Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30604 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30604 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Roma il 06/08/1946
NOME NOMECOGNOME nato a Pantelleria il 07/09/1961
COGNOME NOMECOGNOME nato a Liberi il 24/03/1949
COGNOME NOMECOGNOME nato a Roma il 21/11/1937
COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 23/11/1936
avverso la sentenza del 04/10/2024 della Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
lette le conclusioni scritte degli Avvocati COGNOME e NOME COGNOME, difensori di NOME COGNOME;
letta la memoria depositata dall’Avvocatura generale dello Stato per la parte civile costituita, Ministero della Economia e Finanze;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che siano dichiarati inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME e che siano rigettati i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME Nicola e COGNOME NOME;
udita l’Avvocatura generale dello Stato, in persona dell’Avvocato NOME COGNOME in difesa della parte civile costituita, Ministero dell’Economia e dell
Finanze, che ha concluso chiedendo che sia dichiarato inammissibile il ricorso di COGNOME NOME Maurizio e che siano rigettati i ricorsi degli altri ricorrenti;
udito l’Avvocato NOME COGNOME difensore di COGNOME NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso; ·
udito l’Avvocato NOME COGNOME difensore di Persico NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato NOME COGNOME difensore di COGNOME NOMECOGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato NOME COGNOME difensore di COGNOME NOME, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato NOME COGNOME difensore di COGNOME, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
uditi gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME difensori di COGNOME COGNOME che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Roma ha condannato i ricorrenti per il delitto di peculato continuato, per essersi appropriati con le operazioni descritte nel capo di imputazione, di ingenti somme di denaro della Gestione fuori bilancio “Particolari e straordinarie esigenze anche di ordine pubblico della città di Palermo”, in liquidazione coatta amministrativa, di cui NOME COGNOME aveva la disponibilità in qualità di commissario liquidatore e, quindi, di pubblico ufficiale. A NOME COGNOME è ascritto il reato di peculat a titolo di concorso con il commissario liquidatore, per avere percepito, tramite società a lui riconducibili, somme di denaro provento dei fondi a disposizione della Gestione fuori bilancio. NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in qualità di membri del comitato di sorveglianza, sono stati ritenuti responsabili del medesimo reato ai sensi dell’art. 40, comma 2, cod. pen.
La sentenza fonda l’accertamento dei fatti, commessi dal 2007 al 2014, sulla confessione di NOME COGNOME -che ha ammesso di essersi appropriato di quasi 25 milioni di euro della Gestione fuori bilancio di cui era commissario liquidatore, versandoli in parte in conti a lui riconducibili, in parte a società riconducibi NOME Antonio COGNOME-, sulle dichiarazioni dei testi escussi, sugli esiti dell intercettazioni telefoniche e sulle indagini svolte dalla Guardia di finanza.
Avverso tale sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione tutti gli imputati.
2.1 Ricorso di NOME COGNOME
La difesa di NOME COGNOME ha dedotto i motivi di ricorso di seguito sintetizzati.
2.1.1. Difetto di motivazione e violazione di legge in relazione agli aumenti di pena per i reati posti in continuazione. Nella prospettazione difensiva la Corte di appello avrebbe violato il divieto di reformatio in peius, in quanto, tenuto conto che ha dichiarato la prescrizione dei reati commessi fino a gennaio 2011 e che solo otto episodi di peculato non sarebbero prescritti, avrebbe dovuto aumentare la pena, al più, di quattro mesi di reclusione, in considerazione del fatto che i Tribunale aveva applicato per ventotto episodi posti in continuazione un aumento di anni uno e mesi tre di reclusione, pari a circa quindici giorni di reclusione pe episodio.
2.1.2. Violazione di legge in relazione all’art. 157 cod. pen., in quanto, all data della pronuncia della sentenza impugnata, erano prescritti tutti gli episodi commessi fino al 21 aprile 2011 e non solo quelli commessi prima del gennaio 2011.
2.1.3. Violazione di legge in relazione all’art. 157 cod. pen., in quanto, al momento del deposito della motivazione, erano prescritti tutti i reati commessi sino al 6 settembre 2011.
