Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8141 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3   Num. 8141  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a Padova; COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a Lendinara; COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a San Bellino; COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a Padova; nel procedimento a carico dei medesimi; avverso la sentenza del 16/12/2022 della Corte di appello di Venezia; visti gli atti, il provvedimento impugnato e.ir ricorsi:1; udita la relazione svolta dal consigliere NOME d letta la requisitoria del AVV_NOTAIO Generale NOME COGNOME ch chiesto il rigetto del ricorso del COGNOME, l’annullamento senza rinvio della s con riguardo alla posizione di COGNOME NOME e limitatamente al trattame sanzionatorio con rideterminazione della pena in mesi cinque e giorni dieci reclusione; l’annullamento senza rinvio della sentenza relativa a COGNOME NOME limitatamente al trattamento sanzionatorio con rideterminazione della pena mesi sei e giorni venti di reclusione; l’annullamento con rinvio della sen impugnata con riguardo alla posizione del COGNOME NOME limitatamente all’aumento per la continuazione ferma l’irrevocabilità della dichiarazion responsabilità per tutti gli imputati, rigettando nel resto i ricorsi;
o
lette le conclusioni del difensore di COGNOME NOME avv.to NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata; lette le conclusioni del difensore di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, avv.to COGNOME NOME, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16 dicembre 2022 la Corte di appello di Venezia riformava parzialmente la sentenza de115.10.2019 del tribunale di Padova, riqualificando i capi 2, 4, 7, 9, 11, 14, 16 e 18, nel reato ex art. 4 del dlgs. 74/2000, ritenut assorbite le fattispecie di cui ai capi 1, 3, 6, 8, 10, 13, 15, nelle corrisponden fattispecie di dichiarazione infedele, e rideterminava la pena nei confronti degli imputati, tra cui i quattro odierni ricorrenti. Oltre ad assolvere il coimputa COGNOME dai reati ascrittigli.
 Avverso la predetta sentenza COGNOME NOME, COGNOME NOME, e COGNOME NOME, COGNOME NOME, tramite il rispettivo difensore di fiducia, hanno proposto ricorso per Cassazione.
3.COGNOME NOME con il primo motivo deduce vizi di motivazione, in assenza della indicazione dello specifico contributo criminale assicurato dal ricorrente, rispetto al piano criminoso formulato dal COGNOME, e tantomeno delle fasi salienti cui avrebbe partecipato lo COGNOME. La motivazione oltre che generica sarebbe altresì illogica e contraddittoria, avendo la difesa illustrato in sede di gravame elementi favorevoli all’assoluzione dell’imputato, costituiti dal ruolo atti esclusivo assunto dal COGNOME, mentre la corte, oltre a non confutare gli assunti difensivi, avrebbe ritenuto che sarebbe spettato al ricorrente dimostrare la sua estraneità ai fatti. Si aggiunge che sarebbe emersa in entrambe le sentenze di merito la estraneità ad ogni forma di gestione societaria da parte del ricorrente. Per cui sarebbe illogica l’affermazione di un consapevole contributo partecipativo dell’imputato al piano criminoso del COGNOME, essendo emersi da parte del ricorrente solo adempimenti di tipo formale. Sarebbero poi state travisate, con conseguente motivazione contraddittoria, le dichiarazioni spontanee del COGNOME e quelle rese in sede di interrogatorio, non risultando alcun riferimento ad una adesione dello COGNOME al piano del COGNOME, mentre le predette dichiarazioni avrebbero descritto la riconduzione della effettiva gestione societaria solo al COGNOME. Anche nell’interrogatorio il COGNOME avrebbe escluso ogni responsabilità dell’attuale ricorrente. In tale quadro emergerebbe anche la violazione dell’art. 4 del Dlgs. 74/2000 in punto di elemento oggettivo, posto che come precisato dalla
giurisprudenza di legittimità il prestanome non risponde di delitti in mate dichiarazioni ex Dlgs. citato, se privo di qualsiasi potere o possibilità di ing
Deduce, con il secondo, vizi ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. pr pen. in relazione all’elemento soggettivo dell’art. 4 del dlgs. 74/200 motivazione sarebbe carente della indicazione dei dati da cui desumere consapevole scelta del ricorrente di ricoprire la carica di amministratore società, anche alla luce del dato opposto emergente dalle dichiarazioni del COGNOME posto che nel ruolo formalmente assunto il ricorrente era privo di poteri di impe gli altrui illeciti. E comunque mancherebbe la prova dell’elemento soggettivo reato, quale il dolo specifico di evasione.
