Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 14343 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 14343 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
Marconi NOME COGNOME nato a Roma il 18/04/1964
RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza della Corte di appello di Bari del 22/03/2024;
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili; sentito il difensore dei ricorrenti, Avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Bari con sentenza del 22 marzo 2024 (motivazione depositata il 19 luglio 2024) ha, per quel che rileva in questa sede, confermato le statuizioni della pronuncia di primo grado relative alla declaratoria di intervenuta
prescrizione nei confronti di NOME per il reato di cui al capo I) dell’imputazione (artt. 110 e 356 commi 1 e 2 cod. pen., in relazione all’art. 355, comma 2, n. 1, e 640 cpv. n. 1 cod. pen., per la fornitura, in violazione del capitolato di appalto, di materiali inadeguati e di qualità inferiore a quanto pattuito per la realizzazione del nuovo porto commerciale di Molfetta) e alla condanna a carico della società RAGIONE_SOCIALE per l’illecito amministrativo ex d.lgs. n. 231 del 2001, contestato al capo L) (delitto presupposto quello di cui all’art. 640 cpv. cod. pen., indicato al capo I a carico di Marconi).
Avverso la sentenza di appello hanno, a mezzo del proprio difensore, proposto ricorso COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE
2.1. Marconi deduce un unico motivo, declinato come vizio di motivazione della sentenza di appello, con riferimento alla conferma della prescrizione del reato sub capo I); il ricorrente evidenzia che i Giudici di merito non hanno correttamente valutato la documentazione versata in atti, da cui risulterebbe evidente la propria estraneità ai fatti contestati: l’imputato, infatti, non ha rivestito alcun ruolo ne società che si era occupata dei lavori (ossia la Molfetta Newport). A tal fine, si precisa che risultano irrilevanti anche le intercettazioni (due telefonate citate nella sentenza impugnata intercorse con l’Ing. COGNOME, tecnico della RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE) che sono state erroneamente ritenute prova della sussistenza dei fatti contestati e, in particolare, della consapevolezza di questi ultimi da parte del ricorrente.
Nell’impugnazione di legittimità si evidenzia ancora che per la realizzazione del nuovo porto commerciale di Molfetta venne costituita, nel marzo del 2007, dalle aziende “RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME“, società “RAGIONE_SOCIALE – di cui Marconi era Direttore tecnico – e RAGIONE_SOCIALE una società consortile a responsabilità limitata denominata “RAGIONE_SOCIALE, con sede in Ravenna, dotata di autonomi organi rappresentativi, della quale non faceva parte l’odierno ricorrente; egli, pertanto, deve ritenersi estraneo a qualunque ipotesi di reato, non avendo svolto alcun ruolo nei lavori, oggetto di contestazione, per la realizzazione del cosiddetto Pennello Sperone né tantomeno aveva rivestito ruoli autonomamente la società “RAGIONE_SOCIALE della quale egli era mero direttore tecnico.
2.2. La RAGIONE_SOCIALE ha eccepito vizio di motivazione con riferimento al capo L) denunciandosi l’omessa valutazione della documentazione in atti, da cui emergerebbe in modo evidente l’estraneità ai fatti da parte della Società ricorrente: come già evidenziato dal ricorrente Marconi si rileva che la RAGIONE_SOCIALE aveva, unitamente a altre due società, costituito una Associazione temporanea di imprese (RAGIONE_SOCIALE) al fine di partecipare alla gara di appalto, risultandone aggiudicataria; queste stesse società, compresa la ricorrente, costituivano una
società consortile (la Molfetta Newport) al fine di affidare alla stessa la esecuzione delle opere oggetto dell’appalto; detta società era composta da autonomi organi rappresentativi e di questa non facevano parte né la RAGIONE_SOCIALE, né il suo Direttore tecnico, cioè NOMECOGNOME Inoltre, è errata la considerazione della Corte di appello secondo cui nella Molfetta Newport hanno operato dipendenti della RAGIONE_SOCIALE (in particolare COGNOME NOME), perché costoro hanno collaborato a titolo di semplice distaccamento temporaneo (che aveva comportato il trasferimento giuridico dei rapporti gerarchici e del rapporto lavorativo dipendente). In definitiva, mancherebbero i presupposti soggettivi per configurare la responsabilità dell’ente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME NOME COGNOME è infondato.