2.1.4. Violazione di legge in relazione all’art. 69 cod. pen., in quanto la Corte di appello, pur in assenza di un motivo di impugnazione sul punto, in applicazione dell’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., avrebbe potuto e dovuto effettuare d’ufficio il giudizio di comparazione ritenendo le circostanze attenuanti generiche prevalenti, alla luce del comportamento processuale dell’imputato.
2.2 Ricorso di NOME COGNOME
Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati dedotti i seguenti motivi di ricorso.
2.2.1. Violazione di legge, difetto di motivazione e travisamento della prova.
Si assume al riguardo che, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, le dichiarazioni rese dal ricorrente sarebbero generiche e non specifiche e lo stesso memoriale da lui redatto non spiegherebbe nel dettaglio gli accordi con NOME COGNOME; viene contestato, inoltre, che NOME COGNOME sia stato il prestanome del ricorrente.
2.2.2. Violazione di legge, difetto di motivazione e travisamento della prova, sotto plurimi profili.
La sentenza impugnata non si sarebbe confrontata con le censure contenute nell’atto di appello e avrebbe reiterato il travisamento delle dichiarazioni di NOME COGNOME che, in dibattimento, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di merito, avrebbe riferito di non sapere chi fosse NOME COGNOME. Tale travisamento
sarebbe rilevante in quanto idoneo a minare l’attendibilità del coimputato, sulle cui dichiarazioni è stata fondata la responsabilità del ricorrente.
In secondo luogo si rileva che erroneamente la Corte di appello, ripetendo l’assunto del Tribunale, avrebbe ritenuto che i testi COGNOME e COGNOME avessero confermato che il dominus delle società era NOME COGNOME e non NOME COGNOME Erronea sarebbe, poi, la affermazione secondo cui quest’ultimo non aveva mai avuto rapporti con la Ragioneria Generale dello Stato, poiché dalla documentazione prodotta emerge che vi aveva lavorato per molti anni.
Nella prospettazione difensiva, poi, non emergerebbe da alcuna risultanza probatoria che Persico trattenesse circa il 40% delle somme versate alle sue società, non essendo ricostruito tale flusso di denaro nemmeno dalla documentazione acquisita dalla Guardia di finanza.
Infine, non vi sarebbe alcuna prova del fatto che il ricorrente facesse da tramite tra il commissario giudiziale e gli altri organi della procedura.
2.2.3. Difetto di motivazione, in quanto la Corte di appello avrebbe fondato la responsabilità del ricorrente su affermazioni apodittiche e meramente reiterative di quelle contenute nella sentenza di primo grado. Non sarebbero state, poi, adeguatamente valutate le dichiarazioni rese da NOME COGNOME, legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, e di NOME COGNOME da cui si desumerebbe l’estraneità del ricorrente alle attività di tali società. Né sarebbe stato spiegato come la sua responsabilità si desuma dalle scritture contabili di queste società, scritture che non sono mai state rinvenute.
Con il medesimo motivo il ricorrente contesta, infine, le modalità con cui la Corte ha calcolato i termini di prescrizione del reato.
2.3. Ricorso di NOME COGNOME
NOME COGNOME è stato condannato perché, in qualità di Presidente del comitato di sorveglianza della gestione fuori bilancio “Particolari e straordinarie esigenze anche di ordine pubblico della città di Palermo”, ha omesso ogni forma di controllo e vigilanza atta a impedire la commissione del reato di peculato.
Nel suo interesse sono stati dedotti i seguenti motivi di ricorso.
2.3.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 40, comma 2, 314 cod. pen. e 205 R.d. n. 267 del 1942, unitamente al difetto di motivazione, in quanto il comitato di sorveglianza non riveste una posizione di garanzia. In ogni caso, anche a voler ipotizzare il contrario, nel caso di specie la condotta appropriativa realizzata da NOME COGNOME non avrebbe potuto essere impedita, in quanto quest’ultimo ha tratto in inganno il comitato di sorveglianza, esibendo allo stesso, in occasione dei controlli contabili, documenti falsificati.
2.3.2. Difetto di motivazione e travisamento del fatto in quanto la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto che il comitato di sorveglianza non abbia regolarmente svolto i controlli, che sono stati, invece, diligentemente eseguiti, come emerge, tra l’altro, dal fatto che, in più occasioni, ha richiesto chiarimenti o confrontato il saldo della banca con il saldo presentato dal commissario liquidatore. In realtà il controllo è stato totalmente vanificato dal fatto che quest’ultimo h realizzato il peculato mediante gli artifizi e raggiri sopra descritti, come da l dichiarato nell’interrogatorio del 20 marzo 2015, riportato nel ricorso, nella parte di rilievo.