COGNOME NOME con il primo motivo deduce vizi di motivazione quanto al contributo del ricorrente rispetto ai fatti di cui al capo 18 e di violazione d La motivazione sarebbe assente per la mancanza di spiegazioni circa il rigetto motivi di gravame, laddove si osserva che per fatti analoghi sarebbe stato inv assolto un altro imputato, il COGNOME. Sarebbe poi generica per assenza d indicazione dello specifico contributo criminale assicurato dal ricorrente, ri al piano criminoso formulato dal COGNOME e tantomeno delle fasi salienti cui avre partecipato l’imputato. Sarebbe altresì illogica e contraddittoria, avendo la illustrato in sede di gravame elementi favorevoli all’assoluzione dell’imputato luce della ripresentazione della dichiarazione IVA operata dal COGNOME dopo il pri
invio della dichiarazione corretta, mentre la corte oltre a non confutare gli assunti difensivi avrebbe ritenuto che sarebbe spettato al ricorrente dimostrare la sua estraneità ai fatti. Si aggiunge che sarebbe emersa in entrambe le sentenze di merito la estraneità ad ogni forma di gestione societaria da parte del ricorrente. Per cui sarebbe illogica l’affermazione di un consapevole contributo partecipativo dell’imputato al piano criminoso del COGNOME, essendo emersi da parte del ricorrente solo adempimenti di tipo formale. Sarebbero poi state travisate, con conseguente motivazione contraddittoria, le dichiarazioni spontanee del COGNOME e quelle rese in sede di interrogatorio, non risultando alcun riferimento ad una adesione dell’imputato al piano del COGNOME. Mentre le predette dichiarazioni avrebbero descritto la riconduzione della effettiva gestione societaria solo al COGNOME. In tale quadro emergerebbe anche la violazione dell’art. 4 del Dlgs. 74/2000 in punto di elemento oggettivo, posto che come precisato dalla giurisprudenza di legittimità il prestanome non risponde di delitti in materia di dichiarazioni ex Dlgs. citato, se privo di qualsiasi potere o possibilità di ingerenza.
6.Con il secondo motivo deduce vizi ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’elemento soggettivo dell’art. 4 del dlgs. 74/2000. La motivazione sarebbe carente della indicazione dei dati da cui desumere la consapevole scelta del ricorrente di ricoprire la carica di amministratore delle società, anche alla luce del dato opposto emergente dalle dichiarazioni del COGNOME. Posto che nel ruolo formalmente assunto il ricorrente era privo di poteri di impedire gli altrui illeciti. E comunque mancherebbe la prova dell’elemento soggettivo del reato quale il dolo specifico di evasione.
7.Con il terzo motivo deduce vizi ex art. 606 comma 1 lett. c) ed e) cod. proc. pen. In primo grado il ricorrente è stato condannato per il reato ex art. 2621 c.c. ( capo 17) e 3 del Dlgs. 74/2000 ( capo 18) mentre in sede di appello il collegio di merito ha riqualificato i fatti nella più lieve fattispecie ex art. 4 del dlgs. 74/2 E quanto ai reati ex art. 2621 c.c. di “false comunicazioni sociali” i fatti sono sta dichiarati assorbiti nella dichiarazione infedele. Nonostante ciò la la corte non avrebbe spiegato le ragioni per cui non doveva considerarsi assorbito anche il reato contestato al capo 17 per cui vi sarebbe contraddittorietà e illogicità rispetto a quanto statuito nella parte motiva.
