Rv. 287327).
Da ciò consegue che la parte che intenda contestare, in sede di ricorso per cassazione, il risultato di un metodo scientifico sul quale si basa la decisione, ha l’onere di criticare specificamente l’esito della prova, non già per sostituire all tecnica adoperata dal perito e convalidata dal giudice di merito un’altra e diversa metodologia reputata di maggiore autorevolezza ed elevata persuasività, ma esclusivamente per invalidarla, dimostrando l’insufficienza di essa a poter essere posta, nel caso specifico, a fondamento del ragionamento probatorio (Sez. 3, n. 15891 del 17/11/2015, dep. 2016, C., 266629).
36. Alla luce dei predetti principi, deve quindi ritenersi – in via logicamente pregiudiziale e in riferimento alle argomentazioni spiegate dalle difese – che non possa attribuirsi alcun valore decisivo, al fine di sconfessare la validità del metodo
di analisi seguito dal perito, al richiamo alle prescrizioni contenute nelle norme UNI, con particolare riferimento alla versione aggiornata della norma UNI 1317-5 (peraltro, come ricordato dalla Corte territoriale alla pag.190 della sentenza di appello, riguardante lo specifico profilo dei requisiti di prodotto e delle regol imposte ai fabbricanti dei dispositivi di ritenuta ai fini del riconoscimento del marcatura CE) ovvero alla norma EN 16303, relativa all’accuratezza, alla credibilità e all’affidabilità nei risultati delle prove d’urto virtuali sui sistemi di ritenuta s attraverso la definizione di procedure per la verifica, la validazione e lo sviluppo di modelli numerici per l’applicazione della sicurezza stradale.
Ne consegue che le predette disposizioni non assumono valore vincolante per l’interprete, salvo il caso in cui legislatore nazionale o europeo abbia fatto espresso rinvio ricettizio al contenuto delle medesime, potendo – in assenza della stessa – eventualmente essere richiamate, nel quadro di una normativa contenente una clausola elastica, come elementi idonei a conformare il comportamento del relativo destinatario.
A tale proposito, in linea generale, va premesso che le disposizioni UNI sono norme tecniche espresse dall’Ente nazionale italiano di unificazione, accanto alle quali si collocano quelle EN espresse nell’ambito dell’Unione Europea, adottate da un’organizzazione europea di normazione; si tratta di disposizioni che, come desumibile dal testo della I. 21 giugno 1986, n.317 (intitolata «Disposizioni di attuazione di disciplina europea in materia di normazione europea e procedura d’informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione»), sono emesse in attuazione della direttiva n. 83/189/CEE relativa alla procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e che, all’art.1, definisce la “norma” emanata da tali organismi, in sede nazionale o europea, come una «specifica tecnica, approvata da un organismo riconosciuto ed abilitato ad emanare atti di normazione, la cui osservanza non sia obbligatoria ed appartenente ad una delle seguenti categorie: norme internazionali, norme europee, norme nazionali. Sono norme internazionali, europee o nazionali, le norme adottate e messe a disposizione del pubblico rispettivamente da un’organizzazione internazionale, da un organismo europeo o da un organismo nazionale di normazione». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nel caso di specie, ne consegue che alcuna valenza vincolante può essere attribuita alle norme richiamate dalle difese (UNI EN 1317, nella versione aggiornata, ovvero la norma EN 16303), in quanto – come detto – specificamente attinenti ai soli criteri dettati per la marcature CE delle barriere di sicurezza e fine di valutare l’impatto sulle medesime degli agenti esterni; si tratta, quindi, disposizioni – oltre che non vincolanti – attinenti alla misurazione del grado di resistenza delle barriere ma in alcun modo pertinenti alla specifica tematica
oggetto dei predetti motivi di ricorso e che invece riguarda, puntualmente, tutt’altra problematica, ovvero la correttezza della valutazione del perito in ordine all’individuazione dell’angolo di impatto tra il mezzo e le barriere.
37. Operate tali premesse, deve ritenersi che le argomentazioni seguite d giudici di merito si siano pienamente raffrontate con i predetti principi, rimanendo immuni da qualsiasi censura di illogicità.
Difatti, in relazione alle argomentazioni già spiegate dalle difese in sede di motivi di appello, la Corte ha chiarito il valore non vincolante della richiamata disposizione UNI-EN 1317, proprio in quanto attinente a un oggetto non strettamente pertinente alla problematica in esame e quindi, astrattamente, non idonea a invalidare la correttezza del metodo e delle conclusioni raggiunte dal perito.
Ma, d’altra parte – come si evince dalla lettura sinottica della sentenza di primo e di secondo grado – i giudici di merito hanno posto alla base della valutazione della specifica tematica della misurazione dell’angolo di impatto anche le conclusioni raggiunte dai consulenti del p.m.; sottolineando, con argomento intrinsecamente logico, come i motivi di impugnazione non si fossero adeguatamente confrontati con la circostanza in forza della quale i rela accertamenti erano stati compiuti dagli ausiliari del p.m., specificamente mediante utilizzo del software RAGIONE_SOCIALE, ovvero proprio uno di quelli puntualmente menzionati dalle citate norma tecniche, all’esito dei quali l’angolo di impatto era stato determinato in misura compresa tra i 9 0 e i 13° (pag.544 della relazione di consulenza).
Ulteriormente, conformandosi ai predetti principi, che stabiliscono comunque un onere per il giudice di confrontarsi con le divergenti conclusioni raggiunte dai consulenti di parte, la Corte territoriale ha sottoposto a specifica critica le premesse poste alla base della consulenza depositata dalla responsabile civile; in particolare evidenziando che: a) il dato costituito da una ipotizzata volontaria sterzata verso destra del conducente dell’autobus dopo l’impatto con un’altra vettura (modello Opel COGNOME) era fondato su un elemento privo di certezza e ricavato dal dato che il mezzo, in condizioni di riposo, era stato rinvenuto c ruote anteriori sterzate verso destra, obliterando il dato attinente alla lunghezza del volo conseguente alla precipitazione e alla avvenuta rotazione di 270 0 sul proprio asse, evidenziando come tale conclusione fosse anche smentita dall’assenza di tracce della manovra sull’asfalto; b) l’elemento rapprese dell'”effetto sponda” derivante dall’impatto dell’autobus contro altri due mezz da incidere sull’originaria traiettoria, doveva ritenersi intrinsecamen
credibile sulla base della limitata massa dei due predetti veicoli a fronte di quella di un mezzo pesante.
D’altra parte, la Corte di appello ha fatto riferimento anche agli elementi desumibili da altre emergenze processuali – sulla base di valutazioni oggetto di censure, a opera delle parti, del tutto aspecifiche – e rappresentati dalle analisi condotte nell’immediatezza del sinistro dall’autore dei rilievi tecnici sulla strada (che, sulla base dell’esame della tracce gommose, aveva individuato nel 7° la misura dell’angolo di impatto) nonché con le risultanze della prova dichiarativa resa dalla teste NOME COGNOME trasportata a bordo dell’autobus e collocata sul lato dei finestrini di destra, la quale ha riferito che il mezzo, prima di precipita nel vuoto, si era collocato pressoché in parallelo con il ciglio stradale.
Alla luce del complesso di tali elementi, deve quindi ritenersi che la Corte abbia adeguatamente replicato alle argomentazioni delle difese – riproposte in questa sede – in ordine all’assenza di elementi tali da invalidare la correttezza del metodo di ricostruzione adoperato dal perito e alla assenza di elementi idonei a sostenere la validità della prospettata ricostruzione alternativa, analiticamente confutata mediante specifico confronto con le argomentazioni contenute nella consulenza di parte.
38. Alcun elemento di illogicità derivante da travisamento per omissione può altresì ravvisarsi nella mancata presa in considerazione degli esiti della predetta simulazione eseguita nel dicembre 2016 dai consulenti della difesa, ricordando che tale vizio è deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., quando manchi la motivazione in ordine alla valutazione di un elemento probatorio acquisito nel processo e potenzialmente decisivo ai fini della decisione (Sez. 6, n. 8610 del 05/02/2020, P., Rv. 278457).
Difatti, nel caso di specie, deve ritenersi che i giudici di merito abbiano, del tutto correttamente, escluso tale elemento dalla piattaforma probatoria utilizzabile ai fini della decisione; rilevando che il predetto test – proprio in relazione principio suddetto – è stato operato, oltre che in assenza di contraddittorio con i consulenti del p.m., del tutto al di fuori della dinamica processuale, di modo che allo stesso non può attribuirsi alcuna valenza di esperimento giudiziale e nemmeno di prova atipica valutabile ai sensi dell’art.189 cod.proc.pen..
E ciò fermo restando che i giudici di merito hanno comunque evidenziato, con ulteriore argomento di fatto rimasto priva di specifica censura, la non attendibilità dei relativi risultati con specifico riferimento alla utilizzazi nell’ambito della predetta simulazione – di tirafondi apposti sulle barriere adoperate nel test da ritenere in una condizione non corrispondente a quella effettiva riscontrata sulle barriere precipitate.
Infine, sempre in relazione al contenuto dei predetti motivi, questa Corte deve rilevare la assoluta non pertinenza del riferimento, operato dalle difese, ad alcuni precedenti di legittimità, tra cui quello espresso da Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, COGNOME, Rv. 248943 (recante spunti pure recepiti nella successiva Sez. 4, n. 16237 del 29/01/2013, COGNOME, Rv. 255105, relativa alla responsabilità del sanitario).
Difatti, in tale arresto (avente a oggetto la tematica, del tutto distinta riguardante le patologie derivanti per i lavoratori sottoposti alla continua esposizione alle polveri di amianto), la Corte aveva dettato alcune direttive fondamentali in punto di valutazione della prova scientifica.
Tale valutazione, giova ripeterlo, attiene al fatto, è al servizi dell’attendibilità dell’argomentazione probatoria ed è dunque rimessa al giudice di merito che dispone, soprattutto attraverso la perizia, degli strumenti per accedere al mondo della scienza. Al contrario, il controllo che la Corte Suprema è chiamato ad esercitare attiene alla razionalità delle valutazioni che a tale riguardo il giudice di merito esprime.
In base ad esse «La razionale ponderazione, naturalmente, trova il su momento di obiettiva emersione nella motivazione della sentenza, in cui occorre in primo luogo dar conto del controllo esercitato sull’affidabilità delle basi scientifiche del giudizio. Si tratta di valutare l’autorità scientifica dell’esperto trasferisce nel processo la sua conoscenza della scienza; ma anche di comprendere, soprattutto nei casi più problematici, se gli enunciati che vengono proposti trovino comune accettazione nella comunità scientifica. Da questo punto di vista il giudice è effettivamente, nel senso più alto, peritus peritorum: custode e garante della scientificità della conoscenza fattuale espressa dal processo. Le indicate modalità di acquisizione ed elaborazione del sapere scientifico all’interno del processo rendono chiaro che esso è uno strumento al servizio dell’accertamento del fatto e, in una peculiare guisa, parte dell’indagine che conduce all’enunciato fattuale. Ne consegue con logica evidenza che la Corte di legittimità non è per nulla detentrice di proprie certezze in ordine all’affidabili della scienza, sicché non può essere chiamata a decidere, neppure a Sezioni Unite, se una legge scientifica di cui si postula l’utilizzabilità nell’inferenza probatoria s o meno fondata. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Del resto questa Corte Suprema ha già avuto modo di enunciare che il giudice di legittimità “non è giudice del sapere scientifico, e non detiene proprie conoscenze privilegiate. Esso è chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilit
informazioni che utilizza ai fini della spiegazione del fatto” (Cass.4, 30 settembre 2008, n. 42128)».
Sulla base di tali considerazioni, come ulteriormente chiarite dalla Corte nel prosieguo della motivazione e attinenti alla corretta indicazione di una adeguata legge di copertura scientifica in ordine alla sussistenza del rapporto causale tra esposizione a determinate sostanze e sopravvenienza di una successiva patologia, si evince che le stesse non sono assolutamente pertinenti al caso di specie, in cui si dibatte in ordine all’adeguatezza di una metodologia afferente alla corretta rappresentazione di un ben preciso e individuato evento fenomenico; aspetto in relazione al quale, come detto, la ricostruzione operata dalla Corte territoriale appare incensurabile sotto il profilo della non manifesta illogicità.
La tematica riguardante la sussistenza di una posizione di garanzia in capo all’Amministratore Delegato e agli altri esponenti dell’amministrazione centrale di Autostrade s.p.a. in punto di manutenzione della rete stradale
40. Operate le predette considerazioni in punto di ricostruzione dell’evento – sulla base della quale è stata individuata la sicura rilevanza in punto di nesso causale dello stato delle barriere autostradali, profilo che verrà successivamente e ulteriormente esaminato – occorre prendere in esame la tematica attinente alla posizione di garanzia in punto di manutenzione della sede stradale, in riferimento al principio dettato dall’art.40, comma 2, cod.pen. e in relazione alla generale problematica della responsabilità per omissione nell’ambito dell’organizzazione di impresa.
Posizione di garanzia che, in sede di decreto di citazione, è stata ravvisata – sia pure sotto diversi profili – tanto in capo ad esponenti dell’amministrazione centrale di Autostrade per l’Italia, quanto nei confronti di soggetti in servizio presso il Sesto Tronco autostradale.
Proprio in riferimento a tale tematica e in stretta correlazione con l’apparato argomentativo della sentenza di appello, devono pregiudizialmente essere esaminati il quinto motivo articolato dalla difesa del COGNOME, l’ottavo motivo articolato dalla difesa del COGNOME, il secondo motivo articolato dalla difesa del COGNOME, il dodicesimo motivo articolato dalla difesa del COGNOME e il decimo motivo articolato dalla difesa della responsabile civile.
In tutti i predetti motivi di impugnazione è stata dedotta la violazion principio di correlazione dettato dall’art.521 cod.proc.pen.; ciò in quanto la Corte territoriale, in riferimento alla differenza tra attività di manutenzione e attivit riqualifica (su cui, infra), avrebbe attribuito anche agli imputati in servizio presso
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la sede centrale una competenza in materia di manutenzione dell’efficienza della rete e quindi rilevato una componente di condotta colposa che non sarebbe stata fatta oggetto, in realtà, di alcuna effettiva contestazione nell’atto di eserciz dell’azione penale.
Mentre, nell’ottavo motivo di ricorso proposto dalla difesa del COGNOME, è stata espressamente contestata la sussistenza di una posizione di garanzia in capo all’Amministratore Delegato (in relazione specifica all’attività di riqualifica introducendo la tematica relativa alla delega di funzioni e alla distribuzione delle competenze nell’ambito della struttura centrale; così come, nel sesto motivo articolato dalla difesa del COGNOME, è stata pure contestata la sussistenza di una posizione di garanzia della relativa unità operativa in punto di manutenzione della barriere di sicurezza di bordo laterale.
40.1 I motivi sono complessivamente infondati, sulla base delle considerazioni che seguono.
In particolare (pag.254 e ss. della sentenza impugnata), la Corte territoriale ha preso in esame la conclusione raggiunta da parte del Tribunale, il quale ha ritenuto – sulla base della distinzione, prospettata dalla difesa della responsabile civile, tra interventi di riqualificazione, interventi di manutenzione ordinaria interventi di manutenzione straordinaria – che alle strutture centrali spettassero i soli interventi di riqualificazione, rimanendo quindi riservati alle struttu periferiche e, quindi, alle Direzioni di Tronco, gli interventi attinenti manutenzione in senso stretto.
Conclusioni, a propria volta, che hanno tratto ampio spunto dalle argomentazioni contenute nella consulenza di parte redatta da parte del Prof. NOME COGNOME escusso nel corso del giudizio di primo grado su istanza dell’imputato COGNOME e che ha ricostruito l’articolazione organizzativa di “Autostrade per l’Italia”, specificamente individuando le responsabilità dell’Amministratore Delegato, della Direzione centrale e delle Direzioni di Tronco con argomentazioni – come ulteriormente desumibili dalla relazione scritta acquisita ai sensi dell’articolo 501, comma 2, cod.proc.pen. – strettamente attinenti alla responsabilità in materia di manutenzione della rete autostradale.
La Corte territoriale è giunta invece a conclusioni, in punto di fatto, espressamente difformi rispetto a quelle raggiunte dal Tribunale e tanto sulla scorta dell’espresso esame degli organigrammi aziendali vigenti nel periodo in questione oltre che della documentazione allegata alla predetta consulenza di parte.
In particolare, sulla base degli ordini di servizio numero 5, 8 e 14 del 2008 la Corte ha riscontrato che, al di sotto dell’Amministratore Delegato si collocava direttamente la Direzione dei Servizi Tecnici, diretta dall’ingegner COGNOME tra i cu
yr compiti rientrava espressamente quello della manutenzione delle opere relative alle reti in servizio, in coordinamento con la Direzione Esercizio e le Direzioni di Tronco con poteri di intervento anche sul relativo budget di finanziamento.
D’altra parte, la Corte ha rilevato che da questa Direzione dipendeva direttamente la struttura Pavimentazioni e Barriere di Sicurezza, diretta dall’ingegner COGNOME tra cui i compiti rientrava quello di definire e aggiornare, d’intesa con la Direzione Esercizio e le Direzioni di Tronco, il budget e il piano di interventi relativi alla manutenzione delle pavimentazioni e alla riqualifica dell barriere di sicurezza oltre che alla cura della progettazione per il loro potenziamento; struttura centrale nella quale, a propria volta, era inserita l’unità denominata RAGIONE_SOCIALE RRAGIONE_SOCIALE, diretta dal COGNOME a partire dal 2010.
40.2 La Corte ha quindi esposto che, a seguito dell’ordine di servizio numero 5 del 2011, il COGNOME aveva assunto la carica di responsabile della direzione della nuova struttura denominata RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE, istituita con l’ordine di servizio n.4/2011),alle cui dipendenze era la struttura già denominata Pavimenti e Barriere di sicurezza e nel cui ambito erano state inserite le Direzioni di Tronco, il tutto al fine di assicurare la corre gestione della rete in esercizio allo scopo di curare il profilo della manutenzione delle opere e la predisposizione del piano annuale di interventi.
La conclusione raggiunta dalla Corte territoriale, compendiata alla pagina 256 della sentenza impugnata, è quindi quella – espressamente contraria rispetto a quella raggiunta dal Tribunale – in forza della quale anche le strutture centrali fossero investite di competenze dirette in ordine, oltre che al finanziamento, anche all’organizzazione della manutenzione, il tutto d’intesa con le Direzioni di Tronco; derivandone pertanto che, all’interno della società RAGIONE_SOCIALE lRAGIONE_SOCIALE, sussistesse una direzione fondata su due livelli, in base alla quale le strutture centrali avevano assunto a tutti gli effetti i compiti di coordinamento e di direzione anche in ordine all’attività di manutenzione, d’intesa con le Direzioni di Tronco, con la conseguente assoluta insostenibilità della tesi in base alla quale la struttura centrale fosse del tutto estranea alle problematiche attinenti alla manutenzione medesima.
Ha quindi concluso ritenendo, in modo esplicito, che tutte le decisioni inerenti alla programmazione della manutenzione di tipo “ciclico” o “predittivo” distinzione su cui si ritornerà e a propria volta definibile, quest’ultima, come una tecnica manutentiva che monitora le prestazioni e le condizioni delle apparecchiature e delle varie parti del bene da mantenere e attraverso l’anali dati rilevati, individua possibili anomalie e/o difetti in modo da poterli correggere prima del verificarsi di eventuali guasti – rientrassero a tutti gli effetti
competenza, sotto la specie di quella di coordinamento delle strutture periferiche, anche degli uffici centrali.
40.3 Deve quindi ritenersi, sulla base dell’ analisi della sentenza di appello (e dovendosi ritenere sicuramente radicata, a propria volta, la condizione dell’interesse a ricorrere avverso il suddetto passaggio motivazionale), che il giudice di secondo grado abbia configurato, in relazione ai profili di colpa originariamente contestati – e facenti riferimento, per le strutture centrali, al specifica violazione dell’obbligo di “riqualificazione” della rete – anche la necessaria posizione di garanzia in punto di manutenzione, configurando in via logicamente successiva ben precisi profili di colpa per omissione nell’ambito della gestione di tali attività, in relazione ai quali le suddette difese hanno quindi dedotto l violazione del principio di correlazione desumibile dagli articoli 521 e 522 cod. proc. pen..
Ciò premesso – come accennato in precedenza in riferimento alla posizione della ricorrente COGNOME – sul relativo profilo di diritto le Sezioni Unite han affermato in più occasioni il principio in base al quale, in relazione al rispetto de combinato disposto degli artt. 521 e 522 cod.proc.pen., per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, cosicché si pervenga ad una incertezza sull’oggetto della imputazione da cui scaturisca, un reale pregiudizio dei diritti della difesa; conseguendone che l’indagine non va esaurita nel mero e pedissequo confronto puramente letterale tra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter de processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto della imputazione (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205619; Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051).
Specificamente, sulla base di argomentazioni speculari, questa Corte ha ritenuto violato il principio di correlazione – in materia di addebiti colposi – s nel caso di radicale mutamento, negli aspetti costitutivi essenziali, delle condotte contestate e delle regole cautelari che si ritengono violate, produttivo di un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. 4, n. 18366 del 17/01/2024, T., Rv. 286379).
Come pure sopra rilevato, tali principi sono coerenti con quelli costituzionali racchiusi nella norma di cui all’art. 111 della Carta fondamentale, ma anche con l’art. 6 della CEDU, siccome interpretato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, a partire dalla pronuncia RAGIONE_SOCIALE (CEDU 2 sez. 11 dicembre 2007); ma anche, successivamente, con la pronuncia del 22 febbraio 2018, RAGIONE_SOCIALE (n.2), con la quale la Corte di Strasburgo ha escluso la violazione dell’art. 6 cit
nel caso in cui l’interessato abbia avuto una possibilità di preparare adeguatamente la propria difesa e di discutere in contraddittorio sull’accusa alla fine formulata nei suoi confronti (così, in motivazione, Sez.4, n.3922 del 17/12/2020, dep.2021, COGNOME, n.m.), rammentando che le disposizioni dell’articolo 6 non impongono alcuna forma particolare per quanto riguarda il modo in cui l’imputato deve essere informato della natura e del motivo dell’accusa formulata a suo carico.
Specificamente, la Corte Europea ha rilevato che l’art. 6, par. 3, CEDU esprime l’esigenza che sia prestata particolare attenzione alla notifica dell’accusa all’interessato, dato che l’atto di accusa gioca un ruolo cruciale nei procedimenti penali e la citata disposizione riconosce all’imputato il diritto ad essere informato non solo della causa dell’accusa, cioè dei fatti materiali posti a suo carico e sui quali si fonda l’accusa stessa, ma anche della loro qualificazione giuridica (cfr. COGNOME e COGNOME c. Francia sentenza del 25 marzo 1999).
In materia penale, l’informazione precisa e completa in ordine all’accusa gravante su un soggetto, e quindi anche della qualificazione giuridica dei fatti addebitati, costituisce condizione essenziale di equità del procedimento; poiché vi è un legame tra le disposizioni di cui alle lettere a) e b) dell’art. 6, par. 3, CEDU il diritto ad essere informato della natura della causa dell’accusa deve essere delineato alla luce del diritto dell’imputato a preparare la propria difesa.
Se, quindi, il giudice ha la facoltà di riqualificare i fatti, deve comunque assicurarsi che gli accusati abbiano avuto l’opportunità di esercitare il proprio diritto alla difesa in modo concreto ed effettivo.
Ciò implica che gli stessi imputati siano informati, in tempo utile, non solo della causa dell’accusa, cioè dei fatti materiali posti a loro carico, ma anche, in modo dettagliato, della qualificazione giuridica data ad essi.
40.4 In applicazione del suddetto principio e a proposito dell’ambito specifico dei reati colposi, è stato quindi affermato che la sostituzione o l’aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di co originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell’obbligo di contestazione suppletiva di cui all’art. 516 cod. proc. pen. dell’eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell’art. 521 stesso codice (Sez. 4, n. 18390 del 15/02/2018, COGNOME, Rv. 273265; Sez. 4, n. 7940 del 25/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280950; Sez. 4, n. 6564 del 23/11/2022, COGNOME, Rv. 284101); specificamente rilevandosi che non sussiste la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa essendo consentito al giudice di aggiungere, agli elementi di fatto contestati, altri
estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di dife ciò in quanto, nei reati colposi, il mutamento dell’imputazione, non comporta mutamento del fatto e non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza, qualora l’imputato abbia avuto la concreta possibilità di apprestare in modo completo la sua difesa in relazione ad ogni possibile profilo dell’addebito (Sez. 4, n. 53455 del 15/11/2018, COGNOME COGNOME, Rv. 274500).
40.5 Nel caso di specie, deve quindi ritenersi – come dato atto dalla stessa Corte d’appello – che la questione di fatto inerente alla violazione degli obblighi di manutenzione da parte delle strutture centrali sia stata, a tutti gli effet pienamente inserita nell’ambito della trattazione processuale.
In primo luogo, deve farsi riferimento alla esatta interpretazione del capo di imputazione, che – nell’ambito della normativa di riferimento – ha espressamente citato, gli artt.1 e 14 del d.lgs. 30 aprile 1992, n.285.
Ebbene, indipendentemente dalla idoneità di tale ultima norma a costituire una fonte di regole cautelari (aspetto sul quale si tornerà successivamente), è indubbio che la stessa costituisca il fondamento della posizione di garanzia in capo ai soggetti responsabili degli enti proprietari delle strade e dei soggett concessionari in riferimento specifico all’obbligo di manutenzione delle stesse (Sez. 4, n. 14634 del 23/03/2021, Bellavia, Rv. 281017 – 02).
Ne consegue che il profilo relativo all’osservanza degli obblighi connessi alla corretta manutenzione anche in capo ai soggetti incardinati presso la sede centrale doveva intendersi, di fatto, come originariamente contestato nei confronti di tutti gli imputati in servizio presso la concessionaria e non solo nei confronti di quelli in forza alle Direzioni di Tronco.
D’altra parte, proprio sulla base della produzione in atti dei suddetti ordini di servizio, a propria volta allegati alla consulenza di parte acquisita nel corso del primo grado di giudizio e disposta su mandato del suddetto imputato, deve ritenersi che il tema della suddivisione interna delle competenze in materia di manutenzione sia stato, a tutti gli effetti, introdotto nell’ambito del giudizio.
Ulteriormente, il tema relativo alla violazione degli obblighi di manutenzione ordinaria da parte delle strutture centrali di Autostrade per l’Italia, ha formato oggetto di uno specifico punto di impugnazione da parte del pubblico ministero avverso la sentenza di primo grado; difatti, l’organo dell’accusa ha espressamente individuato nelle due predette strutture centrali una specifica e diretta competenza nel piano generale dell’attività di manutenzione delle barriere di bordo laterale oltre che nell’ambito dell’attività di riqualifica delle stesse.
D’altra parte, il pubblico ministero ha fatto un espresso riferimento agli obblighi derivanti dalla Convenzione Unica conclusa nel 2007 – tra l’allora
)
concedente ANAS e Autostrade per l’Italia – il cui articolo 3 imponeva al concessionario l’obbligo di provvedere al mantenimento della funzionalità delle barriere attraverso la manutenzione e la riparazione tempestiva delle stesse, in tal modo individuando nell’intera struttura della responsabile civile una puntuale responsabilità in tema di attività costante ed efficiente di manutenzione.
38.6 Va quindi ritenuto che il relativo tema sia stato introdotto a tutti gl effetti nell’ambito della trattazione e del contraddittorio processuale e che, in considerazione delle scansioni concrete in cui lo stesso è stato sollevato tanto da parte dell’organo d’accusa quanto da parte del giudice, gli imputati siano stati pienamente garantiti nel loro diritto di difesa a fronte dell’aggiunta di tale ulterio profilo di colpa rispetto a quelli originariamente contestati, di modo da far ritenere del tutto compatibile l’introduzione nel giudizio del profilo medesimo rispetto ai richiamati profili convenzionali. In relazione a questi ultimi, va ribadito, no sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, posto che l’immutazione si verifica solo laddove ricorra tra i due episodi un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, messo così, a sorpresa, di fronte a un fatto del tutto nuovo senza avere avuto nessuna possibilità d’effettiva difesa (Sez. 2, n. 10989 del 28/02/2023, COGNOME, Rv. 284427).
La necessaria posizione di garanzia è stata quindi correttamente ravvisata nei confronti del COGNOME e del COGNOME (titolare dell’unità denominata “RAGIONE_SOCIALE e Barriere di Sicurezza”), quali responsabili delle suddette strutture organizzative oltre che nei confronti del COGNOME, evocato in giudizio quale soggetto responsabile dell’unità operativa denominata “RAGIONE_SOCIALE“, pure collocata presso l’amministrazione centrale.
40.6 D’altra parte, va ritenuto che la relativa posizione di garanzia sia stata correttamente individuata anche nei confronti dell’Amministratore Delegato, sulla base di una lettura complessivamente conforme – va incidentalmente rilevato – a quella esposta nell’ambito della sentenza di primo grado (pagg.273 274).
40.6.1 In tale senso, devono difatti essere letti i principi espressi da questa Corte in ordine alla responsabilità degli organi apicali, con specifico riferimento alle organizzazioni aziendali di grandi dimensioni; profilo in ordine al quale, in parte motiva, Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn Rv. 261108 (attinente, va ricordato, alla normativa in materia di prevenzione antinfortunistica) ha rilevato che «occorre tener conto da un lato dei poteri gerarchici e funzionali che costituiscono base e limite della responsabilità; e dall’altro del ruolo d
vigilanza e controllo. Si può dire, in breve, che si tratta di soggetti la cui sfera responsabilità è conformata sui poteri di gestione e controllo di cui concretamente dispongono. Dette definizioni di carattere generale subiscono specificazioni in relazione a diversi fattori, quali il settore di attività, la conformazione giuri dell’azienda, la sua concreta organizzazione, le sue dimensioni. Ed è ben possibile che in un’organizzazione di qualche complessità vi siano diverse persone, con diverse competenze, chiamate a ricoprire i ruoli in questione. Queste considerazioni di principio evidenziano che, soprattutto in realtà complesse come quella in esame, nell’ambito dello stesso organismo può riscontrarsi la presenza di molteplici figure di garanti. Tale complessità suggerisce che l’individuazione della responsabilità penale passa non di rado attraverso una accurata analisi delle diverse sfere di competenza gestionale ed organizzativa all’interno di ciascuna istituzione. Dunque, rilevano da un lato le categorie giuridiche, i modelli di agente, dall’altro i concreti ruoli esercitati da ciascuno. Si tratta, in breve, di una ricognizione essenziale per un’imputazione che voglia essere personalizzata, in conformità ai sommi principi che governano l’ordinamento penale; per evitare l’indiscriminata, quasi automatica attribuzione dell’illecito a diversi soggetti».
Si tratta di argomentazioni, quindi, coerenti con il principio in base al quale la posizione di garanzia deve essere ancorata a considerazioni di tipo sostanziale e funzionale, dovendosi tenere conto dei compiti realmente esercitati in concreto; ponendosi, quindi, la predetta pronuncia in sostanziale linea di continuità con quanto già enunciato nel risalente arresto espresso da Sez. U, n. 9874 del 01/07/1992, COGNOME, Rv. 191185.
40.6.2 II tema di diritto rilevante nel caso di specie è, dunque, quello relativo ai limiti di operatività della delega di funzioni conferita da parte delle figure apicali nell’ambito delle organizzazioni complesse, problematica in relazione alla quale il disposto dell’art.16 del d.lgs. 9 aprile 2008, n.81, specificamente relativo alla materia della prevenzione antinfortunistica – oggetto, come detto del citato arresto delle Sezioni Unite – assume peraltro una sicura valenza espansiva; avendo questa Corte rilevato che, pur essendo l’istituto della delega di funzioni espressamente disciplinato con riferimento alla prevenzione nei luoghi di lavoro, tuttavia, al di fuori di tale settore, i requisiti della delega non possono ritene meno rigorosi di quelli tipizzati dal legislatore, occorrendo cioè, oltre la forma scritta, che il soggetto delegato possegga tutti i requisiti di professionalità richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate e che al delegato sia attribuita l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate, ferma restando la necessità che la delega abbia un contenuto specifico rispetto ai settori di competenza attribuiti (Sez. 3, n. 31421 del 27/03/2018, COGNOME, Rv. 273758 – 01) e ciò fermo restando, sempre sulla base della motivazione della
sentenza COGNOME, che costituisce principio basilare quello per cui la delega, per produrre l’effetto liberatorio che la caratterizza, deve trasferire insieme ai dover tutti i poteri necessari all’efficiente governo del rischio.
Deve altresì precisarsi che il trasferimento può avere ad oggetto un ambito definito e non l’intera gestione aziendale, ma che in tale circoscritto territorio ruolo del soggetto delegato deve essere caratterizzato da pienezza di poteri, in primo luogo quelli di spesa, con il corollario per cui il trasferimento dei poter inoltre, deve essere effettivo e non meramente cartolare.
