Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26664 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26664 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 24/06/2025
TERZA SEZIONE PENALE
NOME
NOME COGNOME ha pronunciato la seguente
Sul ricorso proposto da:
avverso la sentenza del 06/05/2024 del Tribunale di Pesaro;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
Avverso la sentenza del Tribunale di Pesaro, NOME COGNOME tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
Sent. n. sez. 1095/2025 UP – 24/06/2025 R.G.N. 35143/2024
2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 2 d.lgs. n. 81 del 2008 e dell’art. 43 cod. pen. e travisamento del P.O.S. in relazione alla nomina del preposto, nonchØ omessa motivazione sulle difese della ricorrente circa la presenza di un preposto alla sicurezza nel cantiere.
Deduce la difesa che, nonostante NOME COGNOME svolgesse le funzioni di responsabile di cantiere e/o preposto per la sicurezza del cantiere, sia sotto il profilo formale (la nomina era contenuta nel P.O.S.), sia sotto il profilo sostanziale, avendo i testi riferito in tal senso, le contestazioni erano state erroneamente indirizzate nei confronti della ricorrente datrice di lavoro.
2.3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 163 cod. pen. nella parte in cui il giudice di primo grado aveva negato il beneficio della sospensione condizionale della pena all’imputata per una precedente condanna per violazione delle norme antinfortunistiche, con conseguente prognosi negativa sulla futura astensione dalla commissione di ulteriori reati.
Lamenta la difesa che la ricorrente Ł ancora oggi incensurata e che unico dato emergente Ł l’intervenuta archiviazione ex art. 131-bis cod. pen. per un procedimento relativo alla medesima fattispecie di reato di quella oggetto del presente giudizio; tale procedimento, tuttavia, non contiene alcun accertamento circa la penale responsabilità dell’imputata, con conseguente impossibilità di valutazione dello stesso ai fini dell’applicabilità dell’art. 163 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso Ł inammissibile, perchØ presentato fuori dai casi consentiti, in ogni caso per manifesta infondatezza.
La censura Ł versata in fatto, chiedendo una rivalutazione del materiale probatorio, in questa sede invece preclusa.
Ed infatti, secondo la pacifica giurisprudenza della Corte di cassazione, non Ł consentita una rivalutazione di merito al giudice di legittimità: ex multis, cfr. Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. U, n. 16 del 19/6/1996, COGNOME, Rv. 205621; nello stesso senso, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507; Sez. 4, n. 47891 del 28/9/2004, COGNOME, Rv. 230568.
La doglianza si confronta solo formalmente con la motivazione della sentenza impugnata, la quale elenca le ragioni del proprio convincimento in modo chiaro ed ineccepibile sul piano logico-motivazionale, evidenziando come la ditta, legalmente rappresentata dall’imputata, nell’effettuare lavori di rimozione di materiale contenente amianto dalla copertura del capannone di un cantiere, non aveva allestito a regola d’arte alcune opere provvisionali, vale a dire lasciando, nell’ultimo piano di un trabattello di salita che conduceva al tetto del capannone, uno spazio tra la struttura e il muro, rendendo rischioso il passaggio tra il trabattello stesso e il piano di lavoro, spazio che avrebbe dovuto
essere protetto con uno ‘stocchetto’ (pag. 3 della sentenza impugnata). Inoltre, non erano stati predisposti gli attraversamenti ortogonali tali da permettere il passaggio sulle porzioni di copertura di amianto non ancora rimosse, necessari per evitare lo scivolamento e il calpestamento del materiale.
Invero, diversamente da quanto rappresentato in ricorso, dove si indugia nel sostenere che l’altezza del trabattello non era tale da richiedere un ancoraggio al muro e che non fosse necessario coprire il vuoto tra il trabattello e il piano di copertura, la sentenza impugnata chiarisce come il trabattello non necessitasse di un ancoraggio al muro, perchØ l’altezza non superava gli otto metri, ma avrebbe dovuto invece essere colmato con uno ‘stocchetto’ lo spazio vuoto esistente tra l’ultimo piano del trabattello e il piano di calpestio al fine di consentire agli operatori un accesso al tetto in totale sicurezza; e ciò in conformità a quanto previsto dalla normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro secondo cui ‘il passaggio da un sistema di accesso a piattaforme, impalcati, passerelle e viceversa non deve comportare rischi ulteriori di caduta’ (art. 111, comma 2, d.lgs. n. 81 del 2008), invece presenti ove non coperto lo spazio intercorrente tra l’ultimo piano del trabattello e il piano di calpestio della struttura, che può cagionare la perdita di equilibrio del lavoratore nello spostamento da un piano all’altro.
Allo stesso modo, la sentenza impugnata, seppur con motivazione succinta, ha senza vizi logici affermato che il mancato apprestamento delle passerelle per il camminamento sulle porzioni di copertura non rimossa al fine di evitare lo scivolamento e il calpestamento del materiale ‘eternit’ si poneva in violazione della normativa di sicurezza di cui al d.lgs. n. 81 del 2008, proprio perchØ imponeva ai lavoratori di operare sulle stesse porzioni di copertura da rimuovere.
