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Responsabilità ente reati ambientali: la Cassazione

La Corte di Cassazione conferma la condanna di una società per responsabilità da reato ambientale, chiarendo che la natura permanente dell’illecito, come una discarica abusiva, estende la responsabilità dell’ente anche se la condotta è iniziata prima dell’entrata in vigore della specifica norma incriminatrice. La sentenza affronta la questione del ‘tempus commissi delicti’ per i reati ambientali e la confisca del profitto, consolidando il principio che la responsabilità ente per reati ambientali sorge finché perdura la situazione antigiuridica.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Responsabilità Ente per Reati Ambientali: Quando il Reato ‘Permanente’ Rende l’Impresa Responsabile

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha affrontato un tema cruciale per le imprese: la responsabilità ente per reati ambientali, in particolare quando la condotta illecita si protrae nel tempo. La decisione chiarisce come il principio di legalità si applichi ai cosiddetti ‘reati permanenti’, come la realizzazione di una discarica abusiva, e quali siano le conseguenze per la società in termini di sanzioni e confisca del profitto. Questo caso offre spunti fondamentali per comprendere i rischi e gli obblighi di compliance ambientale a cui le aziende sono soggette.

I Fatti del Caso: Una Cava e la Gestione dei Rifiuti

Una società operante nel settore estrattivo veniva condannata in primo e secondo grado per l’illecito amministrativo previsto dal D.Lgs. 231/2001. La contestazione era legata ai reati ambientali di gestione illecita di rifiuti e realizzazione di una discarica non autorizzata, commessi dal suo legale rappresentante e da altri soggetti apicali. In sostanza, l’azienda aveva accumulato e interrato nel sito di una cava ingenti quantità di residui di lavorazione, contravvenendo alle prescrizioni autorizzative che imponevano specifiche modalità di ripristino ambientale.

I Motivi del Ricorso e la tesi sulla responsabilità ente per reati ambientali

La società ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi principali:

1. Errata qualificazione dei materiali: La difesa sosteneva che i materiali accumulati non fossero rifiuti, ma sottoprodotti destinati al ripristino ambientale dell’area, come previsto dal progetto della cava.
2. Violazione del principio di legalità: Il punto centrale del ricorso. La società affermava che il reato si fosse consumato prima dell’agosto 2011, data in cui i reati ambientali sono stati inseriti nel catalogo dei presupposti per la responsabilità degli enti (tramite l’introduzione dell’art. 25-undecies nel D.Lgs. 231/2001). Di conseguenza, l’ente non poteva essere ritenuto responsabile per un fatto che, al momento della sua commissione, non era previsto dalla legge come fonte di responsabilità per la persona giuridica.
3. Eccessività della sanzione: La sanzione pecuniaria applicata era ritenuta sproporzionata, senza un’adeguata considerazione delle condizioni economiche della società, all’epoca in concordato preventivo.
4. Errato calcolo del profitto: La difesa contestava la quantificazione del profitto confiscato, calcolato come risparmio di spesa per il corretto smaltimento, sostenendo l’inapplicabilità dei costi di trasporto (avendo mezzi propri) e dell’IVA.

La questione del ‘tempus commissi delicti’

La difesa ha insistito sul fatto che la realizzazione di una discarica abusiva sia un reato istantaneo con effetti permanenti. Secondo questa tesi, il reato si sarebbe consumato con l’ultimo conferimento di materiale, avvenuto prima della modifica normativa. Pertanto, la successiva permanenza dei rifiuti nel sito avrebbe rappresentato un mero effetto post-operativo, non rilevante ai fini della configurabilità della responsabilità dell’ente.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la condanna. Le motivazioni dei giudici sono state chiare e offrono importanti principi di diritto.

Innanzitutto, la Corte ha stabilito che i materiali erano stati gestiti in modo difforme dalle prescrizioni, perdendo la qualifica di sottoprodotto e acquisendo quella di rifiuto. La modalità di accumulo, con profondità incompatibili con un uso temporaneo, indicava una sistemazione definitiva e non provvisoria.

Il punto cruciale della sentenza riguarda la natura del reato. La Cassazione ha ribadito il suo consolidato orientamento secondo cui il reato di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata (art. 256, comma 3, D.Lgs. 152/2006) ha natura permanente. Questo significa che la condotta illecita non si esaurisce con il singolo atto di deposito, ma perdura per tutto il tempo in cui l’agente mantiene in essere la situazione antigiuridica, omettendo di ripristinare lo stato dei luoghi. La consumazione del reato, quindi, cessa solo con il sequestro dell’area, con il ripristino ambientale o con l’esaurimento della carica offensiva.

Nel caso specifico, i sopralluoghi avevano dimostrato che l’attività illecita di accumulo era proseguita anche dopo l’agosto 2011. Poiché la condotta antigiuridica si è protratta anche sotto la vigenza della nuova norma che ha introdotto la responsabilità ente per reati ambientali, la società è stata correttamente ritenuta responsabile. Non vi è, pertanto, alcuna violazione del principio di legalità.

Infine, la Corte ha giudicato infondate anche le censure relative alla sanzione e alla confisca. La sanzione è stata considerata congrua data l’enorme quantità di rifiuti (oltre 77.000 tonnellate). Per quanto riguarda il profitto, è stato ritenuto corretto calcolarlo come risparmio sui costi di mercato per il trasporto e lo smaltimento, poiché rappresenta il vantaggio economico illecitamente conseguito, a prescindere dal fatto che l’azienda possedesse mezzi propri.

le conclusioni

Questa sentenza consolida un principio fondamentale: per i reati permanenti, la responsabilità dell’ente ai sensi del D.Lgs. 231/2001 può sorgere anche se la condotta è iniziata prima dell’introduzione del reato presupposto nel catalogo, a condizione che la permanenza dell’illecito si sia protratta dopo l’entrata in vigore della norma. Per le aziende, ciò significa che non è possibile invocare l’irretroattività della legge penale per situazioni illecite ancora in essere. La decisione sottolinea l’importanza di una gestione aziendale proattiva, volta non solo a prevenire nuovi illeciti, ma anche a sanare tempestivamente le situazioni di non conformità preesistenti per evitare di incorrere in gravi sanzioni patrimoniali e interdittive.

Un’azienda può essere ritenuta responsabile per un reato ambientale la cui condotta è iniziata prima che la legge prevedesse la responsabilità dell’ente?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, se il reato ha natura ‘permanente’, come una discarica abusiva, la condotta illecita si considera protratta nel tempo. Se tale condotta perdura anche dopo l’entrata in vigore della norma che introduce la responsabilità dell’ente per quel reato, la società può essere legittimamente condannata.

Come viene calcolato il profitto del reato di discarica abusiva ai fini della confisca?
Il profitto viene calcolato come ‘risparmio di spesa’. Corrisponde ai costi che l’azienda avrebbe dovuto sostenere per gestire e smaltire legalmente i rifiuti. Questo include i costi di recupero e trasporto, stimati sulla base dei valori di mercato, indipendentemente dal fatto che l’azienda disponesse di mezzi propri.

La gestione di terre e rocce da scavo in modo non conforme al progetto autorizzato costituisce un reato?
Sì. Se le terre e rocce da scavo non sono gestite nel pieno rispetto delle prescrizioni autorizzative e normative, perdono la qualifica di sottoprodotto e sono considerate a tutti gli effetti rifiuti. La loro gestione illecita, come l’accumulo in un’area non autorizzata, integra il reato di gestione non autorizzata di rifiuti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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