2.3.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 40, comma 2, 43 e 314 cod. pen. e difetto di motivazione, in ordine alla compatibilità del dolo eventuale con la responsabilità omissiva.
Si afferma, sotto tale profilo, che i raggiri di NOME COGNOME, che ha sottoposto al comitato di sorveglianza estratti conto falsificati, non avrebbero consentito al ricorrente nemmeno di rappresentarsi la condotta appropriativa e che al più, possibili condotte connotate da inerzia potrebbero essere rinnproverabili a titolo di colpa. Si rimarca, infine, l’irragionevolezza della condotta ascritt consistita nella dolosa omissione dei dovuti controlli, senza alcun profitto personale.
2.4. Ricorso di NOME COGNOME
Nell’interesse di NOME COGNOME membro del comitato di sorveglianza, sono stati dedotti i seguenti motivi di ricorso.
2.4.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 40, comma 2, e 314 cod. pen. e difetto di motivazione in ordine sia al rapporto di causalità tra la condotta omissiva concorsuale e la realizzazione dell’evento del reato sia all’elemento psicologico nella forma del dolo eventuale.
Sotto il primo profilo la sentenza impugnata sarebbe motivata in modo meramente apparente, in quanto si limita a richiamare una presunta posizione di garanzia rivestita dal comitato di sorveglianza, posizione, peraltro, insussistente in quanto l’art. 205 R.d. n. 267 del 1942 non la prevede.
Inoltre, del tutto contraddittoriamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto attendibile NOME COGNOME senza, però, valorizzare la parte delle sue dichiarazioni in cui aveva chiarito di aver falsificato gli estratti conto presentati comitato di sorveglianza, escludendo qualsiasi forma di complicità dei suoi membri. Lo stesso NOME COGNOME, sia in sede di interrogatorio di garanzia, sia in sede dibattimentale, aveva sostenuto l’estraneità di NOME COGNOME al reato, paventando al più una sorta di culpa in vigilando.
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Infine, si rileva che non sono stati valutati elementi favorevoli al ricorrent quali l’archiviazione della Procura regionale per il Lazio della Corte dei conti, che ha escluso la sussistenza di una condotta omissiva dolosa o gravemente colposa.
2.4.2. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli artt. 133 e 81 cod. pen., non essendo stati indicati i criteri utilizzati per la quantificazi dell’aumento di pena in continuazione.
2.5. Ricorso di NOME COGNOME
Nell’interesse di NOME COGNOME membro del comitato di sorveglianza, sono stati dedotti i seguenti motivi di ricorso.
2.5.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 40, comma 2, e 314 cod. pen., 41, commi 1 e 7, 198, 201 e 205 R.d. cit., in quanto erroneamente la sentenza impugnata, con un inammissibile ricorso all’analogia in malam partem, ha ritenuto sussistere in capo al comitato di sorveglianza una posizione di garanzia equiparata a quella dei sindaci e non si è confrontata con il provvedimento con cui la Corte dei conti ha archiviato il procedimento riguardante la dedotta responsabilità per danno erariale, instaurato a carico dei componenti del comitato di sorveglianza.
2.5.2 Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla sussistenza del rapporto di causalità tra la condotta omissiva concorsuale ascritta all’imputato e la realizzazione del reato.
2.5.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all’elemento soggettivo del reato contestato, difettando una rigorosa dimostrazione della sussistenza del dolo, alla luce della documentazione bancaria falsificata, della produzione di contratti falsificati e della non riferibilità al ricorrente conversazione telefonica intercorsa tra COGNOME e COGNOME riportata a pagina 10 della sentenza di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile per genericità.
1.1. È opportuno premettere che il Tribunale, ritenuto ingiustificato il rigetto dell’istanza di applicazione della pena formulata dall’imputato in sede di udienza preliminare, ha, in motivazione, accolto tale richiesta, ritenendola congrua. Nel dispositivo, tuttavia, richiamati gli artt. 533 e 535 cod. proc. pen., lo ha dichiara responsabile dei reati a lui ascritti e lo ha condannato «alla pena di quattro anni e due mesi di reclusione di cui alla richiesta di applicazione pena ex art. 444 c.p.p.».
