Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 18167 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 18167 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 14/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a TRIESTE il 12/02/1957
avverso la sentenza del 19/06/2024 della CORTE APPELLO di TRIESTE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 19 giugno 2024 la Corte di appello di Trieste ha confermato la pronuncia del locale Tribunale del 28 gennaio 2022 con cui NOME NOME – riconosciuto colpevole dei reati di cui all’art. 589-bis, commi 1 e 8, cod. pen., concessa la circostanza ex art. 589-bis, comma 7, cod. pen. e le attenuanti generiche, nonché applicata la disciplina del concorso formale ai sensi dell’art. 589-bis, comma 8, cod. pen. – era stato condannato alla pena di mesi dieci di reclusione, con concessione della sospensione condizionale della pena e del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, con sospensione della patente di guida per anni uno.
1.1. E’ stata, in particolare, riconosciuta la penale responsabilità del Detela per avere, nella sua qualità di autista di taxi, per colpa consistita in imprudenza, negligenza e violazione dell’art. 158, commi 1 e 4, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, fermato la sua autovettura in modo da invadere gran parte della carreggiata, senza azionare la segnalazione di emergenza e consentendo al passeggero COGNOME NOME, che si trovava nel sedile posteriore destro, di uscire da quel lato del veicolo nonostante vi fosse un’esposizione al traffico veicolare in quel momento particolarmente consistente, così cagionando un incidente stradale in esito al quale era deceduta COGNOME COGNOME che viaggiava a bordo di uno scooter condotto dal marito COGNOME NOME, che a sua volta aveva riportato lesioni personali, consistite in una frattura costale destra.
Più specificamente, il suddetto scooter, transitando a una distanza di 40-50 cm dal fianco dell’auto a una velocità di circa 40-45 Km/h, aveva colliso violentemente con l’estremità della leva del freno sul montante posteriore della portiera, nel frattempo aperta dal COGNOME, così causando la successiva frenata a fondo della moto e la conseguente caduta della COGNOME, che per l’effetto aveva riportato un trauma cranico-encefalico che ne aveva causato il successivo decesso.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo quattro motivi di doglianza.
Con il primo ha eccepito violazione di legge e illogicità della motivazione per travisamento della prova, lamentando che nei suoi confronti vi sarebbe stata un’erronea imputazione dei delitti, stante la mancata individuazione delle norme cautelari violate.
Nessuna disposizione, infatti, avrebbe impedito al taxi di fermarsi in quello specifico luogo, non essendo stato neanche accertato che in quel particolare momento vi fosse una situazione di traffico tale da rendere pericolosa la discesa del passeggero, ed anzi essendo stato acclarato, in termini contrari, come il COGNOME, alla guida dello scooter, avesse ben potuto visualizzare la presenza dell’autovettura in sosta sul lato sinistro della carreggiata.
Né alcuna responsabilità potrebbe derivargli dal fatto di non avere impedito al passeggero di scendere dal lato destro dell’autovettura, atteso che la norma cautelare di riferimento, e cioè l’art. 157, comma 1, lett. b) cod. strada, imporrebbe un dovere di controllo nei confronti del conducente unicamente durante la marcia del mezzo, e non già laddove, essendosi conclusa la sua obbligazione di trasporto, esso si sia fermato. Al momento dell’uscita dall’auto non avrebbe potuto esercitare alcun tipo di controllo, non avendo potuto esprimere alcun avvertimento di rilievo cogente ed essendo rimessa alla sola autodeterminazione del trasportato la scelta sul come scendere dall’auto.
Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto violazione degli artt. 589bis e 40 cod. pen. per erronea applicazione del principio di causalità della colpa.
Nella sentenza di merito non sarebbe stato correttamente individuato il momento di superamento del rischio consentito, invero da identificarsi nella condotta con cui il COGNOME, in violazione dell’art. 157, comma 7, cod. strada, avrebbe autonomamente aperto lo sportello dell’autovettura. Il Detela, quindi, non avrebbe potuto evitare tale evento, per cui l’effettuato riconoscimento della sua responsabilità penale sarebbe avvenuto in ragione di una non corretta applicazione dei criteri di imputazione causale della colpa.