8.COGNOME NOME con il primo motivo deduce vizi di motivazione e di violazione di legge. Si contesta il rigetto del motivo di gravame proposto in ordine alla richiesta continuazione tra i reati sub iudice e altro delitto già giudicato di c all’art. 603 bis cod. pen . La motivazione sarebbe carente perché limitata a valutazioni delle fattispecie contestate svolte sul piano astratto, senza considerare
i motivi di gravame proposti al riguardo. La motivazione sarebbe altresì illogica e contraddittoria laddove utilizza le dichiarazioni del COGNOME ma non valuta la sussistenza del vincolo di continuazione “esterna”. I predetti vizi emergerebbero anche riguardo all’unico elemento di novità introdotto dalla corte sul tema in parola, quale quello della diversità dei complici, con cui le condotte sono state realizzate. Tanto a fronte del ruolo di deus ex machina svolto dal ricorrente, che si serviva di plurimi soggetti. Vi sarebbe anche l’erronea applicazione del capoverso dell’art. 81 cod. pen. posto che la corte avrebbe utilizzato per negare la continuazione indici irrilevanti o almeno neutri, senza valorizzare dati quali la prossimità temporale l’omogeneità delle condotte, le circostanze concrete di tempo e luogo dell’azione, le finalità perseguite, Laddove con atto di appello si era evidenziato l’unico proposito criminoso perseguito dal COGNOME, volto a contenere i costi del lavoro e fiscali, l’utilizzo delle medesime società o di società tutte operanti nella logistica, il profilo di vicinanza temporale, l’unitarietà temporale e di luog del contesto di azione.
 Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 81 cpv. c.p. in punto di qualificazione degli aumenti di pena, e il vizio di motivazione in ordine agli stessi. Rispetto ai reati considerati avvinti dalla continuazione non si indicherebbe in motivazione neppure in modo unitario il quantum di pena complessivamente applicato tra il reato più grave e i nove reati satellite, che si ricaverebbe per sottrazione. Né sarebbe indicato il quantum di pena per ciascun singolo reato.
Con il terzo motivo e quarto motivo deduce vizi di motivazione e di violazione di legge. A seguito dell’assorbimento delle false comunicazioni sociali nella riqualificata fattispecie tributaria il ricorrente risulterebbe imputato per 1 reati di cui ai capi 2 4 5 7 9 11 12 14 16 e 18. La motivazione nel concedere la continuazione per tali reati non indica le ragioni del quantum di pena applicato per la continuazione tra il reato più grave e i nove reati satellite. Non sarebbe immediatamente percepibile neppure il quantum di pena applicato per ogni singolo reato.
COGNOME NOME con il primo motivo deduce vizi di motivazione, in assenza della indicazione dello specifico contributo criminale assicurato dal ricorrente, rispetto al piano criminoso formulato dal COGNOME e tantomeno delle fasi salienti cui avrebbe partecipato il COGNOME. La motivazione oltre che generica sarebbe altresì illogica e contraddittoria, avendo la difesa illustrato in sede di gravame elementi favorevoli all’assoluzione dell’imputato costituiti dal ruolo attivo esclusivo assunto dal COGNOME, mentre la corte oltre a non confutare gli assunti difensivi avrebbe ritenuto che sarebbe spettato al ricorrente dimostrare la sua
estraneità ai fatti. Si aggiunge che sarebbe emersa in entrambe le sentenze di merito la estraneità ad ogni forma di gestione societaria da parte del ricorrente. Per cui sarebbe illogica l’affermazione di un consapevole contributo partecipativo dell’imputato al piano criminoso del COGNOME. Essendo emersi da parte del ricorrente solo adempimenti di tipo formale. Sarebbero poi state travisate con conseguente motivazione contraddittoria, le dichiarazioni spontanee del COGNOME e quelle rese in sede di interrogatorio, non risultando alcun riferimento ad una adesione del COGNOME al piano del COGNOME. Mentre le predette dichiarazioni avrebbero descritto la riconduzione della effettiva gestione societaria solo al COGNOME. Anche nell’interrogatorio il COGNOME avrebbe escluso ogni responsabilità dell’attuale ricorrente. In tale quadro emergerebbe anche la violazione dell’art. 4 del Dlgs. 74/2000 in punto di elemento oggettivo posto che come precisato dalla giurisprudenza di legittimità il prestanome non risponde di delitti in materia di dichiarazioni ex Dlgs. citato, se privo di qualsiasi potere o possibilità di ingerenza.