La sentenza di appello ha, implicitamente, ritenuto che la sentenza di primo grado fosse di condanna e non di applicazione della pena, evidentemente dando
prevalenza al dispositivo sulla motivazione e osservando che «il Tribunale, per determinare il trattamento sanzionatorio da riservare ha assunto a paradigma il quantum di pena di cui alla richiesta formulata ex art 444 cod. proc. pen. in sede di udienza preliminare e disattesa dal Gup».
Ciò premesso, la Corte di appello ha dichiarato la prescrizione di tutti i reati di peculato antecedenti al gennaio 2011 e, per quelli residui, ha inflitto un aumento di pena in continuazione di mesi sei di reclusione; la sentenza di primo grado aveva, invece, inflitto, per tutti gli episodi posti in continuazione, un aumento di anni uno e mesi tre di reclusione.
Il ricorrente assume che gli episodi originariamente contestati fossero ventotto e che la Corte di appello ne abbia dichiarati prescritti venti, con la conseguenza che ne residuerebbero otto (e per tale ragione viene dedotta la violazione del divieto di reformatio in peius, ipotizzando che in primo grado siano stati inflitti circa quindici giorni per ciascun episodio in continuazione).
In realtà, la lettura dei capi di imputazione non consente di individuare il numero degli episodi contestati indicato dal ricorrente -la sola lettera a), infatt comprende n. 122 bonifici, la lettera b) si riferisce a 54 assegni e le successive lettere c) e d) a una pluralità di operazioni- né il numero degli episodi residui, i quanto, per una cospicua serie di fatti, non è indicata la data di commissione »
Al riguardo il ricorso è formulato in modo del tutto generico perché non esplicita quali siano gli episodi che si ritengono non prescritti e quali siano gl episodi prescritti, sicché va dichiarato, per questa parte, inammissibile.
In ogni caso, va precisato che, in tema di divieto di reformatio in peius in appello, l’omessa specificazione dei singoli aumenti di pena disposti in primo grado in relazione a plurimi reati continuati, non consente di presumere che l’aumento sia stato operato in misura eguale per ciascuno di essi, sicché ben può il giudice del gravame, dichiarato il proscioglimento per alcuni reati, rideterminare la pena applicando un aumento per la continuazione che non sia proporzionalmente ridotto, purché la pena finale risulti inferiore rispetto a quella irrogata dal pri giudice (Sez. 6, n. 30164 del 02/04/2019, COGNOME, Rv. 276229 – 01), come accaduto nel caso di specie, in cui, peraltro, l’aumento in continuazione è stato estremamente modesto.
1.2. Il terzo e il quarto motivo di ricorso sono manifestamente infondati.
Ai fini del computo della prescrizione, infatti, rileva il momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna e non quello successivo del deposito della stessa (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593 – 02).
Inoltre, il giudice di appello può legittimamente riconoscere le attenuanti generiche anche ex officio, ma il mancato esercizio di tale potere, eccezionalmente
riconosciuto dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., non è censurabile in cassazione, né è configurabile in proposito un obbligo di motivazione, in assenza di specifica richiesta nei motivi di appello, o nel corso del giudizio di secondo grado (Sez. 5, n. 37569 del 08/07/2015, Tota; Rv. 264552 – 01). ·
1.3. Il secondo motivo di ricorso, con cui si investe questa Corte del tema della prescrizione, che sarebbe stata erroneamente calcolata dalla sentenza impugnata, è, invece, fondato.
La Corte di appello ha indicato il termine di prescrizione dei reati di peculato contestati in tredici anni, cinque mesi e sedici giorni, in quanto tali reati, t commessi anteriormente alla legge n. 69 del 2015, erano puniti, nel momento in cui sono stati posti in essere, con pena massima di dieci anni di reclusione.
Il relativo termine massimo di prescrizione era, dunque, quello di anni dodici e mesi sei, cui vanno aggiunti i rilevati periodi di sospensione, fino a giungere al termine di anni tredici, cinque mesi e sedici giorni, sopra indicato.
Computando tale termine di prescrizione a ritroso rispetto all’emissione della sentenza di secondo grado (4 ottobre 2024), si perviene alla conclusione che, in quel momento, erano prescritti tutti i fatti commessi prima del 28 novembre 2011 e non, come erroneamente ritenuto dalla Corte di appello, i soli episodi antecedenti al gennaio 2011.
