Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27143 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27143 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MASSA il 06/01/1962
avverso la sentenza del 29/10/2024 della CORTE di APPELLO di GENOVA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 29 ottobre 2024 la Corte d’Appello di Genova, in parziale riforma della sentenza emessa il 11 aprile 2022 dal Tribunale di Massa, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputata COGNOME NOME in ordine al reato di truffa ascrittole perché estinto per intervenuta prescrizione, confermando le statuizioni civili e riducendo la provvisionale disposta in favore della parte civile.
Alla ricorrente era stato contestato il reato di truffa in concorso per avere indotto la parte offesa COGNOME NOME al versamento di somme sui conti correnti della cooperativa RAGIONE_SOCIALE con l’impegno di provvedere all’ulteriore
versamento di denaro in suo nome e per suo conto in favore dell’Agenzia delle Entrate a titolo di adempimenti fiscali, non provvedendo successivamente al regolare adempimento delle dette incombenze.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputata, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando cinque motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva erronea applicazione delle norme sulla responsabilità civile derivante da reato, assumendo che nel caso di specie non vi era prova della responsabilità della ricorrente né dell’elemento soggettivo del reato contestato.
Con il secondo motivo deduceva erronea applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen., assumendo che, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice doveva emettere pronuncia assolutoria se dagli atti risultava evidente l’assenza del fatto reato e che nella specie la ricorrente non aveva avuto il controllo della gestione finanziaria della RAGIONE_SOCIALE e non aveva titolo per accedere ai conti correnti della medesima.
Con il terzo motivo deduceva violazione dell’art. 533 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in relazione alla valutazione degli elementi probatori favorevoli all’imputata, assumendo che la Corte d’Appello aveva fondato le proprie statuizioni esclusivamente sulle dichiarazioni accusatorie della parte civile COGNOME senza considerare altri elementi probatori idonei a escludere la responsabilità della COGNOME.
Con il quarto motivo deduceva violazione degli artt. 157 e 161 cod. pen., assumendo che in realtà il termine di prescrizione era decorso già prima della sentenza di primo grado e che il mancato rilievo tempestivo della prescrizione aveva determinato un indebito protrarsi del giudizio con pregiudizio per l’imputato.
Con il quinto motivo deduceva violazione dell’art. 578 cod. proc. pen. assumendo che la Corte territoriale non aveva reso adeguata motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della responsabilità civile della ricorrente, essendosi limitata a riproporre le argomentazioni rassegnate dal primo giudice, senza valutare in maniera autonoma il compendio probatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I primi tre motivi, che devono essere trattati congiuntamente poiché involgono le medesime questioni, sono inammissibili in quanto generici e
comunque tendenti a una inammissibile rivalutazione nel merito delle prove assunte.
In particolare, risulta del tutto generica e apodittica, in quanto non sorretta da alcuna argomentazione, l’affermazione secondo la quale non vi sarebbe prova della responsabilità della ricorrente e dell’elemento soggettivo del reato contestato.
Ricade, invece, inevitabilmente nel merito la deduzione difensiva, che richiama genericamente le prove testimoniali e la documentazione contabile relativa all’attività della cooperativa, secondo la quale la ricorrente non avrebbe avuto il controllo della gestione finanziaria della cooperativa RAGIONE_SOCIALE e non avrebbe avuto titolo per accedere ai conti correnti della medesima.
Deve in ogni caso osservarsi che la Corte di merito ha reso adeguata motivazione al riguardo, richiamando la testimonianza della parte civile COGNOME NOME – che aveva affermato che quando si era recato nella sede della cooperativa la maggior parte delle volte aveva avuto contatti con l’imputata, che aveva direttamente osservato accedere al conto della società poiché disponeva delle password dell’Internet Banking alla stessa intestato, e che dalla medesima imputata, che al telefono aveva ammesso gli omessi versamenti all’Agenzia delle Entrate, aveva ricevuto generiche rassicurazioni successivamente alla notifica nei suoi confronti di alcuni avvisi di accertamento – e traendo da essa logiche conseguenze in punto di responsabilità dell’imputata per il reato di truffa contestato.
Infine, del tutto generica, oltre che tendente a una non consentita rivalutazione nel merito degli elementi di prova, risulta l’affermazione secondo la quale la Corte territoriale aveva considerato, per fondare la propria statuizione, esclusivamente le dichiarazioni della parte civile e aveva omesso di valutare altri elementi probatori favorevoli all’imputata, senza tuttavia indicarli precisamente, così che il vizio di motivazione risulta dedotto in maniera incongrua.
Gli ultimi due motivi devono essere trattati congiuntamente, in quanto relativi al medesimo tema: la prescrizione del reato.
La difesa assume, senza tuttavia fornire alcun elemento specifico in relazione al calcolo da effettuare, che il reato si sarebbe prescritto in epoca anteriore alla sentenza di primo grado.
In realtà il reato risulta commesso fino all’il maggio 2015 e la sentenza di primo grado è stata emessa in data 11 aprile 2022; il termine di prescrizione
prorogato, nella specie pari a sette anni e sei mesi, e venuto a scadenza in data
11 novembre 2022, dunque successivamente all’emissione della sentenza di primo grado.
Anche l’affermazione secondo la quale la Corte d’Appello non avrebbe motivato in modo adeguato la ritenuta responsabilità civile della ricorrente,
essendosi limitata a riproporre le argomentazioni rese sul punto dal primo giudice, senza effettuare un’autonoma valutazione degli elementi probatori
considerati, risulta non aderente al dato che emerge dalla lettura del provvedimento impugnato, che ha congruamente individuato il danno patito
dalla parte civile nel mancato versamento in favore dell’Erario delle somme corrisposte dal COGNOME alla società cooperativa con tale vincolo di
destinazione, somme che venivano destinate ad altre finalità (v. pag. 7 della sentenza impugnata).
3. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile; la ricorrente deve, pertanto, essere condannata ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 16/05/2025