Con la terza doglianza è stata dedotta violazione degli artt. 589-bis e 41, commi 2 e 3, cod. pen. per erronea individuazione della cooperazione colposa dell’imputato nella causazione degli eventi mortali e lesivi, nella parte in cui è stata erroneamente ritenuta l’esistenza di condotte alternative lecite atte a evitare l’impatto con il motociclo.
Dalla corretta applicazione del giudizio controfattuale emergerebbe, infatti, con valutazione ex ente, come la fermata del taxi in quella posizione, invero del tutto prudente e legittima, non avrebbe contribuito in alcun modo alla verificazione del successivo impatto con lo scooter, non costituendone nessun antecedente logico. La collisione sarebbe avvenuta per l’apertura della portiera autonomamente effettuata da parte del passeggero, e non già per la sua sola decisione di fermare il taxi in quel luogo.
Del pari, l’imputazione causale dell’evento sarebbe da riferirsi alla condotta del COGNOME che, pur avvedendosi della presenza del taxi in sosta, aveva deciso di procedere sul lato sinistro della carreggiata a velocità sostenuta, sfiorando
l’autovettura, così da adottare una condotta certamente non prevedibile da parte dell’imputato.
Il ricorrente, pertanto, sarebbe stato condannato senza ricoprire nessuna specifica posizione di garanzia, derivante dalla previsione di una specifica norma cautelare, e senza che le altrui condotte causative dell’evento potessero essere da lui previste ed evitate.
Con l’ultimo motivo, infine, il ricorrente ha eccepito violazione di legge per erronea applicazione della norma della cooperazione colposa nella causazione dell’evento, per mancato riconoscimento dell’autonomia causale della condotta della vittima nella verificazione dell’incidente mortale, nonché travisamento della prova e illogicità della motivazione con riguardo alle dichiarazioni rese dai consulenti escussi.
A dire di questi ultimi, infatti, il decesso dalla COGNOME sarebbe avvenuto per trauma cranico letale determinato dall’impatto diretto del cranio con il manto stradale, conseguente alla caduta dello scooter.
La Corte di appello, tuttavia, avrebbe omesso di considerare la circostanza, rilevata dagli stessi consulenti, per cui il diretto impatto del cranio della vitti con il selciato sarebbe stato incompatibile con l’utilizzo di dispositivi di sicurezza, e come il casco della donna presentasse una rottura anomala nella posizione posteriore (in presenza della fibbia metallica), tanto da risultare inadeguato rispetto alle norme omologative. La morte della Carpentiere sarebbe, pertanto, imputabile all’utilizzo di un casco manomesso, che non avrebbe svolto la sua ordinaria funzione protettiva, non avendo saputo reggere a un urto di tipo standard e proprio dei test di omologazione.
Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
Il difensore ha depositato memoria scritta, con cui ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Sono, infatti, prive di ogni fondamento le doglianze con cui il ricorrente, senza confrontarsi adeguatamente con quanto statuito dai giudici di merito, ha ritenuto di escludere la ricorrenza della sua responsabilità penale sul presupposto
di non avere violato, con la sua condotta, nessuna regola cautelare, e dunque di non avere assunto nessuna specifica posizione di garanzia, altresì considerato come, nel rispetto del principio di causalità della colpa e operando un giudizio controfattuale con valutazione ex ante, non gli sarebbe imputabile nessuna condotta antidoverosa eziologicamente ricollegabile alla verificazione dell’evento, da lui non prevedibile né impedibile con una condotta alternativa lecita, in quanto determinato dalla imprudente condotta altrui.