La rilevata fondatezza del motivo di gravame concernente la prescrizione dei reati ascritti all’imputato comporta la valida instaurazione del rapporto processuale di impugnazione in relazione a tutti gli episodi oggetto di imputazione – a prescindere dalla inammissibilità dei motivi aventi ad oggetto gli ulteriori “punti” della decisione -, con la conseguenza che la causa di estinzione deve essere rilevata finché il giudizio non sia esaurito integralmente in ordine ai capi concernenti la definizione dei reati ai quali la causa stessa si riferisce (Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, COGNOME, Rv. 216239).
Pertanto, si devono dichiarare ad oggi prescritti tutti i reati commessi prima del 28 novembre 2011 contestati ai capi a), d) ed e), mentre sono integralmente prescritti i reati di peculato contestati ai capi b) e c), relativi a fatti anteceden 2011.
Per i reati di peculato commessi dal 28 novembre 2011 va dichiarata l’irrevocabilità dell’accertamento della responsabilità dell’imputato, ai sensi dell’art. 624, comma 2, cod. proc. pen.
L’intervenuta prescrizione impone la declaratoria di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente ai reati commessi prima del 28 novembre 2011.
Si deve, invece, disporre il rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma per la rideternninazione della pena in relazione alle condotte successive a tale data, essendo necessario l’accertamento di situazioni di fatto non compatibili con · il giudizio di legittimità, e, in particolare, l’accertamento della data commissione di ciascun episodio di peculato non prescritto per il quale è stata accertata la responsabilità.
Nel giudizio di rinvio dovranno essere liquidate anche le spese sostenute nella presente fase dalla parte civile Ministero dell’economia e delle finanze.
Il primo motivo di ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato.
Dalla sentenza di primo grado, il cui apparato motivazionale si fonde con quello della conforme sentenza di secondo grado, emerge che nei primi interrogatori innanzi al pubblico ministero e al giudice per le indagini preliminari i ricorrente ha spiegato in modo dettagliato il sistema ideato da NOME COGNOME e la sua partecipazione ad esso, rivelando anche particolari non noti agli inquirenti (cfr. stralcio delle dichiarazioni riportato alle pagine 37 e 38 della sentenza di primo grado).
La confessione è stata posta a base del giudizio di colpevolezza, avendone i giudici favorevolmente apprezzato la veridicità, la genuinità e l’attendibilità e ci anche se l’imputato, dopo aver reso confessione nel corso delle indagini preliminari, non ha confermato in dibattimento le dichiarazioni rese precedentemente. La ritrattazione è stata, infatti, ritenuta non genuina, perché le dichiarazioni originarie erano confermate da una serie di altri elementi di prova, e segnatamente dalle conformi dichiarazioni del correo COGNOME e dalla documentazione acquisita dalla Guardia di finanza, relativa ai flussi di denaro verso le società facenti capo a NOME COGNOME che non svolgevano alcuna attività per conto della procedura e si limitavano a emettere fatture per operazioni inesistenti.
Tale motivazione, logica e immune da vizi, non è intaccata dalle doglianze contenute nel ricorso.
La censura relativa al ruolo di NOME COGNOME è inammissibile in quanto formulata in modo del tutto generico.
2.1. Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile sia perché sollecita una diversa lettura delle risultanze probatorie che sono state adeguatamente valutate dalle conformi sentenze di primo e secondo grado, sia perché formulato in modo generico.
Sul punto va ribadito che, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, Rv. 283777-01), cosa che non è accaduta nel caso di specie.
La sentenza di secondo grado, infatti, ha confermato le valutazioni di quella di primo grado in riferimento alla attendibilità di COGNOME che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, non ha mai affermato di non sapere chi fosse COGNOME ma solo di non averlo conosciuto.
Le dichiarazioni auto ed etero accusatorie di NOME COGNOME sono conformi a quelle rese in fase procedimentale dal ricorrente e trovano pieno riscontro nella documentazione acquisita dalla Guardia di finanza, da cui emerge che consistenti flussi di denaro drenati dalla Gestione fuori bilancio sono stati fatti confluire nell società che facevano capo al ricorrente, con cui la Gestione non aveva alcun reale rapporto economico. Tali società non avevano consistenza né apparato, essendo in sostanza enti fittizi costituiti proprio allo scopo di emettere fatture per operazio inesistenti, in modo da mascherare l’indebita appropriazione di denaro da parte del ricorrente e del commissario liquidatore.