Deduce con il secondo vizi ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’elemento soggettivo dell’art. 4 del dlgs. 74/2000. La motivazione sarebbe carente della indicazione dei dati da cui desumere la consapevole scelta del ricorrente di ricoprire la carica di amministratore delle società anche alla luce del dato opposto emergente dalle dichiarazioni del COGNOME. Posto che nel ruolo formalmente assunto il ricorrente era privo di poteri di impedire gli altrui illeciti. E comunque mancherebbe la prova dell’elemento soggettivo del reato quale il dolo specifico di evasione.
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13.. Con il terzo motivo deduce vizi ex art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen..fin punto di determinazione della pena in sede di aumento nel quadro della continuazione. La sentenza di primo grado aveva statuito in modo indistinto l’aumento in mesi due per ciascun reato tributario ex artt. 3 del dlgs. 74/2000. Operata la riqualificazione in sede di appello in senso più favorevole ex art. 4 citato, nonostante la riqualificazione in melius la corte ha applicato per il capo 2 e 11 comunque lo stesso aumento di due mesi per ogni reato per la continuazione. Da qui la mancata motivazione sul quantum di pena da applicare alla luce della intervenuta riqualificazione nel reato meno grave. Sarebbe altresì contraddittoria la sentenza posto che )nonostante il rilievo per cui l’imputato di fatto non ha tenuto condotta)la corte di appello ha applicato un aumento eguale a quello già applicato in primo grado per reati più grave. Inoltre si sarebbe applicato un aumento per i reati satellite superiore a quello applicato per il COGNOME. Nonostante
questi sia stato descritto quale deus ex machina.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Deve premettersi che con riguardo alle censure relative alla prova di una effettiva compartecipazione dei ricorrenti COGNOME, COGNOME e COGNOME nella commissione dei reati loro ascritti, deve tenersi conto del principio per cui ricorre nel caso in esame un’ipotesi cd. di “doppia conforme”, in presenza della quale «le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata» (cfr. Sez.3, n.13926 del 01/12/2011 Rv.252615 COGNOME; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 COGNOME).
1.2. Deve altresì aggiungersi che «in tema di integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e di secondo grado, se l’appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, il giudice dell’impugnazione ben può motivare per relationem; quando invece sono formulate censure o contestazioni specifiche, introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore o contenenti argomenti che pongano in discussione le valutazioni in esso compiute, è affetta da vizio di motivazione la decisione di appello che si limita a respingere con formule di stile o in base ad assunti meramente assertivi o distonici dalle risultanze istruttorie le deduzioni proposte (cfr. Sez.6, n. 28411 del 13/11/2012 Rv. 256435 COGNOME e altri).
1.3. Di rilievo, in tema di valutazione delle censure proposte in presenza di una cd. “doppia conforme”, è anche il principio per cui «in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo lett. e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione. (cfr. Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013 Rv. 254988 Reggio.; Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017 Rv. 271227 M e altri).
1.4. Deve altresì aggiungersi che risulta incontestata la sussistenza delle operazioni criminali di cui ai capi di imputazione nella loro consistenza oggettiva e finalistica, quali parti di un sistema diretto all’evasione di imposte sul valor aggiunto, attraverso dichiarazioni annuali relative a dette imposte.
qualunque potere o possibilità di ingerenza nella gestione della società (Sez. 3, n. 47110 del 19/11/2013 Ud. (dep. 27/11/2013 ) Rv. 258080 – 01). Mentre, nella specie, alla luce di quanto sinora osservato, non emerge affatto l’assenza di ogni possibilità di ingerenza nella gestione, che, invero, per i ricorrenti si esplic innanzitutto nel potere di sottoscrizione delle dichiarazioni annuali, di fatto esercitato, come evidenziato dalla corte di appello (cfr. la settima facciata dello “svolgimento del processo”, con affermazione valevole per tutti i ricorrenti qui in esame) senza che sul punto sia sorta alcuna specifica contestazione.
Consegue un’adeguata ed organica ricostruzione delle condotte e dei ruoli assunti dai tre suindicati ricorrenti, in termini di fattiva nonché consapevole compartecipazione in condotte finalizzate nel senso delle contestazioni ascritte.
Pertanto, sono infondati il primo e secondo motivo proposti da COGNOME, COGNOME e COGNOME.