40.6.3 Ciò posto, deve ritenersi che – nel caso di specie e in conformità con il complesso delle argomentazioni contenute nelle pronunce di merito – la posizione di garanzia in capo al soggetto rivestito delle funzioni apicali (e, specificamente, all’Amministratore Delegato) debba essere ravvisata sulla base di un duplice ordine di considerazioni, che, come detto, traggono origine dalla valenza espansiva delle disposizioni dettate in materia di delega dal d.lgs. n.81/1998.
Sotto un primo profilo, deve difatti ritenersi che ab origine non siano delegabili da parte del soggetto in posizione apicale le funzioni strettamente attinenti ai profili strutturali dell’organizzazione e direttamente coinvolgenti scelte strategiche di fondo dell’organizzazione aziendale.
Mentre, sotto un secondo e complementare argomento, deve farsi riferimento al disposto dell’art.16, comma 3, del d.lgs. n.81/2008, ai sensi del quale «La delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite»; con la conseguenza che il conferimento della delega comporta il permanere, in capo alla figura apicale, di una vigilanza che deve essere “alta” (secondo il lessico adoperato dalle Sezioni Unite) e che quindi riguarda, non il merito delle singole scelte – in ordine al quale non può rinvenirsi un obbligo di controllo puntiforme sulle condotte tenute dal delegato – ma il complessivo compito di protezione e controllo affidato al delegato medesimo.
40.6.4 Si tratta di un principio che questa Corte ha avuto modo di affermare già antecedentemente rispetto alla sentenza COGNOME; in particolare, Sez. 4, n. 4968 del 06/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258617, ha rilevato che il conferimento della delega non è idoneo a escludere integralmente la posizione di garanzia dell’organo in posizione apicale, poiché non possono comunque essere trasferiti i doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo nel caso di mancato esercizio della delega medesima; gravando su tutti i componenti di tale organo il compito di vigilare sulla complessiva politica della sicurezza dell’azienda.
Premessa che ha indotto la Corte ad affermare che «in presenza di strutture aziendali complesse, la delega di funzioni esclude la riferibilità di eventi lesivi deleganti se sono il frutto di occasionali disfunzioni; quando invece sono determinate da difetti strutturali aziendali e del processo produttivo, permane la responsabilità dei vertici aziendali Diversamente opinando, si violerebbe il principio del divieto di totale derogabilità della posizione di garanzia, il quale prevede che pur sempre a carico del delegante permangano obblighi di vigilanza ed intervento sostitutivo».
D’altra parte, tale principio risulta deducibile anche dal citato arresto delle Sezioni Unite, dal quale pure si evince la conclusione in base alla quale la delega di funzioni non può riguardare ambiti involgenti le scelte strategiche di fondo che caratterizzano l’attività della struttura.
Ancora più recentemente, nel riferirsi proprio al principio dettato dalla citata sentenza 4968/2014, questa Corte ha ribadito il dato dell’assenza di effetto liberatorio della delega in caso di eventi dipendenti da carenze strutturali derivanti da gravi carenze organizzative di fondo ascrivibili ad insufficienze organizzative imputabili, a monte, alla politica degli organi di vertice (Sez. 4, n. 40682 del 03/10/2024, Parenti, Rv. 287206 – 02).
40.6.5 Applicando tali principi al caso di specie, deve ritenersi che nell’ambito dei citati profili strutturali di organizzazione, non delegabili da parte dell’organo apicale – non possano non farsi rientrare (tenendo evidentemente in considerazione l’oggetto dell’attività sociale) le modalità di effettuazione dei controlli sulla complessiva sicurezza della struttura per gli utenti della medesima; affermazione che, nel caso di specie, è avvalorata e confermata anche dalla natura di servizio pubblico dell’attività affidata in concessione all’organizzazione.
Ne consegue che devono ritenersi di competenza dell’organo apicale le scelte in ordine a tipologia, frequenza e modalità dei controlli, potendo essere delegate al management subordinato e alle strutture locali solo aspetti attinenti alle concrete scelte operative.
Ne deriva quindi – in relazione specifica a quanto dedotto dal COGNOME nell’ottavo motivo di ricorso – che i profili inerenti alla frequenza e alla modalità effettuazione dei controlli non possano che ritenersi, anche in specifica considerazione dell’oggetto sociale della concessionaria, a tutti gli effetti, come “strategici”.
D’altra parte, in relazione ai citati poteri di alta vigilanza desumibili d disposto dell’art.16, comma 3, d.lgs. n.81/2008, permane comunque in capo alla figura apicale un obbligo di sorveglianza e un potere/dovere di intervento sostitutivo in caso di inadempimento del delegato rispetto ai propri obblighi.
Potere/dovere che, come detto, non comporta l’obbligo di una verifica puntuale dell’adempimento degli obblighi nascenti dalla delega ma, in ogni caso la predisposizione di un sistema organizzativo idoneo alla valutazione dell’atti del delegato, la cui mancata attuazione è tale – in caso di evento avverso radicare la responsabilità dell’organo in posizione apicale a titolo di coopera colposa.
Tanto in conformità con il principio di diritto espresso da Sez. 4, n. 51 del 05/10/2023, COGNOME, Rv. 285535, in base al quale, nell’ambito specifico de sicurezza sul lavoro, la delega di funzioni, disciplinata dall’art. 16 d.lgs. 2008, n. 81, non esclude l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro sul cor espletamento delle funzioni trasferite, ma quest’ultimo, afferendo alla corrett della complessiva gestione del rischio da parte del delegato, non può avere oggetto il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni (in senso analogo, già Sez. 4, n. 22837 del 21/04/20 Visconti, Rv. 267319), permanendo quindi una funzione di alta vigilanza che, i ordine alla corretta adozione dei criteri in tema di manutenzione della strutt non può comunque esulare dai compiti dell’organo di vertice.
Applicando tali principi al caso di specie, deve ritenersi che – al di l controllo sulle singole lavorazioni – incombesse sull’Amministratore Delegato u generale obbligo di controllo sull’adeguatezza delle regole adottate in tema efficienza delle strutture apposte sulla rete autostradale, individuandosi i obbligo l’espressione di una regola cautelare generale la cui sussisten sicuramente ravvisabile nel caso di specie e non esistendo alcuna incompatibili tra i relativi compiti di alta vigilanza e quelli propri del ruolo prettamente str e di indirizzo attribuiti alla relativa figura apicale.
Pertanto, sulla base delle predette considerazioni, deve essere affermato seguente principio di diritto: “Nell’ambito delle organizzazioni imprenditoriali complesse, non possono essere oggetto di delega, da parte dell’organo in posizione apicale, i compiti attinenti ai profili strutturali di organizzazione, tr quali devono farsi rientrare quelli attinenti alla scelta delle modalità e della frequenza dei controlli sulla integrità e la sicurezza delle strutture e dei beni facenti parte del complesso aziendale. In ogni caso, anche in presenza di delega di funzioni, rimangono di competenza della figura apicale i poteri di sorveglianza e di eventuale intervento sostitutivo nei confronti del delegato”.
Ne consegue, nel caso di specie, che l’attribuzione delle relative deleg nei confronti delle subordinate strutture dirigenziali centrali (e, in particolar Direzione Servizi Tecnici, cui poi era subentrata la Condirezione RAGIONE_SOCIALE Manteinance) e di quelle locali, rappresentate dalle Direzioni di Tronco, in ordin ai compiti attinenti alla manutenzione complessiva della re te, non ha comportat
il venire meno della posizione di garanzia in capo all’organo apicale sotto i due distinti profili sopra individuati.
I motivi di ricorso attinenti alla sussistenza della posizione di garanzia in ordine alla manutenzione delle barriere in capo al personale del Sesto Tronco
41. Le considerazioni che precedono si riverberano direttamente sul tema della sussistenza della posizione di garanzia in capo agli esponenti delle articolazioni periferiche della struttura societaria.
A tale proposito, con valutazione conforme, le sentenze di merito hanno concordemente ravvisato, in relazione al disposto dell’art.40, comma 2, cod.pen., la sussistenza della necessaria posizione di garanzia in capo ai Direttori e ai responsabili delle Aree Esercizio in servizio presso il Sesto Tronco della società Autostrade per l’Italia nelle date indicate nel capo di imputazione (COGNOME, COGNOME e COGNOME in qualità di direttori, tra il 05/03/2001 sino alla data dell’event COGNOME, COGNOME e NOME in qualità di responsabili dell’Area Esercizio dal 03/10/2003 sino alla data dell’evento).
Prescindendo, in questa sede, dalla problematica inerente al collegamento temporale tra la condotta ascritta e l’evento, che verrà successivamente esaminata, vanno pregiudizialmente analizzate le censure inerenti alla preesistenza della relativa posizione di garanzia.
Tale aspetto, in particolare, è stato fatto oggetto:
del quinto di motivo di ricorso articolato dallo COGNOME che ha dedotto – a fondamento logico della censura e pure non spiegando rilievi in ordine alla propria posizione organizzativa – la circostanza in base alla quale l’attività d manutenzione non potesse che essere svolta secondo le procedure vigenti, rilevando che la normativa specifica in materia (quale quella contenuta nella circolare 62032 del 2010 e nel d.lgs. n.35/2011) era in gran parte sopravvenuta rispetto alla cessazione del proprio incarico;
del quinto motivo di ricorso articolato dal Renzi, che – con puntuale riferimento al contenuto degli ordini di servizio richiamati (quali il 24/2008 e 13/2008) – ha evocato il ruolo fondamentale e preminente svolto, in tema di manutenzione, da parte degli organi centrali appartenenti alla struttura della Società Autostrade per l’Italia, anche sotto il profilo della autonormazione cautelare;
del quinto motivo articolato dalla difesa del COGNOME la quale ha fatto riferimento al contenuto dell’istruzione di servizio n.1 del 2005 e della procura notarile del 13/10/2009, esponendo che l’attività di monitoraggio conferita al
Direttore di COGNOME dovesse necessariamente trarre spunto dagli elementi forniti dalle relative articolazioni interne oltre che da quelle centrali; facendo anche riferimento al testo della successiva istruzione di servizio del 04/02/2013 che, nell’aggiornare il precedente provvedimento, aveva rilevato che l’area di responsabilità del Direttore di COGNOME era quella di monitorare lo stato dell’infrastruttura “anche” attraverso gli elementi forniti dalle strutture inter aggiunta che lasciava intuire che – nel periodo precedente – tale attività avvenisse “solo ed unicamente attraverso gli elementi forniti dalle competenti strutture e non ‘anche attraverso” (pag.91 del ricorso); evidenziando ulteriormente il contenuto della citata procura notarile, facente riferimento alle disposizioni interne tra cui la citata istruzione di servizio n.1 del 2005; ritenendo, di conseguenza, che la posizione di garanzia fosse limitata in riferimento al necessario presupposto rappresentato dagli elementi forniti dalle competenti strutture interne, evidenziando il dato rappresentato dalla mancanza – nel corso del periodo di svolgimento delle funzioni – di segnalazioni provenienti dalle strutture medesime;
dal quinto motivo articolato dalla difesa del COGNOME (nel ricorso sottoscritto dall’Avv. COGNOME), nel quale è stato censurato il ragionamento della Corte per non avere individuato la fonte effettiva della ritenuta posizione di garanzia, asserit dal giudice di appello ma non fondata su effettivi elementi istruttori;
dal quarto motivo di ricorso articolato dalla difesa del COGNOME, nel quale lo stesso ha dedotto che le modalità di adeguata manutenzione individuate dal Tribunale non rientrassero tra i compiti dell’imputato, specificamente attinenti al monitoraggio della viabilità e non alle manutenzioni delle strutture, con particolare riferimento alla manutenzione straordinaria; aggiungendo di non essere mai venuto a conoscenza di anomalie direttamente riguardanti le barriere di sicurezza sul viadotto INDIRIZZO.
42. I suddetti motivi sono infondati, tendendo gli stessi a sollecitare questa Corte a operare una non consentita rivisitazione in fatto in ordine allo stretto profilo attinente alla distribuzione dei compiti – con riferimento agli organi central ai titolari della direzione di Tronco e ai responsabili dell’Area Esercizio – co particolare riferimento all’obbligo di manutenzione; tutti elementi, a propria volta, valutati dai giudici di merito con argomentazioni immuni dalle sollevate censure di illogicità e fondate su un’adeguata lettura degli elementi emersi dall’istruzione dibattimentale, con particolare riferimento a quelli documentali rappresentati dagli ordini e dalle istruzioni di servizio.
Deve quindi rilevarsi – sulla base di una lettura sinottica delle due sent di merito – che già il Tribunale (esaminando, specificamente, proprio il conte della citata consulenza di parte) e con considerazioni che non sono state poste
base di alcuna effettiva censura da parte dei suddetti imputati, ha evidenziato (una volta delineati i compiti dell’Amministratore Delegato e delle strutture centrali) che le Direzioni di Tronco costituivano, all’interno della Società Autostrade, “lo strumento più operativo per il presidio diretto sul territorio al fine di ottimizz l’impiego e l’efficienza delle risorse al livello territoriale”, coordinandosi con le strutture centrali rappresentate dalla Direzione Servizi Tecnici e, successivamente, dalla Condirezione RAGIONE_SOCIALE (CGOM), sottolineando il carattere del tutto autonomo delle stesse Direzioni di Tronco, attesa la loro competenza decisionale e di spesa; ulteriormente, è stato richiamato dal Tribunale l’ordine di servizio n.15 del 09/07/2004, nel quale era stata delineata la struttura organizzativa della Direzione di Tronco, cui faceva capo, tra le altre, l’Area Esercizio.
D’altra parte, un particolare rilievo assume il contenuto dell’istruzione di servizio n.1/2005 – pure richiamata dalle difese – che ha definito le aree di competenza delle Direzioni di Tronco, attribuendo alle stesse il compito di «monitorare lo stato dell’infrastruttura attraverso elementi forniti dalle competenti strutture interne e mettere in atto, secondo le vigenti procedure, le azio necessarie per mantenere un adeguato livello di sicurezza della rete», «definire il budget e ed il piano annuale delle manutenzioni di competenza relative all’infrastruttura stradale e agli impianti, curandone l’esecuzione», «garantire i rispetto degli standard previsti dalle normative di riferimento in tema di sicurezza»; mentre, quanto alla figura del responsabile dell’Area Esercizio, la stessa istruzione attribuiva allo stesso l’obbligo di «garantire il mantenimento degli standard qualitativi di servizio e sicurezza della circolazione, dell’esercizi autostradale e delle sue pertinenze attraverso la formulazione e realizzazione dei piani di manutenzione ordinaria ed effettuando anche gli interventi non pianificati» nonché di «individuare gli interventi necessari per il miglioramento della sicurezza». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
E’ poi intervenuto l’ordine di servizio n.5 del 2011, avente decorrenza dal 27/06/2011, che ha definito i compiti della Condirezione RAGIONE_SOCIALE e l’istruzione di servizio n.9/2013, avente decorrenza dal 04/02/2013, la quale ha precisato che compito delle Direzioni di Tronco era quello, tra l’altro, di «monitorare lo stato dell’infrastruttura, anche attraverso gli elemen forniti dalla strutture interne » e di «mettere in atto le azioni necessarie mantenere un adeguato livello di sicurezza della rete», ribadendosi i compiti dell’Area Esercizio in ordine alla sicurezza della circolazione, alla realizzazione degli interventi necessari al mantenimento degli standard qualitativi e al miglioramento della sicurezza.
43. Fatto salvo quanto sopra esposto in ordine alla tematica relativa all’ambito delle competenze conferite alle strutture centrali in materia di manutenzione, il contenuto delle predette disposizioni interne non lascia evidentemente dubbi in ordine alle attribuzioni delle Direzioni di Tronco in materia di manutenzione della rete autostradale (sotto il profilo di quella che la Corte territoriale ha definito manutenzione “correttiva”) e di attribuzione dell correlativa posizione di garanzia in capo ai Direttori pro tempore, con particolare riguardo a tutte le incombenze necessarie per la manutenzione ordinaria della rete; elemento, incidentalmente, ritenuto corroborato dal Tribunale proprio sulla base delle dichiarazioni rese da alcuni testi menzionati dalle difese (COGNOME, COGNOME e COGNOME), i quali hanno confermato l’ambito di responsabilità delle Direzioni di Tronco.
Mentre i citati ordini di servizio inducono a ritenere infondate le censure spiegate dai soggetti che hanno rivestito posizioni apicali all’interno dell’Area Esercizio in ordine alla competenza della stessa nell’ambito della manutenzione.
Si deve, sul punto, ritenere del tutto congrua e coerente con le predette risultanze istruttorie la considerazione in base alla quale al Direttore di COGNOME anche in funzione della propria autonomia di spesa – spettassero i compiti di nnonitoraggio generale e direttivi in punto di manutenzione della rete nonché la relativa interlocuzione con le strutture centrali (come si evince dal contenuto dell’ordine di servizio n.14/2008, richiamato dalla difesa del COGNOME, indirettamente idoneo a individuare anche le competenze di queste ultime in tale ambito), tanto sulla base del flusso informativo proveniente dalle strutture interne, tra cui quella costituita dall’Area Esercizio, le cui competenze sono state sopra delineate.
Deve quindi ritenersi del tutto congrua la motivazione della Corte di appello nella parte in cui – smentendo l’argomentazione difensiva posta anche alla base dei sopra riassunti motivi – la stessa ha rilevato che l’esercizio della manutenzione si fondava, sulla scorta delle istruzioni di servizio, su uno scambio circolare di informazioni tra Direzione di Tronco, Aree interne alla stessa e organi centrali; rilevando, in riferimento ad argomentazioni già spiegate in sede di appello e riproposte in questa sede, che nessun elemento autorizzava a ritenere che il Direttore di Tronco, dati i suoi compiti di supervisione dello stato complessivo delle arterie, avesse il dovere di organizzare l’attività di monitoraggio solo sulla base della condizione costituita da una specifica segnalazione operata dal responsabile dell’Area Esercizio.
In tal senso, è infondata l’argomentazione spesa dalla difesa del COGNOME – già spiegata nel corso del primo grado di giudizio – in ordine alla valenza della modifica lessicale riscontrabile tra l’istruzione di servizio n.1/2005 e l’istruzione di servi n.9/2013, pure alla luce della conferita procura notarile (che richiamava il
complesso dei vigenti ordini e istruzioni di servizio) – dovendosi ritenere, in conformità alla valutazione compiuta sul punto dalla Corte territoriale, che l’aggiunta della parola “anche” rispetto alla previsione dell’istruzione di servizio precedente non abbia implicato obiettivamente un concreto mutamento dei compiti e delle responsabilità del Direttore di Tronco, ribadendosi semplicemente la necessità di una linea comunicativa con il responsabile dell’Area Esercizio e, semmai, sottolineando i precipui compiti spettanti alla figura apicale periferica nell’ambito della relativa tematica.
44. Va quindi ricordato, in linea generale, che la posizione di garanzia rilevante ai sensi dell’art.40, comma 2, cod.pen., può essere generata non solo da investitura formale ma anche dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante, purché l’agente assuma la gestione dello specifico rischio mediante un comportamento di consapevole presa in carico del bene protetto (Sez. 4, 34975 del 29/01/2016, Biz, Rv. 267539; Sez. 4, n. 19558 del 14/01/2021. COGNOME, Rv. 281171; Sez. 4, n. 21869 del 07/06/2022, COGNOME, Rv. 283387).
Si deve, quindi, ritenere – richiamandosi arresti giurisprudenziali già citati a proposito del personale apicale – che le conclusioni espresse dai giudici di merito siano del tutto allineate con la giurisprudenza di questa Corte in base alla quale con argomentazione spiegata in specifico riferimento alla materia antinfortunistica, pure caratterizzata da peculiarità intrinseche ma i cui principi sono richiamabili anche nel presente contesto – ai fini dell’individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse, occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del dirigente il sinistro riconducibile al dettag dell’organizzazione dell’ attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo (cfr. sez. 4 n. 24136 del 06/05/2016, COGNOME, Rv. 266853; Sez. 4, n. 22606 del 04/04/2017, COGNOME, Rv. 269972).
Deve quindi ritenersi che, in relazione alla posizione di garanzia fissata dall’art.14, d.lgs. n.285/1992 in ordine alla sicurezza della circolazione e in riferimento alla quale, ai sensi del comma 3: «Per le strade in concessione i poteri e i compiti dell’ente proprietario della strada previsti dal presente codice sono esercitati dal concessionario, salvo che sia diversamente stabilito», le suddette disposizioni interne abbiano stabilito una valida investitura formale in ca titolari delle Direzioni di COGNOME e ai responsabili dell’Area Esercizio; risultando quindi del tutto logiche e consequenziali le considerazioni spiegate sul punto dalle sentenze di merito.
I motivi di ricorso attinenti alle cause dell’ammaloramento dei tirafondi e alla consequente prevedibilità dell’evento
45. Ritenuta, quindi, l’infondatezza delle deduzioni formulate dai suddetti ricorrenti in punto di sussistenza della posizione di garanzia relativa alla manutenzione delle barriere autostradali, occorre esaminare i motivi di ricorso attinenti alle cause del cedimento delle barriere e, in diretta conseguenza logica, quelli riguardanti la prevedibilità dell’evento; profili cui si riconnettono, per dir derivazione argomentativa, i motivi di ricorso attinenti alla effettiva preesistenza e violazione di una regola cautelare (in tale sede, con specifico riferimento ai Direttori di Tronco e ai responsabili dell’Area Esercizio e poi, in dirett conseguenza, agli esponenti della sede centrale), con conseguente causalità della colpa.
45.1 In ordine al relativo profilo, deve essere premesso che – per quanto inerisce alla questione attinente alla carenza manutentiva – il relativo addebito è stato formulato nei confronti dei predetti ricorrenti a titolo di cooperazione colposa in riferimento all’art.113 cod.pen. e nell’ambito di quella definibile come diacronica.
Va premesso sul punto che, nel risalente dibattito dottrinale e giurisprudenziale attinente all’interpretazione dell’istituto della cooperazione colposa e alla correlativa distinzione rispetto al fenomeno dell’evento determinato da cause colpose indipendenti, è stata attribuita decisiva rilevanza al collegamento soggettivo tra le condotte dei cooperanti, conseguendone che la cooperazione nel delitto colposo si verifica quando più persone pongono in essere una autonoma condotta ma nella reciproca consapevolezza di contribuire con l’azione od omissione altrui all’ esplicazione di una determinata attività, dalla quale poi deriverà l’evento non voluto (Sez. 4, n. 16978 del 12/02/2013, COGNOME, Rv. 255274); essendo, quindi e ancora più specificamente, stato rilevato che, per aversi cooperazione nel delitto colposo, non è necessaria la consapevolezza della natura colposa dell’altrui condotta, essendo sufficiente la coscienza dell’altrui partecipazione nello stesso reato, intesa come consapevolezza, da parte dell’agente, del fatto che altri soggetti sono investiti di una determinata attivit con una conseguente interazione rilevante anche sul piano cautelare, nel senso che ciascuno è tenuto a rapportare prudentemente la propria condotta a quella degli altri soggetti coinvolti (Sez. 4, n. 49735 del 13/11/2014, COGNOME, Rv. 261183; Sez. 4, n. 6499 del 09/01/2018, COGNOME, Rv. 271972; Sez. 4, n. 25846 del 26/03/2019, COGNOME, Rv. 276581).
Un corollario di particoiare rilievo è rappresentato da quello in base al quale, ai fini del perfezionamento della figura della cooperazione colposa, non è necessario che il cooperante sia titolare di una posizione di garanzia rispetto alla tutela del bene giuridico protetto, essendo sufficiente che lo stesso contribuisca con la propria condotta cooperativa all’aggravamento del rischio, fornendo un contributo causale giuridicamente apprezzabile alla realizzazione dell’evento, ancorché la condotta del cooperante in sé considerata, appaia tale da non violare alcuna regola cautelare, essendo sufficiente l’adesione intenzionale dell’agente all’altrui azione negligente, imprudente o inesperta, assumendo così sulla sua azione il medesimo disvalore che, in origine, è caratteristico solo dell’altru comportamento (Sez. 4, n. 43083 del 03/10/2013, COGNOME, Rv. 257197; Sez. 4, n. 46408 del 14/12/2021, COGNOME, Rv. 282556).
Proprio il riferimento alla sola nozione di “aggravamento” del risch comporta, quindi, che la sussistenza di una cooperazione colposa non richiede che il rischio medesimo sia stato creato da parte del cooperante, ravvisandosi la fattispecie prevista dall’art.113 cod.pen. quando si verta in un’ipotesi di successiva gestione comune del rischio medesimo, determinata da esigenze organizzative ovvero quando questa sia una contingenza oggettivamente definita della quale gli stessi soggetti risultino pienamente consapevoli (Sez. 4, n. 22214 del 12/04/2019, COGNOME, Rv. 276685).
Costituisce altresì una diretta conseguenza della distinzione tra cooperazione colposa e concorso di cause colpose indipendenti quella per cui la disciplina della cooperazione nel delitto colposo ha funzione estensiva dell’incriminazione, coinvolgendo anche condotte meramente agevolatrici e di modesta significatività, le quali, per assumere rilevanza penale, devono necessariamente coniugarsi con comportamenti in grado di integrare la tipica violazione della regola cautelare interessata (Sez. 4, n. 1786 del 02/12/2008, COGNOME, Rv. 242566); potendosi quindi assumere che la valenza specifica dell’istituto della cooperazione colposa sia proprio quella della sua “funzione incriminatrice”, tale da attribuire rilievo penale a condotte atipiche rispetto a quell proprie della fattispecie incriminatrice.
Anche sulla base di tali arresti devono quindi essere letti i principi espressi da questa Corte in ordine alla responsabilità degli organi apicali, con specifico riferimento alle organizzazioni aziendali di grandi dimensioni; profilo in ordine alla quale, in parte motiva e come già ricordato, Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn Rv. 261108 ha rilevato che «occorre tener conto da un lato dei poteri gerarchici e funzionali che costituiscono base e limite della responsabilità; e dall’altro del ruolo di vigilanza e controllo. Si può dire, in brev che si tratta di soggetti la cui sfera di responsabilità è conformata sui poteri d
gestione e controllo di cui concretamente dispongono. Dette definizioni di carattere generale subiscono specificazioni in relazione a diversi fattori, quali il settore attività, la conformazione giuridica dell’azienda, la sua concreta organizzazione, le sue dimensioni. Ed è ben possibile che in un’organizzazione di qualche complessità vi siano diverse persone, con diverse competenze, chiamate a ricoprire i ruoli in questione. Queste considerazioni di principio evidenziano che, soprattutto in realtà complesse come quella in esame, nell’ambito dello stesso organismo può riscontrarsi la presenza di molteplici figure di garanti. Tale complessità suggerisce che l’individuazione della responsabilità penale passa non di rado attraverso una accurata analisi delle diverse sfere di competenza gestionale ed organizzativa all’interno di ciascuna istituzione. Dunque, rilevano da un lato le categorie giuridiche, i modelli di agente, dall’altro i concreti ruoli esercitati da ciascuno tratta, in breve, di una ricognizione essenziale per un’imputazione che voglia essere personalizzata, in conformità ai sommi principi che governano l’ordinamento penale; per evitare l’indiscriminata, quasi automatica attribuzione dell’illecito a diversi soggetti».
Si ricordi come – in relazione al complesso delle argomentazioni contenute nell’arresto citato – l’eventuale sussistenza di una pluralità di garanti dipendent dal concreto assetto dell’impresa non esonera comunque da responsabilità i soggetti aventi tale veste in virtù del loro ruolo formale (specificamente, nel caso Thyssen-Krupp oggetto della predetta pronuncia, era stata ravvisata la congiunta responsabilità dell’Amministratore Delegato unitamente a quella dei membri di altre figure di vertice inquadrate all’interno di un comitato esecutivo non forma lizzato).
Così come questa Corte ha espresso il principio in base al quale – sempre in relazione alla specifica materia della prevenzione antinfortunistica – la delega di funzioni prevista all’art. 16 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, realizza il for trasferimento dei poteri e obblighi datoriali di natura prevenzionistica al delegato, fermo restando in capo al delegante l’obbligo di vigilanza sul corretto svolgimento delle funzioni affidate, mentre la delega gestoria ex art. 2381 cod. civ., all’intern di strutture aziendali complesse, affida, con potere illimitato di spesa, l attribuzioni relative all’organizzazione e alla gestione dell’impresa, anche in materia di sicurezza sul lavoro, ad un comitato ristretto del consiglio di amministrazione o a uno dei suoi componenti, già investito della funzione datoriale e dei relativi poteri, configurando in capo all’organo delegante solo un dovere di verifica in ordine al flusso informativo e all’assetto organizzativo generale e di intervento nel caso di conoscenza di situazioni di rischio non adeguatamente governate.
45.2 Va quindi premesso che le sentenze di merito, sulla base delle risultanze istruttorie (e, in particolare, sulla scorta delle informazioni fornite d ausiliari, sul punto avvalorate anche dalla allegata documentazione fotografica), hanno concordemente argomentato in ordine al precario stato di manutenzione delle barriere precipitate a seguito dell’impatto con l’autobus, in conseguenza della corrosione della componente rappresentata dai tirafondi. I quali, sulla base della completa descrizione dei componenti delle barriere new jersey abbattute a seguito dell’urto con l’autobus, sono elementi costituiti da aste filettate dalla lunghezza d circa 40 cm, inserite in appositi fori praticati nel cordolo di cemento della barriere bloccati sulla sommità con specifici dadi o rondelle e inseriti in apposite tasche, denominate camerette di espansione; le quali hanno la funzione di consentire, in caso di urto, lo spostamento dell’elemento in calcestruzzo e, contemporaneamente, di garantirne il trattenimento in sede, consentendo un movimento traslatorio in senso opposto rispetto a quello proveniente dal contatto.
46. Deve quindi essere premesso, in limine, che sono inammissibili il primo motivo articolato nel ricorso presentato nell’interesse comune del COGNOME e del COGNOME e il primo motivo articolato dal COGNOME; nell’ambito dei quali sono state svolte considerazioni inerenti al dedotto approccio probabilistico seguito dai giudici di merito e all’asserita sovrapposizione tra principio di causalità materiale e causalità della colpa, oltre che al tema del giudizio controfattuale nell’ambito della causalità omissiva; senza che dal tenore complessivo dei motivi suddetti sia possibili individuare con certezza l’effettivo ambito di estensione delle censure e, di conseguenza, le specifiche ragioni di contrapposizione con le sentenze di primo e di secondo grado.
Sul punto, va richiamata la costante giurisprudenza di questa Corte in base alla quale è inammissibile il ricorso per cassazione che si sviluppi mediante un’esposizione disordinata, generica, prolissa e caotica, che fuoriesca dai canoni di una ragionata censura del percorso motivazionale della sentenza impugnata, senza consentire un ordinato inquadramento delle ragioni di doglianza nella griglia dei vizi di legittimità deducibili ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen, e che ren quindi le ragioni dell’impugnazione incomprensibili a causa della tecnica espositiva, caratterizzata da una pluralità di questioni eccentriche, tali da rendere l’illustrazione dei motivi ridondante e caotica (Sez. 2, n. 57737 de. 20/09/2018, COGNOME, Rv. 274471; Sez. 2, n. 29607 del 14/05/2019, COGNOME, Rv. 276748, tra le altre).
47. Ciò posto, sulla base dell’analisi operata dal perito – a propria volta fondata sulla documentazione fotografica acquisita al momento dei primi rilievi
tecnici e su quella allegata alla specifica consulenza commissionata dal p.m. sul punto – è risultato, come dato oggettivo e non contestato, che, nelle tredici barriere distaccate a seguito dell’urto, i tirafondi fossero del tutto mancanti ovver interessati da un fenomeno corrosivo che ne aveva compromesso in modo radicale la funzione.
Elementi di fatto che, secondo la sintesi operata dal perito, hanno consentito di giungere alla conclusione che, proprio per effetto dell’ammalorannento di tale elemento delle barriere, le stesse avessero fornito una risposta strutturale del tutto inadeguata, ponendosi come determinante fattore nella catena causale dell’evento; mentre, di contro, sulla base di una ricostruzione operata sulla base degli elementi propri del giudizio predittivo, i giudici di meri hanno ritenuto che barriere con tirafondi integri e in buono stato di manutenzione, sarebbero in concreto state idonee a scongiurare la fuoriuscita dell’autobus dal viadotto.
Va quindi rilevato che il profilo di fatto relativo all’effettiva incid dell’ammaloramento dei tirafondi nello sviluppo del nesso causale ha trovato argomenti di contestazione nell’ambito del terzo motivo articolato dalla difesa del COGNOME, nel quarto motivo articolato dalla difesa del COGNOME e nel quinto motivo articolato nel ricorso presentato nell’interesse comune del COGNOME e del COGNOME; il tutto sulla base di argomentazioni che hanno ritenuto che il peso della barriera avrebbe determinato una forza di contenimento comunque adeguata, pure in presenza della compromissione dell’efficienza dei tirafondi.