In questo univoco contesto probatorio, le censure della difesa relative alle dichiarazioni dei testi COGNOME e COGNOME e al contenuto dei verbali del comitato di sorveglianza, oltre che essere formulate in modo generico, sono sostanzialmente volte ad ottenere una inammissibile rivalutazione di profili probatori già oggetto di uniforme giudizio in primo e in secondo grado.
2.2. Il terzo motivo di ricorso, nella parte in cui contesta la ricostruzione de fatti operata, con motivazione conforme, dalla sentenza di primo e secondo grado, è manifestamente infondato per i motivi sopra riportati.
Fondata, invece, è la censura con cui si investe la Corte della prescrizione dei reati ascritti al ricorrente, per i motivi già esposti in riferimento alla posizione NOME COGNOME che devono intendersi, pertanto, qui integralmente richiamati.
Anche per il ricorrente NOME COGNOME dunque, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio limitatamente ai reati commessi prima del 28 novembre 2011 e contestati ai capi a), d) ed e), in quanto estinti per intervenuta prescrizione.
Per i reati di peculato commessi dopo tale data va dichiarata l’irrevocabilità dell’accertamento della responsabilità dell’imputato, ai sensi dell’art. 624, comma 2, cod. proc. pen.
Si deve, invece, disporre il rinvio .ad altra Sezione delta Corte di appello di . Roma per la rideterminazione della pena.
I ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME sono fondati.
La sentenza impugnata ha ritenuto i ricorrenti responsabili del reato di peculato continuato, in quanto potevano e dovevano impedirlo, in qualità di Presidente e di membri del comitato di sorveglianza (artt. 40, comma 2, e 314 cod. pen.), richiamando sul punto la giurisprudenza relativa alla responsabilità del collegio sindacale.
La valutazione della condotta contestata ai membri del comitato di sorveglianza pone tre ordini di questioni.
La prima questione attiene alla sussistenza, in capo all’organo di vigilanza, di una posizione di garanzia che fonda la responsabilità per omesso impedimento e in difetto della quale può residuare solo l’ordinaria responsabilità concorsuale (art. 110 cod. pen.).
Solo se è configurabile una posizione di garanzia si pone la seconda questione, che attiene all’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta omessa e l’evento appropriativo.
Infine, se esiste anche il nesso di causalità, occorre verificare se la condotta omissiva sia stata o meno dolosa.
La verifica della sussistenza di una posizione di garanzia impone l’esame delle norme che disciplinano le funzioni e i compiti del comitato di sorveglianza. Infatti, i reati omissivi impropri non sono configurati attraverso apposite norme, ma sono la risultante della combinazione di norme incriminatrici con una disposizione di parte generale (l’art. 40, comma 2, cod. pen.). La responsabilità penale si fonda, dunque, sull’esistenza di una norma giuridica extrapenale che impone un determinato comportamento, funzionale ad evitare la verificazione dell’evento, la cui realizzazione costituisce la violazione dell’interesse tutelato dall norma penale.
Le condotte ascritte agli imputati sono anteriori rispetto all’entrata in vigore del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) e, quindi, sono disciplinate dal R.d. 16 marzo 1942 n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della
liquidazione coatta amministrativa) che, agli artt. 194 e ss., regola la liquidazione coatta amministrativa.
L’art. 198 R.d. cit. stabilisce che «con il provvedimento che ordina la liquidazione o con altro successivo viene nominato con commissario liquidatore. È altresì nominato un comitato di sorveglianza di tre o cinque membri scelti fra persone particolarmente esperte nel ramo di attività esercitato dall’impresa, possibilmente fra i creditori»; il successivo art. 201 disciplina gli effetti de liquidazione per i creditori e sui rapporti giuridici preesistenti rinviando al disposizioni che regolano la procedura fallimentare (titolo II, capo III, sezione II e sezione IV e art. 65) e precisando che «si intendono sostituiti nei poteri del tribunale e del giudice delegato l’autorità amministrativa che vigila sulla liquidazione, nei poteri del curatore il commissario liquidatore e in quelli del comitato dei creditori il comitato di sorveglianza».
