Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 11167 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 11167 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 06/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a VAPRIO D’ADDA il 19/06/1971
avverso la sentenza del 20/02/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME
COGNOME
che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
NOME Massimo COGNOME condannato (insieme a COGNOME NOME, non ricorrente) del delitto di lesioni colpose, alla pena di C 1.400 di multa, riconosciuta la fattispecie dell’art. 590 co. 1 cod.pen. e le attenuanti generiche, dal Tribunale di Rimini con sentenza n. 1099/2022 emessa in data 13.06.2022, confermata dalla Corte d’appello di Bologna con sentenza n. 1306/2024, presenta ricorso per cassazione avverso tale sentenza deducendo i seguenti due motivi e ritenendo che la Corte d’appello, da un lato, abbia mostrato di aver fatto un uso errato del precetto di cui all’art. 590 cod.pen. e, dall’altro, abbia espresso i propri convincimenti con una motivazione mancante e/o illogica e/o Contraddittoria.
Con il primo motivo si lamenta l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen. e segnatamente inosservanza del precetto di cui all’art. 590 cod. pen..
Sulla base della ricostruzione proposta dal primo giudice, fatta propria dalla Corte d’ Appello di Bologna, espone la difesa che a seguito della richiesta formulata dal COGNOME (ossia quella di fermare il mezzo di trasporto ed azionare il freno), l’imputato NOME COGNOME COGNOME abbia provveduto in conformità ma che, subito dopo, forse a causa di un tocco accidentale, il mezzo di trasporto condotto dall’imputato abbia “sfrenato”. In conseguenza di ciò il mezzo di trasporto si muoveva di pochi centimetri e schiacciava l’arto della persona offesa che, nel frattempo, senza attendere che il conducente fosse sceso dal mezzo, vi si inseriva nella parte sottostante al fine di eseguire delle riparazioni.
Da tale ricostruzione la difesa ritiene che, sotto il profilo dell’inosservanza o dell’erronea applicazione dell’art. 590 cod. pen., la Corte d’appello abbia sostanzialmente dedotto che il Mauro fosse stato messo a conoscenza di una situazione di pericolo (che avrebbe imposto il mantenimento del mezzo di trasporto in stato di frenata) in quanto il COGNOME gli aveva chiesto di fermare il mezzo, frenare e spegnere il motore. Sulla base, quindi, della sola richiesta (priva di ulteriori indicazioni) del coimputato COGNOME di attuare una generica serie di comportamenti, la Corte d’appello ha ritenuto che il COGNOME avesse piena consapevolezza dell’esistenza di una situazione di potenziale pericolo che gli avrebbe imposto di tenere una condotta particolarmente cauta; secondo la Corte, quindi, l’incauto sblocco dei freni doveva essere ritenuto un comportamento rientrante nel paradigma della colpa generica e giustificare la sua penale responsabilità ex art. 590, cod.pen..
Ritiene la difesa, in particolare, che detta visione sia frutto di un’erronea applicazione del precetto di cui all’art. 590 cod.pen. atteso che la consapevolezza di aver ricevuto una richiesta di frenare il mezzo non equivale alla consapevolezza che il mezzo dovesse essere frenato per l’esistenza di una situazione di pericolo e tantonneno che lo stesso fosse imminente, soprattutto perché detto quadro fattuale (che peraltro doveva ancora avverarsi) risulta il frutto dell’autonoma ed imprudente condotta tenuta dall’imputato e dalla persona offesa (non conosciuta dal NOME) che, improvvisamente ed in violazione delle norme poste a tutela della sicurezza dei lavoratori (che avrebbe imposto di attendere la discesa dell’autista e l’applicazione dei cunei ferma ruota) si inserivano sotto il mezzo per eseguire una riparazione.