Le censure, che si riconnettono – in via logica – anche al tema (sopra esaminato) attinente all’effettiva individuazione dell’angolo di impatto tra il bus le barriere, sono infondate, non ravvisandosi nella lettura degli elementi istruttor compiuta dai giudici di merito alcun elemento di omissione motivazionale o di illogicità.
A tale proposito, difatti, la Corte territoriale – con argomentazioni coerent con le risultanze processuali – ha ritenuto che proprio il fattore rappresentato dal mancato, o comunque inefficiente, funzionamento dei tirafondi avesse impedito di attivare il meccanismo che consentiva il moto traslatorio e il mantenimento in sede delle barriere, ponendosi quindi in diretto rapporto causale con il crollo al suolo non soltanto delle barriere colpite, ma anche di quelle collegate, in virtù di un effetto cosiddetto a catena; evidenziando altresì che, dopo il primo urto con le barriere, il bus aveva impattato contro altri veicoli e che, proprio in ragione del corrosione dei predetti elementi, al momento del successivo urto queste non avessero più fornito un’adeguata risposta in termini di contenimento, determinando l’uscita di strada del bus conseguente al crollo al suolo del protezioni.
In tal modo, secondo la prospettazione della Corte territoriale, rendendo incontestabile la considerazione del perito in base alla quale l’inefficienza della quasi totalità dei tirafondi, constatata su ben tredici barriere, aveva compromesso del tutto il funzionamento della protezione e la risposta che essa avrebbe dovuto assicurare sulla base del crash test cui le stesse erano state originariamente sottoposte nell’anno 1987.
48. Di contro, a fronte di tale ricostruzione attinente al giudizio esplicativ – rimasta di fatto non contestata ad opera degli altri imputati – le difese hanno formulato (sin dalla fase dell’appello) una serie di considerazioni inerenti all dedotta eccezionalità del fenomeno di ammaloramento, tanto in punto di momento dell’insorgenza quanto in riferimento alla concreta dinamica dello sviluppo del suddetto fenomeno corrosivo, di modo che, secondo tale prospettazione, dovrebbe escludersi la responsabilità dei soggetti incaricati della manutenzione per la dedotta sussistenza di un fattore causale del tutto autonomo e imprevedibile, in riferimento al disposto dell’art.41, comma 2, cod.pen.; tematica, a propria volta, direttamente intrecciata (tanto che, in alcuni motivi di ricorso, le stesse sono oggetto di trattazione sostanzialmente comune) a quella della effettiva violazione, da parte dei soggetti addetti alla manutenzione, di una regola cautelare preesistente rispetto al fattore determinante l’evento.
48.1 Si tratta di deduzioni poste alla base, in particolare, del quarto motivo articolato dalla difesa dello COGNOME, del sesto motivo articolato dalla difesa del COGNOME, del sesto motivo articolato dalla difesa del COGNOME, del secondo motivo articolato dalla difesa del COGNOME nel ricorso presentato dall’Avv. COGNOME, del settimo motivo articolato dalla difesa del COGNOME, del sesto e settimo motivo articolato dalla difesa del COGNOME e del COGNOME nel ricorso presentato dall’Avv. COGNOME (coinvolgente anche aspetti relativi al tema, oggetto di successiva trattazione, della violazione di regole cautelari), del terzo motivo articolato dalla difesa del COGNOME e del quinto motivo articolato dalla responsabile civile; doglianze che, nel reiterare argomentazioni già spiegate in sede di giudizio di appello, hanno censurato sotto il profilo dell’illogicità e del travisamento pe omissione la sentenza gravata.
Si verte in tema di argomentazioni difensive contenenti valutazioni di carattere sostanzialmente sovrapponibile e trattabili, pertanto, in modo unitario e in conformità rispetto a quanto operato dalla Corte territoriale.
48.2 Secondo tali prospettazioni (specificamente richiamanti, in diversi punti, la consulenza depositata dalla responsabile civile) i giudici di merito avrebbero appuntato la propria attenzione sul concetto di prevedibilità del fenomeno della corrosione degli elementi metallici senza tenere conto delle
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particolarità del caso concreto, a propria volta caratterizzato deduttivamente da elementi patologici del tutto eccentrici e non conosciuti; in conseguenza dei quali si sarebbe determinata un’aggressione alle componenti dei tirafondi assolutamente, non solo non prevista, ma del tutto non prevedibile al momento della costruzione e dell’installazione degli elementi.
Fenomeno che, sulla base del sapere scientifico introdotto dai consulenti di parte, sarebbe stato caratterizzato (rispetto alle fisiologiche fasi di eventual corrosione già previste) da un fattore ulteriore, rappresentato da una corrosione localizzata del ferro dovuta all’accoppiamento tra lo stesso e la magnetite, ovvero un ossido di ferro che avrebbe imprevedibilmente agito all’interno del componente moltiplicandone i tempi fisiologici di degrado; dovendosi ritenere – sempre secondo la prospettazione difensiva – che la consapevolezza in ordine ai potenziali effetti del fenomeno sia stata raggiunta proprio a seguito del sinistro in questione; sulla base di tali argomentazioni, non sarebbe stato quindi da condividere il giudizio raggiunto dai giudici di merito – a propria volta fondato sul richiamo alle affermazioni del perito – attinente alla generica prevedibilità dei fenomeni corrosivi.
Tali argomentazioni, a propria volta, sarebbero state corroborate da quella relativa allo stato dei tirafondi constatato in occasione dei lavori di somma urgenza eseguiti nel corso del 2009 (su campate diverse rispetto a quelle interessate dall’urto), nelle quali lo stato di conservazione, dopo ventuno anni dall’installazione delle barriere, si sarebbe dimostrato come ottimale; tutte argomentazioni poste alla base del dedotto carattere repentino del fenomeno di ammaloramento riscontrato sulla barriere in oggetto, ricondotto temporalmente a pochi anni prima dell’incidente e secondo uno sviluppo causale dell’episodio che non sarebbe stato comunque “né uniforme né generalizzato” (pag.7 della consulenza di Autostrade per l’Italia – sezione 3): essendo altresì stata lamentata l’illogicità de affermazioni in base alle quali proprio l’assunzione di cautele finalizzate a evitare il contatto con l’acqua (utilizzo di una guaina in neoprene, spessore dei tirafondi superiore a quello necessario) avrebbe determinato la imprevedibilità del fenomeno in questione ed essendo anche stata evocato, in relazione specifica al profilo soggettivo degli imputati impiegati presso il Sesto Tronco, il fatto che nessuno degli stessi fosse in possesso di conoscenze puntuali di rango scientifico (con conseguente evocazione del tema della inesigibilità della condotta alternativa lecita).
48.3 Tutte le censure sono infondate.
Al fine di sostenere la congruità delle proprie argomentazioni, le difese hanno richiamato alcuni importanti arresti di questa Corte in punto di prevedibilità dell’evento in materia di reati commissivi per omissione; in particolare, è stato
fatto richiamo ad alcuni passaggi della citata Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, COGNOME e, specificamente, a quello in cui il Supremo Collegio ha evidenziato che «in materia di colpa la prevedibilità non debba essere accertata rispetto al solo evento finale, ma anche in relazione al decorso causale, almeno nelle sue linee essenziali. Si tratta di porre a confronto il decorso causale che ha originato l’evento concreto conforme al tipo con la regola di diligenza violata; e di controllare se tale evento sia la realizzazione del pericolo in considerazione del quale il comportamento dell’agente è stato qualificato come contrario a diligenza. Si tratta quindi di verificare se lo svolgimento causale concreto fosse tra quelli presi in considerazione dalla regola violata».
Così come sono stati richiamati i principi espressi dalla, pure già citata, Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, COGNOME, Rv. 248943, con particolare riferimento alla tematica inerente alle condizioni nelle quali possa essere stabilita la validità d una generalizzazione esplicativa scientifica e le modalità in cui debba essere articolato il ragionamento inferenziale che trasferisce le conoscenze scientifiche nell’indagine su un fatto storico; tematica che (in relazione a problematica, come sopra accennato, evidentemente ben distinta da quella oggetto del presente procedimento e avente a oggetto il decorso causale in tema di patologie derivanti dall’esposizione all’amianto) ha comunque rilevato come sia necessario valutare la sussistenza di una legge scientifica fondata su adeguate basi universali o probabilistiche e, in tale secondo caso, la necessità di valutare le circostanze del caso concreto alla luce di definite e significative acquisizioni fattuali.
48.4 Come accennato sopra, il tema in questione è strettamente interconnesso con quello attinente al contenuto della regola cautelare da ritenersi concretamente violata nel caso di specie da parte dei soggetti responsabili della manutenzione, per cui le conclusioni relative in ordine ai due ordini di motivi spiegati dalle difese devono essere lette in chiave sinottica, al fine di dedurne la relativa inidoneità a scalfire le conclusioni raggiunte dai giudici di merito.
In ogni caso, le allegazioni attinenti ai predetti motivi e introducenti un asserito deficit di prevedibilità del fenomeno corrosivo, per come concretamente manifestato, con conseguente e affermata inevitabilità dell’evento, sono da ritenersi sostanzialmente elusive dell’onere di specifico confronto con le analitiche argomentazioni del Tribunale e con quelle poi fatte proprie dalla Corte di appello, in senso sostanzialmente conforme, pure se divergenti su alcuni argomenti di dettaglio attinenti alla valutazione della prova testimoniale.
In particolare, la Corte ha richiamato le univoche considerazioni spiegate dal Tribunale – a propria volta da ritenersi coerenti con i richiamati princi giurisprudenziali espressi dalla richiamata sentenza COGNOME – in forza delle quali sussisteva una oggettiva ed estesa consapevolezza, in seno alla comuni
scientifica e già in un momento antecedente rispetto al verificarsi del sinistro, i ordine al problema della corrosione della bulloneria in acciaio inossidabile, così come a quello attinente alla potenziale incidenza dell’ambiente in ordine alla capacità di resistenza dell’elemento, proprio in relazione alla corrosione.
48.5 Devesi, pertanto, in questa sede, integralmente ribadire le conclusioni sopra espresse in ordine agli oneri motivazionali imposti al giudice di merito, nella parte in cui ritenga di aderire alle conclusioni raggiunte dal perito nominato d’ufficio rispetto a quelle fatte proprie dai consulenti di parte.
Deve infatti ulteriormente evidenziarsi il principio in base al quale il giudic che ritenga di aderire alle conclusioni del perito d’ufficio, in difformità da quelle consulente di parte, non può essere gravato dell’obbligo di fornire, in motivazione, autonoma dimostrazione dell’esattezza scientifica delle prime e dell’erroneità, per converso, delle altre, dovendosi al contrario considerare sufficiente la dimostrazione del fatto che le conclusioni peritali siano state valutate in termini di affidabilità e completezza, e che non siano state ignorate le argomentazioni del consulente (Sez. 6, Ordinanza n. 5749 del 09/01/2014, Homnn, Rv. 258630; Sez. 5, n. 18975 del 13/02/2017, Cadore, Rv. 269909).
Mentre, di contro, questa Corte ha evidenziato la diversa posizione processuale dei consulenti di parte rispetto ai periti, essendo i primi, a differenza degli altri, chiamati a prestare la loro opera nel solo interesse della parte che li nominati, senza assunzione, quindi, dell’impegno di obiettività previsto, per i soli periti, dall’art. 226, cod.proc.pen.; tale distinzione riverbera, richiamando predetto principio, nel diverso onere motivazionale gravante sul giudice di merito, il quale, nel caso in cui ritenga di aderire alle conclusioni del perito d’ufficio, condivise da consulenti di parte, non dovrà per ciò necessariamente fornire, in motivazione, la dimostrazione autonoma della loro esattezza scientifica e della erroneità, per converso, delle altre; in tale ipotesi è sufficiente che egli dimostri di aver comunque criticamente valutato le conclusioni del perito d’ufficio, senza ignorare le argomentazioni dei consulenti; ragione per cui potrà configurarsi vizio di motivazione solo quando risulti che queste ultime fossero tali da dimostrare in modo assolutamente lampante ed inconfutabile la fallacia di quanto affermato dal perito e recepito dal giudice (Sez. 5, n. 9831 del 15/12/2015, dep.2016, COGNOME, Rv. 267566; Sez. 3, n. 17368 del 31/01/2019, COGNOME, Rv. 275945; Sez. 2, n. 49742 del 10/10/2023, B., Rv. 285866).
D’altra parte, in riferimento alle argomentazioni difensive inerenti alla intrinseca correttezza del metodo scientifico adottato dal perito, va ricordato che il giudice di legittimità non deve stabilire la maggiore o minore attendibili scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la te accolta sia esatta ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica; essa,
infatti, non è giudice del sapere scientifico ed è solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnicoscientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordi all’affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatt deriva che il giudice di legittimità non può operare una differente valutazione degli esiti di una consulenza, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (Sez. 5, n. 6754 del 07/10/2014, dep. 2015, C., Rv. 262722; Sez. 1, n. 47678 del 04/10/2024, M., Rv. 287327).
48.6 A tale proposito, con argomentazioni del tutto coerenti con i predetti principi, i giudici di merito hanno preso spunto dalle univoche considerazioni spiegate dal perito che, nel prendere atto dell’oggettiva presenza di una importante percentuale di tirafondi, sul bordo del viadotto INDIRIZZO, non efficienti e in evidente stato di corrosione, ha evidenziato (pag.78 della relazione di perizia) che «non appare affatto congrua – rispetto all’importante ruolo svolto e al corrispondente onere assunto dalla più importante società concessionaria italiana – la giustificazione relativa al fatto che non si fosse maturata una pregressa esperienza circa la possibilità che gli elementi di ancoraggio potessero così gravemente degradarsi. Invero, si può facilmente argomentare in senso opposto, dal momento che sono ben noti gli effetti prodotti dall’ambiente aggressivo e dai cicli termici e igrometrici su tutte le componenti delle opere civili, con particola considerazione degli elementi strutturali metallici. Dunque si poteva (e si doveva) valutare tale condizione che peraltro, per analogia, era comunque desumibile dall’osservazione attenta sia degli altri connettori metallici delle barriere (piastri alla base, collegamenti tra le barre Dywidag) sia dai danni rilevati sulle strutture principali dell’impalcato (armatura delle travi)»; concludendone che «l’affermazione dei consulenti tecnici di Autostrade per l’Italia che “il problema, quindi, non era conosciuto”, deve ritenersi grave e fuorviante se si considera che lungo le strade, con particolare riguardo a qualsiasi opera in calcestruzzo armato gli effetti dei sali disgelanti a base di cloro costituiscono un atav problema, superato spesso solo con i rifacimenti fisici degli stessi manufatti nei tempi più opportuni e comunque programmati», ritenendo quindi che non fosse neanche necessaria o rilevante la pretesa esplicitazione di norme tecniche riferite alle barriere new jersey, rientrando la problematica della loro potenziale corrosione in quella tipica di qualsiasi manufatto in cemento armato presentante conness metalliche con compiti strutturali, concludendone che la presenza di umidità e cloruri all’interno del vano di alloggiamento di un ancoraggio non potesse essere considerata in alcun modo una sorpresa e che il fenomeno avrebbe potuto esse adeguatamente prevenuto solo per effetto di una «attenta, costante e sistema attività di manutenzione programmata». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Considerazioni del tutto univoche in relazione alle quali i giudici di merito hanno anche fatto riferimento alle norme tecniche elaborate in sede nazionale ed eurounitaria – e sulla cui valenza ci si è già sopra soffermati -quali la UNI 73231980, già richiamata in sede di primo grado di giudizio e attinente alla bulloneria di acciaio inossidabile in punto di resistenza agli elementi chimici e agli agent ossidanti, in base alla quale, secondo la valutazione del Tribunale “Da tale norma tecnica si ricava la conferma che il problema del possibile degrado da corrosione della bulloneria metallica era conosciuto già nel 1980 ed affrontato anche attraverso una disposizione che indicava le caratteristiche della bulloneria di acciaio inossidabile, ovvero di un materiale ritenuto resistente alla corrosione”; così come la ETA 001, citata dai consulenti della difesa (contenente le linee guida per il “benestare tecnico europeo” di ancoranti metallici da utilizzare nel calcestruzzo), dettante norme specifiche di prevenzione in caso di uso dell’ancorante in ambiente atmosferico particolarmente aggressivo, in cui sono prescritte particolari considerazioni e prove tenenti conto delle condizioni medesime e, in ordine alle argomentazioni formulate in sede di ricorsi, imponenti e specifici controlli proprio in caso di utilizzo, come nel caso di specie, di cloruri; avendo altresì il Tribunale fatto riferimento alla pronuncia di un organismo europeo (l’EOTA, Organizzazione europea per l’omologazione tecnica), nella parte in cui ha stabilito che i tirafondi in acciaio inox possono essere utilizzati anche in ambient particolarmente umidi ma solo se non esistono condizioni aggressive particolari; avendo il giudice di primo grado rilevato che gli stessi difensori avevano concordato sulla stima della classe di aggressività dell’ambiente presente sul viadotto, valutata in quella C4/C5, ovvero nel maggior livello previsto dalla normativa di settore. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
48.7 In tale quadro probatorio e cognitivo, appare consequenziale e immune da qualsiasi vizio di illogicità la motivazione dei giudici di merito in forz della quale la conoscenza della valenza degli agenti esterni a incidere sulla tenuta delle componenti metalliche era, sulla base della migliore scienza e conoscenza, preesistente sin dalla costruzione delle barriere (installate, va ricordato, nel 1988) quindi idonea a denotare una piena consapevolezza, nell’ambito della comunità scientifica, di una potenziale problematica di corrosione, con tutte le conseguenze che ne derivano in ordine alla non plausibilità della ricostruzione operata dalla difesa in ordine al carattere imprevedibile del fenomeno; che comunque – va ricordato e con affermazione che risulterà rilevante ai fini della trattazione de tema della causalità della colpa – anche sulla base della prospettazione difensiva si sarebbe peraltro sviluppato, non certo repentinamente, ma nell’arco di alcuni anni.
48.8 A tale proposito, in ordine alle specifiche argomentazioni difensive (contenute, in particolare, nel ricorso proposto dalla difesa del COGNOME ed evocate altresì dalla difesa della responsabile civile) va rilevato che non sussiste alcun vizio di travisamento della prova in ordine alle dichiarazioni rese in udienza dal perito il 12/09/2018 e al dedotto contrasto con le risultanze dell’elaborato scritto; in sede di esame, infatti, l’ausiliario ha dichiarato di concordare con le conclusioni espresse dai consulenti del responsabile civile ma unicamente in relazione alla causa scatenante del fenomeno di degrado – ovvero la formazione di magnetite e il suo accoppiamento con le componenti del tirante, con conseguente accelerazione del fenomeno di corrosione – ma non ha in alcun modo sposato la tesi dei consulenti di parte in riferimento ai concreti tempi di manifestazione del fenomeno e rispetto al suo dedotto carattere repentino.
In ordine al relativo punto, non possono che essere ulteriormente richiamati i principi già sopra evocati, in base ai quali, in riferimento al disposto dell’art.5 comma 1, cod.proc.pen., il dubbio idoneo ad introdurre una ipotesi alternativa di ricostruzione dei fatti è soltanto quello «ragionevole», ovvero quello che trova conforto nella logica, sicché, in caso di prospettazioni alternative, occorre comunque individuare gli elementi di conferma dell’ipotesi ricostruttiva accolta, non potendo il dubbio fondarsi su un’ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile (Sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014, COGNOME, Rv. 259204; Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, P., Rv. 281647 – 04).
Nel caso di specie, deve quindi ritenersi del tutto immune da vizi logici la conclusione della Corte territoriale in forza della quale, al di là del riferimen all’accelerazione del fenomeno corrosivo, le concrete caratteristiche dello stesso specificamente sul piano della prospettiva temporale – siano rimaste ferme allo stato di una mera petizione di principio, non essendo stati i relativi contribut tecnici (specificamente nella parte richiamata nell’esposizione dei motivi di ricorso) idonei a collocare temporalmente tale fenomeno successivamente all’anno 2009.
48.9 A tale proposito, in riferimento al dedotto vizio di illogicità e travisamento, va rilevato che – con specifico riferimento a quanto argomentato dal giudice di primo grado – un determinante contributo tecnico è stato fornito dai consulenti del p.m. nella relazione dell’11/04/2014 (pag.476 e ss.); nella quale gli ausiliari, in specifico riferimento alle accertate condizioni dei tirafondi, han constatato come non fosse stata garantita l’ermeticità del pozzetto in cui erano inseriti e – in relazione alle norme UNI ivi citate, parametrate su specifiche class di corrosività, quali la UNI EN ISO 12944, la UNI EN ISO 17713/2010 e la ISO 9233 nonché del citato tasso di aggressività dell’ambiente di lavoro stimato nella classe C4/C5 – hanno ritenuto come «molto probabile che la zincatura fosse completamente sparita già nei primi due-tre anni di esposizione» e tanto anche
sulla base della teoria, poi fatta propria dai consulenti di parte, in ordi all’incidenza del fenomeno di accoppiamento galvanico tra acciaio e magnetit concludendone univocamente che «appare indubbio che dopo pochi anni dalla posa in opera, i tirafondi erano già in uno stato avanzato di degrado, con necessità urgente di provvedimenti di ripristino strutturale» (pag.478); ribadendo, in sede di conclusioni (pag.553 e ss.) che «lo stato di degrado dei tirafondi è la causa fisica principale del fatto che la barriera non è stata in grado di contenere il veicolo. Per quanto attiene alla manutenzione si è rilevato che non c’è stata alcuna attività di controllo dello stato dei tirafondi di ancoraggio della barriera, né tantomeno di manutenzione degli stessi, nonostante il prevedibile elevato rischio di corrosione dovuto all’aggressività chimica dell’ambiente nel quale lavorano i tirafondi stessi. I tirafondi di ancoraggio della barriera hanno subito, già nei primi anni dalla loro installazione, una estesa corrosione e in questo stato non è intervenuto alcun controllo o intervento manutentivo specifico, benché localmente siano stati eseguiti negli anni alcuni lavori che hanno richiesto la rimozione e il successivo ricollocamento degli elementi New Jersey. Quindi la situazione di potenziale pericolo, che ha avuto gli esiti catastrofici di cui si tratta, durava da più di decennio».
48.10 D’altra parte, a completamento delle considerazioni operate da par del giudice di primo grado, la Corte territoriale ha radicalmente smentito motivazione priva di elementi di palese illogicità – la valenza di alcuni el probatori addotti dalla difesa e asseritamente idonei a dimostrare che lo stato dei tirafondi interessati dall’urto potesse presentarsi come ottimale, almeno sino all’anno 2009.
In particolare, un primo elemento dedotto delle difese è stato quello relativo alle condizioni dei tirafondi riscontrate su alcuni elementi presenti sul viadotto diversi rispetto a quelli interessati dall’urto – e, specificamente, sulle barri interessate dai lavori di manutenzione straordinaria eseguiti nell’anno 2009 sulle campate nn.3 e 7, in occasione dei quali, come dedotto dalle difese, tali condizi si sarebbero presentate complessivamente come adeguate; tanto in riferimento a quanto dichiarato in dibattimento dai testi della difesa NOME COGNOME e NOME COGNOME che avevano preso direttamente parte a tali operazioni, le cui affermazioni sono state ritenute attendibili dal Tribunale (anche se non incidenti sulla tematica della prevedibilità del fenomeno corrosivo sulle barriere intere dall’urto) e invece non credibili da parte della Corte territoriale.
Sul punto, va rammentato il principio in forza del quale non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazio la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la
divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, COGNOME, Rv. 250362; Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME Rv. 271623); fermo restando, quindi, il necessario controllo sulla logicità della motivazione quando, come nel caso di specie, il relativo giudizio di attendibilità sia stat ribaltato in sede di appello.
Deve quindi evidenziarsi che le considerazioni della Corte territoriale appaiono immuni da vizi di manifesta illogicità; difatti, i giudici di secondo grad hanno evidenziato che la circostanza di fatto attinente alla dedotta integrità dei tirafondi presenti sulle suddette parti del viadotto non risultava avvalorata da alcun elemento di tipo documentale, essendo presente in atti il solo certificato di collaudo attestante la correttezza dei lavori di nuova installazione delle barriere.
A ciò aggiungendo, con considerazione non palesemente illogica, che il teste COGNOME era il titolare dell’area tecnica del Sesto Tronco e, in quanto tal soggetto a un giudizio di problematica attendibilità in relazione alla sua partecipazione a lavori implicanti un complessivo monitoraggio, evidentemente non eseguito, sull’intero tratto in questione; mentre, quanto all’COGNOME, la Cor ha sottolineato il pregiudiziale elemento di fatto costituito dalla sua presenza nell sole fasi della rimozione delle barriere e in quella del loro riposizionamento, con la conseguenza che nessun incarico risultava essergli stato conferito in relazione alla verifica dello stato dei tirafondi (avendo comunque lo stesso riferito in ordine al solo dato delle condizioni dei bulloni posti alla sommità dei supporti); evidenziando, comunque, come nessuno dei due testi avesse potuto rendersi conto delle condizioni integrali dei supporti medesimi.
Mentre, sempre in relazione alle deduzioni difensive, la Corte – con argomentazioni immuni da vizi di illogicità – ha evidenziato l’ irrilevanza di quanto dichiarato dal teste NOME COGNOME, responsabile dell’Ufficio territoriale di Rom nell’ambito del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, Direzione Generale Vigilanza Concessionario Autostradale, in precedenza in servizio presso l’Anas s.p.aRAGIONE_SOCIALE, il quale aveva effettuato delle verifiche sullo stato delle barriere nel l opposto della carreggiata.
48.11 Va quindi ritenuta non illogica, immune dai denunciati vizi di travisamento e coerente con le risultanze processuali, la considerazione della Corte d’appello in base alla quale non sussistesse alcuna evidenza fattuale (ovvero scientifica) in ordine all’ipotesi alternativa sostenuta dalla difesa e inerente carattere repentino e imprevedibile del fenomeno di corrosione.
49. A propria volta, la suddetta tematica si riflette in modo diretto sull’individuazione – sul piano della scansione temporale – delle posizioni di garanzia in riferimento alla accennata successione nelle cariche di direzione del
NOME COGNOME e di responsabile dell’Area Esercizio, in riferimento a quanto indicato nell’atto di esercizio dell’azione penale e in cui, come sopra si accennava, sono stati ritenuti responsabili i Direttori di COGNOME in carica dal 05/03/2001 sino a data del sinistro e i responsabili dell’Area Esercizio in carica dal 03/10/2003 sino alla data medesima, rilevando che i primi funzionari in carica – ovvero lo COGNOME e il COGNOME – avevano rivestito tale ruolo, rispettivamente, sino all’11/10/2009 e al 31/01/2010.
Sul punto, la sentenza di appello – con considerazioni del tutto coerenti con quelle sin qui espresse – ha esposto che il fenomeno corrosivo doveva considerarsi in via di sviluppo da diversi anni anteriormente rispetto al sinistro e che, d conseguenza, anche per i funzionari in servizio sino alle predette date poteva sicuramente ravvisarsi la permanenza nella posizione di garanzia derivante dalla loro collocazione nell’organigramma di Autostrade per l’Italia.
Mentre, quanto alla posizione di garanzia ravvisabile nei confronti dei vertici aziendali, data la acquisita sussistenza di competenze dirette nell’ambito della gestione della manutenzione della rete, va fatto riferimento alle argomentazioni sopra spiegate e specificamente relative alle posizioni del COGNOME, del Mollo e del Fornaci.
I motivi attinenti alla violazione di una regola cautelare in capo al personale inquadrato presso il Sesto Tronco e presso la sede centrale
50. Devono quindi essere analizzati i motivi di ricorso attinenti all’effettiv violazione, da parte dei Direttori del Sesto Tronco e dei Responsabili dell’Area Esercizio, come individuati nel capo di imputazione, di una regola cautelare da porre in correlazione con il constatato stato di corrosione dei tirafondi, a propria volta da collegare in diretto rapporto – sulla base dei criteri propri del giudi controfattuale – con il verificarsi dell’evento; con argomentazione, per quanto sopra detto, riferibile anche ai soggetti inquadrati presso i vertici della società.
Come accennato sopra, a propria volta, tale tematica si riconnette in modo diretto rispetto alla valutazione – oggetto di trattazione del punto precedente riguardante i tempi di manifestazione del fenomeno corrosivo, da considerare in chiave sinottica con i doveri insiti nelle ravvisate posizioni di garanzia.
Il relativo punto è stato oggetto, in particolare, del sesto motivo proposto dalla difesa del COGNOME (pure attinente, come sopra rilevato, al giudizio di prevedibilità del fenomeno corrosivo), del settimo motivo articolato dalla difesa del COGNOME (ma trattato, deve ritenersi, anche nell’ambito dell’ottavo motivo, attinente alla valutazione della cd. misura soggettiva della colpa), del terzo motivo articolato dalla difesa del COGNOME nel ricorso sottoscritto dall’Avv. COGNOME
nonché del seguente quarto motivo (pure espressamente intitolato in riferimento alla contestazione della sussistenza di una posizione di garanzia), del sesto motivo articolato dalla difesa del COGNOME nel ricorso sottoscritto dall’Avv. COGNOME, del ses motivo articolato dalla difesa del COGNOME e del COGNOME nel ricorso sottoscritto dall’Avv. COGNOME (pure in questo caso, come si è visto, attinente anche alla prevedibilità del fenomeno corrosivo) nonché del quinto motivo articolato dalla responsabile civile, anche in questo caso coinvolgente la pregiudiziale tematica della prevedibilità della corrosione e pure facente riferimento all’inesigibilità della condotta alternativa lecita.
Mentre, quanto alle difese del COGNOME, del COGNOME e del COGNOME, la relativa contestazione è stata operata nell’ambito dei motivi – sopra riassunti – inerent alla dedotta violazione dei principi dettati dagli artt. 521 e 522 cod.proc.pen..
Nell’esposizione dei motivi di ricorso – tutti congiuntamente valutabili in relazione alla sovrapponibilità delle relative argomentazioni – le difese (con particolare riferimento a quelle dei soggetti inquadrati presso il Sesto Tronco) hanno contestato le argomentazioni della Corte d’appello nella parte in c ravvisato, in capo ai titolari dell’obbligo di garanzia, un profilo di colpa specifica concretizzato dal mancato controllo delle barriere, fondato sulla circostanza in base alla quale le stesse, nell’arco di tempo predetto, erano state sottoposte a sole verifiche di tipo meramente visivo; hanno difatti dedotto che, solo successivamente al sinistro in questione, la tipologia di controllo già adottata dall’ente concessionario si sarebbe rivelata inadatta.
Nello specifico, hanno sostenuto che l’ispezione visiva avesse rappresentato l’unica metodologia effettivamente disponibile per valutare lo stato di conservazione delle barriere, richiamando sul punto alcune testimonianze assunte nel corso del primo grado di giudizio e ciò anche sulla base del fatto che pure le visite operate “in contraddittorio” con il concedente (in relazione ai poteri controllo allo stesso attribuiti sulla base della Convenzione Unica e dei relativ allegati) erano state svolte secondo tali modalità e senza estensione del controllo anche alle parti nascoste della barriera; hanno specificamente argomentato ordine alle modalità di controllo del serraggio delle componenti esterne dei tirafondi mediante l’uso di una chiave dinamometrica, il cui utilizzo – secondo la Corte – sarebbe stato imposto da una norma armonizzata, ovvero la EN 1090 del 2008, deducendo che, in realtà, come chiarito dall’organismo di normazio (argomento, in particolare, sviluppato nella memoria difensiva depositata d difesa del COGNOME) la stessa non si riferirebbe alle barriere e comunque non sarebbe pertinente rispetto all’attività di manutenzione; deducendo, comunque, come si sarebbe in presenza di una tecnica di verifica ancora in fase di sperimentazione e sicuramente non consolidata antecedentemente al sinistro oggetto del giudizio; ne
conseguirebbe, secondo le prospettazioni difensive, che i giudici di merito sarebbero incorsi nell’errore di fondarsi non su una regola cautelare previgente rispetto ai fatti bensì individuata ex post.
50.1 I motivi di ricorso – con i quali sono stati introdotti molteplici censu sotto il profilo dell’illogicità anche sotto la specie del travisamento probatori sono infondati in relazione a tutti i profili dedotti.
Sulla base del complessivo tenore dei predetti motivi occorre premettere alcune considerazioni in ordine al tema, sotteso rispetto ai motivi medesimi e sopra riassunti, attinente alla necessaria preesistenza della regola cautelare rispetto al comportamento ascritto a titolo colposo.