Quindi, nella procedura di liquidazione coatta amministrativa il comitato di sorveglianza ha le stesse funzioni che ha il comitato dei creditori nella procedura fallimentare, funzioni che sono, a loro volta, disciplinate dall’art. 41 R.d. ci (disposizione contenuta nel titolo II, capo III, sezione IV, cui l’art. 201, come detto, fa espresso rinvio).
L’art. 41 stabilisce che «Il comitato dei creditori vigila sull’operato de curatore, ne autorizza gli atti ed esprime pareri nei casi previsti dalla legge, ovvero su richiesta del tribunale o del giudice delegato, succintamente motivando le proprie deliberazioni. Il comitato ed ogni componente possono ispezionare in qualunque tempo le scritture contabili e i documenti della procedura ed hanno diritto di chiedere notizie e chiarimenti al curatore e al fallito. Ai compone del comitato dei creditori si applica, in quanto compatibile, l’articolo 2407, primo e terzo comma, del codice civile. ».
L’art. 2407 cod. civ., relativo alla responsabilità dei sindaci, nella formulazione vigente all’epoca dei fatti (ossia prima delle modifiche introdotte con I. 14 marzo 2025, n. 35, entrata in vigore il 12 aprile 2025) stabiliva, al comma 1, che «i sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico; sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio» mentre il successivo comma 3 regolava l’esercizio dell’azione di responsabilità nei loro confronti, mediante rinvio alle disposizioni degli articoli 2393, 2393 bis, 2394, 2394 bis e 2395 cod. civ., in quanto compatibili (la medesima disciplina è oggi prevista nella I. n. 14 del 2019, il cui art. 140, comma 7, nel disciplinare i poteri e le funzioni del comitato dei creditori, rinvi all’art. 2407, commi 1 e 3, cod. civ.).
Significativamente l’art. 41 citato non fa rinvio al secondo comma dell’art. 2407 cod. civ. che, nella formulazione antecedente alla I. n. 35 del 2025, prevedeva che i sindaci «sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, ·quando il danno norr si sarebbe prodotto·se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica», così configurando espressamente la posizione di garanzia del collegio sindacale.
Sul punto è opportuno precisare che l’art. 41 citato, nella formulazione introdotta con il d. Igs. 9 gennaio 2006, n. 5, attribuiva al comitato dei creditor funzioni di vigilanza, consultive e autorizzatorie nonché il potere, riconosciuto anche singolarmente a ciascun componente, di ispezionare le scritture contabili e i documenti della procedura e di chiedere notizie e chiarimenti al curatore e al fallito. A questo potere-dovere corrispondeva una responsabilità civile, tutte le volte in cui si fosse dimostrato che gli ammanchi non si sarebbero verificati se il comitato avesse effettuato i dovuti controlli.
Ciò in quanto l’art. 41, come novellato nel 2006, richiamava l’intero disposto dell’art. 2407 cod. civ., ivi compreso il comma 2, per cui i componenti del comitato erano esposti al rischio di un’azione di responsabilità per eventuali danni che al fallito, ai creditori e ai terzi fossero stati causati come conseguenza immediata e diretta dell’espletamento, o del mancato espletamento, delle loro funzioni.
Il d. Igs. 12 settembre 2007, n. 169, ha modificato la disposizione in esame, escludendo l’applicabilità del secondo comma dell’art. 2407 cod. civ., e mantenendo fermo il rinvio solo ai commi primo e terzo.
Quindi il potere di ispezione, finalizzato alle funzioni di sorveglianza attribuit al comitato dei creditori, è venuto ad assumere una più ridotta importanza, perché alla sua violazione non corrisponde più, per espressa scelta legislativa, una responsabilità da inadempimento degli obblighi di controllo.
Il d. Igs. n. 169 del 2007, cioè, limitando il rinvio dell’art. 41, penulti comma, all’art. 2407, commi 1 e 3, cod. civ. ha espressamente escluso la responsabilità per omesso controllo.
Poiché, come sopra detto, l’art. 201 R.d. cit. equipara il comitato di sorveglianza della liquidazione coatta amministrativa al comitato dei creditori, si deve concludere che, anche in capo a quest’ultimo organo, non sia configurabile, in base all’art. 41 cit., una responsabilità per omesso controllo, o, detto in altr termini, un obbligo giuridico di impedire l’evento dannoso.