Osserva ancora il ricorrente che, la sussistenza dell’elemento soggettivo richiede, in primis, la prova della sussistenza del suo sub elemento rappresentativo, che inevitabilmente precede quello volitivo: nei reati colposi, per ritenere la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato occorre che l’agente sia a conoscenza di tutti gli elementi fattuali che consentono di percepire e quindi conoscere la situazione di pericolo da cui deriva l’obbligo di adottare una particolare regola di condotta.
È la stessa Corte che assume che il COGNOME fosse a conoscenza della sola richiesta del COGNOME di fermare e frenare il mezzo, ma nulla si dice (e tantomeno si ritiene sussistente) in ordine alla consapevolezza di una situazione di pericolo che avrebbe imposto di tenere un comportamento più attento rispetto a quello che normalmente si esige da un autista. Considera la difesa che, da un lato, la riparazione al mezzo era stata già eseguita tanto che il COGNOME si stava allontanando dall’officina; dall’altro, che risulta fatto notorio che lo sfrenannento del camion, al più, può comportare solo uno spostamento di pochi centimetri (essendo il movimento impedito dal c.d. freno motore), di talché, di norma, lo sfrenamento accidentale non è fonte di un pericolo. Lo può essere solo se, come nel caso di specie, vengono effettuati lavorazioni mediante inserimento dell’operatore sotto il mezzo.
Ma la mancata conoscenza della situazione di pericolo non è addebitabile al NOME in quanto non dipesa da una sua errata percezione della situazione. In sostanza, ritiene la difesa che sulla base dei soli dati fattuali conosciuti e conoscibili dal NOME non possa pretendersi in capo a quest’ultimo l’avvenuta rappresentazione di una situazione d’imminente pericolo che gli imponesse un comportamento connotato da particolari attenzioni; la situazione di pericolo (che avrebbe imposto di non “sfrenare” il mezzo per qualsiasi motivo), non solo non era conosciuta ma addirittura è derivata da un’ autonoma
e successiva violazione delle prescrizioni per la sicurezza dei lavoratori (omessa posa dei cunei ferma ruota), unica causa delle lesione.
Ritiene, quindi, la difesa che l’impugnata sentenza debba essere cassata per l’erronea applicazione della norma di cui all’art. 590 cod.pen..
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta una motivazione mancante, illogica e contraddittoria in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) cod.proc.pen. nella parte in cui assume che la responsabilità dell’imputato è rinvenibile nella sua condotta ancorché lo stesso non fosse a conoscenza di una situazione di pericolo che gli avrebbe imposto di agire con opportune cautele.
GLYPH 11. Anche sulla scorta delle osservazioni svolte nel precedente motivo, ritiene la difesa che la motivazione addotta dalla Corte d’appello sia anche mancante e/o illogica atteso che, pur non avendo esplicitato come il Mauro potesse essere a conoscenza di una situazione di potenziale pericolo, ha ritenuto, in modo apodittico, l’esistenza di detta situazione.
Se è vero che un comportamento più avveduto avrebbe evitato lo “sfrenamento” e quindi evitato l’evento (secondo il ragionamento causale usato dalla Corte d’Appello), è anche vero che l’imputato non era stato posto a conoscenza dell’esistenza di una situazione di pericolo; di talché allo stesso non può essere apoditticamente attribuita una responsabilità sulla base della sola esistenza di un nesso di causa tra la sua condotta e l’evento di danno.
In definitiva, sostiene la difesa che la mancata esposizione del ragionamento in forza del quale la Corte ha ritenuto la conoscenza della (necessaria) situazione di pericolo che avrebbe imposto l’adozione di una condotta cauta ed attenta, si risolve in una motivazione complessivamente illogica.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Collegio osserva che entrambi i motivi di ricorso, sebbene sotto i diversi vizi della violazione di legge e della lacunosità o omissione di motivazione, sono imperniati sulla ritenuta consapevolezza da parre dell’imputato della situazione di pericolo che lo avrebbe dovuto portare ad una diversa manovra del mezzo. Entrambi i motivi possono essere trattati contestualmente, anche considerando che la lettura del secondo non faccia affiorare in modo specifico le critiche rivolte alla motivazione in quanto generico e ripetitivo rispetto a quanto esposto nel primo motivo.