A tale proposito, in tema di colpa specifica deve ritenersi ontologicamente derivante dalla natura della disposizione contenuta nell’art.43, comma 3, cod.pen. il principio attinente alla necessaria preesistenza della regola cautelare “codificata” rispetto al fatto, ma la medesima tematica è stata risolta dalla giurisprudenza, in senso analogo, anche in ipotesi di colpa generica; caso nel quale deve ritenersi che – pur dovendosi necessariamente individuare la regola violata secondo una valutazione compiuta ex post – è però necessario che la regola comportamentale venga individuata con riferimento al momento e al contesto in cui la condotta, commissiva od omissiva, sia stata posta in atto, in modo da evitare che la stessa venga costruita a posteriori; con la conseguenza che, anche in caso di colpa generica, è necessario che le regole cautelari siano previamente e chiaramente individuabili in riferimento ai soggetti che svolgano un data attività al momento della condotta.
Sul punto, vanno citate le argomentazioni espresse da questa Corte nell sentenza resa nell’ambito del “caso Viareggio” (Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, COGNOME, Rv. 281997).
In tale pronuncia questa Corte – nell’assumere quale fondamentale il principio, sopra accennato, in base al quale la sussistenza di una posizi garanzia non è, di per sé, idonea rispetto all’affermazione della respons colposa, dovendosi necessariamente verificare la violazione di una regola cautelare – ha rammentato che la recente riflessione teorica a riguardo della responsabilità colposa ha assunto come caposaldo l’alterità concettuale tra “dovere di diligenza”, inteso quale situazione giuridica soggettiva di dovere e più precisamente quale “dovere di adottare le cautele opportune per evitare il verificarsi degli event dannosi”, e “diligenza doverosa”, intesa come contenuto della predetta situazione giuridica soggettiva.
Il primo è posto da norme (di dovere), le quali vietano di agire in modo imprudente oppure impongono di agire in modo diligente; nella forma concettuale, tali norme non specificano le concrete modalità comportamentali che valgono a
soddisfare la prescrizione di astenersi da un agire imprudente o di agire in modo diligente.
Tale specificazione viene dalle regole cautelari, che identificano per l’appunto la diligenza doverosa; il tutto con l’importante precisazione in base alla quale la regola cautelare positiva può non esaurire il novero delle cautele doverose, se il patrimonio scientifico ed esperienziale ha sedimentato pertinenti regole cautelari non ancora positivizzate.
Peraltro, la dicotomia tra modalità di accertamento della regola cautelare non scritta e di quella dettata da “leggi, regolamenti, ordini e discipline”, trova u elemento di complicazione quando, nei reati colposi, venga violata una regola cautelare scritta e preesistente ma dal contenuto “elastico”, ovvero dal contenuto comportamentale non rigidamente predeterminato e in relazione alla quale è necessario, ai fini dell’accertamento della condotta impeditiva esigibile da parte del garante, procedere necessariamente ad una valutazione ex ante che tenga conto di tutte le circostanze del caso concreto sia per la definizione contenutistica, sia per la delimitazione dell’area di rischio tutelata dalla regola cautelare (in sens analogo, Sez. 4, n. 35016 del. 17/06/2024, Appendino, Rv. 286987 – 04).
In tale ottica, si è affermato che il contenuto dell’obbligo impeditivo viene, di volta in volta, calibrato sulla regola «elastica» che impone al destinatario generale dovere di tutelare determinati beni (cfr. Sez. 4, n. 57361 del 29/11/2018, COGNOME, Rv. 274949, nella quale vi è un riferimento al disposto dell’art.2087 cod.civ., ma con ragionamento estensibile anche ad altre branche della normazione: si pensi, ad esempio, al complesso delle regole dettate dall’art.141 C.d.s. in punto di regole concernenti la tenuta della velocità su strada da parte del guidatore).
Deve quindi ritenersi che le norme prevenzionali “elastiche” si inseriscano, a pieno titolo, nell’ambito delle disposizioni positive poste alla base della colp specifica, ma che il contenuto della regola debba essere individuato dal giudice sulla base di un processo ermeneutico non dissimile da quello imposto in tema di colpa generica – sulla base di una valutazione ex ante che tenga necessariamente conto di tutte le circostanze del caso concreto (riprendendo l’esempio dell’art.141 C.d.s., quindi, a fattori quali le caratteristiche del veicolo, della strada, d condizioni atmosferiche, del traffico e delle altre circostanze di ogni natura).
50.2 Tale premessa è necessaria al fine di operare un previo inquadramento della tipologia di colpa ascrivibile nei confronti dei predetti funzionari, alla luce tenore del capo di imputazione nonché delle decisioni di merito, in quanto si tratta di elemento idoneo a riverberarsi sulla valutazione dell’eventuale fondatezza dei motivi proposti.
Va quindi ritenuto che la complessiva valutazione operata dalla Corte – che ha ricondotto i comportamenti ascritti al genus della colpa specifica – sia da
ritenere corretta, sia pure con alcune precisazioni e integrazioni da ritenersi consentite a questa Corte in relazione al disposto dell’art.619, comma 1, cod. proc. pen..
In particolare, nel caso di specie, ai predetti funzionari in servizio presso i Sesto Tronco autostradale è stato ascritto un addebito consistente nel non avere adottato un “costante monitoraggio” sul tratto di strada in questione e nell’omessa adozione dei necessari lavori di adeguamento funzionale, in riferimento al disposto dell’art.14 C.d.s., la quale – come già rilevato – costituisce una norma costitutiv del previo obbligo di garanzia in capo ai gestori delle strade, oltre che l disposizione fondante l’obbligo di manutenzione (cfr. Sez. 4, n. 14634 del 23/03/2021, Bellavia, Rv. 281017, cit.).
D’altra parte – contrariamente alla lettura proposta dalle difese (evocando altresì quanto dedotto, specificamente, nel terzo motivo proposto dal COGNOME nel ricorso sottoscritto dall’Avv. COGNOME) – deve ritenersi che lo stesso art.14 C.d.s. una disposizione da assimilare alla già citate norme “elastiche” e quindi idonea, qualora integrata da ulteriore e specifiche norme indicative delle modalità di intervento poste a carico del soggetto responsabile della manutenzione, a generare una regola cautelare (con i conseguenti riflessi in tema di qualificazione della colpa sotto l’ambito di quella specifica oltre che di rilevanza della violazion medesima a configurare la circostanza aggravante prevista dal previgente testo dell’art.589, comma 2, cod.pen., cfr. Sez. 4, n. 48754 del 09/10/2019, Aveni, Rv. 277871 – 01).
Va quindi affermato il seguente principio di diritto: “L’art.14 del dlgs. 30 aprile 1992, n.285, oltre a costituire la fonte della posizione di garanzia de soggetto incaricato del servizio di manutenzione delle strade, costituisce anche una norma cautelare di tipo elastico, idonea a costituire la fonte della regola cautelare nei confronti del garante, qualora integrata da altre specifiche disposizioni idonee a indicare le modalità di intervento a carico del soggetto responsabile della manutenzione”.
Nel caso di specie, il disposto dell’art.14 C.d.s. va letto alla luce de contenuto della Convenzione Unica conclusa tra l’allora proprietario della strada (ANAS) e la concessionaria, il cui art.3, stabilisce, alla lett.b), l’obbligo in cap quest’ultima di provvedere «al mantenimento della funzionalità delle infrastrutture concesse attraverso la manutenzione e la riparazione tempestiva delle stesse».
Mentre, nell’incipit dell’allegato “E” alla Convenzione, contenente il piano finanziario, era specificato che la finalità principale della manutenzione consisteva nel garantire uno stato di conservazione della rete in linea con gli obiettivi d qualità del servizio e di sicurezza per l’utenza.
Si tratta di una Convenzione tra concedente e concessionario adottata secondo la formula dell’accordo sostitutivo di provvedimento amministrativo e il cui contenuto è stato comunque inserito a tutti gli effetti nell’ordinamento giuridico nazionale per effetto dell’art.8duodecies dell’allegato 1 alla I. 6 giugno 2008, n.101, ai sensi del quale «Sono approvati tutti gli schemi di Convenzione con la società RAGIONE_SOCIALE già sottoscritti dalle società concessionarie autostradali alla data di entrata in vigore del presente decreto».
Deve quindi rilevarsi – e tale considerazione costituisce necessaria premessa logica di quelle che seguono – che la regola specifica attinente all’obbligo di manutenzione comporta, attesa la propria valenza elastica e in riferimento ai principi sopra riassunti, che – ai fini del giudizio in ordine al rispetto da par dell’agente – debba essere considerato necessario, in riferimento alla valutazione della concreta considerazione delle caratteristiche del caso concreto, che la condotta del garante sia comunque ispirata ai canoni della migliore scienza ed esperienza utilizzabili in tale occasione, come desunti anche dal complesso delle cognizioni tecniche disponibili in un certo momento storico.
A tal fine, il Collegio ritiene che possano essere utilmente richiamabili i principi costantemente sostenuti da questa Corte nello specifico campo della prevenzione antinfortunistica, ma dettanti regole di valenza generale in materia di responsabilità colposa, che sono pertanto da considerarsi senz’altro pertinenti anche al caso di specie, in base alle quali – in particolare, in presenza di regole elastiche – il garante ha l’obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti nel proprio ambito di intervento, in relazione alla singola problematica oggetto di attenzione (cfr. Sez. 4, n. 20129 del 10/03/2016, Serafica, Rv. 267253), richiamando altresì il principio – pure dettato in materia antinfortunistica – per il quale il garante deve prevenire il concretizzarsi di rischi riguardanti la verificazione anche di un “evento raro”, cui realizzazione non sia però ignota all’esperienza e alla conoscenza della scienza e della tecnica e, una volta individuato il rischio, predisporre le misur precauzionali e procedimentali, ove necessarie, per impedire l’evento (cfr. Sez. 4, n. 27186 del 10/01/2019, COGNOME, Rv. 276703).
50.3 Tanto premesso, le lamentate censure di illogicità sotto il profilo del travisamento sollevate dalle difese rispetto alle conclusioni formulate dalla Corte territoriale non si confrontano adeguatamente con l’effettivo contenuto della sentenza gravata, anche nella parte in cui questa ha fatto riferimento alla motivazione della decisione di primo grado; dovendosi incidentalmente ricordare, sotto tale profilo, che, il ricorso per cassazione con cui si lamenta il vizio motivazione per travisamento della prova, non può limitarsi, pena yfr –
l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisività, ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale att emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085).
Elementi di critica che, benché necessari, non sono presenti nei suddetti motivi di ricorso, nei quali le parti ricorrenti non hanno dedotto alcun vizio ch possa essere astrattamente ascritto al genus del travisamento, vertendosi piuttosto in una critica attinente alla coerente valutazione del complesso degli elementi istruttori, sviluppata con considerazioni comunque da ritenere complessivamente inidonee a smentire la conclusione della Corte.
50.4 In via logicamente pregiudiziale – e indipendentemente da alcune valutazioni di dettaglio in ordine all’oggetto delle ispezioni e alle differenti modal con cui erano poste in essere quelle svolte motu proprio dal personale di Tronco rispetto a quelle svolte in contraddittorio con il personale dell’ente concedente va sottolineato che, con valutazione congrua rispetto al contenuto dell’istruttoria espletata e, di fatto, non oggetto di alcuna censura, la Corte territoriale ha evidenziato come l’analisi dello stato delle barriere (diverso rispetto a quello conseguente alla necessità di ripristino derivante da incidenti) fosse di tipo esclusivamente “visivo”, quindi basata su un’ispezione esterna rispetto allo stato della barriera medesima, non estesa alle componenti interne e, quindi, ontologicamente inadatta a prendere cognizione del loro effettivo stato di manutenzione, con particolare riferimento – per la tematica che qui interessa alla sezione dei tirafondi nascosti alla vista e che partivano dalla cameretta di espansione.
Sul punto, al fine di valutare la regola cautelare – individuata sulla base dei predetti criteri – non assume alcuna rilevanza, né quindi può concretizzare alcuna censura di manifesta illogicità, l’argomentazione, pure oggetto di ampie considerazioni da parte delle difese, in base alla quale le modalità di controllo visivo fossero state costantemente adottate da parte del personale della concessionaria anche in occasione delle visite operate in contraddittorio con il
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personale dell’ANAS e, successivamente, del Ministero delle Infrastrutture e, comunque, non fatte oggetto di rilievi da parte dell’ente concedente.
E’ chiaro, infatti, che l’argomentazione adottata dai ricorrenti finisce, sotto questo profilo, per ricadere – di fatto – sotto la sanzione dell’inammissibilità p aspecificità, non essendo stata operata alcuna effettiva censura rispetto al percorso motivazionale seguito della Corte (che di tali modalità ha univocamente rilevato il carattere oggettivamente non idoneo), ma finendo unicamente per sovrapporre indebitamente la nozione di abitualità di un dato comportamento di verifica e della conseguente prassi rispetto a quella della effettiva adeguatezza del comportamento medesimo in riferimento al rispetto della regola cautelare.
Utilizzando, come rilevato dai giudici di merito, un’argomentazione del tutto aspecifica e inconferente quale quella relativa alle modalità di controllo effettuata dopo il sinistro dai consulenti del p.m. in ordine allo stato delle barriere present sull’altro lato della carreggiata; atteso che i relativi controlli, pure se effettuat modalità visive, avevano da subito evidenziato il cattivo stato della testa dei tirafondi e la scarsa manutenzione delle barriere, rendendo quindi superfluo un controllo di carattere ulteriore.
In tal senso, quindi, le argomentazioni difensive non sono idonee a denunciare vizi di illogicità del ragionamento della Corte, nella parte in cui la stessa ha evidenziato che – al di là della risalente prassi in base alla quale il control delle barriere aveva contenuto meramente “visivo” – la regola di gestione della sicurezza degli utenti della strada secondo la migliore scienza ed esperienza doveva ritenersi inadeguata alla luce delle circostanze del caso concreto la cui conoscenza era già disponibile in capo ai garanti medesimi; con la conseguente violazione della regola cautelare desunta, come sopra evidenziato, dall’art.14 del Codice della strada e dalle disposizioni dettate dalla Convenzione conclusa con l’ente concedente.
Sul punto, la Corte territoriale – con argomentazioni non palesemente illogiche – ha rilevato che la necessità, anche nell’ambito delle attività ascrivibili settore della manutenzione, di controllo delle strutture (in riferimento all richiamata norma UNI 11603 2003) esprime una importante differenza tra manutenzione di tipo meramente “correttivo” e manutenzione di tipo “predittivo” e ” ciclico”, rispondente a una generale esigenza di protezione e alla necessità di neutralizzare potenziali fonti di rischio, sottolineando che, proprio le caratteristiche intrinseche delle barriere new jersey e l’articolazione concreta dei suoi componenti, avrebbero dovuto indurre il gestore a un controllo periodico non limitato alla sola componente esterna ma teso a garantirne la complessiva permanenza della capacità prestazionale.
50.5 In tale quadro interpretativo, la Corte ha sottolineato che il mero controllo visivo non era neanche idoneo a prendere cognizione dello stato della parte esterna dei tirafondi, con particolare riferimento al relativo serraggio.
Quindi, specificamente e solo a tale proposito, la Corte ha richiamato come presidio utilmente valorizzabile – quello dell’omesso controllo dei serraggi mediante chiave dinamometrica; la quale, pure essendo all’epoca dei fatti ancora una metodologia sperimentale (come sottolineato dal giudice di primo grado), era stata comunque già utilizzata per altre arterie e avrebbe potuto fornire adeguati elementi di conoscenza e di prevenzione.
Considerazioni complessive dalle quali deriva la conseguente irrilevanza delle argomentazioni, di mero fatto, spege dalle difese in ordine al dato fenomenico rappresentato dalla già avvenuta utilizzazione di tale metodo – come ritenuto dalla Corte territoriale – sin dall’anno 2012 su altra autostrada gestita dal medesimo concessionario (la Torino-Savona) e alla dedotta assenza di effettiva prova in ordine all’utilizzazione medesima della relativa modalità di controllo.
50.6 Ma, d’altra parte, le argomentazioni difensive finiscono per non confrontarsi con altra fondamentale e decisiva affermazione contenuta nelle sentenze di merito, in base alla quale lo stato di manutenzione delle barriere avrebbe potuto essere assicurato mediante un adeguato e periodico controllo a campione dello stato delle loro componenti interne attraverso lo smontaggio, con lo studio dei relativi risultati e con la successiva ed eventuale riprogrammazione della sostituzione delle barriere stesse e che, come ricordato, nel tratto di strada in questione erano state montate nell’anno 1988 e sottoposte a crash test l’anno precedente.
A tale proposito, l’argomentazione difensiva (in riferimento a quanto dedotto, in particolare, nei ricorsi presentati per conto del COGNOME e del COGNOME) in base alla quale tali controlli, sarebbero, di fatto, stati eseguiti, non è corrobora dagli esiti dell’istruzione dibattimentale riportati nel corpo dei motivi.
In particolare, le difese hanno fatto riferimento a quanto dichiarato dal teste NOME COGNOME che ha parlato genericamente di controlli approfonditi eseguiti sulla barriere in occasione di incidenti, ma senza operare alcun riferimento alle modalità di controllo prima specificate, ovvero quelle da eseguire mediante il sollevamento della protezione, oltre che dei controlli eseguiti sulle barriere sostituite in caso interventi di somma urgenza; rilevando altresì che, proprio dal tenore letterale della formulazione dei motivi, si evince che il controllo delle barriere sul tratto questione avrebbe dovuto essere necessariamente più approfondito proprio in considerazione delle particolarità orografiche e climatiche del tratto medesimo.
Considerazioni sulla base delle quali deve pure escludersi qualsiasi profilo di travisamento per omissione in capo alla Corte territoriale, le cui affermazioni
devono ritenersi immuni da qualsiasi vizio di palese illogicità, nella parte in cu hanno rilevato le evidenti patologie riscontrate nel corso del primo livello d monitoraggio. Senza che risulti la mancanza di adeguati elementi tecnici o analitici astrattamente idonei per riscontrare l’oggettivo ammaloramento delle componenti delle barriere.
D’altra parte deve ritenersi che, ai fini dell’individuazione della regol cautelare applicabile nel caso concreto, l’eventuale impossibilità di prendere effettiva cognizione dello stato complessivo delle barriere mediante i sistemi utilizzati nella prassi (considerazione, di fatto, sottesa a tutti i predetti moti ricorso) avrebbe dovuto comportare, proprio in riferimento ai canoni della migliore scienza ed esperienza e in relazione al contenuto dei doveri di manutenzione di tipo ordinario, l’obbligo di provvedere a una sostituzione ciclica e programmata di tutte le barriere (come detto, predisposte sul tratto di strada in questione nell’anno 1988).
50.7 A tali considerazioni, sulla base di un rinvio sopra operato, va peraltro aggiunta un’ulteriore chiosa, idonea a escludere qualsiasi profilo di illogicità nell motivazione della sentenza impugnata ed a privare di qualsiasi valenza la ricostruzione alternativa operata dalle difese in ordine ai concreti tempi di corrosione dei tirafondi e che, come detto, è stata ascritta a un fenomeno deduttivamente repentino e imprevedibile.
Difatti, come sopra visto, tale corrosione si sarebbe verificata comunque nel corso di alcuni anni (con collocazione operata dal 2009 in avanti), periodo di tempo durante il quale non è stato evidentemente svolto il dovuto monitoraggio dello stato delle barriere secondo le modalità descritte; conseguendone che, anche l’esistenza effettiva del dedotto fenomeno di ammaloramento accelerato, non avrebbe comunque fatto venire meno la responsabilità, derivante da omessa manutenzione, di tutti i predetti garanti.
50.8 In riferimento alla accennata argomentazione articolata nell’ottavo motivo di ricorso presentato dalla difesa del COGNOME e attinente alla c.d. misura soggettiva della colpa sotto il profilo della inesigibilità (considerazione contenut anche nel quinto motivo del ricorso della responsabile civile), la stessa deve ritenersi inammissibile in quanto manifestamente infondata, oltre che aspecifica.
In ordine alla relativa tematica, va premesso che è stata evidenziata (da parte della giurisprudenza di legittimità) la necessità della sussistenza – accanto alla componente oggettiva della colpa – anche di una componente soggettiva, concretizzata dalla reale possibilità per l’agente di adeguarsi allo standard comportamentale previsto; problematica in relazione alla quale la giurisprudenza di questa Corte ha evidenziato che la valutazione in ordine alla prevedibilità dell’evento va compiuta avendo riguardo anche alla concreta capacità dell’agente
di uniformarsi alla regola cautelare in ragione delle sue qualità personali, in relazione alle quali va individuata la specifica classe di agente modello di riferimento (Sez. 4, n. 53455 del 15/11/2018, COGNOME COGNOME, Rv. 274500; Sez. 4, n. 20270 del 06/03/2019, COGNOME, Rv. 276238; Sez. 4, n. 9745 del 12/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280696).
Le censure formulate in ordine al relativo profilo di diritto sono, peraltro omissive del necessario raffronto con le argomentazioni contenute nelle sentenze di merito, nelle quali è stato evidenziato, con generale riferimento al personale in servizio presso il Sesto Tronco e al suddetto ricorrente in particolare, che lo stesso si trovava nelle piene condizioni per procedere, in virtù delle competenze attribuite da parte delle disposizioni interne, a un idoneo monitoraggio delle barriere; essendo quindi del tutto inconferente, anche per le ragioni sopra esposte in ordine alla ravvisabilità della colpa specifica, il riferimento alla sussistenza di consolidato standard facente riferimento all’effettuazione del monitoraggio con sole modalità visive nonché a un non meglio determinato concetto di buona fede, in riferimento alla circostanza che tali modalità di controllo fossero condivise anche da parte dell’ente concedente ovvero a quella in base al quale il ricorrente non fosse personalmente in possesso di adeguate cognizioni tecniche, attenendo il comportamento alternativo lecito, individuato nel caso di specie, all’effettuazione di un’approfondita attività di monitoraggio e non alla concreta valutazione tecnica degli agenti interferenti sullo stato di conservazione delle barriere.
51. Va altresì esaminato, sempre per derivazione logica rispetto a quelli precedenti, l’ottavo motivo proposto dalla difesa del COGNOME nel ricorso sottoscritto dall’Avv. COGNOME con il quale è stata dedotta la violazione del principi dell’affidamento, per avere il ricorrente – quale responsabile dell’RAGIONE_SOCIALE legittimamente confidato nell’attività diligente dei soggetti preposti all preservazione delle barriere di sicurezza, atteso che gli standard di manutenzione e controllo erano fissati a livello centrale, ragione per la quale lo stess · responsabile non avrebbe avuto ragione di mettere in dubbio l’efficacia del sistema di verifica fino ad allora previsto; censurando la sentenza di appello anche sotto il profilo dell’assenza di motivazione in ordine al relativo motivo di impugnazione; rilevando, altresì, che il principio di affidamento è stato evocato anche nell’ambito del terzo motivo articolato dalla difesa del COGNOME e nell’undicesimo mot articolato dalla difesa del COGNOME.
I motivi sono infondati.
Sul punto, come osservato in sede di sentenza di primo grado, in tema di rapporto di causalità nel reato commissivo mediante omissione, non può parlarsi di affidamento quando colui che si affida sia in colpa per aver violato determinate
norme precauzionali o per aver omesso determinate condotte, confidando che altri rimuova o neutralizzi la situazione di pericolo o adotti dei comportamenti idonei a prevenirlo, atteso che – in tali casi – il mancato intervento del terzo non si configur come fatto eccezionale ed imprevedibile sopravvenuto da solo sufficiente a produrre l’evento, in base al principio di equivalenza delle cause (principio enunciato da questa Corte tanto in caso di pluralità di garanti aventi distinti ambit di competenza quanto in materia di cooperazione multidisciplinare, Sez. 4, n. 22614 del 19/02/2008, COGNOME, Rv. 239902; Sez. 4, n. 50038 del 10/10/2017, COGNOME, Rv. 271521).
Occorre, ancor più specificamente, rilevare che dal principio secondo cui , non si può parlare di affidamento quando colui che si affida sia in colpa per avere violato determinate norme precauzionali o per avere omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che altri, che gli succede nella stessa posizione di garanzia, elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione, deriva che qualora, anche per l’omissione del successore, si produca l’evento che una certa azione avrebbe dovuto e potuto impedire, esso avrà due antecedenti causali, non potendo il secondo configurarsi come fatto eccezionale, sopravvenuto, sufficiente da solo a produrre l’evento (Sez. 4, n. 692 del 14/11/2013, dep. 2014, Russo, Rv. 258127).
Nel caso di specie, come sopra evidenziato, la citata istruzione di servizio n.1/2005 attribuiva ai responsabili dell’Area Esercizio il compito di mantenere gli standard qualitativi di servizio e di sicurezza della circolazione anche attraverso la formulazione dei piani di manutenzione, rientrando quindi pienamente nel rispettivo ambito di competenza il rischio derivante dall’inefficienza del sistema di rilevamento dello stato delle barriere autostradali; non essendo quindi invocabile sul punto – ed essendo anzi da ritenere radicalmente improprio – in riferimento al principio di affidamento, il mero rinvio alle modalità di controllo prescritte da par degli organismi centrali dell’organizzazione aziendale.
Nel caso in esame, la Corte territoriale – come detto – ha ampiamento dato conto dell’inadeguatezza di tale sistema di controllo, in relazione ad area di competenza espressamente affidata ai responsabili dell’Area Esercizio, per effetto dell’assoluta inadeguatezza del sistema di verifica visiva e in assenza anche di ispezioni esterne sullo stato effettivo delle parti visibili dei tirafondi.
Pertanto, il mancato riferimento esplicito all’invocato principio di affidamento non è idoneo a concretizzare la dedotta omissione motivazionale tanto sulla base del principio per cui non è censurabile, in sede di legitt la sentenza che non motivi espressamente in relazione a una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza (Sez. 1, n. 27825 del 22/05/2013, COGNOME, Rv. 256340; Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284096).
Argomentazioni che sono, a propria volta, richiamabili anche nei confronti dei soggetti in servizio presso la sede centrale in riferimento al corrett adempimento degli obblighi di manutenzione da parte del personale in servizio presso il Sesto Tronco.
52. D’altra parte – una volta individuata, sulla base delle predette considerazioni, una posizione di garanzia in ordine alla manutenzione anche in capo agli organi centrali – ne consegue l’infondatezza dei relativi motivi di ricors proposti dalle difese del COGNOME, del COGNOME, del COGNOME e del COGNOME, peraltro prevalentemente appuntati – come sopra detto – sulla violazione del principio processuale di correlazione.
In riferimento a quanto sopra esposto – in ordine all’introduzione nella regiudicanda anche dei profili di responsabilità inerenti agli organi central nell’ambito della manutenzione ordinaria – deve ritenersi che il complesso dell’istruttoria espletata abbia fornito elementi idonei per ritenere sussistente tale profilo di colpa anche nei loro confronti e tanto in riferimento ai citati principi in tema di cooperazione, in riferimento all’art.113 cod.pen..
A tale proposito va fatto riferimento alla già citata distinzione, fatta propr dalla Corte territoriale in riferimento al contenuto della norma UNI 11603 del 2003, tra la manutenzione di tipo ordinario (o “correttivo”), in cui ricadono le attività rilevamento di guasti e varie e quella di tipo preventivo (definibile come “ciclica o “predittiva”), nella cui nozione rientrano quelle dirette a prevenire l verificazione dei guasti e delle avarie medesime.
Ciò posto, proprio sulla base delle istruzioni di servizio citate nell consulenza tecnica di parte depositata nel primo grado di giudizio, è emerso incontrovertibilmente – con conseguente assenza di qualsiasi addebito di illogicità in relazione alle osservazioni svolte sul punto dalla Corte territoriale – u evidentemente inadempimento delle strutture centrali (ovvero la Direzione Servizi Tecnici, cui poi è subentrata la CGOM e la Direzione Pavimentazione e Sicurezza, dalla stessa dipendente, al cui interno si trovava l’unità operativa “RAGIONE_SOCIALE“, gestita dal COGNOME) rispetto ai compiti derivanti dall’organigramma interno, in rapporto agli obblighi assunti con la Convenzione Unica e proprio con specifico riferimento all’attività – da ritenersi demandata agli stessi organi centrali, oltre che agli organi periferici – di programmazione e pianificazione della seconda tipologia di attività manutentiva.
In particolare, proprio sulla scorta della lettura di tali ordini di servi emerge – sulla base della valutazione congrua e non palesemente illogica operata dalla Corte territoriale – il totale difetto di coordinamento tra le strutture cen e le Direzioni di Tronco in ordine al necessario supporto specialistico inerente alle
modalità di controllo dell’efficienza della struttura e, di conseguenza, all’adozione delle più appropriate e adeguate misure idonee a prevenire l’obsolescenza delle apparecchiature utilizzate.
Risulta, infatti, che gli organi centrali e periferici avevano avallato una modalità di controllo, ovvero quella di tipo visivo, di cui è stato ampiamente dato atto in ordine all’assoluta inadeguatezza e alla conseguente idoneità a violare la correlativa regola cautelare.
D’altra parte, oltre che nei confronti dei responsabili della Direzione Servizi Tecnici (poi CGOM) e della Direzione Pavimentazione e Barriere di Sicurezza (rispettivamente dirette dal COGNOME e dal Fornaci), la correlativa responsabilità va individuata anche in capo all’organo apicale coincidente con l’Amministratore Delegato.
Facendo rinvio a quanto sopra esposto in ordine alla sussistenza della posizione di garanzia in riferimento allo strategico ambito della manutenzione della rete e all’estensione degli ambiti di intervento della figura apicale, anche in tal caso – conformemente alla valutazione del giudice di appello – deve ritenersi che sia emerso un totale inadempimento rispetto alla funzione di coordinamento degli altri organi della struttura centrale e di quelli locali in ordine alle funzioni (com detto, non delegabili) inerenti alla scelta dei profili di programmazione riguardanti i compiti di controllo in ordine alla corretta manutenzione della rete autostradale.
In particolare, conformemente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, dall’espletata istruttoria non è emersa alcuna prova documentale idonea a dare conto dell’emanazione, da parte della figura apicale, di ordini e direttive riguardanti l’attività di controllo; risultando, quindi, che l’Amministratore Delegat si sia rimesso integralmente alle correlative scelte operate dal middle management e dalle strutture locali, con il conseguente adeguamento a criteri di controllo di tipo prasseologico e con omissione di qualsiasi intervento in ordine alle relative modalità; dovendosi ulteriormente ribadire, sempre in relazione alle argomentazioni difensive spese sul punto, la valenza assolutamente strategica da attribuire all’attività di controllo sulla sicurezza della rete e, in particolare, sull’efficienza prestazionale delle protezioni.
Dovendosi sottolineare, in relazione a profilo di fatto evidenziato dalla difesa, che nessuna valenza esimente può essere attribuita al dato (pure emerso dall’istruttoria) riguardante la comprovata assenza di un flusso di informazioni proveniente dagli organi locali e centrali nei confronti dell’Amministratore Delegato, non assumendo tale circostanza alcuna idoneità a esclude l’inadempimento rispetto ai necessari obblighi di coordinamento e programmazione.
D’altra parte, in relazione ai doveri di alta vigilanza derivanti dalla posizio di garanzia, non è risultato dall’istruttoria che la figura apicale abbia adem necessari compiti di controllo in ordine al corretto adempimento delle funzioni attribuite, in tale ambito, agli altri organi della struttura centrale e a quelli strutture locali, dovendosi quindi ritenere comprovato, come – di fatto – assunto dalla Corte territoriale (pagg.256 e 257) il totale inadempimento, da parte dell’Amministratore Delegato, in ordine a tutti i compiti complessivamente derivanti dalla propria posizione di garante.
I motivi di ricorso proposti dall’Amministratore Delegato e dagli altri dirigenti presso la Direzione Centrale e attinenti alla violazione dell’obbligo di riqualifica delle barriere
53. Come sopra esposto, la sentenza di secondo grado è giunta a un ribaltamento della pronuncia assolutoria adottata dal giudice di primo grado in riferimento alla posizione dei soggetti in servizio presso la struttura cen di Autostrade per l’Italia; e, in particolare, dell’Amministratore Delegato NOME COGNOME del Direttore della Direzione Servizi Tecnici (poi Condirettore della Direzione Generale RAGIONE_SOCIALE) NOME COGNOME, del Direttore dell’articolazione “Pavimentazione Barriere e Sicurezza” NOME COGNOME nonché di NOME COGNOME nella qualità di responsabile dell’unità operativa “RAGIONE_SOCIALE“, nonché responsabile unico del procedimento relativo al progetto di sostituzione e potenziamento delle barriere del bordo laterale dell’autostrada Napoli-Canosa (km 26-50), in relazione specifica alle condotte originariamente contestate nel capo “C”, n.1), dell’imputazione e attinenti alla violazione dell’obbligo di riqualifica dell’intero viadotto Acqualo presente sull’autostrada A16.