Pertanto, il ricorso, nel non confrontarsi adeguatamente con la motivazione della sentenza in relazione alle cautele omesse – ma sostenendo l’introduzione di forme alternative di cautela (reti da circo) che in realtà, secondo le condivisibili osservazioni del Procuratore generale, non rappresentano una soluzione di prevenzione provvisionale, ma una mitigazione degli effetti della caduta – si presenta inammissibile, essendo afflitto da genericità estrinseca, intesa come aspecificità per mancanza di correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 6, n. 13449 del 12/2/2014, Kasem, Rv. 259456; nello stesso senso, Sez. 5, n. 34045 del 21/06/2021, COGNOME, non mass.).
2. Il secondo motivo di ricorso Ł manifestamente infondato.
La giurisprudenza di legittimità Ł ferma nel ritenere che la designazione di un preposto al rispetto delle misure di prevenzione non esonera il datore di lavoro da responsabilità ove risulti l’inidoneità di una misura prevista nel documento di valutazione dei rischi (Sez. 4, n. 22256 del 03/03/2021, COGNOME, Rv. 281276, in cui, in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la penale responsabilità del datore di lavoro per le lesioni che un suo dipendente, alla guida di un muletto, aveva cagionato ad altro lavoratore, in quanto, pur avendo nominato un preposto, non aveva organizzato i luoghi di lavoro in modo tale da garantire una viabilità sicura, regolamentando la circolazione con cartellonistica e segnaletica orizzontale) o, comunque, nel caso in cui la verificazione del sinistro sia conseguita a scelte gestionali inadeguate ascrivibili al datore di lavoro e non alla concreta esecuzione della prestazione lavorativa (Sez. 4, n. 10465 del 29/01/2025, COGNOME, Rv. 287777).
Infatti, la redazione del documento di valutazione dei rischi e l’adozione di misure di prevenzione non escludono la responsabilità del datore di lavoro quando, per un errore
nell’analisi dei rischi o nell’identificazione di misure adeguate, non sia stata adottata idonea misura di prevenzione (Sez. 4, n. 43350 del 5/10/2021, N’ara, Rv. 282241).
Il che Ł avvenuto nel caso in esame, nel quale l’addebito non riguardava le modalità esecutive di una lavorazione, ma le modalità organizzative della lavorazione stessa, non essendo stati allestiti a regola d’arte trabattelli per lavori in altezza e idonee passerelle per il camminamento sulle porzioni di copertura non rimossa, situazione che aveva determinato la violazione delle regole di sicurezza nel passaggio tra il trabattello e il piano di lavoro e nel passaggio sopra le lastre di amianto al fine di evitare lo scivolamento e il calpestamento dell’eternit.
3. Il terzo motivo di ricorso Ł infondato.
Questa Corte ha avuto modo di affermare che il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen., costituendo un precedente giudiziario, può essere ritenuto ostativo al riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena (Sez. 3, n. 26527 del 11/04/2024, COGNOME, Rv. 286792) e di quello della non menzione di una successiva condanna nel certificato del casellario giudiziale (Sez. 5, n. 22356 del 21/05/2025, COGNOME, non mass.).
Invero, la pronuncia di archiviazione per particolare tenuità del fatto postula un accertamento sulla sussistenza del fatto, della sua rilevanza penale, nonchØ della responsabilità dell’indagato per la sua commissione (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, COGNOME, Rv. 266590). Ne deriva che per l’indagato una decisione di tal fatta comporta conseguenze differenti, che possono rivelarsi anche significativamente afflittive qualora commetta un successivo fatto di reato, rispetto a quella dipendente dall’insussistenza di elementi idonei a sostenere un’accusa in sede penale (o altra che analogamente non comporti alcun accertamento sulla ricorrenza di un illecito penale o comunque sulla responsabilità dell’indagato per la relativa commissione) (Sez. 5, n. 24704 dell’11/06/2025, COGNOME, non mass.).
Tanto premesso, risulta, a carico della ricorrente, un precedente penale per il reato di violazione delle norme in materia di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, oggetto di decreto di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis, cod. pen., pronunciato dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pesaro il 13/04/2022.
La soluzione cui sono pervenuti i giudici territoriali, sebbene ne debba essere corretta la motivazione sul punto, non Ł dunque manifestamente illogica e la ratio decidendi imperniata su un giudizio prognostico negativo – Ł sostanzialmente conforme ai principi affermati da questa Corte, alla luce della giurisprudenza che ritiene giustificato il diniego in costanza di precedenti giudiziari (si v., ad es., Sez. 5, n. 57704 del 14/09/2017, Rv. 272087), sulla base del principio che anche il provvedimento di archiviazione ex art. 131-bis cod. pen. Ł idoneo a costituire un “precedente” i cui effetti – al pari dei precedenti di polizia – ben possono considerarsi ostativi al riconoscimento dei benefici di legge, i quali, come Ł noto, sono concedibili “soltanto se, avuto riguardo alle circostanze indicate nell’art. 133, il giudice presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati” (art. 164, comma primo, cod. pen.).
In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 24/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME NOME