La sentenza impugnata riguarda lesioni colpose avvenute presso l’impresa dei fratelli COGNOME in cui è rimasto ferito il dipendente COGNOME Michael. L’impresa si occupa di manutenzione meccanica di mezzi di locomozione ove il già coimputato COGNOME NOME rivestiva alla data dei fatti la qualifica di datore di lavoro, mentre l’odierno ricorrente NOME COGNOME COGNOME, abituale cliente dell’officina, si era recato presso l’officina per sottoporre il proprio autoarticolato a un intervento di riparazione. Concluso il controllo, NOME era risalito sul mezzo pesante e, dopo averlo messo in moto, si era diretto verso l’uscita in retromarcia. In questo frangente COGNOME aveva sentito un sibilo di aria e aveva pertanto intimato a NOME Mauro di tirare il freno a mano e di scendere, ma nel compiere tale operazione quest’ultimo, mentre si trovava a bordo del camion, scendendo aveva urtato il freno a mano causando così lo sfrenamento del mezzo e la sua movimentazione in retromarcia. A causa di tale movimento, il dipendente COGNOME subiva lo schiacciamento del braccio ad opera di una ruota del mezzo pesante, prima che NOME COGNOME riuscisse di nuovo a fermare il mezzo. COGNOME riportava lesioni per 165 giorni, di cui veniva integralmente risarcito.
Il datore di lavoro COGNOME ha affermato di non aver mai chiesto alla persona offesa di intervenire nella lavorazione, mentre quest’ultimo ha riferito che la sua presenza in quella posizione era dovuta a una richiesta del proprio datore di lavoro, che gli aveva chiesto di controllare da dove venisse la perdita d’aria.
Il giudice di primo grado, con argomentazione recepita nella sentenza di appello, considerava che l’impresa RAGIONE_SOCIALE COGNOME presentasse tutti gli standard richiesti dalla normativa antinfortunistica, ma che, nonostante ciò, per eseguire un controllo sul momento dopo l’intervento programmato, COGNOME aveva agito in maniera negligente e non in sicurezza. Rimossi i cunei che erano stati utilizzati per bloccare le ruote del mezzo (giacché altrimenti questo non avrebbe potuto muoversi in retromarcia), aveva sentito un soffio e aveva chiesto a COGNOME di stendersi insieme a lui sotto all’autoarticolato per comprendere da dove provenisse il rumore. Mentre stavano compiendo tale ulteriore di controllo, il camion, con NOME ancora a bordo, era stato involontariamente sfrenato da un movimento di quest’ultimo, cominciando a indietreggiare e schiacciando l’arto della persona offesa.
Non era invece ritenuto credibile quanto riferito da COGNOME, vale a dire che la persona offesa passando per caso di fianco all’autocarro, di sua iniziativa avesse deciso di chinarsi sotto allo stesso per verificare per pura curiosità la perdita d’aria, senza che il suo datore di lavoro gli avesse chiesto nulla. Su questo punto, maggiormente credibile è stata ritenuta la versione della persona
offesa, la quale, come visto, ha dichiarato di essere intervenuto su sollecitazione del proprio datore di lavoro.
La motivazione impugnata ha ritenuto che COGNOME aveva, quindi, tenuto una condotta negligente nella misura in cui non aveva reinserito i cunei per fermare le ruote del mezzo e non aveva posizionato questo in retromarcia, condizione che gli avrebbe consentito di operare dalla buca presente nell’autofficina evitando di stendersi sotto al mezzo, L’evento lesivo si era prodotto a causa del concorso di condotte tra loro indipendenti, entrambe colpose ed entrambe in nesso causale rispetto all’evento.