Invero, a fronte di una sentenza di appello confermativa della declaratoria di prescrizione, il ricorso per cassazione che deduca la mancata adozione di una pronuncia di proscioglimento nel merito, ai sensi dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., deve individuare i motivi che permettano di apprezzare “ictu ()cuti”, con una mera attività di “constatazione”, l’evidenza” della prova di innocenza dell’imputato, idonea ad escludere l’esistenza del fatto, la sua commissione da parte di lui, ovvero la sua rilevanza penale (ex multis, Sez. 6, n. 33030 del 24/05/2023, COGNOME, Rv. 285091 – 01).
2.1. Nella specie, la sentenza impugnata ha, in modo non manifestamente illogico, evidenziato l’insussistenza dei presupposti per l’assoluzione nel merito dell’imputato alla luce delle prove acquisite in primo grado (in specie le intercettazioni di conversazioni intercorse tra gli altri correi, e di quelle che hanno direttamente coinvolto Marconi). Da esse, secondo i Giudici di merito, emerge che l’imputato era consapevole della non conformità del materiale fornito rispetto a quanto stabilito nel capitolato d’appalto (v. in particolare pag. 61 e 65). Ulteriore elemento valorizzato dalle sentenze di merito per ritenere il coinvolgimento del ricorrente nel fatto delittuoso attiene alla circostanza che COGNOME NOME, dipendente della medesima società RAGIONE_SOCIALE, era stato distaccato presso l’Associazione temporanea di imprese che svolgeva i lavori in contestazione. Elementi dai quali, come condivisibilmente rileva il P.G. nella memoria scritta depositata in vista dell’odierna udienza, emergono elementi tali da rendere non illogica la ritenuta insussistenza della “evidente prova dell’innocenza” fondamento dell’operatività della regola iuris contenuta nel secondo comma dell’art. 129 cod. proc. pen.
Al rigetto del ricorso segue, come per legge, la condanna di Marconi al pagamento delle spese processuali.
Fondato è, invece, il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE
3.1. Va premesso che l’intervenuta prescrizione del reato a carico di Marconi non produce effetto relativamente alla SI.DRA. Infatti, in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, l’intervenuta prescrizione del reato presupposto successivamente alla contestazione all’ente dell’illecito non ne determina l’estinzione per il medesimo motivo, giacché il relativo termine, una volta esercitata l’azione, rimane sospeso fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento nei confronti della persona giuridica (Sez. 4, n. 31641 del 04/05/2018, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 273085 – 01). Sotto altro profilo, è stata ritenuta manifestatamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 22 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, recante la disciplina della prescrizione dell’illecito dell’ente, per asserito contrasto con gli artt. 3, 24, comma secondo, 41 e 111, comma secondo, Cost., giustificandosi, in ragione della diversità di natura di tale illecito, il previsto regime derogatorio rispetto a prescrizione del reato delle persone fisiche e costituendo il complessivo sistema di responsabilità “ex delicto” dell’ente disciplina attuativa del citato art. 41, volta ad evitare che, anziché favorire l’attività sociale, l’iniziativa economica privat rappresenti l’occasione per agevolare la commissione di reati (da ultimo, v. Sez. 6, n. 25764 del 18/04/2023, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 284915 – 02, che ha anche escluso che tale disciplina contrasti con le garanzie convenzionali relative alla “matière pénale”, di cui all’art. 6 CEDU, quale parametro interposto dell’art. 117 Cost., in considerazione dell’autonomia dell’illecito dell’ente rispett al reato presupposto e della maggiore complessità del relativo accertamento).
3.2. Si è però anche affermato che in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi dell’art. 8, comma primo, lett. b) d.lgs. n. 231 del 2001, deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso che non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato (Sez. 6, n. 21192 del 25/01/2013, COGNOME, Rv. 255369 – 01), precisandosi ulteriormente che l’autonomia della responsabilità dell’ente rispetto a quella penale della persona fisica che ha commesso il reato-presupposto deve essere intesa nel senso che, per affermare la responsabilità dell’ente, non è necessario il definitivo e completo accertamento della responsabilità penale individuale, ma è sufficiente un mero accertamento incidentale, purché, però, risultino integrati i presupposti oggettivi e soggettivi d cui agli artt. 5, 6, 7 e 8 del medesimo decreto n. 231 (Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018, Rv. 274320 – 03).