Orbene, in riferimento alle indicate censure assume, in primo luogo, rilievo la circostanza che, nel caso di specie, la Corte di appello ha confermato il giudizio di responsabilità espresso da parte del primo giudice, ribadendo le argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado. Ricorre, pertanto, un’ipotesi di una “doppia conforme” pronuncia di responsabilità, in cui le motivazioni delle sentenze di primo e di secondo grado si saldano per formare un unico apparato logico-argomentativo a cui il giudice di legittimità deve riferirsi per valutare la congruità e la completezza della motivazione che sorregge la decisione assunta. Deve precisarsi che, in caso di “doppia conforme”, il travisamento della prova per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. e) cod. proc. pen., solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti – co specifica deduzione – che il dato probatorio asseritamente travisato sia stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (così, tra le tante, Sez. 6, n. 21015 del 17/05/2021, COGNOME, Rv. 281665-01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217-01). Ciò in quanto il limite del devolutum non può essere superato prospettando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice di appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi d gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice – evenienza da escludersi nel caso di specie -. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Chiarito il superiore aspetto, deve essere evidenziato, poi, come le doglianze prospettate dal ricorrente, lungi dal confrontarsi con la congrua e logica motivazione resa dalla Corte territoriale in replica alle analoghe censure eccepite nel secondo giudizio, finiscano per riproporre, nella sostanza, motivi coincidenti con quelli già dedotti con l’atto di appello.
Per come ripetutamente chiarito da questa Corte di legittimità (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584-01), la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il
provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione, cioè, è innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Risulta di chiara evidenza, pertanto, che se il motivo di ricorso, come nel caso in esame, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento).
E’ inammissibile, quindi, il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre: Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838-01).
5. In particolare, deve ritenersi del tutto infondata la censura con cui il Detela ha lamentato l’erroneo riconoscimento della sua responsabilità penale per mancata individuazione delle regole cautelari presuntivamente violate, nello specifico assumendo che nessuna disposizione normativa gli avrebbe impedito di fermare il taxi in quel determinato luogo, ovvero gli avesse imposto di non far scendere il passeggero dal lato destro dell’autovettura, essendo tale ultima opzione rimessa all’autonoma determinazione del trasportato.
In termini opposti, invece, i giudici di merito hanno diffusamente esplicato, con argomentazione congrua e giuridicamente corretta, come plurime previsioni normative avessero radicato una specifica posizione di garanzia in capo al conducente. E’ stato precisato, infatti, come nei suoi confronti gravassero taluni specifici obblighi imposti dal Codice della strada, e in particolare quelli previsti dagli artt.: 140, comma 1, di non creare pericolo per la circolazione e di salvaguardare la sicurezza stradale; 157, comma 1, lett. b), per cui la fermata del veicolo deve essere tale da non arrecare comunque intralcio alla circolazione; 157, comma 7, che fa divieto a chiunque di aprire le porte di un veicolo senza prima assicurarsi che ciò non costituisca pericolo o intralcio per gli altri utenti della strada; art. 158, comma 4, che impone al conducente di adottare, durante la sosta o la fermata, opportune cautele atte a evitare incidenti.
Per i giudici di merito, pertanto, le condotte espressamente riferite all’imputato – di avere fermato il taxi occupando gran parte della carreggiata, senza azionare la segnalazione di emergenza, e di aver consentito al COGNOME di scendere dalla portiera posizionata sul lato destro nel mentre transitava il traffico veicolare – sono risultate congruamente lesive degli obblighi rimessi al Detela dalle previsioni del Codice della strada indicate. Esse, infatti, si sono poste in antitesi rispetto ai concreti rischi tutelati dalle suddette norme, avendo creato pericolo e intralcio per la circolazione stradale, senza preventiva adozione di opportune cautele volte a evitare incidenti.
Tali considerazioni inducono a ritenere, quindi, diversamente da quanto dedotto dal Detela, che nella specie vi sia la ricorrenza della causalità della colpa, non sussistendo l’eccepita carenza di prova dell’avvenuta violazione delle norme cautelari.
E’ ben noto, infatti, il principio, consolidatosi presso questa Corte di legittimità per cui, per affermarsi una responsabilità colposa, non è sufficiente che il risultato offensivo tipico si sia prodotto come conseguenza di una condotta inosservante di una determinata regola cautelare (per esempio, una norma di comportamento del Codice della strada), ma occorre che il risultato offensivo corrisponda proprio a quel pericolo che la regola cautelare violata intendeva fronteggiare.
Necessita, cioè, che il risultato offensivo sia la “concretizzazione” del pericolo preso in considerazione dalla norma cautelare, ovvero, in altri termini, che l’evento lesivo rientri nella classe di eventi alla cui prevenzione era destinata la norma cautelare.