Al fine di considerare la censura mossa dalla difesa alle conformi decisioni di condanna di NOME si deve evidenziare che egli era salito sul mezzo Per lasciare l’autofficina e l’evento lesivo si è verificato in quanto egli aveva distrattamente urtato il freno a mano con una condotta ritenuta censurabile. Si noti che l’azione colposa di NOME, veniva comunque considerata non qualificata dall’aggravante di cui all’art. 590 comma 3, cod. pen..
La sentenza è stata impugnata dalla difesa di NOME COGNOME COGNOME la quale ha dedotto la nullità della sentenza sostanzialmente poiché egli non sarebbe stato a conoscenza dell’esistenza di una situazione di pericolo che imponeva la necessità di azionare e mantenere il freno a mano. Di conseguenza, la motivazione avrebbe violato l’art. 590 cod. pen. e avrebbe mancato di centrare il focus dell’imputazione colposa dell’evento.
Il Collegio evidenzia che la motivazione impugnata, oltre a chiarire che non vi è alcuna nullità della sentenza, non potendosi riscontrare nessuna violazione tra quanto contestato nel capo di imputazione e quanto ritenuto in sentenza (in quanto il profilo di colpa riconosciuto in sentenza non sembra affatto dissimile rispetto a quello contestato nel capo di imputazione, se non per elementi di contorno, che non compromettono la piena legittimità della decisioneìespone con coerenza logica, senza alcuna contraddizione, in linea con la decisione di primo grado, i profili probatori utilizzati per concludere che sussistesse la violazione della regola cautelare generica.
Il Collegio non ritiene condivisibile, in particolre, quanto sostenuto da parte della difesa circa una carente motivazione sul fatto che NOME non sia stato a conoscenza dell’esistenza di una situazione di pericolo che imponeva la necessità di azionare e mantenere il freno a mano, poiché non gli era stata fornita alcuna informazio GLYPH alita del controllo al mezzo ed era perciò rimasto ignaro della presenza di persone al di sotto del camion. L’errore nell’applicazione delle regole cautelari andrebbe, a parere della difesa, attribuito a COGNOME il quale prima di iniziare qualsiasi attività non aveva atteso che NOME scendesse dal mezzo.
Invero la ricostruzione logico probatoria, lineare e sufficientemente argomentata, effettuata in sentenza, depone per ritenere che COGNOME aveva chiesto a NOME di fermare il mezzo e azionare il freno a mano. Quindi, sulla base di tale indicazione, v’era la consapevolezza piena di NOME, della necessità di mantenere fermo il camion per un ulteriore controllo. Si badi che la disattenzione ascritta eziologicamente all’imputato consiste non nell’azione volontaria di sfrenatura dell’autocarro per muoverlo non sapendo che vi fosse un operaio sdraiato ma nell’avere disinserito involontariamente il freno così comportando lo spostamento del tir, mentre scendeva dallo stesso, cioè nell’aver prestato scarsa attenzione alla leva del freno a mano.
Quindi, con condivisibile deduzione logica, la motivazione impugnata ritiene che un’azione più avveduta di NOME era concretamente doverosa ed esigibile, date le chiare indicazioni ricevute, e avrebbe comunque evitato l’evento. Pertanto, essendo stata fornita all’imputato tale indicazione sulle modalità del controllo, pur essendo egli rimasto ignaro della presenza di persone al di sotto del mezzo, non v’è alcun errore o lacuna logica nelle due conformi decisioni in relazione all’applicazione delle regole cautelari per ritenere la colpa di NOME sotto il profilo della consapevolezza dell’esistenza di un pericolo e della disattenzione manifestata.
13. Deve pertanto ritenersi priva di vizi la motivazione impugnata che appare ragionevole, coerente e logica su tutti gli elementi e in particolare sull’imputazione soggettiva delle lesioni per colpa generica secondo la ricostruzione dei fatti riversata nelle due conformi sentenze.
Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 6 dicembre 2024 Il consigliere estensore