Proseguendo nell’esame dei ricorsi dei tre predetti istanti, deve qui procedersi alla valutazione del terzo motivo dedotto dallo COGNOME, con il quale si è osservato che la sentenza di primo grado avrebbe statuito in modo indistinto l’aumento in mesi due per ciascun reato tributario. In particolare, operata la riqualificazione dei fatti in sede di appello in senso più favorevole ex art. 4 citato, nonostante tale riqualificazione in melius la corte avrebbe applicato per il capo 9, la pena di mesi tre di reclusione, con violazione del divieto di reformatio in pejus. Sarebbe altresì carente la motivazione circa la rivalutazione del quantum di pena applicato a seguito della riqualificazione nel reato meno grave ex art. 4 citato e comunque contraddittoria, posto che nonostante il rilievo per cui l’imputato di fatto I non avrebbe tenuto alcuna condotta, la corte di appello avrebbe applicato unribah a tre mesi rispetto a quello minore operato dal primo giudice, e pari a due mesi rispetto ad un reato più grave. Inoltre, si sarebbe applicato un aumento per il reato satellite superiore a quello applicato per il COGNOME, nonostante questi sia stato descritto quale deus ex machina.
2.1. Il motivo è fondato limitatamente all’aumento di pena per la continuazione, che alla luce degli elementi disponibili, che non impongono rivalutazioni di merito di questa corte, ai sensi dell’art. 620 lett. I) cod. proc. pe va fissato in mesi due di reclusione, rideterminandosi la pena complessiva in mesi sei e giorni venti di reclusione. Infatti, stante la dichiarata riqualificazione nel men grave reato ex art. 4 del Dlgs. 74/2000 dei reati ascritti al ricorrente in primo grado, ai sensi dell’art. 3 del Dlgs. 74/2000, e l’intervenuto assorbimento, nei predetti reati tributari, dei delitti ex art. 2621 c.c. (capi 6 e 8), l’aumento l’unico reato satellite (capo 9) residuante accanto al più grave reato tributario di cui al capo 7), siccome stabilito in mesi tre appare elaborato in violazione del divieto di reformatío in peius, posto che in primo grado l’aumento per il predetto
reato tributario era stato stabilito in mesi due, quale misura che va quindi ristabilita in questa sede, emergendo chiara l’intenzione dei secondi giudici di riaffermare il quantum di pena in aumento come già stabilito in primo grado, e pari appunto a due mesi. Con rideterminazione della pena finale, come già sopra riportato, in mesi sei e giorni venti di reclusione.
2.2. Quanto alle censure in termini di carente motivazione circa il quantum di pena applicato a seguito della riqualificazione nel reato meno grave ex art. 4 citato e di contraddittoria motivazione, sul presupposto per cui, nonostante l’affermazione dei giudici secondo la quale l’imputato di fatto non avrebbe tenuto alcuna condotta, la corte di appello avrebbe applicato un aumento maggiore pari a tre mesi rispetto a quello operato dal primo giudice e corrispondente invece a due mesi, per giunta rispetto ad un reato più grave, si tratta di due rilievi rispettivamente inammissibili e infondati. La censura sulla carenza di motivazione sul quantum di pena in aumento per la continuazione non è deducibile, in assenza di corrispondente censura in sede di gravame. Non è rilevabile, poi, alcuna motivazione contraddittoria sul rilievo del riferimento contenuto in sentenza circa l’assenza, da parte del ricorrente, di alcuna condotta dai lui realizzata, trattandosi di affermazione che va necessariamente letta in una quadro complessivo, secondo il principio per cui la sentenza costituisce un tutto coerente ed organico, con la conseguenza che, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di un valido percorso giustificativo, ogni punto non può essere autonomamente considerato, dovendo essere posto in relazione agli altri, con la conseguenza che la ragione di una determinata statuizione può anche risultare da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto richiamo, sia pure implicito (v. Sez. 4, n. 4491 del 17/10/2012 (dep. 2013), Pg in proc. COGNOME e altri, Rv. 255096, conf. Sez. 5, n. 8411 del 21/5/1992, COGNOME ed altri, Rv. 191487). Nel caso di specie, l’affermazione valorizzata dalla difesa deve essere considerata alla luce della integrale motivazione con cui i giudici hanno evidenziato come il ricorrente, così come anche il COGNOME e il COGNOME, abbia fattivamente collaborato con il COGNOME – a partire, per vero, dalla sottoscrizione delle dichiarazioni incriminate -, pur avendo solo quest’ultimo comunque gestito, di fatto, le società. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Del tutto infondata è infine la critica circa l’intervenuto aumento per il reato satellite in misura superiore a quello applicato per il COGNOME, nonostante questi sia stato descritto quale deus ex machina, trattandosi di questione di merito. Che peraltro richiama il principio secondo il quale in tema di ricorso per cassazione, il diverso trattamento sanzionatorio riservato, nel medesimo procedimento, ad altri imputati, anche se correi, non implica un vizio di motivazione della sentenza, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento di situazione prospettata come identica sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali. (Sez. 3 – , Sentenza n. 9450 del 24/02/2022 Ud. (dep. 21/03/2022 ) Rv. 282839 – 01).