Né tale obbligo è desumibile dalle altre norme che regolano le funzioni del comitato di sorveglianza; non, in particolare, dal successivo art. 205, norma
richiamata nella sentenza impugnata, che prevede solo la necessità di redazione di un rapporto, ossia di un parere, del comitato sulla relazione periodica sulla situazione patrimoniale dell’impresa e sull’andamento della gestione che il commissario liquidatore deve presentare all’autorità di vigilanza.
In conclusione, il complesso delle norme che disciplinano la liquidazione coatta amministrativa non configura in capo al comitato di sorveglianza una posizione di garanzia assimilabile a quella dei sindaci, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata.
Da ciò consegue che non è configurabile in capo al comitato dei creditori una responsabilità per omesso impedimento dell’evento (art. 40 cod. pen.).
Per questo, diversamente da quanto accade per i sindaci, la loro responsabilità, ove ne ricorrano i presupposti, dovrà essere circoscritta ai casi di concorso ex art. 110 cod. pen.
Da ciò consegue che la sentenza impugnata, che ha ritenuto sussistente in capo ai ricorrenti una responsabilità per omesso impedimento, va annullata senza rinvio per difetto dei presupposti di applicazione dell’art. 40, comma 2, cod. pen.
8. In ogni caso, va rilevato che né la sentenza impugnata né la conforme sentenza di primo grado, come correttamente rilevato dai ricorrenti, contengono una motivazione in ordine al nesso di causalità. Difetta, in particolare, un motivato giudizio prognostico controfattuale in ordine alla realizzazione del reato qualora i membri del comitato di sorveglianza avessero pienamente adempiuto ai compiti di controllo, giudizio tanto più necessario alla luce dell’articolato sistema ideato da COGNOME, mediante la creazione di una serie di società a lui riconducibili, la formazione di scritture transattive apocrife e la presentazione ed esibizione di documentazione bancaria contraffatta.
Né è stata data motivazione in ordine alla sussistenza del dolo concorsuale, che, nella responsabilità per omesso impedimento, certamente può sussistere anche in presenza del solo dolo eventuale, purché però esistano, e siano stati percepiti dal soggetto, segnali peculiari dell’evento illecito, caratterizzati da u elevato grado di anormalità, e sempre che l’accettazione del rischio da parte del garante concerna specificamente proprio l’evento tipico che con l’azione si sarebbe potuto evitare.
Poiché, poi, la condotta omissiva (omesso controllo) è stata successiva al delitto, sarebbe stato necessario accertare se vi fosse una volontà originaria, precedente alla consumazione del reato, di apportare un contributo causale alla commissione delle illecite appropriazioni.
La Corte di appello, dunque, ha erroneamente equiparato il piano di responsabilità ex art. 40 cpv. cod. pen. alla mera ricorrenza di una presunta
posizione di garanzia, valutando le numerose condotte di spoliazione del patrimonio della gestione fuori bilancio poste in essere dal commissario
liquidatore, senza, tuttavia, verificare la concreta possibilità di avvedersi delle relative anomalie da parte del comitato di sorveglianza e senza tenere conto delle
risultanze del quadro probatorio, pure puntualmente richiamato, con particolare riferimento al comportamento decettivo del commissario liquidatore, che esibiva
ai membri del comitato di sorveglianza, come da lui stesso ammesso, documentazione falsificata.
9. In conclusione la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME perché il fatto non
sussiste, con la conseguente revoca delle correlate statuizioni civili.
P.Q.M.
A) Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME Sergio,
COGNOME NOME e COGNOME NOME perché il fatto non sussiste. Revoca nei confronti dei predetti ricorrenti le statuizioni civili.
B) Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME limitatamente alle condotte di peculato di cui alle lett. a), d) ed e) dell’imputazione commesse anteriormente alla data del 28 novembre 2011 perché i reati sono estinti per prescrizione. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi e irrevocabile l’accertamento della responsabilità ai sensi dell’art 624, comma 2, cod. proc. pen. Dispone la trasmissione degli atti ad altra Sezione della corte di appello di Roma per la rideterminazione della pena nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME Conferma le statuizioni civili.
Così deciso il 14/05/2025.