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Responsabilità consulente fiscale: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un professionista per concorso nel reato di dichiarazione infedele. Inizialmente assolto, la Corte d’Appello aveva ribaltato la sentenza, ritenendo provato il suo ruolo attivo e consapevole nella presentazione di dichiarazioni fiscali fraudolente per conto di due società clienti. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che la responsabilità del consulente fiscale sorge quando, possedendo documentazione che attesta la falsità dei dati, procede comunque alla trasmissione, contribuendo materialmente all’evasione fiscale.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Responsabilità Consulente Fiscale: Quando il Professionista Risponde del Reato del Cliente

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1028 del 2025, ha tracciato una linea netta sulla responsabilità consulente fiscale in caso di dichiarazione infedele. La decisione chiarisce che il professionista non può trincerarsi dietro un ruolo di mero trasmettitore di dati quando è a conoscenza della loro falsità. Questa pronuncia conferma la condanna di un commercialista per concorso nel reato commesso dal proprio cliente, delineando i confini tra consulenza lecita e complicità criminale.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine da un complesso procedimento per reati fallimentari e tributari. In primo grado, un consulente fiscale era stato assolto dall’accusa di aver partecipato a episodi di dichiarazione infedele (art. 4 del D.Lgs. 74/2000) per conto di due società clienti. Secondo il primo giudice, non vi era prova che il suo ruolo andasse oltre la semplice trasmissione telematica delle dichiarazioni.

Tuttavia, la Procura e le parti civili hanno impugnato la decisione. La Corte di Appello ha ribaltato l’assoluzione, condannando il professionista a 1 anno e 8 mesi di reclusione. I giudici di secondo grado, a differenza del tribunale, hanno ritenuto che una pluralità di elementi probatori dimostrasse un coinvolgimento attivo e consapevole del consulente nelle strategie fraudolente dei suoi clienti.

La Decisione della Corte e la Responsabilità del Consulente Fiscale

Il professionista ha quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, una violazione delle regole sulla rinnovazione dell’istruttoria in appello e un’errata valutazione della sua posizione. La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la condanna e fornendo importanti chiarimenti sulla responsabilità consulente fiscale.

Il Ruolo Attivo del Professionista

Il punto centrale della decisione è la distinzione tra un intermediario passivo e un concorrente attivo nel reato. La Corte di Appello, con motivazione ritenuta logica e coerente dalla Cassazione, ha evidenziato come il consulente non si fosse limitato a trasmettere i dati forniti dal cliente. Al contrario, egli era in possesso di tutta la documentazione contabile e fiscale (fatture, bilanci, comunicazioni IVA, spesometro) che dimostrava in modo inequivocabile la discrepanza tra il reddito reale delle società e quello, molto più basso, dichiarato al fisco.

Per esempio, per una delle società, il consulente aveva trasmesso una dichiarazione che indicava un reddito di circa 43.000 euro, a fronte di elementi attivi effettivi per quasi 1,9 milioni di euro. Lo stesso professionista aveva curato la trasmissione di altre comunicazioni fiscali (come lo spesometro) da cui emergeva il dato reale. Questa contraddizione, secondo i giudici, rendeva palese la sua piena consapevolezza della falsità della dichiarazione inviata.

La Questione della Rinnovazione dell’Istruttoria in Appello

La difesa aveva sostenuto che la Corte di Appello avrebbe dovuto riaprire l’istruttoria e sentire nuovamente l’imputato e altri testimoni prima di ribaltare l’assoluzione. La Cassazione ha respinto questa doglianza, chiarendo che l’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa non sussiste quando la diversa decisione si fonda su una differente valutazione logica e giuridica del materiale probatorio già acquisito, e non su una diversa valutazione dell’attendibilità dei testimoni.

Le Motivazioni della Sentenza

La Suprema Corte ha affermato che la condotta del consulente ha integrato un contributo materiale e consapevole al perfezionamento del reato di dichiarazione infedele. Avvalendosi delle sue competenze tecniche, il professionista ha prospettato all’amministrazione finanziaria una situazione contabile non veritiera, agendo in piena complicità con gli amministratori delle società.

Il suo coinvolgimento andava ben oltre il mero inoltro: egli aveva curato anche la compilazione di modelli F24 per indebite compensazioni e aveva a disposizione presso il suo studio tutta la documentazione (inclusi i bilanci) che smentiva i dati dichiarati. La pluralità di questi elementi, correlati tra loro, ha permesso ai giudici di superare ogni ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza. La Corte ribadisce un principio consolidato: il consulente fiscale risponde a titolo di concorso quando, con piena consapevolezza, fornisce un contributo causale alla realizzazione del fine specifico di evasione perseguito dal cliente, sia esso tramite consigli tecnici o compiendo direttamente attività fraudolente.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un monito fondamentale per tutti i professionisti del settore fiscale. La responsabilità consulente fiscale non è esclusa dal semplice fatto di agire su incarico del cliente. Al contrario, il professionista ha un dovere di diligenza e legalità che gli impone di non avallare operazioni palesemente illecite. Quando le prove documentali a sua disposizione (fatture, comunicazioni IVA, bilanci) contraddicono palesemente i dati da inserire in dichiarazione, procedere alla trasmissione telematica significa assumersi il rischio di essere considerati concorrenti nel reato. La decisione conferma inoltre la legittimità della confisca per equivalente nei confronti del consulente, per un valore corrispondente all’imposta evasa, che costituisce il profitto del reato.

Quando un consulente fiscale è penalmente responsabile per la dichiarazione infedele del cliente?
Secondo la sentenza, il consulente è responsabile a titolo di concorso nel reato quando non si limita a una mera trasmissione telematica, ma, essendo a conoscenza della falsità dei dati grazie alla documentazione in suo possesso (es. fatture, bilanci), contribuisce consapevolmente alla realizzazione della frode fiscale.

La Corte d’Appello deve sempre riascoltare i testimoni per ribaltare un’assoluzione?
No. La Cassazione ha chiarito che l’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria non sussiste se la condanna in appello si basa su una diversa interpretazione logica e giuridica del materiale probatorio già esistente, e non su una differente valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni dei testimoni.

Cosa può essere confiscato al consulente condannato per concorso in reati tributari?
Può essere disposta la confisca, anche per equivalente, di beni nella disponibilità del consulente per un valore corrispondente al profitto del reato. In tema di reati tributari, il profitto è costituito dal risparmio economico derivante dall’evasione d’imposta, ovvero l’intero importo dell’imposta non versata dal cliente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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