3. Riguardo al terzo motivo dedotto da COGNOME, per cui in sede di appello il collegio di merito ha riqualificato i fatti nella più lieve fattispecie ex art. 4 del d 74/2000 e, quanto ai reati ex art. 2621 c.c. di “false comunicazioni sociali”, i fatt sono stati dichiarati assorbiti nella dichiarazione infedele, di cui al predetto reato, senza tuttavia che la corte abbia spiegato le ragioni per cui non doveva considerarsi assorbito anche il reato contestato al capo 17, con contraddittorietà e illogicità rispetto a quanto statuito nella parte motiva, esso è fondato: per cui va annullata senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente all’aumento di pena per il reato di cui al capo 17, aumento che va eliminato, rideterminando ex art. 620 lett. I) cod. proc. pen. il trattamento sanzionatorio in complessivi mesi cinque e giorni 10 di reclusione. Ciò in quanto i giudici hanno complessivamente sancito, senza alcuna contestazione, l’impossibilità di imputazione congiunta tra il delitto di dichiarazione fraudolenta (riqualificato ex art. 4 citato) e quello di false comunicazioni sociali, co assorbimento dei secondi nei primi, procedendo solo per il ricorrente al mantenimento a suo carico, nel dispositivo, del reato di cui al capo 17 di cui all’art. 2621 c.c. suindicato. Mantenimento che, quindi, deve ritenersi sul punto regressivo rispetto alla predetta motivazione circa l’assorbimento in sostanza anche del capo 17 di cui all’art. 2621 c.c.
5. Segue, quindi, l’esame del terzo motivo proposto dal COGNOME, per cui in punto di determinazione della pena, in sede di aumento nel quadro della continuazione, nonostante la riqualificazione in melius dei fatti originariamente imputati ex art. 3 del Dlgs. 74/2000 la corte avrebbe applicato per il capo 2 e 11 lo stesso aumento di due mesi per ogni reato, per la continuazione. Con mancata motivazione sul quantum di pena da applicare alla luce della intervenuta riqualificazione nel reato meno grave e altresì contraddittorietà della motivazione in quanto, nonostante il rilievo per cui l’imputato di fatto non ha tenuto alcuna condotta, la corte di appello avrebbe applicato un aumento eguale a quello già applicato in primo grado per reati più gravi. Inoltre, si sarebbe applicato un aumento per i reati satellite superiore a quello applicato per il COGNOME,LacoostaT114., Quanto alle sopra citate censure in tema di mancata motivazione circa l’aumento per la continuazione, di contraddittorietà e di difforme trattamento rispetto alla posizione del COGNOME, occorre richiamare quanto già osservato in relazione alle analoghe considerazioni critiche formulate dallo COGNOME nel terzo motivo di impugnazione.
Quanto al criticato mantenimento del medesimo trattamento sanzionatorio, pur a fronte della intervenuta riqualificazione dei fatti prima contestati ex art. 3 citato si tratta di censura di merito, generica nella sua aprioristica tesi del necessario più
mite trattamento sanzionatorio per la sola migliore qualificazione dei fatti, a fronte di una pena, per l’aumento disposto per la continuazione, che risulta perfettamente legittima.