Mentre, come sopra rilevato, la Corte territoriale – anche in tal caso ribaltando le conclusioni del Tribunale – ha ravvisato dei puntuali profili di col in ordine ai compiti dei soggetti in servizio presso la sede centrale e puntualmente attinenti alla manutenzione della rete.
51. Va quindi rilevato che, nel terzo motivo proposto dalla difesa del COGNOME, nel sesto motivo proposto dalla difesa del COGNOME, nel terzo m proposto dalla difesa del COGNOME e nel primo motivo proposto dalla difesa del For nonché nel settimo motivo proposto dalla responsabile civile – tutti attinenti specificamente alla suddetta condotta – è stato dedotto che la Corte territoriale sarebbe giunta a un ribaltamento della sentenza assolutoria pronunciata
Tribunale senza rispettare i principi, ormai enunciati da risalente giurisprudenza, in punto di necessità di una “motivazione rafforzata”.
Tali principi partono dal presupposto che – fatto salvo il solo caso particolare in cui il provvedimento assolutorio di primo grado abbia un contenuto motivazionale generico e meramente assertivo, posto che, in tale ipotesi, non vi è neppure la concreta possibilità di confutare argomenti e considerazioni alternative del primo giudice (Sez. 6, n. 11732 del 23/11/2022, dep. 2023, S., Rv. 284472) – il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231679); parlandosi, in questo caso, di obbligo di una motivazione “rafforzata”, che specificamente consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo conferire alla decisione una forza persuasiva superiore e da rispettare, in tale modo, il canone dell'”al di là di ogni ragionevole dubbio” (Sez. 1, n. 12273 del 05/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 262261; Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056, tra le altre).
Ne consegue, sulla base della valutazione di questo Collegio, che il principio di motivazione rafforzata assume una duplice valenza in relazione a ordini di argomentazioni da ritenere reciprocamente ben distinte.
Da un lato, difatti, il giudice d’appello che riformi la sentenza assolutoria d primo grado è tenuto, sul piano strettamente processuale, a dare conto in modo analitico, sulla base degli elementi già acquisiti in primo grado ovvero derivanti dalla rinnovazione istruttoria (aspetto su cui in fra), delle ragioni di disaccordo con la pronuncia del giudice a quo.
Dall’altro, la potenziale valenza della sentenza di secondo grado a svellere, sul piano effettivo, la ricostruzione operata dal Giudice di primo grado deve comunque essere sottoposta – evidentemente alla luce delle censure articolate dalla parte – a un controllo intrinseco di logicità al fine di ritenere la sussiste della forza persuasiva superiore.
La valutazione in ordine al rispetto del relativo canone motivazionale non può che prendere le mosse dal contenuto – già sopra riassunto in sede di esposizione del “ritenuto in fatto” – delle rispettive pronunce rese dai giudici d
merito in ordine ai predetti imputati e in riferimento specifico alla condott consistente nella violazione dell’obbligo di riqualifica.
Rilevando, in tale sede, che i suddetti principi in tema di motivazione rafforzata sono anche richiamabili in relazione al predetto e ulteriore profilo d colpa, ravvisato in capi ai soggetti in servizio presso la struttura centrale, attinen alla violazione degli obblighi in tema di manutenzione.
55. La sentenza di primo grado (partendo dell’ipotesi accusatoria, facente riferimento alla omessa “riqualificazione” dell’intero viadotto INDIRIZZO con sostituzione delle barriere di sicurezza con quelle marcate CE) ha ritenuto astrattamente sussistente un obbligo di garanzia in capo a tutti i predetti imputati in considerazione delle competenze assunte all’interno della struttura, ivi compreso l’Amministratore Delegato in riferimento al potere di controllo, di indirizzo e di alta vigilanza allo stesso spettante; deducendo, altresì, come anche gli altri tre imputati, per i ruoli ricoperti all’interno della società, fossero della gestione del rischio connessa all’attività di riqualificazione delle barrie autostradali.
Il Tribunale ha dedotto che la Convenzione Unica conclusa nel 2007 non impegnasse RAGIONE_SOCIALE a riqualificare tutte la barriere di bordo laterale, in assenza delle necessarie indicazioni temporali, concludendone in ordine all’assenza di un obbligo normativo o convenzionale di adattamento di tutte le protezioni; ha altresì ritenuto che, dalle risultanze istruttorie, sia emersa un’interpretazione alternativa degli strumenti di programmazione, sulla base della quale il piano di riqualifica adottato nel 2008, pur limitato alle barriere di primo impianto, avrebbe lasciato alla scelta discrezionale del progettista la decisione sull’eventuale inclusione nell’intervento di riqualifica anche di barriere di tipo diverso; in particolar Tribunale ha richiamato la testimonianza dell’ingegner COGNOME, progettista dell’intervento di riqualificazione sulle barriere dell’autostrada Napoli-Canosa, i quale aveva riferito di avere individuato – all’interno del Tronco stradale i questione – i soli tratti significativi su cui intervenire e che il viadotto INDIRIZZO non era stato inserito fra gli stessi, in quanto la barriera era stata ritenuta idone sulla base di una valutazione effettuata in virtù del crash test eseguito nel 198788, precisando che i tratti da non riqualificare erano stati indicati nella tabel allegata alla scheda di progetto con la sigla “RQ”.
Testimonianza che sarebbe stata avvalorata da quanto dichiarato dal teste NOME COGNOME e della teste NOME COGNOME la quale ha riferito che su interessati dai piani di riqualifica vi erano anche barriere non di primo impianto; i Tribunale ha quindi ritenuto (pag.271) che “le barriere presenti sul viadotto INDIRIZZO erano ricom prese nel piano di riqualifica, ma il progettista, sulla base
di una sua valutazione compiuta congiuntamente alla sua linea, decise di non sostituire le barriere presenti sullo stesso”, come attestato dalle schede di dettaglio del progetto esecutivo e in cui il tratto chilometro su cui correva il viad stato indicato con la predetta sigla “RQ” e quindi escluso dall’obbligo medesi
Il Giudice di primo grado ha quindi argomentato che il piano adottato il 18 dicembre 2008 – nei cui ambito si inseriva il successivo piano di riqualifica dei km 27-50 dell’autostrada A16 – consentisse la riqualificazione di tutte le b presenti sulle tratte interessate senza limitazione a quelle di primo im essendo la relativa opzione da ritenere esclusivamente imputabile alla scelt del progettista sulla base delle concrete caratteristiche delle protezioni; ha quindi dedotto che non sussistesse alcun obbligo di sostituzione delle barriere presenti sul viadotto INDIRIZZO, obbligo che non si imponeva in considerazione dell’appartenenza delle barriere alla classe H3 ma, di fatto, corrispondente alla classe H4; mentre ha sostenuto che non potesse ravvisarsi una violazione di un obbligo cautelare nell’omessa verifica, nella fase di studio propedeutica alla progettazione, delle effettive condizioni di manutenzione e conservazione delle barriere.
In sostanza, il ragionamento complessivamente adottato dal Tribunale si basa sul fatto che l’accertamento preventivo delle condizioni di efficienza delle barriere non facesse parte dell’ attività di riqualificazione, a propria volta trae spunto unicamente dalle caratteristiche astratte delle protezioni, essendo invece rimesso soltanto alla fase di verifica della corretta manutenzione delle b l’accertamento delle condizioni di efficienza medesime, compito da intendersi attribuito ad altri soggetti operanti nella società e coincidenti con quelli titolar compiti connessi alla manutenzione stessa.
Di conseguenza, il ragionamento probatorio seguito dal Tribunale, fondato sull’interpretazione complessiva del piano di riqualifica ma anche dell’ambito di applicazione dell’art. 2 del d.m. 223/1992, si è basato sul dato della esclusiva responsabilità dei soggetti tenuti alla manutenzione delle barriere e sulla mancanza di un obbligo di verifica della loro corretta manutenzione in capo al progettista esecutivo e a tutti i soggetti incaricati dell’eventuale attivit riqualifica; sottolineando, altresì, che lo stesso decreto ministeriale sopr richiamato imponeva l’obbligo di sostituzione nei soli tratti qualificati com significativi, concludendone che, in conseguenza della classe di appartenenza della barriera, se la stessa fosse stata tenuta in adeguato stato di manutenzione sarebbe stata in grado di contenere l’urto alla base dell’evento.
La pronuncia assolutoria si fondava, quindi – come osservato dalla Corte di appello – su due fondamentali ordini di ragioni (pag.258 della sentenza di secondo grado) ovvero: a) l’insussistenza di un obbligo di riqualifica delle b
collocate lungo il INDIRIZZO, in quanto dello stesso tipo di quelle “omologate”; b) l’oggetto assunto, di fatto, dal piano di riqualificazione adottato i 18 dicembre 2008, lasciando lo stesso al progettista esecutivo la possibilità di disporre la sostituzione anche di barriere di c.d. secondo impianto.
56. L’apparato argomentativo posto alla base della sentenza di primo grado è stato integralmente ribaltato dalla motivazione resa dai giudici di secondo grado nell’esame dell’appello proposto dal p.m..
La Corte territoriale ha premesso che l’obbligo di riqualificazione delle barriere laterali – nella loro interezza – era stato assunto da Autostrade nell’ambito dell’allegato “E” alla Convenzione Unica del 2007, senza limitazioni in ordine al tipo di barriere da riqualificare e precisando, in conformità con quanto peraltro ritenuto dal Tribunale, che gli interventi di riqualifica dovevano essere intesi come quelli finalizzati al miglioramento della capacità prestazionale delle barriere.
La Corte, in ordine a tale secondo aspetto, ha quindi ritenuto errata l’interpretazione lessicale operata dal Tribunale del contenuto del piano di riqualifica, ritenendo – invece – che lo stesso fosse espressamente attinente alla sola riqualificazione dei tratti con barriere metalliche di “primo impianto”, di modo che – in sede esecutiva – lo stesso non potesse legittimare alcun intervento sulla barriere new jersey in calcestruzzo; come argomentato sulla base del raffronto tra i diversi dati chilometrici contenuti nelle tabelle allegate al piano, dalle q era possibile evincere che gli interventi sulle barriere di prima generazione erano limitati a quelli sulle barriere metalliche “a doppia onda”, con esclusione delle barriere in calcestruzzo, nemmeno menzionate (nell’ultima pagina del piano) tra le barriere di seconda generazione; elemento, questo, che sarebbe stato confermato dalla produzione del progetto esecutivo relativo alla Napoli-Canosa, atteso che, in tale ambito, le barriere in calcestruzzo non erano state né visionate, né fotografate e né, in ultima analisi, prese in esame in ordine al loro stato manutentivo.
Considerazione, questa, che è stata ritenuta confermata dalla stessa intestazione del successivo progetto relativo al tratto autostradale compreso tra il km 27 e il km 50 della A16, in quanto intitolato “Progetto di sostituzione e potenziamento delle barriere metalliche di sicurezza per bordo laterale”, emergendo dalla lettura dei progetti esecutivi – e dall’interpretazione delle relative sigle – che i tratti già dotati di barriere new jersey erano indicati come già riqualificati e, quindi, non oggetto di intervento sostitutivo; e che, tra questi, compreso proprio il tratto di viadotto ove è avvenuto il sinistro, emergendo dalla lettura complessiva degli atti che nessuna barriera new jersey era stata rimossa con l’eccezione di un breve tratto complessivo di 11 metri.
La Corte ha quindi ritenuto che il piano generale di riqualifica e i successivi progetti esecutivi avrebbero deliberatamente escluso dall’area di intervento le barriere in calcestruzzo, in considerazione della loro classe di valore nominale (parificato a quella di una barriera di tipo H3), prescindendo da qualsiasi valutazione in ordine al loro effettivo stato di idoneità.
I giudici di appello, in ordine all’estensione dell’obbligo di riqualificazio delle barriere, hanno quindi argomentato che la Convenzione Unica del 2007 prevedeva un obbligo di riqualifica esteso all’intera rete autostradale e che la concreta delimitazione dell’obbligo non potesse essere interpretata alla luce di sole valutazioni nominali senza alcuna verifica di carattere concreto.
Hanno altresì fatto riferimento al disposto del dm. 223/1992, il quale prevedeva un vero e proprio obbligo di progettazione esecutiva in tutte le attività consistenti, in particolare, nell’adeguamento di “tratti significativi” e qui imponendo l’intervento di un tecnico qualificato in tutte le occasioni di estes interventi sull’esistente; ritenendo che non potesse non considerarsi come “tratto significativo”, nella propria interezza, quello oggetto degli interventi eseguiti s primi 100 chilometri dell’autostrada Napoli-Canosa; derivandone la contrarietà alle disposizioni di riferimento di una progettazione esecutiva non estesa alla totalità di tale tratto e che tale omissione avrebbe determinato l’impossibilità, in capo al progettista esecutivo, di prendere atto delle concrete condizioni delle barriere new jersey presenti sul viadotto, presa d’atto – a propria volta – propedeutica alla necessaria sostituzione delle barriere medesime.
57. Tale sintesi delle contrapposte tesi espresse dai giudici di merito è funzionale al rigetto dei motivi di ricorso con i quali – peraltro con argomentazioni che, in riferimento alle considerazioni pregresse, attengono in realtà al profilo di logicità della conclusione raggiunta dalla Corte d’appello – è stata prospettata la violazione dell’obbligo di motivazione c.d. rafforzata.
Difatti, come risulta evidente dalla predetta sintesi, la Corte ha previamente individuato i profili di fatto posti dal Tribunale alla base dell’esclusione di asp di responsabilità colposa in capo all’Amministratore Delegato e agli altri soggetti in servizio presso la sede centrale e li ha analiticamente esaminati e con operando una ricostruzione alternativa puntualmente attinente alla sussistenz un profilo di colpa specifica in ordine ai suddetti imputati; in tale modo dove ritenere che la Corte abbia offerto una completa esposizione delle ragioni poste alla base delle difforme conclusione raggiunta rispetto a quella fatta propria dal giudice di primo grado.
58. D’altra parte, gli imputati hanno anche formulato specifici motivi di ricorso in ordine alla dedotta violazione dell’art.603, comma 3bis, cod.proc.pen., che, nel testo applicabile ratione temporis, prevedeva che «Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice, ferme le disposizioni di cui ai commi da 1 a 3, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale».
Si tratta, nello specifico, di deduzioni contenute nel quarto motivo di ri articolato dalla difesa del COGNOME, nel settimo motivo di ricorso articola difesa del COGNOME, nel terzo motivo articolato dalla difesa del COGNOME e della parte dell’ottavo motivo articolato dalla difesa della responsabile civile, oltre a essere state richiamate espressamente anche nel primo motivo articolato dalla difesa del COGNOME.
I motivi sono infondati.
58.1 Come è noto, la questione relativa all’obbligo di rinnovazione istruttoria in caso di appello presentato dal p.m. avverso una pronuncia di assoluzione e fondato sulla valutazione di una prova dichiarativa si è posta in seguito alla sentenza della Corte EDU nel caso Dan c. Moldavia, emessa il 5 ottobre 2011, che aveva stabilito che il c.d. overtuming in appello di una sentenza di assoluzione – per rendere il processo equo ai sensi dell’art. 6 CEDU – non poteva prescindere dalla rinnovazione dell’esame dei testimoni decisivi; principio poi recepito in via giurisprudenziale dalle Sezioni Unite nelle pronunce Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267487 e Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269785 (in relazione alla riforma di sentenza di assoluzione emessa all’esito di giudizio abbreviato non condizionato) e quindi positivizzato nell’ordinamento interno per effetto dell’introduzione dell’art.603, comma 3bis, cod.proc.pen. ad opera della I. 23 giugno 2017, n.103.
Nella copiosa elaborazione giurisprudenziale seguita all’affermazione del principio, questa Corte ha affermato che la necessità per il giudice di appello di procedere, anche d’ufficio, alla rinnovazione dibattimentale della prova ai sensi dell’art. 603, comma 3b/s, cod. proc. pen. concerne il solo caso in cui alla riforma della sentenza di assoluzione si giunga esclusivamente sulla base di una diversa valutazione della prova dichiarativa e non anche nell’ipotesi in cui si pervenga al diverso approdo decisionale in forza della rivalutazione di un compendio probatorio di carattere documentale (Sez. 2, n. 53594 del 16/11/2017, Piano, Rv. 271694; Sez. 3, n. 36905 del 13/10/2020, Vergine, Rv. 280448); conclusione che, d’altra parte, è imposta proprio dal tenore letterale della disposizione cont nell’art.603, comma 3bis, cod.proc.pen., la quale chiarisce testualmente che la valutazione della prova effettuata dalla sentenza di primo grado di proscioglimento
impugnata dal pubblico ministero per motivi che a tale valutazione attengano, è esclusivamente quella avente ad oggetto la «prova dichiarativa».
58.2 Va quindi rilevato che il ribaltamento della sentenza di primo grado in ordine al capo C1) – con specifico riferimento ai profili posti alla base dell sentenza di assoluzione – si è fondato su argomentazioni di carattere prettamente documentale; costituiti, in particolare, dall’esame del contenuto della Convenzione Unica conclusa nel 2007 tra ANAS e Autostrade, dalla valutazione del contenuto del piano di riqualifica adottato dal Consiglio di amministrazione con la delibera del 18 dicembre 2018 e dal contenuto della relazione generale e del progetto esecutivo di sistemazione e potenziamento delle barriere metalliche di sicurezza per bordo laterale adottato da Autostrade nel novembre del 2011 e relativo all’autostrada A16 Napoli-Canosa.
Mentre, quanto all’unica fonte dichiarativa citata nella parte argomentativa della Corte territoriale – ovvero l’Ing. NOME COGNOME (nella propria veste d ingegnere dipendente di Autostrade per l’Italia s.p.a. e progettista dell’intervento di riqualificazione delle barriere bordo laterale dal INDIRIZZO al INDIRIZZO dell’A1 questi è stato escusso tanto nel corso del primo grado quanto nel secondo grado di giudizio, mentre pure è stata disposta la nuova audizione dei testi COGNOME e COGNOME.
Deve quindi ritenersi che la Corte territoriale non abbia posto in essere violazioni dell’art.603, comma 3bis, cod.proc.pen, pur in assenza della rinnovazione dell’escussione dei testi COGNOME, COGNOME e COGNOME ritenendo valutazione implicita ma inequivocabile, che le testimonianze stesse fossero tutto irrilevanti ai fini della decisione; rammentando sul punto che al giudice di secondo grado, ai fini dell’adozione di una sentenza di condanna che ribalti un precedente esito assolutorio, non è richiesto necessariamente – fatto salvo il successivo controllo di logicità della motivazione – di disporre la rinnovazione di prove dichiarative qualora ritenute, come nel caso di specie, di rilevanza del tutto marginale rispetto alle risultanze documentali ovvero quando la deposizione è valutata in maniera del tutto identica sotto il profilo contenutistico, ma il suo significato probatorio viene diversamente apprezzato nel rapporto con le a prove (cfr. Sez. 5, n. 33272 del 28/03/2017, COGNOME, Rv. 270471; Sez. 6, n. 49067 del 21/09/2017, COGNOME, Rv. 271503; cfr. anche Sez. 2, n. 3129 del 30/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285826).
58.3 Alcun profilo di patologia processuale rilevante ai sensi della disposizione invocata è altresì deducibile in ragione della mancata rinnovaz dell’escussione del perito (la cui audizione era stata disposta ex officio dalla Corte territoriale e al quale le parti, in considerazione del rigetto delle richieste difens in ordine alle modalità di escussione, non avevano rivolto alcuna domanda), atteso che il ribaltamento della sentenza di condanna non è avvenuto sulla base di un
diversa lettura degli elementi deducibili dall’esame svolto in primo grado e dalla relazione ivi depositata, non essendo quindi stato operato alcun diverso apprezzamento di tale mezzo di prova; con la conseguenza che non si ravvisa alcuna violazione dei principi espressi, sul punto, da Sez. U, n. 14426 del 28/01/2019, Pavan Rv. 275112 – 01.
Nemmeno (in relazione alle considerazioni contenute nel terzo motivo del ricorso proposto dalla difesa del COGNOME) profili di patologia derivano dal fatto che l Corte, dopo aver disposto d’ufficio la riconvocazione del perito, non gli abbia formulato alcuna domanda, non essendo l’invocata disposizione contenuta nell’art.151, comma 2, disp.att., cod.proc.pen., idonea a fondare qualsiasi aspetto di nullità.
A ciò va comunque aggiunta l’argomentazione ulteriore – in ordine all’escussione dei testi da ultimo citati – in base alla quale il giudice di appello c in forza di una diversa valutazione della prova dichiarativa, condanni l’imputato assolto in primo grado, non è tenuto a procedere a una nuova audizione dei testimoni, nel caso in cui le parti abbiano concordemente rinunciato alla rinnovazione dell’istruttoria (Sez. 5, n. 16286 del 28/03/2023, V., Rv. 284397; Sez. 4, n. 8283 del 16/11/2023, dep. 2024. COGNOME, Rv. 285869); considerazione sicuramente applicabile al caso di specie, atteso che le difese – in sede di appello – non avevano richiesto l’audizione dei predetti testi e che le richieste di rinnovazione istruttoria proposte si fondavano esclusivamente sull’aspetto (già sopra esaminato e attinente a diversa tematica) della nuova audizione dei consulenti di parte.
59. Tanto premesso, devono quindi essere analizzati i motivi di ricorso attinenti all’effettiva violazione di una regola cautelare derivante dal contenuto dei predetti progetti (quello generale di riqualificazione e quello attinente alle barrier presenti sul tratto autostradale ove è avvenuto il sinistro), in rapporto alle fon normative di riferimento indicate nell’atto di esercizio dell’azione penale, sulla base di un’ipotesi accusatoria ritenuta fondata dai giudici di appello.
59.1 Come sopra riassunto in sede di “ritenuto in fatto”, la difesa dell’Amministratore Delegato COGNOME ha articolato, sul punto, quattro motivi di impugnazione, ovvero il settimo, l’ottavo, il nono e il decimo.
Nel settimo motivo è stato dedotto un indebito collegamento tra attività del progettista e condotta dell’Amministratore Delegato.
Nell’ottavo motivo – il cui contenuto è stato già esaminato anche in relazione al profilo attinente ai compiti in materia di manutenzione ordinaria – è stata dedotta l’assenza di una posizione di garanzia riferibile all’Amministratore Delegato in ordine all’attività di riqualificazione della rete (considerazione posta
alla base, in relazione a tutti i componenti degli organi centrali, anche del nono motivo proposto dalla responsabile civile).
Nel nono motivo (in cui è stata dedotta una violazione sanzionabile ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen.), il ricorrente ha premesso che i tempi di adozione del piano pluriennale di riqualificazione non erano previsti dall’art.3 della Convenzione Unica e che il richiamo al piano finanziario non potesse che ritenersi limitato agli interventi previsti dall’art.3, lett.f), dell’atto, i “il piano finanziario, infatti, per la sua natura e funzione, non può prevedere obblighi realizzativi aggiuntivi a quelli disciplinati dalla Convenzione”, che, pertanto, dallo stesso non potesse farsi discendere alcun obbligo per il concessionario in ordine alla riqualificazione delle barriere di bordo ponte e che l’obbligo di sostituzione delle barriere con quelle di “tipo H2 – H3 su terra e H3-H4 su bordo ponte”, si trovava contenuto all’interno della sezione su “Relazione di manutenzione e piano di sicurezza”, per la quale non erano previste risorse specifiche né nella tabella né nel piano economico finanziario, discendendone che in alcun modo poteva dedursi dal testo della Convenzione l’obbligo di sostituzione delle barriere new jersey presenti sul viadotto INDIRIZZO; in ciò richiamando anche gli esiti della prova per testi assunta nel corso del primo e del secondo grado di giudizio (con riferimento specifico alle dichiarazioni rese dal teste NOME COGNOME in servizio presso il Ministero delle Infrastrutture, in ordine alla mancanza di un obbligo astratto di riqualificazione di barriere non adeguate); ha quindi argomentato che le barriere installate sul viadotto dovevano ritenersi della classe più elevata, con conseguente insussistenza di un obbligo di riqualificazione, atteso che molteplici risultanze istruttorie dimostravano che la barriera apparteneva alla classe H4, come confermato dallo stesso perito. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In ordine alla nozione di “tratto significativo”, contenuta nell’art.2, comma 3, d.m. n.223/1992, ha dedotto che la normativa non si applicava alla manutenzione della barriera ma alla sola fase della progettazione esecutiva; concludendone che tutti gli interventi di manutenzione ordinaria non fossero soggetti al rispetto di tale disposizione; ha quindi desunto, nel merito delle argomentazioni della Corte di appello, che la nozione di “tratto significativo” dovesse essere intesa in senso “funzionale”, intendendosi per tratto significativo quello che permette alla barriera di funzionare, con conseguente impossibilità di considerare nell’ambito di tale nozione l’intera tratta autostradale considerata dall’intervento di riqualifica; ritenendo che la Corte avesse invertito i termini del questione posta dal d.m. 223/1992, sulla base del quale doveva invece ritenersi dapprima necessaria la delimitazione dell’intervento di riqualificazione e, successivamente, la progettazione esecutiva; ritenendo altresì che l’obbligo di progettazione non potesse farsi discendere dalla particolare collocazione
orografica del tratto e dalla sua conseguente pericolosità, essendosi ivi sposata una concezione atecnica del concetto relativo.
Nel decimo motivo, in cui è stato denunciato un vizio di illogicità della motivazione, la difesa ha altresì contestato l’interpretazione conferita dalla Corte territoriale alla delibera del 18 dicembre 2008 adottata dal Consiglio di Amministrazione; ha infatti dedotto che nel piano relativo era stata disposta la riqualificazione di tutte le barriere presenti sulle tratte stradali senza distinzi tra quelle metalliche e quelle in calcestruzzo, ribadendo che l’obbligo di sostituzione desumibile dalla relazione sul programma di manutenzione e sul piano di sicurezza non si estendesse alle barriere già aventi le caratteristiche di quelle d tipo H4; ha comunque contestato la valutazione della Corte in ordine al fatto che la delibera adottata il 18 dicembre 2008 riguardasse solo barriere di tipo metallico confutando la complessiva interpretazione del contenuto del piano, esponendo che la stessa motivazione – soffermandosi sulle dichiarazioni degli imputati – aveva fatto riferimento alla sostituzione anche di barriere in calcestruzzo, per quanto su tratti esigui; richiamando, sul punto, anche alcuni progetti esecutivi depositati dalla responsabile civile dai quali era desumibile che l’intervento di riqualificazion aveva riguardato anche barriere in calcestruzzo, ribadendo quindi l’erronea interpretazione della Corte in ordine al contenuto della delibera adottata dal consiglio di amministrazione.
59.2 La difesa del COGNOME, nell’ambito del sesto motivo – attinente alla dedotta insussistenza di una motivazione rafforzata – ha spiegato un’ampia serie di considerazioni in ordine alla ritenuta sussistenza di una condotta colposa derivante dalla mancata riqualificazione delle barriere del viadotto INDIRIZZO.
Ha dedotto che il mero inserimento del tratto in questione in quello oggetto dell’intervento realizzato sulla A16 non implicasse alcun obbligo di sostituzione delle barriere, atteso lo specifico coefficiente di contenimento di quelle collocate sul viadotto e ritenendo che dovesse applicarsi, nel caso di specie, un principio di affidamento, in capo al progettista esecutivo, in ordine al corretto adempimento degli obblighi di manutenzione da parte degli organi deputati; ha dedotto che la Corte territoriale avrebbe travisato il contenuto del piano di riqualificazion adottato nel 2008 e che, in ogni caso, le barriere in calcestruzzo non necessitavano di alcuna riqualificazione trovandosi già ad un massimo livello di sicurezza; deducendo che, tra gli obblighi del concessionario fissati in sede convenzionale, non figurasse quello di riqualificazione delle barriere di contenimento; quanto alla valenza del d.m. n.223/1992 ha dedotto che, dalla relativa fonte, non poteva trarsi alcun obbligo di riqualificazione dell’intero tratto di strada oggetto dell’interven proprio in quanto il concetto di significatività non poteva ritenersi esteso all barriere aventi già una valutazione prestazionale più elevata, sottolineando che,
in assenza di definizione normativa, già il Tribunale si era affidato per la chiarificazione della portata dell’espressione a quanto dichiarato da alcuni testi particolarmente qualificati, i quali tutti avevano escluso la sussistenza di un obbligo generalizzato di sostituzione delle barriere sui tratti interessati dall’interven suddetto.
Ulteriormente, nell’ambito del decimo motivo di impugnazione, la difesa del COGNOME ha evidenziato come l’inottemperanza al dedotto obbligo di sostituzione non si sarebbe posto in rapporto causale con l’incidente, da ricondurre alla sola violazione degli obblighi di manutenzione.
59.3 La difesa del COGNOME ha articolato cinque distinti motivi (compresi tra il settimo e l’undicesimo) che sono tra di loro strettamente connessi sul piano logico, riguardando tutti la problematica in questione attinente alla sussistenza di un obbligo di riqualificazione delle barriere in calcestruzzo e alla sua efficienz causale rispetto all’evento.
Ha dedotto (settimo motivo) l’erroneità della valutazione della Corte nella parte in cui aveva escluso dall’oggetto del piano di riqualificazione approvato il 18 dicembre 2008 anche l’intervento sulle barriere in calcestruzzo, atteso che le emergenze documentali dimostravano che si era operato anche su tale tipologia di barriere; evidenziando il dato rappresentato dalla corrispondenza delle barriere presenti sul viadotto INDIRIZZO alla capacità prestazionale propria delle barriere di ultima generazione; sottolineando l’erroneità della valutazione del giudice di appello in punto di mancanza di copertura finanziaria per l’intervento sulle barriere in calcestruzzo nonché l’illogicità delle deduzioni inerenti alla asserita no credibilità dell’Ing. COGNOME
Ha altresì dedotto (ottavo motivo) la violazione dell’art.2 del d.m. n.223/1992, atteso che lo stesso non conteneva nessun criterio relativo all’individuazione delle barriere da sostituire ma si riferiva alla sola fase del progettazione esecutiva, a propria volta posteriore rispetto alla individuazione dei tratti significativi; individuazione da ricondurre al superiore livello di progettazi (ovvero quella generale) e che, nel caso di specie, aveva tenuto conto della già avvenuta riqualificazione delle barriere; ha dedotto che il suddetto d.nn. non comportava comunque alcun obbligo per il progettista di eseguire un sopralluogo (nono motivo) ovvero di verificare lo stato manutentivo del dispositivo di ritenuta; ha comunque dedotto la carenza di un’adeguata analisi sul piano della causali della colpa e del giudizio controfattuale, atteso che gli stessi giudici avevano ricondotto la causa dell’evento a un difetto di manutenzione delle bar (decimo motivo); assumendo, altresì, che la sentenza non avrebbe dato conto dell’effettivo contributo del ricorrente all’adozione della delibera del consiglio amministrazione nonché del ragionevole affidamento che questi poteva riporre nel
corretto adempimento degli obblighi di manutenzione (undicesimo motivo); deducendo, quindi, che l’evento si sarebbe verificato per il solo inadempimento rispetto a tali ultimi obblighi.
59.4 La difesa del COGNOME ha dedicato alla questione in esame una parte (la 4.2) del quarto motivo di ricorso; ha contestato che il piano approvato nel 2008 impedisse la riqualificazione di barriere non metalliche, in realtà valutate in sede di progettazione esecutiva e ritenute già riqualificate; ha dedotto, inoltre l’insussistenza di un obbligo di riqualificazione delle barriere discendente dalla Convenzione Unica ovvero dalla normativa di settore.
59.5 La difesa della responsabile civile ha altresì articolato sul punto il settimo motivo di impugnazione; nel quale ha negato, sul piano delle fonti rilevanti, la sussistenza di un obbligo generalizzato di riqualifica delle barrie laterali e negato comunque il fondamentale elemento rappresentato dalla causalità della colpa oltre che quello del necessario nesso causale.
60. L’esposizione delle ragioni poste alla base delle sentenze di merito – e, in particolare, di quella della Corte di appello – costituisce un preambolo necessario al fine di valutare la fondatezza delle complessive censure spiegate dai suddetti ricorrenti sullo specifico punto attinente all’effettiva sussistenza di un obbligo riqualifica e all’ambito degli obblighi eventualmente desumibili dal testo del d.m. 223/1992; aspetti in ordine ai quali, sulla base della sinossi prima esposta, i ricorrenti in questione hanno formulato censure sostanzialmente sovrapponibili e che possono essere quindi oggetto di trattazione unitaria.