3.3. Da tali principi – che il Collegio condivide – deriva che in caso di intervenuta prescrizione del reato presupposto, mentre l’affermazione della innocenza della persona fisica al quale viene contestato il medesimo reato richiede,
ai sensi dell’art. 129, secondo comma, cod. proc. pen., l’evidenza della relativa prova, la condanna dell’ente presuppone, al contrario, la prova positiva – oltre ogni ragionevole dubbio – della sua responsabilità, secondo il criterio indicato nell’art. 533 cod. proc. pen. Esso, infatti, trova applicazione nel procedimento a carico degli enti sia in ragione delle clausole estensive delle norme del codice di procedura penale e delle relative regole dettate per l’imputato (artt. 34 e 35 d.lgs. n. 231 del 2001), sia in quanto in caso di prova mancante, insufficiente o contraddittoria si impone la pronuncia di esclusione di responsabilità dell’ente (art. 66 d.lgs. n. 231). Non può dunque, dalla affermazione della mancanza di evidenza dell’innocenza del soggetto indicato come autore del reato presupposto fondarsi la responsabilità dell’ente, per la quale, come detto, è necessaria la prova positiva della sussistenza di tutti gli elementi che connotano il relativo illecito.
Sul punto, la motivazione della sentenza impugnata non risulta adeguata, essendosi limitati i Giudici dell’appello a rilevare (pag. 116) che “non essendovi dubbi sulla sussistenza delle condotte integranti il reato di truffa aggravata, la circostanza che il reato presupposto … sia prescritto non rileva sicchè va confermata la sanzione pecuniaria irrogata dal primo Giudice”. Argomentazione che, a fronte delle censure formulate nell’atto di appello (e ora reiterate nel ricorso di legittimità, come sopra indicato), non è idonea a dimostrare la responsabilità dell’ente.
4. La motivazione in ordine alla responsabilità di RAGIONE_SOCIALE risulta censurabile anche in riferimento a un ulteriore profilo. Nel caso in esame si è di fronte a contestazione che vede detta società far parte di un raggruppamento temporaneo di imprese, nel cui ambito sarebbe stato commesso l’illecito dipendente da reato. Al riguardo, questa Corte ha già chiarito che, qualora il reato presupposto ex d.lgs. n. 231 del 2001 sia stato commesso nell’ambito dell’attività di una società facente parte di un gruppo o di una aggregazione di imprese, la responsabilità può estendersi alle società collegate solo a condizione che all’interesse o vantaggio di una società si accompagni anche quello concorrente di altra società e la persona fisica autrice del reato presupposto sia in possesso della qualifica soggettiva necessaria, ai sensi dell’art. 5 del. D.Lgs. n.231 del 2001, ai fini della comune imputazione dell’illecito amministrativo da reato (Sez. 2, n. 52316 del 27/09/2016, Riva, Rv. 268963 – 01, ove si è precisato che la responsabilità della capogruppo o di una controllata non può discendere dalla mera presunzione di coincidenza dell’interesse di gruppo con quello delle singole società, dovendosi verificare in concreto la sussistenza di un interesse o di un vantaggio della “holding” o di altra società del gruppo).
4.1. La sentenza di appello ha affermato (sempre pag. 116) che “il reato di truffa aggravato è stato commesso nel precipuo interesse della predetta società
visto che la finalità di chi ha commesso il reato di cui al capo I era quello di conseguire un ingiusto profitto patrimoniale” (in tal modo confermando le –
identiche – argomentazioni – della sentenza di primo grado: pag. 348). Anche per tale aspetto si tratta di motivazione inidonea a dimostrare l’effettiva esistenza
dell’interesse e vantaggio in capo alla società ricorrente.
Si impone, quindi, l’annullamento della sentenza impugnata relativamente alla posizione di RAGIONE_SOCIALE con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Bari
per nuovo giudizio in ordine alla responsabilità della stessa per l’illecito dipendente da reato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Annulla la sentenza impugnata con riferimento alla RAGIONE_SOCIALE e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Bari.
Così deciso il 26 febbraio 2025
Il Consigliere estens re
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