Il motivo è quindi inammissibile.
6. Riguardo al ricorso proposto nell’interesse del COGNOME, il primo motivo riguarda il rigetto del motivo di gravame proposto in ordine alla richiesta continuazione tra i reati sub iudice e altro delitto già giudicato. Esso è manifestamente infondato, a fronte di una motivazione che, con coerenza e adeguatezza richiama e fa propri gli argomenti del primo giudice, invero lineari e corretti, oltre ad aggiungere la notazione della sussistenza, per i delitti tra i qua si invoca la continuazione, di tipologie di reati diverse e di complici diversi, che ben suffraga anch’essa una motivazione che non appare manifestamente deficitaria sul piano logico e tantomeno scorretta. Consegue una critica difensiva che non riesce ad intaccare l’atto, quale oggetto precipuo ed esclusivo del ricorso per cassazione, e che muove essenzialmente sul piano della rivisitazione del merito.
7. Con il secondo motivo si rappresenta che, rispetto ai reati considerati avvinti dalla continuazione, non si indicherebbe in motivazione neppure in modo unitario il quantum di pena complessivamente applicato tra il reato più grave e i nove reati satellite, che si ricaverebbe per sottrazione. Né sarebbe indicato il quantum di pena per ciascun singolo reato. Si contesta anche la violazione dell’art. 81 cpv. c.p. in punto di qualificazione degli aumenti di pena, e il vizio di motivazione in ordine agli stessi. Tale motivo è omogeneo al terzo e quarto motivo, da esaminarsi congiuntamente, per cui, siccome a seguito dell’assorbimento delle false comunicazioni sociali nella riqualificata fattispecie tributaria, il ricorren risulterebbe imputato per 10 reati di cui ai capi 2, 4, 5, 7, 9, 11, 12, 14, 16 e 18 e la motivazione, nel concedere la continuazione per tali reati, non indicherebbe le ragioni del quantum di pena applicato per la continuazione tra il reato più grave e i nove reati satellite. Non sarebbe immediatamente percepibile neppure il quantum di pena applicato per ogni singolo reato.
Deve ritenersi che il trattamento sanzionatorio è chiaro e determinato, a partire da quello per il più grave reato, così che le censure sono infondate tranne che in ordine alla specificazione circa gli aumenti di pena per la continuazione interna. Quanto al dedotto vizio di motivazione oltre ad essere sullo specifico punto inammissibile per assenza di precedente censura in sede di appello, è comunque assorbito dal riconoscimento della fondatezza della precedente censura. Con conseguente annullamento della sentenza impugnata nei confronti di COGNOME
NOME limitatamente agli aumenti di pena per la continuazione interna e rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Venezia.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto di: rigettare il ricorso di COGNOME NOME, che condanna al pagamento delle spese del procedimento. Annullare senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente all’aumento di pena per la continuazione, che ridetermina in mesi due di reclusione, rideterminando la pena complessiva in mesi sei e giorni venti di reclusione. Rigettare, nel resto il ricorso di COGNOME NOME. Annullare senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente all’aumento di pena per il reato di cui al capo 17, aumento che elimina, rideterminando il trattamento sanzionatorio in complessivi mesi cinque e giorni 10 di reclusione. Rigettare nel resto il ricorso dì COGNOME NOME. Annullare la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente agli aumenti di pena per la continuazione interna con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Venezia. Rigettare nel resto il ricorso di NOME. 
P.Q.M.
rigetta il ricorso di COGNOME NOME, che condanna al pagamento delle spese del procedimento. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente all’aumento di pena per la continuazione, che ridetermina in mesi due di reclusione, rideterminando la pena complessiva in mesi sei e giorni venti di reclusione. Rigetta, nel resto il ricorso di COGNOME NOME. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME Limitatamente all’aumento di pena per il reato di cui al capo 17, aumento che elimina, rideterminando il trattamento sanzionatorio in complessivi mesi cinque e giorni 10 di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso di COGNOME NOME. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente agli aumenti di pena per la continuazione interna e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Venezia. Rigetta nel resto il ricorso di COGNOME NOME.
Così deciso, il 29.11.2023.