61. Anteriormente rispetto all’esame nel merito dei motivi di impugnazione deve essere esplicitato un necessario preambolo – rilevante anche ai sensi dell’art.619, comma 1, cod.proc.pen. – specificamente attinente alla distinzione, contenuta in entrambe le sentenze di merito, tra attività di manutenzione e attività di riqualificazione; distinzione che, prendendo spunto dal contenuto della norma UNI 11603 (nella versione vigente all’epoca del fatto) si fonda sul dato in base al quale, nello specifico settore delle barriere di sicurezza, vengono indicati il termine di “riqualifica” gli interventi che comportano la “sostituzione completa del bene”, con la finalità di conseguire più elevati standard prestazionali per l’infrastruttura, con la conseguenza che gli stessi debbano essere esclusi dall’ambito dell’attività di manutenzione ordinaria ovvero straordinaria.
Sul punto, ritiene questo Collegio che – in riferimento alla già richi disposizione contenuta nell’art.14 del Codice della strada – l’attività d riqualificazione, da definire come sostituzione di elementi presenti sulla rete autostradale e diretti a garantire la sicurezza della circolazione, non possa che
essere ricompresa nella generale nozione di manutenzione (sotto la specie di quella “predittiva”) e, quindi, nell’ambito degli obblighi gravanti sull’ente gesto ai sensi della predetta disposizione che, come detto, va posta a base tanto dell’individuazione della posizione di garanzia quanto della configurazione della regola cautelare in virtù della sua interpretazione quale disposizione elastica.
Pertanto, in riferimento alle deduzioni inerente alla sussistenza della posizione di garanzia, risultano vieppiù richiamabili le precedenti argomentazioni, spese in ordine alla valenza strategica di tale attività e in ordine alla n delegabilità delle stesse da parte delle figure apicali, con particolare riferiment all’Amministratore Delegato.
Va quindi affermato il seguente principio di diritto: “nell’ambito dell’attività di manutenzione, di competenza dell’ente proprietario de//a strada ovvero de/ concessionario ai sensi dell’art.14 del d.lgs. 30 aprile 1992, n.285, va ricompresa tanto quella inerente alla manutenzione ordinaria e straordinaria degli elementi finalizzati a garantire la sicurezza quanto quella di sostituzione degli stess finalizzata a garantire il miglioramento complessivo della struttura allo scopo di assicurarne un miglioramento prestazionale finalizzato alla tutela degli utenti”.
62. Ciò posto, ritiene il Collegio che tutti i predetti motivi di ricorso si infondati.
62.1 In ordine alle argomentazioni difensive – poste alla base di dedotti vizi di illogicità anche per travisamento, sotto il profilo dell’omissione – iner all’esclusione delle barriere in calcestruzzo dall’ambito degli interventi deliberati sede di approvazione del piano pluriennale di riqualifica adottato il 18 dicembre 2008, le stesse vanno ritenute infondate, essendosi la Corte territoriale attenuta al contenuto letterale dell’atto e avendo adottato, in ordine allo stesso, adeguati criteri di interpretazione che sfuggono a qualsiasi censura di illogicità.
Al fine di prendere compiutamente in esame le argomentazioni difensive (che, nella loro generalità, si basano – a propria volta – sulla condivisione dell lettura degli atti operata nella pronuncia assolutoria del Tribunale di Avellino) occorre necessariamente prendere le mosse dall’interpretazione del contenuto degli obblighi assunti dal concessionario nell’ambito della Convenzione Unica conclusa tra la concedente ANAS e Autostrade per l’Italia, ai sensi dell’art.2, Commi 82 e ss., dl. 3 ottobre 2006, n.262, conv., con modif., nella I. 24 novembre 2006, n.286; Convenzione che, come sopra rilevato, è stata fatta oggetto di una successiva disposizione, dettata dall’art.8duodecies dell’allegato 1 alla I. 6 giugno 2008, n.101, ai sensi del quale «Sono approvati tutti gli schemi di Convenzione con la società RAGIONE_SOCIALE già sottoscritti dalle società concessionarie autostradali alla data di entrata in vigore del presente decreto».
In tale atto, ai sensi dell’art.3, comma 1, lett.b), era previsto, in capo concessionario, l’obbligo del «mantenimento della funzionalità delle infrastrutture concesse attraverso la manutenzione e la riparazione tempestiva delle stesse», nonché (lett. d)) del «miglioramento del servizio attraverso la promozione di attività strumentali e ausiliarie del servizio autostradale»; mentre la successiva lett.f) prevedeva l’obbligo per il concessionario di provvedere alla «progettazione, alla stipula del contratto di appalto con l’appaltatore prescelto a norma dell’art.33 nonché agli oneri di collaudo ed alle altre attività accessorie degli interventi adeguamento della rete che risultano nel piano finanziario di cui all’art.11».
Nell’ambito dell’allegato “E” alla Convenzione, contenente il piano finanziario (redatto ai sensi del citato art.11 della medesima), era previsto, nell sezione intitolata “relazione sul programma di manutenzione e sul piano di sicurezza”, uno specifico inciso relativo alla barriere di sicurezza e alla segnaletica, prevedendosi che il concessionario – su una serie di arterie, nell’ambito delle quali era espressamente citata la A 16 Napoli-Canosa – avrebbe dovuto avviare, già nel periodo 2007-2012, una complessiva riqualificazione delle barriere spartitraffico con installazione di barriere di tipo H4; e che, dal 2008, avrebbe dovuto essere avviato un «piano pluriennale di riqualificazione di tutte le barriere later utilizzando barriere di tipo H2-H3 su terra e H3-H4 su bordo ponte», con interventi definiti come “diffusi” principalmente su una serie di arterie, tra le quali era pu espressamente menzionata la Napoli-Canosa, rilevandosi come gli interventi di manutenzione fossero resi necessari anche «dal degrado legato agli anni di esercizio e da esigenze di mantenimento in efficienza delle barriere».
A tale proposito – e in riferimento a quanto argomentato nel nono motivo articolato dalla difesa del COGNOME – deve ritenersi, da un lato, che le disposizio contenute nella Convenzione e, specificamente, nell’allegato piano finanziario, non contenessero, come ivi dedotto, solo un generico impegno di spesa pattuito tra la parti contraenti ma fissassero specifici obblighi del concessionario in tema di mantenimento e di miglioramento degli standard di sicurezza stradale, da porre (sulla base del predetto principio di diritto) in diretto collegamento con la cita disposizione generale contenuta nell’art.14 del d.lgs. n.285/1992.
Su tale aspetto, come accennato in precedenza, la Convenzione tra concedente e concessionario – adottata secondo lo schema classico della concessione-contratto – si colloca nell’ambito della categoria degli accordi sostitutivi di provvedimenti amministrativi, ai quali si applicano, ai sen dell’art.11, comma 2, della I. 7 agosto 1990, n.241 «ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili», ivi compresi, quindi, quelli in materia di interpretazione dettati dag artt. 1362 e ss. cod.civ., applicando i quali (sulla base del fondamentale criterio di
interpretazione letterale) appare evidente come si fosse in presenza di una specifica assunzione di obblighi da parte del concessionario, il tutto da valutare in relazione ai poteri conferiti al concedente nell’ipotesi di accertamento del grave inadempimento agli obblighi derivanti alla concessione; nel cui ambito, all’art.9 (come propedeutici rispetto alla valutazione in ordine alla dichiarazione di decadenza) erano espressamente citate le disposizioni contenute alle lett.b) ed f) dell’a rt.3.
Deve altresì rilevarsi la palese infondatezza delle argomentazioni, contenute nello stesso motivo, riguardanti l’inidoneità del piano finanziario – i considerazione della sua natura deduttivamente variabile – a fissare obblighi aggiuntivi rispetto a quelli stabiliti nel testo “base” della Convenzione.
Difatti, ai sensi dell’art.11 del relativo testo, il piano finanziario «costitu parte integrante della Convenzione», fatta salva la possibilità di un suo aggiornamento quinquennale ai soli fini dell’adeguamento «dei valori previsionali presenti nel piano stesso» nonché della sua revisione, prevista ai commi 2 e 3, nei casi di sopravvenienza di cause di forza maggiore.
Deve quindi ritenersi del tutto congrua e logica la valutazione della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto che gli impegni adottati nel pia finanziario facessero parte, a tutti gli effetti, del contenuto contrattua conclusione – a propria volta – coerente con le disposizioni generali in tema di determinazione dell’oggetto della pattuizione ai sensi dell’art.1346 cod.civ..
Va, ulteriormente, ritenuta logica la conseguente conclusione in forza della quale l’operazione espressamente intitolata come “riqualificazione di tutte le barriere laterali” in relazione alla A16, da attuare a partire dall’anno 2008 costituisse uno specifico obbligo di Autostrade per l’Italia; “riqualificazione” che essendo espressiva di un concetto assunto nell’atto come distinto rispetto a quello di manutenzione – non poteva che essere intesa quale obbligo di sostituzione delle barriere preesistenti con altre di maggiore potenzialità performativa, come confermato dalla espressa menzione, nel relativo punto del piano finanziario, della prevista installazione (con specifico riferimento alle barriere di bordo ponte) di dispositivi inquadrati nelle classi H3 e H4.
62.2 Tanto premesso, occorre quindi incentrarsi su un profilo centrale nel ragionamento della Corte territoriale e costituito dall’oggetto del piano pluriennale di riqualifica adottato dal Consiglio di amministrazione di Autostrade per l’Itali con delibera del 18 dicembre 2008, presieduto dall’Amministratore Delegato NOME COGNOME; delibera nella cui premessa si faceva riferimento alla finalità del “miglioramento degli standard di sicurezza” previsti nel complesso della Convenzione Unica.
Ciò posto, i punti dei motivi di ricorso attinenti alla esatta interpretazion del contenuto del piano di riqualifica – facenti, a propria volta, espresso riferiment alla complessiva lettura offerta dal Tribunale – sono infondati.
Specificamente, appare del tutto congrua l’interpretazione offerta dalla Corte territoriale, in base alla quale l’oggetto dell’intervento previsto dal piano riqualifica fosse espressamente limitato alle cosiddette barriere “di primo impianto” (dall’estensione di km 2.202) , ovvero definite, nel preambolo del piano medesimo, nell’ambito di quelle cd. “a doppia onda”, con previsione dell’installazione di barriere new jersey solo “limitatamente a qualche tratta” ma solo in relazione specifica alle barriere “spartitraffico”.
In particolare (come desunto nella parte riportata a pag.264 della sentenza di appello), nel piano venivano, infatti, espressamente differenziate rispetto alle barriere di primo impianto le barriere “di seconda generazione”, dall’estensione di km 1512 e sottoposte a crash test prima del 1993-1994, specificandosi che, in relazione alle stesse, “attualmente non sussiste obbligo di sostituzione”.
Deve quindi ritenersi che l’interpretazione fornita dalla Corte territoriale, oggetto di contestazione da parte delle difese dei suddetti imputati, sia priva di elementi di palese illogicità.
A tale proposito, sempre richiamando la problematica dell’interpretazione degli atti amministrativi (quali quelli di pianificazione emessi da un concessionario di pubblico servizio, a tutti gli effetti inserito nel c.d. settore pubblico alla occorre rilevare che l’interpretazione degli stessi, ivi compresi quelli di natura generale e programmatica, soggiace alle stesse regole dettate dagli artt. 1362 e ss. cod. civ. per l’interpretazione dei contratti, tra le quali assume carattere preminente quella collegata all’interpretazione letterale – con esclusione di ogni ulteriore procedimento ermeneutico in caso di clausole assolutamente chiare – ma, in caso di omissioni od ambiguità delle singole clausole, con la necessità del ricorso ad altri canoni ermeneutici, tra cui quello dettato dall’art. 1363 cod. civ. e quello dell’interpretazione secondo buona fede (Consiglio di Stato, sez. III, 23/11/2022, n.10301; Sez. U civ., Sentenza n. 20181 del 25/07/2019; Sez. 1 civ., Ordinanza n. 15367 del 03/06/2024).
62.3 Deve quindi ritenersi che la Corte territoriale si sia adeguatamente confrontata con i predetti principi in tema di interpretazione degli at amministrativi.
Nella specie, i giudici di secondo grado hanno infatti valorizzato il dato (contenuto alla pag.4 del verbale della delibera approvativa del piano e alla pag.3 dello stesso) in base al quale, a partire dal 2009, i previsti interventi di riquali avrebbero interessato la sostituzione delle barriere da bordo laterale di primo impianto “mai sottoposte a crash test”, a propria volta insistenti sull’estensione
complessiva della rete autostradale nella misura di km 2.202 (specificandosi, nella sottostante tabella, che si verteva in materia di barriere “a doppia onda” installate sino al 1991, pur comprendendosi nel calcolo anche tratti quali le trincee e le gallerie non richiedenti barriere di sicurezza).
Altresì, nella pagina successiva del piano, si faceva riferimento alla ripartizione nell’ambito della rete della sostituzione delle barriere di prim impianto, specificandosi – nella sottostante tabella – che le stesse insistevano per una lunghezza di km 163,4 nel tratto di autostrada A16 collocato nel Sesto Tronco; si faceva, altresì, riferimento alle barriere di primo impianto nella stima generale del costo dell’intervento, quantificato in 138 milioni di euro e in relazione alle so barriere metalliche; mentre, in riferimento alla barriere di seconda generazione e di bordo laterale – come sopra definite – era solo prevista l’esecuzione di prove di crash test sulla barriere definite come di “medio potenziale” e inquadrabili nella categoria H2 (pag.268 della sentenza di appello).
Deve quindi ritenersi del tutto logica – sulla base dell’adozione dei citat criteri di interpretazione letterale, della menzione espressa delle sole barriere di prima generazione a doppia onda e della mancata menzione di quelle del tipo new jersey (se non, nella delibera, rispetto alla “pavimentazione” propedeutica all’installazione delle barriere spartitraffico e, nel piano, rispetto a tale tipolog protezioni, diverse rispetto a quelle di bordo laterale) – la conclusione espressa dalla Corte territoriale che, nello smentire le argomentazioni del Tribunale, ha rilevato che il piano di riqualifica in alcun modo facesse riferimento alla sostituzione di barriere in calcestruzzo del tipo new jersey, pure espressamente indicate nell’allegato “E” al piano finanziario come oggetto di interventi di riqualificazion da effettuare anche sull’autostrada Napoli -Canosa; a ciò dovendosi comunque aggiungere, in quanto rilevante nel caso in esame, che in nessuna parte del piano si faceva specifico riferimento alla riqualificazione delle barriere di bordo latera in calcestruzzo presenti sulla A16 e, specificamente, sul INDIRIZZO.
63. Operate tali considerazioni, occorre quindi procedere all’esame delle censure difensive le quali – anche volendo interpretare nel senso suddetto il contenuto del piano di riqualifica – hanno sostenuto che non vigesse comunque alcun obbligo di sostituzione delle barriere in calcestruzzo (come peraltro riportato, sulla base di quanto sopra esposto, nello stesso testo del provvedimento) e tanto sulla scorta proprio di quanto previsto dal piano finanziario, che prevedeva la riqualificazione mediante installazione di barriere di tipo H3 o H4 su “bordo ponte” da eseguire, tra le altre, sull’autostrada A16.
Sulla base di tale prospettazione, dalle risultanze dell’istruttoria sarebbe emerso che le barriere precipitate in occasione dell’evento avessero un’astratta
capacità di contenimento stimabile in quella corrispondente alla classe H4 (come, di fatto, affermato anche dal perito nella deposizione resa all’udienza del 12/09/2018), con la conclusione che le stesse non sarebbero state ex ante individuabili quale possibile oggetto dell’intervento di sostituzione, in riferimen agli obblighi nascenti dalla Convenzione Unica.
63.1 Si tratta, peraltro, di ragioni di impugnazione da ritenere complessivamente infondate.
In linea di premessa, va quindi rilevato che appare del tutto logica e congruente la lettura operata dalla Corte territoriale del contenuto dei piani esecutivi adottati da Autostrade s.p.a. in diretta attuazione della predetta delibera di approvazione del piano di riqualifica.
Soffermando l’attenzione, in particolare, sui piani esecutivi redatti in riferimento alla Napoli Canosa (documenti nn.6 e 11 degli allegati al ricorso depositato dal COGNOME) si evince, con argomentazione che – sulla base dei criteri di interpretazione suddetti – assume valenza del tutto determinante, che gli stessi erano stati espressamente intitolati come progetti “di sostituzione e potenziamento delle barriere metalliche di sicurezza per bordo laterale”; evincendosi altresì, dalla relazione di accompagnamento, che il sopralluogo eseguito dal progettista esecutivo aveva avuto a oggetto le sole barriere a due o tre onde, con esclusione della visione delle barriere metalliche a tripla onda non rientranti nelle classi H2 (per quelle su terra) e H3 (per quelle su bordo ponte) ovvero di quelle di tipo new jersey, in quanto risultanti come già “riqualificate”.
Tale lettura è avvalorata dall’esame del progetto esecutivo di dettaglio relativo al tratto compreso tra il km 26 e il km 50 della Napoli Canosa (al cui interno è compreso il tratto di verificazione del sinistro), nel quale – accanto tratti dotati di barriere in calcestruzzo – è stata apposta la predetta sigla “RQ corrispondente, sulla base della legenda apposta in calce, alla nozione di “riqualificato”.
Deve quindi ritenersi del tutto logica la lettura degli elementi documentali – con specifico riferimento alla relazione contenuta nel progetto esecutivo – in base ai quali i sopralluoghi effettuati dal progettista esecutivo (NOME COGNOME) avessero interessato le sole barriere metalliche, con esclusione di qualsiasi tipologia di esame sulle barriere in calcestruzzo, indicate come già riqualificate in diretta attuazione della previsione contenuta nello strumento di pianificazione generale; elemento che, come dato atto espressamente dalla Corte, risulta corrispondente alla previsione di tutti gli altri progetti esecutivi versati in at parte della responsabile civile.
D’altra parte, tale lettura ha trovato una decisiva conferma proprio nelle dichiarazioni dello stesso teste COGNOME e allegate ai ricorsi di alcuni degli imputati
tanto in riferimento a quelle rese nel corso del primo grado di giudizio quanto a quelle rese in grado di appello in sede di rinnovazione istruttoria.
Difatti, il teste ha specificamente riferito che l’esclusione delle barriere calcestruzzo dall’area di intervento era avvenuta a seguito di direttive imposte dalla propria “linea”, a propria volta costituita dagli Ingg. COGNOME e COGNOME (cfr.pag.13 e ss. del verbale della deposizione resa in primo grado).
63.2 Va quindi ritenuta del tutto logica, in quanto non smentita da adeguati elementi probatori, la conclusione della Corte territoriale in base alla quale l’esclusione dell’intervento sulle barriere in calcestruzzo fosse stata il frutto di vera e propria scelta strategica collocata “a monte” rispetto all’intervento e giustificata dalla catalogazione formale delle barriere e dalla loro precedente sottoposizione (oltre venti anni addietro) a specifico crash test.
E’ quindi coerente con le predette premesse e immune dal denunciato vizio di illogicità, la conclusione raggiunta dalla Corte territoriale nella parte in cui ravvisato uno specifico inadempimento – in capo alla Concessionaria – rispetto agli obblighi nascenti dalla Convenzione e che imponevano un obbligo generalizzato di riqualifica; tra l’altro giustificato, nel citato all. “E”, in relazione genera all’attività di manutenzione, oltre che dai danni derivanti da incidente, anche «dai normali interventi di ripristino resi necessari dal degrado legato agli anni d esercizio e da esigenze di mantenimento in efficienza delle barriere a valle degli interventi di riqualificazione in corso».
Costituendo valutazione, quindi, non palesemente illogica quella formulata dalla Corte in ordine al fatto che il carattere generalizzato dell’obbligo di riqualif non potesse fondarsi solo sul dato della classificazione formale della barriere come detto, sottoposte a crash test alla fine degli anni Ottanta – in relazione alla preminente esigenza di salvaguardia dell’integrità della rete di contenimento specificamente richiamata nell’ali. “E”.
D’altra parte, sempre in relazione alle argomentazioni difensive (come detto, richiamanti quelle sviluppate dal Tribunale nella sentenza assolutoria) nessun elemento in senso contrario è desumibile dalle cifre riportate nelle tabelle contenute nel piano, atteso che il valore di km 2.202 era – ivi – espressamente riferito alle “barriere di 1° impianto a doppia onda” e che del tutto aspecifiche devono ritenersi le argomentazioni relative alla dedotta capienza finanziaria dello strumento di programmazione in ordine alla sostituzione anche delle barriere in calcestruzzo.
64. Atteso il tenore dell’imputazione e i puntuali argomenti articolati dalle difese, deve altresì essere presa in esame la valutazione compiuta dalla Corte e inerente alla contestata violazione delle disposizioni contenute nel d.m. 18
febbraio 1992, n.223, specificamente richiamato nell’atto di esercizio dell’azione penale.
In particolare, l’art.2 di tale testo normativo prevede che:
«1. I progetti esecutivi relativi alle strade pubbliche extraurbane ed a quelle urbane con velocità di progetto maggiore o uguale a 70 km/h devono comprendere un apposito allegato progettuale, completo di relazione motivata sulle scelte, redatto da un ingegnere, riguardante i tipi delle barriere di sicurezza da adottare, la loro ubicazione e le opere complementari connesse (fondazioni, supporti, dispositivi di smaltimento delle acque, ecc.), nell’ambito della sicurezza stradale.
I progetti relativi alla costruzione di nuovi tronchi stradali dovranno prevedere la protezione delle zone precisate nelle istruzioni tecniche di cui al successivo art. 8.
Analoga GLYPH progettazione GLYPH dovrà GLYPH essere GLYPH svolta GLYPH in GLYPH occasione dell’adeguamento di tratti significativi di tronchi stradali esistenti, oppure ne ricostruzione e riqualificazione di parapetti di ponti e viadotti situati in posizi pericolosa per l’ambiente esterno alla strada o per l’utente stradale; i ripristini danni localizzati potranno invece essere eseguiti con le tipologie preesistenti».
In tali ipotesi, il legislatore – in sede di regolamento adottato ai sens dell’art.17, comma 3, I.n.400 del 1988 – ha espressamente previsto l’obbligo di progettazione esecutiva, per i tratti stradali, tanto nell’ipotesi di «adeguamento di tratti significativi di tronchi stradali esistenti» quanto di «ricostruzio riqualificazione di parapetti di ponti e viadotti situati in posizione pericolosa p l’ambiente esterno alla strada o per l’utente stradale».
Progettazione esecutiva, a propria volta, contenente necessariamente una completa valutazione – da parte del progettista – del tipo di barriera da adottare; il tutto ricordando che, ai sensi dell’art.33 del regolamento attuativo del codice dei contratti pubblici applicabile ratione temporis (ovvero il d.P.R. 5 ottobre 2010, n.207), «Il progetto esecutivo costituisce la ingegnerizzazione di tutte le lavorazioni e, pertanto, definisce compiutamente ed in ogni particolare architettonico, strutturale ed impiantistico l’intervento da realizzare», costituendo contenuto necessario dello stesso anche il piano di manutenzione dell’opera e delle sue parti.
64.1 Va quindi rilevato che alcune delle censure sopra riassunte si sono appuntate sulla definizione – legislativamente non esplicitata – della nozione di “tratto significativo”, allo stesso concetto attribuendosi – sulla scia de motivazione della sentenza di primo grado, sul punto comunque non smentita dalla sentenza di appello (pag.278) – una generica definizione “funzionale”, finendo per ritenere che la ratio della norma sia quella di attribuire alla responsabilità esclusiva del progettista esecutivo la scelta dei tratti da riqualificare.
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Come ritenuto, con stringata ma adeguata motivazione, da parte della Corte territoriale, deve ritenersi del tutto non consentita un’interpretazione dell suddetta disposizione slegata dai normali criteri di interpretazione letterale e sistematica e, di fatto, affidata alla lettura operatane dal perito e dai consulen tecnici; ritenendosi, in particolare, che nessun argomento idoneo a sostenere la tesi difensiva possa essere tratto dalla differenziazione, contenuta nel testo della norma, tra “tronco” e “tratto” e su cui pure i tecnici si sono soffermati.
Deve invece ritenersi che la Corte, con argomentazione congrua e coerente con il testo della disposizione, abbia individuato la nozione di “significativi nell’ampiezza del tratto stradale soggetto a riqualificazione, divenendo poi la progettazione esecutiva non – in senso incompatibile con la ratio dell’istituto – la sede in cui operare una scelta dello stesso carattere significativo, bensì il luogo i cui decidere le modalità di intervento alla luce della concreta situazione di fatto delle barriere. Dovendosi considerare del tutto congrua la valutazione operat giudice di appello in base alla quale la predetta interpretazione finire per vanificare la valutazione richiesta dalla normativa, ovvero l’esame funzionale e preventivo delle barriere, da concludere con un giudizio in ordine alla loro effettiva capacità prestazionale.
64.2 Alla luce del complesso delle predette considerazioni – e con valutazione da ritenere espressa anche ai sensi dell’art.619, comma 1, cod.proc.pen. – deve ritenersi che, sulla base del tenore del piano generale di riqualifica e dei progetti esecutivi di intervento sulla tratta A16, risulti dag come il concessionario abbia violato gli obblighi derivanti dalla Convenzione e abbia conseguentemente vanificato le esigenze poste alla base del d.m. 223/1992, con conseguente infondatezza delle censure spiegate dai ricorrenti suddetti in ordine ai dedotti vizi di violazione di legge e di illogicità.
Rilevando, a tale proposito, che le istruzioni tecniche allegate al suddetto d.m., tra l’altro, contengono all’art.2 l’enunciazione (applicabile a tutte indipendentemente dalla tipologia e contenente una vera e propria disposizione di chiusura) in base alla quale «Le barriere di sicurezza stradale e gli altri dispositi di ritenuta sono posti in opera essenzialmente al fine di realizzare per gli utent della strada e per gli esterni eventualmente presenti, accettabili condiz sicurezza in rapporto alla configurazione della strada, garantendo, entro limiti, il contenimento dei veicoli che dovessero tendere alla fuoriuscita dalla carreggiata stradale.
Le barriere di sicurezza stradale e gli altri dispositivi di ritenuta devon quindi essere idonei ad assorbire parte dell’energia di cui è dotato il veicolo i movimento, limitando contemporaneamente gli effetti d’urto sui passeggeri».
64.2.1 Difatti, in primo luogo, il piano generale di riqualificazione mediante la suddetta esclusione delle barriere in calcestruzzo da qualsiasi ambito di intervento – ha complessivamente violato gli obblighi discendenti dalla Convenzione; e ciò in relazione specifica a quelli derivanti dal citato art.3, nell parte in cui imponevano al concessionario tanto la complessiva manutenzione e riparazione degli elementi presenti sulla rete (interpretando nel citato senso estensivo il concetto di “manutenzione”) quanto il complessivo miglioramento del servizio.
Nonché in relazione agli obblighi derivanti dall’allegato “E”, nella parte in cui imponevano un obbligo di riqualificazione funzionalmente collegato anche alla preventiva valutazione dello stato di obsolescenza degli elementi strutturali presenti sulla rete.
64.2.2 Di conseguenza, analogo profilo di inadempimento deve ritenersi concretizzato in ordine ai progetti esecutivi (e, specificamente, di quelli relativi a Napoli – Canosa) nella parte in cui, ritenendo aprioristicamente come già riqualificate le barriere in calcestruzzo, ne hanno disposto la conseguente esclusione dai tratti da considerare come “significativi” ai sensi del d.m. n.223/1992, nonostante si trattasse di barriere apposte sulla rete nell’anno 1989 e sottoposte a crash test nel 1987/88.
In tale modo, di conseguenza, la programmazione dell’intervento ha aprioristicamente escluso, in capo al progettista esecutivo, la possibilità di prendere cognizione dello stato effettivo delle barriere; tanto, come det in conformità con quanto dichiarato in sede di giudizio di primo e secondo grado dal progettista medesimo, nella parte in cui ha riferito che le stesse barriere erano state programmaticamente escluse da qualsiasi ambito di eventuale riqualificazione.
64.2.3 Ne consegue che, nel legare il concetto di tratto significativo all’interpretazione operata in ordine al contenuto dell’obbligo di riqualificazione alla conseguente esclusione delle barriere già astrattamente ritenute come idonee, l’ente concessionario si è reso inadempiente rispetto agli obblighi nascenti dall’art.14 C.d.s. letto alla luce della Convenzione conclusa dalla concedente e che avrebbe imposto una necessaria verifica in ordine all’effettivo stato di tutte l barriere presenti sul tratto oggetto di intervento nonché delle richiamate istruzioni tecniche allegate al d.m. n. 223/1992
Di fatto, deve quindi ritenersi coerente con il complessivo quadro normativo l’interpretazione operata da parte della Corte territoriale; nella parte in cui ritenuto che, nel caso di specie, vi sarebbe stata una valutazione del tutto omessa, da parte del progettista esecutivo, in ordine all’effettiva idoneità delle barriere in calcestruzzo – pure alle quali avrebbe dovuto estendersi l’obbligo di progetta
esecutiva – in considerazione di una scelta operata a monte e con la quale era stato deciso di escludere da ogni attività di riqualificazione le barriere medesime (elemento, questo, peraltro confermato in sede testimoniale dallo stesso progettista, che ha riferito che la zona del viadotto INDIRIZZO non era stata neanche sottoposta a sopralluogo in quanto non ritenuta “tratto significativo”).
64.3 Sulla base di tale lettura, devono evidentemente ritenersi del tutto distoniche rispetto all’apparato motivazionale della sentenza le censure difensive – di cui sopra si è dato atto – in ordine all’insussistenza di un obbligo generalizzat di sostituzione delle barriere ovvero di un’appartenenza della relativa tematica alla sola area manutentiva.
Difatti, sotto il primo aspetto, la Corte territoriale non ha affatto riten (né ha fatto assoluta menzione di tale profilo) che, attesa la ritenuta significativi del tratto autostradale, il d.nn. 223/1992 imponesse un generalizzato obbligo di sostituzione di tutte le barriere, ritenendo invece che l’avvio di tali lavori avrebbe dovuto comportare un obbligo generalizzato di valutazione della permanente efficacia prestazionale delle barriere stesse indipendentemente dalla loro originaria classe di appartenenza; il tutto, incidentalmente, in coerenza proprio con gli obblighi nascenti dalla Convenzione come sopra interpretati, nonché delle citate istruzioni tecniche allegate al d.m. n.223/1992.
Mentre, sotto il secondo profilo (che costituisce una diretta conseguenza del primo), ha rilevato che – indipendentemente dalle tematiche relative all’omessa manutenzione ordinaria e oggetto di diversi addebiti di colpa – fosse onere della società concessionaria, in occasione di estesi lavori di riqualificazione, quello di procedere a una valutazione parcellizzata dell’efficienza delle barriere, ritenendo che costituisse un’evidente violazione dei doveri discendenti dall’art.14 C.d.s. l’esclusione aprioristica basata sulla classe di appartenenza delle barriere stesse; oltre tutto, come nel caso di specie, installate oltre venti anni prima de sinistro e in modo pure da ignorare l’espresso inciso contenuto nel citato punto della Convenzione che imponeva di tenere obbligatoriamente conto della vetustà della protezione.
64.4 A tale proposito, contrariamente rispetto agli assunti difensivi, deve ritenersi pertinente il richiamo operato dalla Corte territoriale a due atti emessi d parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in date 25/08/2024 e 21/07/2010 (espressamente richiamato, quest’ultimo, in sede di capo di imputazione).
In particolare, nel primo atto (espressamente intitolato come “direttiva” emessa nei confronti degli enti proprietari e di quelli gestori delle strade) rammentava, in espresso riferimento al d.m. n.223/1992, il ruolo determinante svolto «dai dispositivi di ritenuta nelle costruzioni stradali e tra essi in primo lu
delle barriere di sicurezza stradale, la cui progettazione, omologazione e impiego sono disciplinati dal D.M. 18 febbraio 1992, n.223 e successivi aggiornamenti», richiamando l’attenzione dei progettisti – in sede di redazione degli elaborati esecutivi e facendo rinvio alle istruzioni tecniche allegate al d.m. – sulla necessit di curare l’adattamento dei singoli dispositivi omologati alla sede stradale e che «in alcuni casi tale adattamento può comportare l’esigenza di modificare alcuni elementi del dispositivo che di conseguenza può essere, per tali elementi, difforme da quello omologato, in modo particolare per quanto attiene ai montanti ed ai sistemi di ancoraggio nonché nelle zone di transizione tra dispositivi diversi», invitando di conseguenza gli enti destinatari a verificare le condizioni di efficienz e manutenzione dei dispositivi di ritenuta con particolare riferimento alle modalità di installazione, provvedendo eventualmente a disporne l’adeguamento alle disposizioni vigenti.
Nella successiva circolare n.62032 del 21/07/2010 (che, in relazione alla deduzione della difesa del Castellucci, è successiva rispetto all’adozione del piano di riqualifica ma ben anteriore rispetto all’esecuzione dei lavori sulla tratta A16), Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – nel premettere che le disposizioni contenute nel d.m. 223/1992 si riferivano strettamente alla fase della progettazione e non a quella della verifica delle condizioni di efficienza tecnica o al ripristino della funzionalità dei dispositivi danneggiati – ha peraltro precisato c gli interventi di manutenzione straordinaria finalizzati all’adeguamento dei dispositivi di ritenuta a più elevati standard di sicurezza non potessero essere ritenuti “ripristini di danni localizzati” e rientrassero pertanto nel campo applicazione della norma.