Ciò, per l’appunto, è quanto accertatosi nel caso di specie, essendo state ritenute le condotte del Detela come violative degli obblighi derivanti dalle regole cautelari inerenti alla posizione di garanzia assunta quale conducente, per cui era tenuto al controllo del veicolo e dei terzi trasportati al fine di evitare pericoli a circolazione e alla sicurezza stradale, con un onere di diligenza professionale particolarmente elevato, trattandosi di autista di taxi.
6. Se dunque – alla stregua di quanto ritenuto dalla Corte territoriale – il rispetto delle regole cautelari impostegli avrebbe consentito al Detela di impedire la realizzazione dell’evento, o quantomeno di determinarne la verificazione in termini diversi da quelli in cui è concretamente avvenuto, risulta palesemente infondata anche la doglianza con cui il ricorrente ha lamentato l’intervenuto erroneo espletamento del giudizio controfattuale, sul presupposto che le condotte a lui imputabili non avrebbero, comunque, rappresentato un antecedente causale rispetto alla verificazione dei tragici accadimenti.
Diversamente da quanto sostenuto in ricorso, infatti, i giudici di merito hanno diffusamente rappresentato, con argomentazioni pertinenti e del tutto logiche, come vi fossero varie condotte alternative lecite, facilmente perpetrabili da parte dell’imputato, che avrebbe certamente consentito di evitare l’impatto dello sportello del taxi con il motociclo, ben potendo, ad esempio, il Detela: sostare in un’altra zona meno pericolosa, anche posizionata nelle vicinanze; fermare la propria autovettura sul lato destro della carreggiata; far scendere il passeggero dallo sportello posizionato sul lato sinistro; avvertire il COGNOME dei rischi connessi alla sua discesa dal lato destro, anche assistendolo, con l’osservazione degli specchietti retrovisori, durante l’espletamento di tale incombenza.
Per l’effetto, dunque, secondo il ragionamento espresso dalla Corte territoriale, operando con valutazione ex ante, l’adozione di uno qualsiasi dei comportamenti indicati avrebbe impedito la verificazione degli eventi mortali e lesivi accaduti, almeno secondo le modalità in cui sono effettivamente avvenuti.
Né la responsabilità del prevenuto può essere esclusa, come congruamente ritenuto dalla Corte di appello, sul presupposto, invece ritenuto da parte dell’imputato, per cui i tragici eventi sarebbero da imputarsi causalmente alla sola condotta del passeggero, che del tutto autonomamente avrebbe deciso di aprire la portiera sul lato destro, ovvero del Tenerelli che, pur avvedendosi della presenza del taxi in sosta, avrebbe sfiorato a velocità sostenuta l’auto dal lato sinistro della carreggiata.
Con motivazione logica e congrua la Corte di merito ha diffusamente esplicato come l’imputato risponda, nel caso di specie, di un’ipotesi di cooperazione colposa nella causazione dell’evento, avendo contribuito, unitamente alle condotte del COGNOME e del COGNOME, a determinare la caduta dello scooter, costituente la reale causa di verificazione della morte della COGNOME.
Rispetto a tale conclusione, logicamente espressa dai giudici di appello in esito a una compiuta ricostruzione della vicenda fattuale, neppure esonerativa di responsabilità per il Detela è la circostanza, invece dedotta con l’ultimo motivo di ricorso, per cui il decesso della vittima sarebbe eziologicamente imputabile, in via esclusiva, alla condotta di quest’ultima che, in occasione dell’incidente, aveva indossato un casco manomesso, avente un’anomala rottura nella posizione posteriore, del tutto inidoneo a espletare la sua ordinaria funzione protettiva.
Per come congruamente evidenziato nella sentenza impugnata, pur a fronte di tale ultimo aspetto, non può giammai corrispondere al vero che il decesso fosse stato esclusiva conseguenza dell’intervenuta manomissione del casco, dovendo, invece, esserne individuata l’effettiva causa nella caduta della
COGNOME sulla carreggiata, con conseguente impatto del cranio sul terreno, e quindi per un evento da riferirsi, in termini di cooperazione colposa, alle condotte
perpetrate da parte dell’odierno imputato, del COGNOME e del COGNOME.
7. Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 14 febbraio 2025
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Il Consigliere estensore
Il Presidente