Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 537 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 537 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOMECOGNOME nato a Legnano (Mi) 1’11/4/1971
avverso la sentenza del 10/6/2024 della Corte di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10/6/2024, la Corte di appello di Milano confermava la pronuncia emessa il 6/6/2023 dal Tribunale di Monza, con la quale NOME COGNOME era stato giudicato colpevole del delitto di cui all’art. 4, d. Igs. 1 marzo 2000, n. 74, e condannato alla pena di un anno e sei mesi di reclusione.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
vizio di motivazione con riguardo all’elemento soggettivo del reato. La Corte di appello avrebbe riconosciuto il dolo specifico richiesto dalla norma con mera adesione alla sentenza di primo grado, senza compiere le dovute verifiche in ordine
alle condotte tenute dal precedente liquidatore della società. Premesso il richiamo alla costante giurisprudenza di questa Corte in tema di assunzione della carica di amministratore o liquidatore e conseguente onere/dovere di previa verifica della contabilità, con possibile imputazione di responsabilità a titolo di dolo eventuale; tanto premesso, si contesta alla sentenza di aver fatto applicazione meramente apodittica di questi principi, senza calarli nel caso di specie e, dunque, senza verificare la concreta sussistenza e riconoscibilità – da parte dell’imputato – di eventuali irregolarità, inadempienze “o persino elementi di anomalia” riconducibili all’operato del precedente liquidatore. La sentenza avrebbe omesso di motivare in ordine a tali elementi, che dunque non sarebbero stati valutati affatto, con conseguente nullità della pronuncia medesima;
violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla confisca del profitto del reato. La Corte di appello avrebbe validato la confisca per equivalente senza alcuna previa verifica della impossibilità di confiscare in via diretta i beni nella titolarità della società, come invece dovuto in forza di un ribadito indirizzo di legittimità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Con riguardo al primo motivo, concernente il profilo soggettivo del reato, la Corte di appello ha sottolineato che l’imputato, assumendo la carica di liquidatore della società, aveva l’onere di controllare la correttezza della contabilità e delle dichiarazioni predisposte dal precedente liquidatore; anzi, il fatto che fosse subentrato nella carica “per sua volontà” doveva far presumere che lo COGNOME avesse, in precedenza, preso adeguata conoscenza della stessa documentazione fiscale. Al riguardo, peraltro, è stato richiamato il principio secondo cui in tema di reati tributari, il liquidatore di una società di capitali può rispondere, in relazio alle dichiarazioni annuali presentate dopo il suo insediamento, dei reati di cui asili artt. 2 e 4, d. Igs. n. 74 del 2000, purché emergano elementi dai quali poter desumere quanto meno la sussistenza del dolo eventuale, e dunque la conoscenza o conoscibilità, attraverso una diligente verifica della contabilità e dei bilanci, dell fittizietà delle poste e della falsità delle fatture inserite nella dichiarazione (Sez. 3, n. 30492 del 23/6/2015, Pm/COGNOME, Rv. 264395; successivamente, tra le altre, Sez. 3, n. 13097 del 22/2/2023, COGNOME; Sez. 3, n. 42606 del 20/9/2022, Piccolo).
4.1. Ebbene, a fronte di questa solida e congrua motivazione, pienamente aderente alla costante giurisprudenza di legittimità, il ricorso oppone una considerazione del tutto generica ed ipotetica, dunque inammissibile, secondo la quale la Corte di appello non avrebbe compiuto alcuna valutazione specifica sulla
“contabilità e sulla documentazione fiscale societaria pregressa”, ed in particolare sulla “concreta ed effettiva sussistenza e riconoscibilità (…) di eventual irregolarità, inadempienze o persino elementi di anomalia” riconducibili all’operato del precedente professionista.
4.2. Ne risulta, dunque, che un dato certo, quale la volontaria assunzione della carica di liquidatore, con piena consapevolezza di ogni responsabilità a ciò conseguente, anche a titolo di dolo eventuale, è contestato dal ricorrente con una mera congettura, con la quale non sono evidenziati concreti elementi di sorta eventualmente emersi nel corso dell’istruttoria, sottoposti al Giudice ma non valutati – che avrebbero dovuto indurre ad escludere il profilo soggettivo (quantomeno) del dolo eventuale.
Il primo motivo di ricorso, pertanto, è inammissibile.
In ordine, poi, alla seconda censura, in tema di confisca, basti qui osservare che la questione non aveva costituito motivo di gravame, non potendo, pertanto, essere sollevata per la prima volta in sede di legittimità.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativannente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2024
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