64.5 A tale proposito, in relazione alle argomentazioni difensive, va rilevato che le direttive e le circolari amministrative interpretative sono atti interni pubblica amministrazione, che si risolvono in un mero ausilio ermeneutico e non esplicano alcun effetto vincolante non solo per il giudice penale, ma anche per gli stessi destinatari, poiché le stesse non possono comunque porsi in contrasto con l’evidenza del dato normativo (Sez. 3, Ordinanza n. 25170 del 13/06/2012, La Mura, Rv. 252771).
Peraltro, pure non costituendo pacificamente fonti del diritto, le circolari amministrative (in quanto comprese nella categoria degli atti amministrativi connessi alla sussistenza di un rapporto interorganico, quale è quello tra concedente e concessionario di pubblico servizio) sono comunque idonee a individuare dei criteri rilevanti ai fini delle modalità di applicazione delle nor sempre fatto salvo il controllo della rispondenza di tale interpretazione rispetto ai criteri generali.
Ne consegue che, nell’ambito della colpa specifica e in riferimento alla nozione di “ordini e discipline”, la loro violazione ben può essere assunta quale parametro per la concreta individuazione della regola cautelare da seguire in un determinato frangente dell’attività amministrativa, ciò anche alla luce della citata interpretazione dell’art.14 C.d.s. quale disposizione cautelare elastica.
65. Ma, d’altra parte, questo Collegio deve rimarcare che a conclusioni non diverse si giungerebbe sposando la tesi difensiva, in base alla quale la individuazione del “tratto significativo” sarebbe stata rimessa alla esclusiva valutazione del progettista, il quale ben avrebbe potuto – come, di fatto, avvenuto – escludere dal relativo ambito gli interventi su barriere ritenute come già riqualificate.
Difatti, tale interpretazione rimetterebbe alla assoluta discrezionalità (di tipo tecnico) del personale della concessionaria la scelta in ordine alla barriera da riqualificare e al conseguente onere di redazione del progetto esecutivo.
Ciò non toglie, peraltro, che tale scelta discrezionale – nel caso di specie, da ascrivere alle strutture centrali – non possa essere sindacata in sede giudiziale; ciò sulla base del principio per il quale se il giudice ordinario non ha alcun potere di sindacare le scelte discrezionali della p.a. nella disciplina della su organizzazione interna, ha però l’obbligo di verificare se quelle scelte, qualora vengano in rilievo ai fini dell’incidenza causale su fatti di reato, siano compatib con una condotta che possa essere complessivamente considerata come irreprensibile sul piano della liceità penale (Sez. 4, n. 7026 del 15/10/2002, dep. 2003, Loi, Rv. 223746; ma cfr. anche Sez. 4, n. 34748 del 04/05/2010, COGNOME, Rv. 248343).
E’ quindi evidente, calando tali principi nel caso di specie e sulla base della valutazione – anche in tale caso da ritenere congrua – operata dalla Corte territoriale, che si verterebbe in un cattivo uso della discrezionalità, del tu sindacabile in questa sede, nella individuazione del “tratto significativo” operata sulla base di una scelta effettuata, come riferito dal progettista, sulla scorta valutazioni meramente cartolari e svincolate dalla constatazione dell’effettivo stato dell’esistente.
Si deve, d’altronde, evidenziare, in relazione anche alle fonti richiamate nel capo di imputazione, che l’individuazione della significatività del tratto è stat eseguita in diretta conseguenza dell’illegittima esclusione delle barriere in calcestruzzo da qualsiasi attività propedeutica alla loro eventuale riqualificazione.
66. In conclusione, le censure difensive si rappresentano in alcuni casi come radicalmente aspecifiche (in quanto omissive di un effettivo confronto con le ragioni esposte nella sentenza impugnata) – e, comunque, infondate.
Difatti, deve ritenersi che la Corte territoriale abbia fatto adeguato governo dei principi in tema di responsabilità colposa, a propria volta confutando le argomentazioni del Tribunale, sulla base dei predetti criteri, in linea con i richiamat arresti in tema di motivazione rafforzata.
66.1 In particolare, la motivazione della sentenza di appello – in primo luogo – sottintende una adeguata distinzione tra posizione di garanzia e regola cautelare violata, sulla base del fondamentale presupposto in forza del quale la sussistenza della prima non si riflette automaticamente sul giudizio in ordine al secondo aspetto.
Tanto in conformità con la giurisprudenza in base alla quale la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione – da parte del garante – di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso (Sez. 4, n. 5404 del 08/01/2015, Corso, Rv. 262033; Sez. 4, n. 24462 del 06/05/2015, COGNOME, Rv. 264128; Sez. 4, n. 32216 del 20/06/2018, COGNOME, Rv. 273568; Sez. 4, n. 21554 del 05/05/2021, COGNOME, Rv. 281334).
In particolare, in un rilevante passaggio argomentativo di Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, COGNOME, 281997 (relativa alla già citata e nota vicenda dell’incidente ferroviario di Viareggio) questa Corte ha affermato che, una volta operata l’individuazione della posizione di garanzia «i concreti contenuti della stessa, il come fare, risultano descritti da regole cautelari, ovvero da prescrizioni che hanno necessariamente contenuto modale ».
66.2 Nel caso di specie, deve ritenersi che la Corte territoriale si sia adeguatamente confrontata con i predetti principi, non incorrendo quindi nei denunciati vizi di violazione di legge e di illogicità della motivazione; e che, sempre in relazione ai principi sopra evocati, le argomentazioni poste alla base della riforma della sentenza di primo grado siano pienamente idonee a rispettare i parametri propri della motivazione rafforzata.
Difatti, nell’ambito della specifica definizione della regola cautelare violata (avendo riservato a un passaggio successivo la concreta individuazione delle posizioni di garanzia), la Corte territoriale ha fatto riferimento agli obblig derivanti dalla Convenzione Unica in punto di obbligo di mantenimento della
funzionalità dell’infrastruttura e agli specifici obblighi di riqualificazione conten nel piano finanziario nonché al citato disposto dell’art.14 del d.lgs. n.285/1992 e agli obblighi di “gestione” e “controllo tecnico dell’efficienza” delle strade imposto, tanto nei confronti dei proprietari-gestori quanto in quelli degli ent concessionari e ciò alla luce di una implicita ma corretta valutazione della suddetta disposizione come fonte anche della regola cautelare.
Dovendosi quindi richiamare le sopraesposte considerazioni in base alle quali – in tale caso – il contenuto dell’obbligo impeditivo viene, di volta in vol calibrato sulla regola «elastica» che impone al destinatario il generale e generico dovere di tutelare determinati beni (cfr. Sez. 4, n. 57361 del 29/11/2018, COGNOME, Rv. 274949).
Presupposti sulla base dei quali la Corte territoriale ha ritenuto che – nel generale dovere di adeguata gestione della sicurezza della rete stradale costituisca obbligo degli enti gestori, in fase di esecuzione di opere di riqualificazione, quello di tenere conto della concreta efficienza prestazionale del complesso delle barriere stradali, indipendentemente dal dato della loro pregressa qualificazione categoriale; efficienza la cui valutazione è da riservare specificamente (in relazione alle disposizioni contenute nel d.m n.223/1992) alla fase della progettazione esecutiva, in tal modo individuando adeguatamente la regola cautelare violata nel caso concreto.
Coerentemente con tale assunto, la Corte ha quindi concluso che la aprioristica esclusione delle barriere in calcestruzzo dall’attività di riqualificazio sulla base della dedotta non “significatività” dei relativi tratti, nell’impedir concreta valutazione del loro stato di conservazione ed efficienza, a una distanza di oltre venti anni dalla sottoposizione a crash test (circostanza del caso concreto da ritenere rilevante alla luce dei suddetti principi) abbia costituito una violazione delle predette regole cautelari; sicuramente tese a evitare la classe categoriale di eventi al cui interno si colloca il sinistro in questione.
Violazione, a propria volta, da porre, sulla base dei principi generali in tema di giudizio controfattuale, in diretto rapporto causale con il sinistro concretamente verificatosi; dovendosi, altresì, ritenere del tutto consequenziale e logica (sempre in relazione alle deduzioni difensive sul punto) la valutazione in ordine al carattere solo concausale da attribuire alla violazione degli obblighi di manutenzione facenti carico sul personale del Sesto Tronco e non essendo in alcun modo invocabile il richiamato principio di affidamento.
Non potendosi – come sopra esposto – evocare il relativo principio in ipotesi di rischio governato da una pluralità di garanti e nel caso del garante intervenuto, come nel caso di specie, in epoca successiva e che si sia trovato nel possesso degli strumenti giuridici e fattuali per evitare la concretizzazione del rischio medesimo.
I motivi di ricorso proposti dall’Amministratore Delegato e dagli altri imputati in servizio presso la sede centrale in ordine alla sussistenza della posizione di garanzia in punto di riqualificazione delle barriere
67. Seguendo l’ordine logico della sentenza gravata, deve quindi porsi attenzione alla questione relativa alla concreta individuazione dei titolari dell posizioni di garanzia, argomentazione oggetto di trattazione nell’ottavo motivo di ricorso proposto dalla difesa del COGNOME, nel sesto motivo proposto dalla difesa del COGNOME, nel tredicesimo motivo proposto dalla difesa del COGNOME e del quarto motivo proposto dalla difesa del COGNOME nonché nel nono motivo proposto dalla responsabile civile e in ordine al profilo attinente alla riqualificazione delle barrier
Sul punto va osservato, in limine, che risulta infondato il primo motivo formulato dalla difesa del COGNOME e tendente a sostenere l’originaria inammissibilità dell’appello formulato dal p.m. in ordine alla relativa posizione per difetto del requisito della specificità.
Difatti, l’appello conteneva – attraverso il riferimento al complesso dei fatti ascritti e alla specifica posizione assunta dal COGNOME nell’ambito della vicenda in esame, in relazione alla posizione rivestita – un’adeguata esposizione delle ragioni poste alla base dell’impugnazione, ai sensi dell’art.581 cod.proc.pen.
68. Nel merito, la difesa del COGNOME ha dedotto che l’evento lesivo si sarebbe verificato a causa di un difetto manutentivo – elemento comune alla due decisioni di merito – e che non poteva individuarsi una violazione di regole cautelari derivante dall’omesso esercizio dell’attività di riqualificazione per barrier dotate di astratta idoneità prestazionale, come nel caso di specie; il cui deficit avrebbe potuto essere constatato solo in sede di “accidentale” verifica manutentiva da parte del progettista esecutivo dei lavori di riqualificazione; concludendone che l’Amministratore Delegato non era il concreto gestore del rischio in questione, connesso alla riqualificazione e non alla manutenzione; ha altresì ritenuto che il giudice di appello non avrebbe tenuto adeguato conto del contenuto delle richiamate istruzioni di servizio – alla luce di quanto esposto dal consulente di parte escusso nel primo di giudizio – in base alle quali le attività strettamente tecniche di monitoraggio delle infrastrutture erano da ritenersi delegate alle strutture tecniche quali la Direzione Servizi Tecnici (poi CGOM) e le Direzioni di Tronco, non essendo concretamente ravvisabile alcuna ingerenza dell’Amministratore Delegato nella predisposizione del piano di riqualifica, ferma restando la decisione sullo stanziamento delle risorse finanziarie e l’assenza di responsabilità in ordine a decisioni squisitamente tecniche quali la
scelta delle barriere da sostituire; la difesa ha altresì sottolineato che l’esecuzione della delibera contenente il piano di riqualificazione era stata assunta dal Condirettore Generale, facendo anche riferimento alla distribuzione delle competenze derivanti dal codice degli appalti pubblici.
68.2 La difesa del COGNOME, al punto 6.3.4 del proprio ricorso, ha dedotto che il rischio gestito dall’imputato atteneva alla sola riqualificazione prestazionale dell barriera e non al controllo manutentivo; avendo la struttura centrale adeguatamente gestito il proprio rischio mantenendo barriere appartenenti alle classi prestazionali più elevate.
68.3 La difesa del COGNOME, nel tredicesimo motivo, ha dedotto che – in relazione alla fonte dell’obbligo di garanzia, individuata nell’art.14 del C.d.s. struttura tecnica gestita del ricorrente aveva quale unica funzione la riqualifica e il potenziamento in materia di barriere e non la loro manutenzione.
68.4 Ai punti 4.3, 4.4, 4.5 e 4.6 del proprio ricorso, la difesa del COGNOME ha altresì articolato varie osservazioni in ordine alla sussistenza della propria posizione di garanzia.
Nello specifico, in ordine alla posizione soggettiva di responsabile dell’unità organizzativa RAGIONE_SOCIALE, ha esposto che la sentenza gravata ne aveva unicamente evidenziato la dipendenza gerarchica dalla Direzione Servizi Tecnici (poi CGOM), per poi richiamarne il solo ruolo di supporto tecnico nella scelta tecnica operata in sede di adempimento dell’obbligo di riqualificazione delle barriere, omettendo di considerare che il COGNOME era divenuto responsabile dell’unità predetta solo nel 2010, mancando comunque in capo allo stesso qualsiasi potere di influire sulle scelte strategiche.
In ordine alla posizione di responsabile unico del procedimento (RUP) in ordine ai lavori di riqualificazione, ha dedotto che la Corte non avrebbe richiamato le fonti normative da cui sarebbe derivata la posizione di garanzia e il perimetro dei poteri concretamente spettanti, non potendosi desumere indicazioni utili in tale senso dell’art.10 del codice dei contratti pubblici e comunque dovendosi escludere la responsabilità in ordine alle scelte progettuali.
69. I suddetti motivi sono infondati.
Va premesso che non sono ammissibili, in quanto manifestamente infondati, i punti di doglianza sollevati dai ricorrenti e attinenti – in punto d posizione di garanzia – alla violazione del citato obbligo di motivazione rafforzata.
A tale proposito, va difatti rilevato che la sentenza di primo grado (pur avendo dedicato uno specifico paragrafo, il 3.4, agli aspetti di fatto inerenti all’organizzazione interna di Autostrade per l’Italia), nulla aveva statuito in punto di sussistenza della posizione di garanzia in riferimento all’inadempimento rispetto
all’obbligo di riqualificazione contestato al capo C); ciò in quanto, al successivo paragrafo 3.8, aveva escluso comunque in radice la violazione della regola cautelare ascritta nel capo di imputazione sulla base delle ragioni prima riassunte.
E’ quindi richiamabile, nel caso di specie, il già citato principio in forza de quale, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi la decisione di assoluzione pronunciata in primo grado, pervenendo ad una sentenza di condanna, non ha l’obbligo di fornire una motivazione rafforzata nel caso in cui il provvedimento assolutorio abbia un contenuto motivazionale generico e meramente assertivo, posto che, in tale ipotesi, non vi è neppure la concreta possibilità di confutare argomenti e considerazioni alternative del primo giudice, essendo la decisione di appello l’unica realmente argomentata (Sez. 5, n. 12783 del 24/01/2017, COGNOME, Rv. 269595; Sez. 6, n. 11732 del 23/11/2022, dep. 2023, Rv. 2844720); principio che appare pienamente adattabile al caso in esame, in cui alcun riferimento era stato operato nella sentenza impugnata in punto di sussistenza della posizione di garanzia.
70. Richiamando, quindi, quanto sopra esposto in tema di cooperazione colposa, la motivazione della Corte territoriale in punto di responsabilità dell’Amministratore Delegato appare congrua e immune da censure.
Dovendosi integralmente fare riferimento, a tale proposito, alle considerazioni sopra espresse in ordine alla valenza strategica di tutte le questioni inerenti ai controlli sull’efficienza della rete e alla conseguente manutenzione, intesa nel senso ampio sopra esplicitato; con conseguente non delegabilità dei relativi compiti e del mantenimento, in ogni caso, dei compiti di alta vigilanza rimessi alla figura apicale.
Peraltro, ai fini della valutazione delle logicità della conclusione della Corte territoriale, può farsi anche riferimento alla delibera di approvazione del piano pluriennale di riqualifica adottato dal Consiglio di amministrazione il 18 dicembre 2008; in tale sede, l’Amministratore Delegato aveva riferito personalmente in ordine agli obblighi derivanti dalla Convenzione Unica e agli obiettivi sottesi al piano medesimo – nel cui ambito, come detto e come reso evidente dalla lettura della delibera, non era stata prevista alcuna attività di riqualificazione dell barriere new jersey già sottoposte a crash test -indicando l’entità delle risorse necessarie per la relativa attuazione (euro 138 milioni).
All’esito dell’esposizione, il Consiglio di amministrazione aveva poi espressamente conferito, in forma disgiunta, la delega per la relativa attuazione al Presidente, all’Amministratore Delegato e al Direttore per i servizi tecnici.
70.1 Va quindi osservato che l’attività oggetto della delibera, ovvero il piano di riqualificazione – comportante un’attività di estesa sostituzione delle barriere
laterali – comportava, sia per il suo oggetto e sia per l’ampiezza dell’impegno finanziario, un’attività di evidente rilievo strategico per la società; e che la rela delibera è stata adottata dal Consiglio di amministrazione su impulso e proposta dell’Amministratore Delegato.
La diretta assunzione della proposta e del relativo contenuto del piano con la citata esclusione dall’attività di riqualificazione delle barriere in calcestruz non di primo impianto – fa sì, anche alla luce dei citati principi in tema d cooperazione colposa, che alla figura dell’Amministratore Delegato sia senza dubbio ascrivibile la condotta imputata al capo C), n.1), rimanendo quindi irrilevante il dato in forza del quale la gestione della fase esecutiva del pian (comunque, come visto, espressamente affidata al COGNOME nella delibera del 18 dicembre 2008) sia stata materialmente delegata nei confronti del management intermedio e, quindi, di figure di rango dirigenziale; ravvisandosi in capo all’Amministratore Delegato la piena gestione del rischio concretamente attribuito e derivante dall’approvazione del piano e dalle sue modalità, trattandosi di atto pienamente rientrante nella propria sfera di competenza e, comunque, concretamente adottato su sua proposta (ricordando, in via incidentale, che la fonte dell’obbligo giuridico di impedire l’evento può consistere anche in un’assunzione volontaria ed unilaterale dei compiti di tutela fondata su un comportamento concludente dell’agente, consistente nella presa in carico del bene protetto anche indipendentemente da un’investitura formale, Sez. 4, n. 50606 del 05/04/2013, Manca, Rv. 258126; Sez. 4, n. 21869 del 25/05/2022, COGNOME, Rv. 283387).
Sulla scorta dei richiamati principi, deve quindi dedursi la infondatezza in alcuni casi manifesta – delle argomentazioni difensive.
In particolare, sulla base dalle considerazioni precedenti e riguardanti l’individuazione della regola cautelare violata, sono del tutto irrilevanti considerazioni riguardanti l’inserimento, nella complessa fase eziologica dell’evento, di condotte attinenti all’omessa manutenzione delle barriere e, in quanto tali, non rientranti nelle attribuzioni del management.
Ugualmente distoniche rispetto alla motivazione della sentenza impugnata devono ritenersi i riferimenti all’allegato ordine di servizio n.5 del 09/05/2008 e nel quale era semplicemente stabilito che all’Amministratore Delegato dovevano intendersi “riportate”, sotto il profilo della gerarchia interna, alcune articolazio quali la Direzione Servizi Tecnici gestita dal Mollo, le cui competenze erano – a propria volta state definite dall’allegato ordine di servizio n.14/2008, con il riferimento alla mera “predisposizione del piano annuale degli interventi”; così come analoghe considerazioni vanno formulate in relazione al contenuto
dell’ordine di servizio n.5 del 22/06/2011, individuante la competenze d RAGIONE_SOCIALE
Si tratta, difatti, di documenti idonei a comprovare l’avvenuta delega degli aspetti operativi dell’attuazione del piano ma che nessuna incidenza possono assumere in ordine alle valutazioni attinenti alla responsabilità direttamente assunta dall’Amministratore Delegato in punto di predisposizione e presentazione del piano di riqualificazione, attività (quest’ultima) pacificamente riconducibile a vertici aziendali data la sua rilevanza strategica e fermo restando quanto sopra rilevato in ordine alla non delegabilità delle funzioni generali di controllo.
Così come, in conformità con quanto espresso sul punto dalla Corte territoriale (in riferimento ad argomentazione difensiva meramente reiterata in questa sede), appare del tutto priva di fondamento la lettura in base alla quale l’Amministratore Delegato si sarebbe limitato a fare da “portavoce” rispetto alle valutazioni espresse dalle strutture tecniche, elemento che non farebbe comunqu neanche potenzialmente venire meno gli ascritti profili di responsabilit in relazione ai principi in tema di cooperazione colposa.
Elemento di fatto, incidentalmente, che non risulta affatto confermato contrariamente alla deduzione difensiva dalle dichiarazioni spontanee rese dal COGNOME all’udienza del 12/09/2018, nell’ambito delle quali tale ultimo impu aveva esposto che «Nel 2008, a seguito della stipula della Convenzione unica del 2007, ho condiviso con l’Amministratore Delegato di Autostrade per l’Italia i principi con cui avremmo potuto strategicamente affrontare l’iniziativa. Ovviamente da un lato c’era la volontà di ottenere il massimo beneficio dall’azione che stavamo facendo, dall’altro lo dovevamo rendere compatibile con le esigenze della rete»; non recando tali dichiarazioni elementi favorevoli per il ricorrente e rimanendo quindi assorbito il profilo relativo all’inutilizzabilità delle dichiarazi spontanee rese contra alios da colui che si sia sottratto all’esame delle parti in sede dibattimentale (su cui Sez. 5, n. 29252 del 05/05/2011, Tedesco, Rv. 250454).
Mentre nessuna rilevanza assume, evidentemente, il dato della mancata assunzione, in capo all’Amministratore Delegato, della veste formale di committente del successivo appalto, trattandosi di aspetto del tutto avulso rispetto al tema dell’individuazione della posizione di garanzia.
70.2 Sono manifestamente infondate le deduzioni spiegate sul punto dalle difese del COGNOME e del COGNOME, in ordine alla sussistenza della gestione del rischio derivante dal piano di riqualificazione e dalle sue modalità attuative.
Sul punto, va pregiudizialmente rilevato come entrambi gli imputati fossero addetti (nell’ambito della Direzione Servizi Tecnici e poi della RAGIONE_SOCIALE) ed espressamente delegati, sulla base dei
citati ordini di servizio, all’ambito di funzioni inerenti alle barriere pavimentazioni stradali.
D’altra parte, sulla base degli atti e come agevolmente desumibile dalla documentazione depositata, gli stessi imputati hanno materialmente predisposto il piano di riqualifica delle barriere laterali, con la correlativa esclusione dell’amb della riqualificazione delle barriere in calcestruzzo di seconda generazione.
Ulteriormente, gli stessi hanno assunto un ruolo decisivo anche nella concreta fase di attuazione del piano, come si evince dalle dichiarazioni (allegate ai ricorsi e, in particolare, a quello del Mollo) rese dal progettista esecutivo NOME COGNOME Il quale, come detto, ha riferito in modo univoco, all’udienza del 17/02/2017, di avere ricevuto verbalmente l’incarico di provvedere alla progettazione esecutiva da parte del Mollo e del Fornaci e che, di concerto con la stessa linea operativa e con il COGNOME, era stato deciso di escludere dall’area della riqualificazione le barriere situate lungo il viadotto INDIRIZZO, per effetto del previo “giudizio di idoneità su quella che era la barriera preesistente nell’intero Tronco autostradale” (pag.85 della trascrizione del verbale d’udienza).
70.3 Sono altresì infondati i motivi proposti sul punto dalla difesa del COGNOME, nei cui confronti la Corte territoriale ha individuato due profili di responsabilit derivanti dalla titolarità dell’articolazione aziendale avente competenza diretta nelle scelte tecniche operative da spiegare in sede di attuazione del piano e dalla sua veste di responsabile unico del procedimento di esecuzione dell’appalto, che lo avrebbe gravato dell’obbligo di segnalare l’illegittimità della scelta progettuale in ordine all’esclusione dalla riqualificazione delle barriere new jersey.
Va premesso, in riferimento ai richiamati principi in tema di cooperazione colposa, che risulta irrilevante che – al momento dell’approvazione del piano di riqualificazione (nel dicembre del 2008) – il COGNOME non fosse il responsabile dell’unità barriere di sicurezza, posta nell’organigramma alle dipendenze della Direzione RAGIONE_SOCIALE Sicurezza diretta dal Fornaci.
Difatti, risulta pacifico che l’imputato fosse comunque il responsabile della suddetta unità al momento di attuazione del piano e della predisposizione del progetto esecutivo.
D’altra parte, non è manifestamente illogica la conclusione della Corte territoriale in ordine alla gestione del rischio derivante dai compiti connessi alla carica di responsabile unico del procedimento; atteso che, in base all’art.10 del d.lgs. 12 aprile 2006, n.163 (contenente il codice dei contratti pubblici applicabile ratione temporis) a tale figura era attribuito il compito di curare il «corretto svolgimento delle procedure» e di segnalare «eventuali disfunzioni, impedimenti, ritardi nell’attuazione degli interventi».
Peraltro, in riferimento al regolamento attuativo del codice dei contratti pubblici pure applicabile ratione temporis e, in particolare, all’art.10, comma 1, lett.o), del d.P.R. 5 ottobre 2010, n.207, il responsabile unico del procedimento «effettua, prima dell’approvazione del progetto in ciascuno dei suoi livelli, le necessarie verifiche circa la rispondenza dei contenuti del documento alla normativa vigente»; ragione per la quale, come ritenuto dalla Corte, sicuramente rientrava nei compiti dell’imputato quello di verificare la conformità del progetto esecutivo rispetto alle fonti richiamate, quali l’art.14 C.d.s., il d.m. 223/1992 e Convenzione Unica del 2007, in punto di estensione effettiva dell’obbligo di riqualifica.
Ma, come detto, risulta dagli atti di causa prodotti dalle parti in allegato ai propri ricorsi e, in particolare, dalla citata testimonianza dell’COGNOME, come i COGNOME abbia operato una concreta ingerenza in ordine alle modalità esecutive del piano e, specificamente, in relazione all’esclusione delle barriere del viadotto Acqualonga dai tratti significativi oggetto di intervento.
Risulta pertanto del tutto logica la conclusione della Corte territoriale in ordine alla sussistenza, in capo all’imputato, di una cooperazione colposa nelle fattispecie ascritte.
I motivi di ricorso riguardanti l’effettiva sussistenza della circostanza aggravante prevista dall’art.589, comma 2, cod.pen.
71. E’ stata in precedenza affrontata la questione inerente alla legittimità della decisione della Corte territoriale, nella parte in cui ha ritenuto ravvisabile un ragione di colpa specifica in ordine alla contestazione dell’aggravante della violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, ascritta a tutti g imputati ai sensi dell’art.589, comma 2, cod.pen., nel testo applicabile ratione temporis, smentendo la valutazione del Tribunale in ordine alla presenza di una sola ragione di colpa generica con i conseguenti riflessi in termini di calcolo del termine di prescrizione.
Devono quindi essere esaminati i motivi di ricorso con i quali alcuni imputati – e sempre in via strumentale rispetto alla richiesta di dichiarare la prescrizione del reato – hanno contestato l’effettiva sussistenza dell’aggravante medesima.
In particolare, la relativa censura è stata proposta nel secondo motivo articolato dalla difesa del COGNOME, nel secondo motivo articolato dalla difesa del COGNOME nel ricorso presentato dall’Avv. COGNOME (nel quale è stato anche dedotto un profilo di patologia derivante dall’omissione di una motivazione rafforzata in relazione alla conclusione raggiunta dal Tribunale), nell’ottavo motivo articolato dalla difesa del COGNOME e del COGNOME, nel ricorso sottoscritto dall’Avv.
COGNOME, nel quarto motivo articolato dalla difesa del COGNOME nonché nell’undicesimo motivo articolato dalla responsabile civile, con specifico riferimento alla posizione del Direttore Generale; analoga censura è stata altresì spiegata nell’ambito del quarto motivo formulato dalla difesa dello COGNOME.
I motivi sono infondati sulla base di considerazioni coincidenti con quelle poste alla base del rigetto dei motivi di ricorso attinenti alla dedotta prescrizion del reato contestato ai sensi dell’art.589 cod.pen.
Va, infatti, richiamato il consolidato orientamento di questa Corte in forza del quale, in tema di responsabilità per omicidio colposo da sinistro stradale, la circostanza aggravante della violazione della normativa sulla circolazione stradale è ravvisabile non solo quando la violazione della normativa di riferimento sia commessa da utenti della strada alla guida di veicoli ma anche nel caso di violazione di qualsiasi norma che preveda a carico di un soggetto, pur non impegnato in concreto nella fase della circolazione, un obbligo di garanzia finalizzato alla tutela della sicurezza degli utenti della strada (Sez. 4, n. 44811 de 03/10/2014, COGNOME, Rv. 260643; Sez. 4, n. 45576 del 28/10/2021, COGNOME, Rv. 282546).
Si devono richiamare altresì le predette considerazioni in ordine alla valenza di norma cautelare elastica da riconoscere all’art.14 C.d.s., avendo la Corte territoriale evidenziato le fonti specifiche idonee a integrare il relativo precett mediante il richiamo alle norme UNI nazionali e armonizzate e alla Convenzione Unica del 2007 nonché al d.m. 223/1992 (tanto in conformità con il già richiamato principio espresso da Sez. 4, n. 48754 del 09/10/2019, Aveni, Rv. 277871).
I motivi di ricorso attinenti alla contestazione del delitto di disa colposo
72. La quasi totalità degli imputati ha contestato l’addebito di responsabilità per il delitto di disastro colposo, ai sensi degli artt. 449 e 434 cod.pen..
Ciò, in particolare, con il settimo motivo di ricorso articolato dalla difesa de COGNOME, con il nono motivo di ricorso articolato dalla difesa del COGNOME, con il quint motivo di ricorso articolato dalla difesa del COGNOME (nell’atto sottoscritt dall’Avv. COGNOME), con il quarto motivo di ricorso articolato dalla difesa del COGNOME (nel ricorso sottoscritto dall’Avv. COGNOME), con il decimo motivo di ricorso articola dalla difesa del COGNOME e del COGNOME (nel ricorso sottoscritto dall’Avv. COGNOME), con il quinto motivo di ricorso articolato dalla difesa del COGNOME, con l’undicesimo motivo articolato dalla difesa del COGNOME, con il dodicesimo motivo articolato dalla difesa del Mollo, con il quinto motivo articolato dalla difesa d COGNOME, con il quinto motivo articolato dalla difesa del Fornaci, con il dodicesimo
motivo articolato dalla difesa del Mollo e con il tredicesimo motivo articolato dalla difesa della responsabile civile.
72.1 In limine, deve essere esaminato il secondo motivo articolato dalla difesa del COGNOME e attinente alla dedotta violazione della legge processuale ravvisata in capo alla sentenza di appello, per essersi la stessa pronunciata sul delitto di disastro – dal quale l’imputato era stato assolto nel primo grado di giudizio – in assenza di impugnazione da parte del p.m..
Il motivo è manifestamente infondato.
Difatti, nell’atto di appello il p.m. ha sviluppato argomentazioni inerenti all’assoluzione pronunciata dal giudice di primo grado in relazione a entrambe le fattispecie, concludendo con la richiesta di condanna degli imputati assolti in ordine ai “reati rispettivamente ascritti”; ragione per la quale il giudice di appello è stato ritualmente investito in ordine al relativo capo della regiudicanda.
72.2 Nel merito dei motivi, i suddetti ricorrenti, con argomentazioni diversamente sviluppate ma sostanzialmente coincidenti nei loro elementi essenziali, hanno sostenuto che l’interpretazione del concetto di “disastro” passerebbe per la correlativa potenzialità, in capo all’evento fenomenico, di riverberarsi su un numero indistinto e indeterminabile di soggetti, sulla base di un giudizio fondato su una valutazione da compiere ex ante; hanno, quindi, ritenuto che la sentenza gravata avrebbe errato nel ritenere che l’evento avrebbe coinvolto un numero non previamente determinabile di persone e che la stessa non avrebbe tenuto conto della concreta situazione di fatto, giungendo a ritenere perfezionata la fattispecie – non sulla base delle condizioni sussistenti al momento dell’evento di pericolo – ma in riferimento a quanto, di fatto, verificatosi; richiamando, su punto, anche l’insussistenza di una capacità diffusiva, derivante dalle concrete condizioni dell’area sottostante alla precipitazione del mezzo, privo di centri abitati, facendo riferimento alla necessaria valutazione del principio di offensività.
