Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8173 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 8173  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME NOME a MONTEMURLO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/03/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Rilevato che con sentenza del 21/03/2023 la Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza del 10/06/2022 dal Tribunale di Pistoia, che aveva assolto NOME COGNOME in ordine a reato di cui all’articolo 256 d. Igs. 152/2006 in applicazione dell’articolo131-bis cod. pen..
 Avverso tale sentenza l’imputato ha presentato ricorso per cassazione, lamentando:
2.1. Con il primo motivo, che l’imputato doveva essere mandato assolto nel merito non essendovi prova del suo coinvolgimento morale nel fatto. La sentenza di appello illogicamente confermava la sentenza di primo grado.
2.2. Con il secondo motivo, l’inutilizzabilità degli atti di indagine successivi alla richiesta di proroga delle indagini preliminari, proroga mai autorizzata dal GIP.
Il ricorso è inammissibile.
3.1. Quanto al primo motivo, esso è manifestamente infondato perché contesta in fatto il giudizio sfavorevole all’imputato effettuato dal Tribunale con congrua motivazione.
Costituisce infatti principio consolidato nella giurisprudenza della Corte (v. ex plurimis Sez. 3, n. 42535 del 4/11/2008, Sorrentini, n.m.) quello secondo cui «in tema di RAGIONE_SOCIALE, la responsabilità per l’attività di gestione non autorizzata non attiene necessariamente al profilo della consapevolezza e volontarietà della condotta, potendo scaturire da comportamenti che violino i doveri di diligenza, per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione, e che legittimamente si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell’azienda (cfr. Cassazione Sezione III n. 47432/2003 RV. 226868)».
Sez. 3, Sentenza n. 16287 del 10/01/2022, COGNOME, ha ancora stabilito che il legale rappresentante di una ditta, proprietario di un’area su cui terzi depositino in modo incontrollato RAGIONE_SOCIALE, è penalmente responsabile dell’illecita cdndotta di questi ultimi in quanto tenuto a vigilare sull’osservanza da parte dei medesimi delle norme in materia ambientale.
Pertanto, in applicazione di tali principi correttamente è stata ritenuta la responsabilità del legale rappresentante dell’RAGIONE_SOCIALE, tenuto a vigilare che propri dipendenti o altri sottoposti o delegati osservassero le
norme ambientalistiche in tema di formazione di un deposito incontrollato in assenza delle prescritte autorizzazioni».
3.2. Il secondo motivo è inammissibile per genericità.
La Corte di appello riferisce di una verbale assicurazione, effettuata dal pubblico ministero in udienza il 19/04/2022, secondo cui sarebbe intervenuta autorizzazione alla prosecuzione delle indagini preliminari da parte del GIP in data 06/08/2019, autorizzazione della quale non vi è, tuttavia, traccia nel fascicolo.
In assenza della prova di tale autorizzazione, sostiene il ricerrente, sarebbero inutilizzabili tutte le prove acquisite dopo la prima scadenza del termine delle ii.pp..
Il Collegio aderisce alla consolidata giurisprudenza secondo cui «nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento» (Sez. 2, n. 34618 del 12/05/2023; COGNOME, n.m.; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016; Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014).
Il ricorrente, nel caso di specie, omette di spiegare «come» e «quanto» gli elementi di prova acquisiti illegittimamente siano rilevanti ed influenti, in guisa tale che, per effetto della loro espunzione, le residue risultanze non risultino – in ipotesi – essere sufficienti a giustificare l’identico convincimento.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2023.