In ulteriori argomentazioni difensive, è stato sottolineato che la lettura operata dalla Corte di appello avrebbe finito per ritenere che l’art.449 cod.pen. punisca una generica condizione di pericolosità all’infuori della necessaria interpretazione del concetto di “disastro”, presupponente (secondo lo schema del reato di evento) la creazione di uno stato di fatto determinativo di un pericolo comune, finendo per sostituire alla nozione di pericolo predetta quella semplice di “rischio” e omettendo di valutare la necessità di considerare elementi quali la diffusività potenziale dell’evento, l’incontrollabilità degli effetti e la comples nonché il luogo di verificazione, la dinamica e la presenza effettiva o ragionevolmente probabile di un numero indeterminato di persone.
72.3 I motivi, riproduttivi di censure già spiegate di fronte alla Corte territoriale e da questa ritenute infondate, vanno rigettati.
Va premesso che, vertendosi nella fattispecie di disastro colposo “innominato” (trattandosi di contestazione operata ai sensi dell’art.449 cod.pen., in relazione alla nozione di “altro disastro”, a propria volta contemplata dall’art.434 cod.pen. in riferimento alla corrispondente ipotesi dolosa), ai fini della relativ definizione un fondamentale contributo è stato offerto dalla giurisprudenza costituzionale nella sentenza del 30 luglio 2008, n.327, specificamente riferita alla questione di legittimità dell’art.434 cod.pen. citato, nella quale il giudi remittente aveva sollevato la questione stessa sotto il profilo della violazione del principio di tassatività in relazione all’art.25 Cost..
In tale sede, il giudice delle leggi ha rilevato che: «L’art. 434 cod. pen., nella parte in cui punisce il disastro innominato, assolve difatti – pacificamente ad una funzione di “chiusura” del predetto sistema. La norma mira «a colmare ogni eventuale lacuna, che di fronte alla multiforme varietà dei fatti possa presentarsi nelle norme concernenti la tutela della pubblica incolumità»; e ciò anche e soprattutto in correlazione all’incessante progresso tecnologico, che fa continuamente affiorare nuove fonti di rischio e, con esse, ulteriori e non preventivabili modalità di aggressione del bene protetto (in questo senso, la relazione del Ministro guardasigilli al progetto definitivo del codice penale). D’altra parte, alla stregua di un criterio interpretativo la cui validità appare di immediata evidenza, allorché il legislatore – nel descrivere una certa fattispecie criminosa fa seguire alla elencazione di una serie di casi specifici una formula di chiusura, recante un concetto di genere qualificato dall’aggettivo «altro» (nella specie: «altro disastro»), deve presumersi che il senso di detto concetto – spesso in sé alquanto indeterminato – sia destinato a ricevere luce dalle species preliminarmente enumerate, le cui connotazioni di fondo debbono potersi rinvenire anche come tratti distintivi del genus. Entrambi i criteri ora indicati convergono, dunque, nel senso che l’«altro disastro», cui fa riferimento l’art. 434 cod. pen., è un accadimento sì diverso, ma comunque omogeneo, sul piano delle caratteristiche strutturali, rispetto ai «disastri» contemplati negli altri art compresi nel capo relativo ai «delitti di comune pericolo mediante violenza»: conclusione, questa, confortata anch’essa dai lavori preparatori del codice». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ha quindi argomentato, proprio sulla base di tale premessa, la necessità di individuare – al fine di evitare qualsiasi dubbio di costituzionalità della norma sotto il profilo della tassatività – alcuni fondamentali indici rivelatori tipici delle fattispecie “nominate” di disastro, argomentando che: «Al riguardo, s evidenziato in dottrina come – al di là delle caratteristiche particolari dell singole figure (inondazione, frana, valanga, disastro aviatorio, disastro ferroviario, ecc.) – l’analisi d’insieme dei delitti compresi nel capo I del titolo VI consenta, in effe di delineare una nozione unitaria di «disastro», i cui tratti qualificanti si ap
sotto un duplice e concorrente profilo. Da un lato, sul piano dimensionale, si deve essere al cospetto di un evento distruttivo di proporzioni straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi. Dall’altro lato, sul piano della proiezione offensiva, l’evento deve provocare – in accordo con l’oggettività giuridica delle fattispecie criminose in questione (l «pubblica incolumità») – un pericolo per la vita o per l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone; senza che peraltro sia richiesta anche l’effettiva verificazione della morte o delle lesioni di uno o più soggetti. Tale nozione avvalorata una volta ancora dai lavori preparatori del codice (e, segnatamente, dalla relazione ministeriale al progetto definitivo, nella parte illustrativa «disastro ferroviario», di cui all’attuale art. 430 cod. pen.) – corrispond sostanzialmente alla nozione di disastro accolta dalla giurisprudenza di legittimità, con un indirizzo che – contrariamente a quanto sostiene il rimettente – appare apprezzabile, ai presenti fini, in termini di «diritto vivente». Pronunciandosi, infat non soltanto sul delitto di disastro innominato doloso, di cui all’art. 434 cod. pen. e sulla corrispondente ipotesi colposa, di cui all’art. 449 cod. pen. (figure in ordin alle quali si registrano plurime recenti pronunce della Corte di cassazione), ma anche sugli altri delitti del capo I del titolo VI rispetto ai quali viene in rilievo il sostantivo in questione, la giurisprudenza ha da tempo enucleato – senza oscillazioni significative rispetto a quanto qui rileva – un concetto di «disastro» che fa perno, per l’appunto, sui due tratti distintivi (dimensionale e offensivo) i precedenza indicati».
72.4 In aderenza alle linee orientative indicate dalla sentenza della Consulta e comunque coerentemente con la giurisprudenza già sviluppata sul punto, questa Corte ha quindi ritenuto – con lettura da ritenersi costante – che, ai fini della configurabilità della fattispecie di disastro innominato colposo, necessario che si verifichi un accadimento macroscopico, dirompente e quindi caratterizzato per il fatto di recare con sé una rilevante possibilità di danno all vita o all’incolumità di un numero collettivamente non individuabile di persone, anche se appartenenti a categorie diverse, in un modo non precisamente definibi o calcolabile e, altresì, che l’eccezionalità della dimensione dell’evento desti un senso di allarme per la effettiva capacità diffusiva del nocumento (Sez. 4, n. 15444 del 18/01/2012, Tedesco, Rv. 253500; Sez. 4, n. 14859 del 13/03/2015, NOME Rv. 263146; Sez. 4, n. 45836 del 20/07/2017, COGNOME, Rv. 271025); rilevand altresì che, contrariamente rispetto ad alcune prospettazioni difensi fattispecie di disastro innominato colposo va inquadrata non tra i reati di danno ma tra quelli di pericolo astratto, a propria volta concretizzato dai richiamat elementi costitutivi (Sez. 4, n. 36639 del 19/06/2012, COGNOME, Rv. 254163;
yt
Sez. 4, n. 14263 del 14/11/2018, dep. 2019, Ratze, Rv. 275364; Sez. 4, n. 46876 del 07/11/2019, COGNOME, Rv. 277702).
72.4 D’altra parte, in relazione al complesso delle ipotesi comprese nell’ambito dell’art.449 cod.pen., la giurisprudenza di questa Corte ha rilevato come la considerazione in punto di capacità diffusiva del nocumento debba essere necessariamente operata sulla base di una valutazione effettuata ex ante verificando quindi se, alla luce degli elementi concretamente determinatisi, dell’espansività e della potenza del danno materiale, il fatto fosse in grado di esporre a pericolo l’integrità fisica di un numero potenzialmente indeterminato di persone (Sez. 4, n. 14263 del 14/11/2018, Ratze, Rv. 275364, cit.).
Nell’ambito di una più recente decisione, pure evocata dalle difese (ovvero Sez. 4, n. 35840 del 15/06/2021, COGNOME, Rv. 281884 – 01), questa Corte ha rilevato che «In tali ipotesi non è affidata al giudice di merito la concret valutazione postuma della pericolosità della condotta, bensì è la norma stessa che descrive alcune situazioni tipicamente caratterizzate, nella comune esperienza, per il fatto di recare con sé un rilevante potenziale di danno alla vita o all’incolumit personale. Pertanto, rispetto a tali eventi, non è richiesta l’analisi a posteriori specifici decorsi causali che è invece propria degli illeciti che coinvolgono una o più persone determinate. Al contrario, ciò che caratterizza il pericolo per la pubblica incolumità è semplicemente la tipica, qualificata possibilità che le persone si trovino coinvolte nella sfera d’azione dell’evento disastroso descritto dalla fattispecie, esposte alla sua forza distruttiva» e che «l’incolumità personale collettiva entra nella previsione normativa del disastro innominato solamente sotto il profilo della pericolosità, quale proiezione offensiva della condotta nel senso che il giudizio di probabilità deve informare la valutazione sulla obiettiva idoneità condotta o dell’evento. Tale pericolo funge, quindi, da connotato ulteriore del disastro e serve a precisarne, sul piano della proiezione offensiva, le caratteristiche; il persistere del pericolo, e tanto meno il suo concretizzarsi nell lesione dell’incolumità, non sono richiesti per la realizzazione del delitto in quanto, non essendo elementi del fatto tipico, non possono segnare la consumazione del reato, che si determina con l’inveramento dell’evento pericoloso e non con gli effetti che ne sono derivati». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
72.5 Deve quindi ritenersi che la Corte territoriale si sia adeguatamente confrontata con i predetti principi, non incorrendo nei denunciati vizi di violazione di legge e di illogicità.
In particolare, deve ritenersi congrua la confutazione delle argomentazioni difensive nell’ambito delle quali era stata dedotta l’assenza della diffusività del pericolo sulla base delle caratteristiche dell’area sottostante alla caduta del mezzo, in quanto priva di centri abitati (osservazioni che traggono spunto dalla parte
motiva di pronunce quali Sez. 4, n. 50222 del 03/12/2019, Fiorentino, Rv. 277879).
Nel caso di specie, appare del tutto rispondente ai necessari criteri in ordine alle dimensioni del sinistro e alla potenziale diffusività, il riferimento al nume delle barriere inidonee (numero, va ricordato, eccedente quello delle barriere concretamente precipitate per effetto dell’urto) a contenere il pericolo di fuoriuscita dalla sede stradale e al numero potenzialmente indeterminabile dei soggetti esposti al pericolo generato dalla relativa situazione di fatto, in presenza dell’ingente volume di traffico presente sul viadotto; così come appare del tutto congruo il riferimento, senz’altro operato sulla scorta di una valutazione operata ex ante, alla circostanza per la quale il sinistro era avvenuto in una giornata festiva con la correlativa limitazione al traffico dei veicoli pesanti.
E’ quindi infondata la valutazione difensiva in base alla quale la Corte territoriale sarebbe giunta a un giudizio di penale responsabilità sulla scorta di una mera valutazione ex post fondata unicamente sull’elevato numero di soggetti concretamente coinvolti, avendo il giudice di appello formulato una conclusione non manifestamente illogica sulla scorta dell’astratta situazione di pericolo preesistente rispetto al concreto verificarsi dell’evento.
72.6 Si deve quindi sottolineare che, al di là del concreto sviluppo eziologico verificatosi, quest’ultimo costituiva solo uno dei possibili esiti dello st preesistente di pericolo, il quale avrebbe potuto potenzialmente riguardare un numero maggiore e comunque non previamente determinabile di soggetti.
Deve altresì rilevarsi che non possono essere accolte le osservazioni spiegate dal Procuratore Generale – comunque attinenti a tematiche non fatte oggetto di motivi di ricorso – in ordine alla non configurabilità, nel caso concreto, di un concorso tra la fattispecie di omicidio plurimo colposo e quello di disastro colposo; l’osservazione stessa, difatti, è sostanzialmente fondata sul dato della carenza dell’elemento, da ritenersi invece sussistente sulla base delle predette considerazioni, del pericolo per un numero indeterminato di persone.
Ciò ricordando, in relazione ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine all’art.649 cod.proc.pen., che l’identità del fatto deve esser valutata unicamente con riferimento all’elemento materiale del reato nelle sue componenti essenziali relative alla condotta, all’evento e al relativo nesso causale (Sez. 1, n. 42630 del 27/04/2022, COGNOME, Rv. 283687) dovendovi quindi essere corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sez. 1, n. 41867 del 26/06/2024, COGNOME, Rv. 287251 nonché Sez. 4, n. 30615 del 09/05/2024, COGNOME, Rv. 286884, relativa al concorso tra omicidio colposo e disastro
innominato, la quale – anche sulla base dell’esame della giurisprudenza della Corte EDU – ha escluso l’identità nel differente caso in cui dalla medesima condotta dell’agente siano derivati eventi naturalisticamente diversi).
Nel caso in esame, quindi, non è ravvisabile il fondamentale presupposto rappresentato dall’idem factum, peraltro posto a fondamento di una richiesta di esclusione dell’ipotesi di concorso formale, in realtà fondata sulla dedotta insussistenza del delitto di disastro innominato.
72.7 A conclusioni coincidenti si giunge sulla base dell’esame della giurisprudenza della Corte EDU, in relazione alla quale, in tema di divieto di bis in idem, è principio acquisito che la preclusione tipica del giudicato non opera più in automatico, anche nello specifico caso di cumulo tra procedimenti penali e sostanzialmente penali per il medesimo fatto.
Essendo la sua operatività subordinata alla mancata “connessione materiale e temporale” tra i procedimenti che, ove sussistente, escluderebbe una violazione del principio, permettendo di considerare i due distinti procedimenti come parti complementari di uno solo; rapporto di complementarietà che dovrebbe essere accertato ricorrendo a un “test di connessione” che consiste in una duplice verifica: l’accertamento del legame cronologico tra i due procedimenti e la verifica del legame “materiale” sulla base di quattro noti indici elaborati dalla Corte EDU: a) la prevedibilità del cumulo procedinnentale; b) la complementarietà degli scopi dei due procedimenti così che sia possibile ritenere che ciascuno dei due miri a sanzionare diversi aspetti della condotta antidoverosa; c) il coordinamento tra i due procedimenti volto a evitare, per quanto possibile, una duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova; d) la proporzionalità complessiva della sanzione integrata.
In queste ipotesi quindi – con principi specificamente enunciati in ordine all’apertura di un procedimento amministrativo dopo quello penale – anche dopo la definizione del primo procedimento non sarebbe illegittima l’apertura del secondo, qualora fossero rispettate le diverse condizioni poste dal test di connessione (cfr. Corte EDU, 15 novembre 2016, ric. Nn.24130/2011 e 29758/2011, A e B c. Norvegia; Corte EDU, 6 aprile 2021, ricorso n. 35623/11, COGNOME c. Bulgaria).
I motivi di ricorso attinenti alla commisurazione del trattamento sanzionatorio e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche
73. Le questioni inerenti al trattamento sanzionatorio irrogato nei confronti dei soggetti in servizio presso Autostrade per l’Italia sono state fatte oggetto di alcuni motivi di ricorso.
In particolare: con il sesto motivo di ricorso, la difesa dello COGNOME ha censurato la concreta determinazione della pena e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche; con l’ottavo motivo di ricorso, la difesa del COGNOME ha censurato la valutazione della Corte territoriale, in riferimento al disposto dell’art.133 cod.pen., sotto il profilo attinente al parametro del grado della colpa; con l’undicesimo motivo di ricorso, la difesa del COGNOME ha contestato la sentenza sul piano della dosimetria della pena e della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche; con l’undicesimo motivo di ricorso, la difesa del COGNOME ha pure contestato la congruità della pena irrogata e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche; con il tredicesimo e quattordicesimo motivo di ricorso, la difesa del COGNOME ha contestato la violazione degli artt. 132, 133 e 62b1s cod.pen.; con il settimo motivo di ricorso, la difesa del COGNOME ha censurato la sentenza sul piano della commisurazione della pena e della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche; con il quattordicesimo motivo di ricorso, la difesa del COGNOME ha contestato la commisurazione della pena e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche oltre alla commisurazione dell’aumento irrogato ai sensi dell’art.81 cod.pen..
74. I motivi attinenti alla correttezza della commisurazione della pena, in riferimento al disposto degli artt. 132 e 133 cod.pen., sono infondati.
Sul punto, questa Corte ha avuto più volte modo di precisare che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione – non sindacabile in sede di legittimità – è sufficiente che dia conto dell’impiego dei crite di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia superiore alla misura media di quella edittale (ex multis, Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017. Mastro, Rv. 271243); essendosi altresì stato precisato che non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale che deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano
il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288).
75. Ciò posto, in ordine alla posizione degli imputati che hanno rivestito la carica di Direttore di Tronco (non avendo i responsabili dell’area Esercizio formulato motivi attinenti al trattamento sanzionatorio), la determinazione della pena base in relazione al reato avente il trattamento edittale più grave (ovvero quello di omicidio plurimo colposo), in relazione al disposto dell’art.81, comma 1, cod.pen., è stata operata nell’ambito di una forbice che, in riferimento al combinato disposto dei commi primo e quarto dell’art.589 cod.pen., applicabili ratione temporis (e alla luce della modifica del comma quarto introdotta dall’art.’, comma 1, lett.c). n.3, del d.l. 23 maggio 2008, n.92, convertito nella I. 24 luglio 2008, n.125), prevedeva una pena detentiva astrattamente compresa tra un minimo di sei mesi e un massimo di quindici anni di reclusione.
Per l’effetto, i giudici di appello – nella determinazione della pena base nella misura di cinque anni per i Direttori di Tronco, sono giunti a una quantificazione della sanzione inferiore rispetto alla media edittale, come sopra determinata; con la conseguenza che non è da intendersi richiesta una specifica e analitica determinazione sul punto e che, in ogni caso, non si ravvisa alcuna illogicità in riferimento al rapporto tra commisurazione della sanzione e valutazione del complesso degli elementi indicati dall’art.133 cod.pen.
La Corte territoriale, nell’accogliere i relativi motivi di appello, ha ritenu di non operare alcuna differenziazione nella posizione dei Direttori di Tronco in termini di trattamento sanzionatorio, riformando in tal senso la decisione del Tribunale in rapporto a criteri quali la vicinanza della condotta omissiva rispetto all’evento ovvero la durata della carica ricoperta, con statuizione non tangibile in questa sede in assenza di ricorso sul punto.
Analoga conclusione va formulata in relazione alla posizione dei soggetti in servizio presso la sede centrale, in ordine ai quali si è giunti a una determinazione della pena base in misura superiore rispetto a quella irrogata ai Direttori di Tronco sulla base di un criterio ovvero quello «del dispregio per le esigenze di massima realizzazione del bene interesse della sicurezza nella circolazione e per le indicazioni offerte in tal senso anche alle strutture sottoordinate» da ritenersi non manifestamente illogico e quindi intangibile in questa sede; rilevando comunque che, anche in relazione a tali posizioni, la sanzione inflitta è inferiore rispetto a media edittale.
76. In relazione al punto di censura spiegato dalla difesa del COGNOME in ordine all’entità dell’aumento previsto per il reato unito dal vincolo del concorso
formale, ovvero quello previsto dall’art.449 cod.pen., può essere richiamato l’arresto – pure dettato specificamente a proposito del reato continuato – espresso da Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME Rv. 282269 – 01, nel quale è stato rilevato che il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite; con la determinante precisazione, peraltro, che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e deve essere tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra l pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i previsti dall’art. 81 cod. pen. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene.
Nel caso di specie – con considerazioni estese all’Amministratore Delegato e agli altri soggetti in servizio presso la sede centrale – la Corte territoriale ritenuto di determinare l’aumento a titolo di concorso formale in modo omogeneo rispetto a quella intervenuta per i coimputati, in misura comunque evidentemente contenuta (un anno di reclusione) e quindi tale da non richiedere, alla luce dei principi predetti, un approfondito onere motivazionale.
77. Quanto alle considerazioni, spiegate in alcuni dei motivi di ricorso, inerenti alla mancata differenziazione analitica delle posizioni e a una determinazione del trattamento sanzionatorio che (riprendendo quanto argomentato dalla difesa del COGNOME) è sostanzialmente avvenuta sulla base delle diverse funzioni esplicate dagli imputati, appare utilmente richiannabile il principio – pure dettato specificamente a proposito del concorso nel reato – in base al quale, in tema di determinazione della misura della pena, il giudice del merito, nell’ipotesi di più soggetti imputati dello stesso reato, non è gravato dell’onere motivazionale di procedere alla valutazione comparativa delle singole posizioni e di motivare in ordine alla eventuale differenziazione delle pene inflitte (Sez. 2, n. 7191 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 266446; Sez. 2, n. 1886 del 15/12/2016, COGNOME, Rv. 269317).
Rilevando, comunque, che il criterio rappresentato dalla diversa responsabilità gestionale, in rapporto alle differenti funzioni rivestite, appar congruo rispetto alle acquisizioni processuali e non censurabile sotto il profilo della manifesta illogicità.
78. Anche i motivi formulati dai soggetti investiti delle funzioni di Direttore di Tronco e da quelli in servizio presso la sede centrale, inerenti al diniego delle circostanze attenuanti generiche, sono infondati.
A tale proposito va ricordato che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62b1s cod.pen., disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il sol stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986; Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489); mentre, sul punto, il giudice esprime un giudizio di merito, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considera preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 2, Sentenza n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549, che ha specificato che al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità d esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente); tutto ciò fermo restando c è illegittima la motivazione della sentenza d’appello che, nel confermar giudizio di insussistenza delle circostanze attenuanti generiche, si limiti a condividere il presupposto dell’adeguatezza della pena in concreto inflitta, omettendo ogni apprezzamento sulla sussistenza e rilevanza dei fattori attenuanti specificamente indicati nei motivi d’impugnazione (Sez. 6, n. 46514 del 23/10/2009, COGNOME, Rv. 245336; Sez. 6, n. 20023 del 30/01/2014, Gligora, Rv. 259762). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nel caso di specie, la Corte – pur se con stringata motivazione – ha giustificato il diniego delle circostanze attenuanti generiche sulla base del grave grado della colpa, con implicito rimando alle considerazioni che sono state poste a fondamento della determinazione della pena base e all’assenza di elementi idonei a giustificare la concessione del beneficio; mentre non manifestamente illogico deve ritenersi anche il riferimento alla negativa valutazione del comportamento processuale tenuto dagli imputati e alla loro dedotta insistenza nel sostenere una ricostruzione dei fatti ritenuta “infondata e inverosimile”.
Sul punto, come già sopra accennato, sussistono – nella giurisprudenza di questa Corte – letture parzialmente diverse in ordine alla potenziale rilevan comportamento processuale tenuto dall’imputato ai fini della concessione de circostanze attenuanti generiche.
In particolare, secondo un orientamento, la condotta processuale dell’imputato che, contro ogni evidenza della sussistenza del reato, protesti la propria estraneità ai fatti, costituisce di per sé idonea motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche in quanto, seppure l’esercizio del diritto di difesa rende, per scelta del legislatore, non penalmente perseguibili le dichiarazioni false rese a propria difesa dall’imputato, ciò non equivale a rendere quel tipo di dichiarazioni irrilevanti per la valutazione giudiziale del comportamento tenuto durante lo svolgimento del processo, agli effetti e nei limiti di cui all’art. 133 c pen. (Sez. 2, n. 28388 del 21/04/2017, Leo, Rv. 270339; Sez. 4, n. 20115 del 04/04/2018, Prendi, Rv. 272747).
Mentre, secondo altra lettura, la protesta d’innocenza o la scelta di rimanere in silenzio o non collaborare con l’autorità giudiziaria, pur di front all’evidenza delle prove di colpevolezza, non può essere assunta, da sola, come elemento decisivo sfavorevole, non esistendo nel vigente ordinamento un principio giuridico per cui le attenuanti generiche debbano essere negate all’imputato che non confessi di aver commesso il fatto, quale che sia l’efficacia delle prove di reità (Sez. 5, n. 32422 del 24/09/2020, COGNOME, Rv. 279778, in senso sostanzialmente conforme anche Sez. 4, n. 5594 del 04/10/2022, dep.2023, COGNOME, Rv. 284189).
Nel caso di specie, peraltro, non sussiste alcun fattore di intrinseca illogicità nella valutazione della Corte in relazione alla lettura del complesso dei principi predetti, in quanto la negativa valutazione del contegno processuale non è stata posta, da sola, alla base del diniego del beneficio, essendo state prese in considerazione – oltre alla mancanza di elementi di segno positivo – anche i profili attinenti alla gravità della condotta in relazione ai parametri desunti dall’art.13 cod.pen..
Il motivo formulato dalla responsabile civile in ordine alla rispettiva quantificazione percentuale del contributo causale rispetto all’evento
79. Con il quattordicesimo motivo di impugnazione, la responsabile civile ha contestato la motivazione della Corte territoriale nella parte in cui ha disposto una quantificazione del contributo causale in termini percentuali e, in particolare, – nel punto in cui il giudice di appello ha confermato la statuizione del giudice di r primo grado, che aveva indicato nella misura del 40% la percentuale ascrivibile al personale in servizio presso Autostrade (peraltro, in sede di giudizio del Tribunale, circoscritto a quello in servizio presso il Sesto Tronco).
Il motivo è inammissibile in quanto non sostenuto dalla condizione rappresentata dall’interesse a ricorrere, ai sensi dell’art.581, comma 1, lett.), cod.proc.pen..
Va premesso che, sul punto, in varie pronunce questa Corte ha sottolineat che, specificamente in tema di accertamento della percentuale del concor colposo della vittima nel fatto illecito, le stesse sono frutto di una valutazione merito non censurabile in sede di legittimità (Sez. 4, n. 43159 del 20/06/2013, COGNOME, Rv. 258083; Sez. 4, n. 45797 del 22/06/2017, COGNOME, Rv. 271053).
In ogni caso, è stato evidenziato che non è accoglibile il ricorso della civile (con ragionamento logicamente estensibile anche al responsabile civile ordine alla quantificazione delle percentuali di concorso delle colpe del reo e della vittima nella determinazione causale dell’evento, trattandosi di accertamento che non ha efficacia di giudicato nell’eventuale giudizio civile per le restituzioni e risarcimento del danno (Sez. 4, n. 4607 del 20/09/2017, Collodel, Rv. 271953; Sez. 4, n. 17219 del 20/03/2019, M., Rv. 275874; Sez. 4, n. 14074 del 05/03/2024, COGNOME, Rv. 286187).
In tale ultimo e recente arresto, in particolare, è stato evidenziato che «quanto, invece, al giudizio civile per danni: a. la sentenza di condanna di cui all’art. 651 cod. proc. pen. Ha efficacia di giudicato solo con riferimento all’accertamento del fatto – reato, della sua illiceità penale, della sua commissione da parte dell’imputato, ma non fa stato su tutti i fatti accertati nel corso de processo penale; b. la sentenza di assoluzione ha efficacia di giudicato solo con riferimento all’accertamento che il fatto non sussiste, che l’imputato no commesso, che è stato compiuto in presenza dell’esimente di cui all’art. 51 cod. proc. pen. (non anche, pertanto, con riferimento alle altre ipotesi assolutorie, quali la mancanza dell’elemento psicologico del reato, l’esistenza di una causa di giustificazione diversa da quella dell’art. 51, l’esistenza di una causa di non imputabilità o non punibilità dell’autore del reato); c. la sentenza di non doversi procedere (che ha per oggetto esclusivamente l’accertamento di una situazione processuale di inesistenza di una condizione di procedibilità, ex art. 529 cod. proc. pen., ovvero di esistenza di una causa di estinzione del reato, ex art.531 cod. proc. pen.) non ha mai efficacia di giudicato nei confronti dell’imputato (né a suo favore, né contro di lui), in quanto l’oggetto della decisione non è il previo accertamento del fatto – reato, onde passare alla successiva declaratoria di non doversi procedere, bensì l’accertamento dell’inesistenza di una condizione di procedibilità o di estinzione del reato stesso. Va anche ricordato che, secondo costante insegnamento, per “fatto” accertato dal giudice penale deve intendersi il nu oggettivo del reato nella sua materialità fenomenica costituita dall’accadimento oggettivo, accertato dal giudice penale, configurato dalla condotta, evento e nesso di causalità materiale tra l’una e l’altro (fatto principale) e le circostanze luogo e modi di svolgimento di esso. Ne consegue che, mentre nessuna efficaci vincolante esplica nel giudizio civile il giudizio penale – e cioè l’apprezzam
la valutazione di tali elementi – la ricostruzione storico-dinamica di essi è invece preclusiva di un nuovo accertamento da parte del giudice civile, che non può procedere ad una diversa ed autonoma ricostruzione dell’episodio. Altresì rimesso all’accertamento ed alla valutazione del giudice civile è l’elemento soggettivo del fatto, escluso dalla nozione obbiettiva di esso, e non comprensibile nella nozione di “illiceità penale” di cui all’art. 651 cod. proc. pen.».
Sulla base di tali principi, deve quindi ritenersi – in relazione alla valenz della sentenza penale di condanna e in riferimento al disposto dell’art.651 cod.proc.pen. – che la valenza preclusiva del giudicato non si estenda ai prof percentualizzazione del grado di colpa, con ragionamento estensibile anche alla distribuzione del medesimo tra coimputati nel medesimo reato.
Conclusioni
80. Per effetto delle predette considerazioni, deve quindi concludersi per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in ordine alle posizioni della Ceriola e del Lametta, con contestuale rideterminazione dell’entità della pena rispettivamente inflitta.
Tutti gli altri ricorsi devono essere rigettati.
Gli imputati nei cui confronti è stato disposto il rigetto del ricorso vanno altresì condannati al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalle costituite parti civili nel presente giudizio di legittimità, liquidate come dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME limitatamente alla misura della pena, che ridetermina in anni quattro di reclusione per COGNOME NOME e in anni nove di reclusione per COGNOME NOME. Rigetta nel resto i ricorsi di COGNOME NOME e di COGNOME NOME.
Rigetta i ricorsi di COGNOME NOMECOGNOME COGNOME Nicola, COGNOME Giulio Massimo, COGNOME Michele, COGNOME COGNOME Paolo, COGNOME NOME, COGNOME Giovanni, COGNOME Gianni, COGNOME nonché il ricorso proposto dal responsabile civile s.p.a. Autostrade per l’Italia e condanna i predetti ricorrenti a pagamento delle spese processuali e alla rifusione, in solido, delle spese di giudizio sostenute nel presente grado di legittimità dalle parti civili costituite, COGNOME
NOME e COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro tremilanovecento, per tutti oltre accessori come per legge.
Roma, 11 aprile 2025
Il Consigliere estensore
Intestazione
Ritenuto in fatto
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-La vicenda e le imputazioni
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-La sentenza di primo grado
-La sentenza di appello
DEPOSITATOVI
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INDICE GLYPH
J
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I ricorsi degli imputati e della responsabile civile COGNOME pag.36
Considerato in diritto
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-I ricorsi proposti da NOME COGNOME e NOME COGNOME pag.104
-I motivi di ricorso attinenti alla dedotta prescrizione del reato contestato al capo B) GLYPH pag.131
-I motivi di ricorso attinenti alle modalità di escussione del perito
pag.142
-I motivi di ricorso attinenti all’omesso accoglimento delle istanze di rinnovazione istruttoria RAGIONE_SOCIALE pag.149
-I motivi di ricorso attinenti alla ricostruzione della dinamica del sinistro pag.152
-La tematica riguardante la sussistenza di una posizione di garanzia in capo all’Amministratore Delegato e agli altri esponenti dell’amministrazione centrale di Autostrade s.p.a. in punto di manutenzione della rete stradale
pag.162
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-I motivi di ricorso attinenti alla sussistenza della posizione di garanzia in ordine alla manutenzione delle barriere in capo al personale del Sesto Tronco RAGIONE_SOCIALE pag.173
-I motivi di ricorso attinenti alle cause dell’ammaloramento dei tirafondi e alla conseguente prevedibilità dell’evento GLYPH pag.178
-I motivi attinenti alla violazione di una regola cautelare in capo al personale inquadrato presso il Sesto Tronco e presso la sede centrale GLYPH pag.192
-I motivi di ricorso proposti dall’Amministratore Delegato e dagli altri dirigenti presso la Direzione Centrale e attinenti alla violazione dell’obb di riqualifica delle barriere GLYPH pag.206
-I motivi di ricorso proposti dall’Amministratore Delegato e dagli altri imputati in servizio presso la sede centrale in ordine alla sussistenza della posizione di garanzia in punto di riqualificazione delle barriere pag.234
-I motivi di ricorso riguardanti l’effettiva sussistenza della circost aggravante prevista dall’art.589, comma 2, cod.pen. GLYPH pag.240
-I motivi di ricorso attinenti alla contestazione del delitto di disastro colposo
pag.241
-I motivi di ricorso attinenti alla commisurazione del trattamento sanzionatorio e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche GLYPH pag.247
-Il motivo formulato dalla responsabile civile in ordine alla rispettiva quantificazione percentuale del contributo causale rispetto all’evento
-Conclusioni GLYPH
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