Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 6772 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 6772 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/01/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME IMPERIALI NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DI NOME nato a CATANIA il 24/02/1987
avverso la sentenza del 16/04/2024 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile;
lette le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, con ogni conseguente statuizione (richieste confermate con memoria tardivamente depositata in data 29/01/2025).
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Caltanissetta, con sentenza del 16/04/2024, ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Enna dichiarando non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME per il reato di cui al capo 2) della rubrica per intervenuta prescrizione, rideterminando per l’effetto la pena inflitta al COGNOME per il capo 1) (artt. 110, 640bis cod. pen., truffa in danno dell’AGEA).
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del proprio difensore, NOME COGNOME articolando i motivi di ricorso che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell”art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione all’art. 3bis del d.lgs. n. 165 del 1999 e in relazione agli artt. 110 e 640bis cod. pen. per avere ritenuto la responsabilità penale del ricorrente in relazione a tutti i reati contestati nella sua qualità di responsabile pro tempore del CAA, atteso che la verifica sostanziale dei requisiti legittimanti l’accesso ai contributi comunitari spetta all’ente erogatore (AGEA) e non al personale del CAA, con conseguente mancata assunzione di prove decisive; la
Corte di appello ha errato nel proprio giudizio e ha sostenuto l’esistenza dell’elemento soggettivo in considerazione del mancato controllo formale sui documenti da vagliare ai sensi del citato articolo 3bis ; il ricorrente non poteva effettuare alcun controllo, atteso il suo ruolo meramente amministrativo e burocratico.
2.2. Violazione di legge ed erronea applicazione dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen. per non aver dimostrato la colpevolezza dell’imputato e non aver accertato che la domanda Ł stata inoltrata dal CAA in data 07/07/2015, dovendosi da tale data eventualmente ritenere commesso il reato; manca la prova che l’aiuto comunitario sia stato effettivamente erogato e non sono state sul punto assunte prove decisive; manca la prova del dolo; l’imputato viene ritenuto colpevole in solido solo per aver inserito la domanda; la motivazione sul punto risulta omessa, risultando non rilevante penalmente l’inserimento di una domanda valida sotto il profilo formale.
2.3. Violazione di legge in relazione all’art. 131bis cod. pen. in relazione alla lieve entità del danno, non essendo stato in alcun modo dimostrato che la somma corrisposta dall’AGEA sia poi stata effettivamente compensata, anche atteso che il Di COGNOME Ł soggetto del tutto estraneo alla percezione e compensazione della somma in questione; errata applicazione della legge penale in relazione all’art. 62bis cod. pen. per non aver concesso le circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza e per non aver rideterminato la pena in misura equivalente al minimo edittale, atteso il mero inserimento da parte del ricorrente della domanda che formalmente aveva tutti i requisiti necessari per l’inoltro.
2.4. Erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 175 cod. pen. per la mancata concessione del beneficio della non menzione, oltre che in punto di determinazione della pena ex art. 133 cod. pen. per non aver considerato la marginalità del ruolo del ricorrente.
2.5. Violazione ed errata applicazione dell’art. 69 cod. pen. quanto alla comparazione delle circostanze attenuanti, oltre che per aver condannato il ricorrente ad una pena eccessiva e sproporzionata in relazione ai fatti e al suo ruolo effettivo nella vicenda.
2.6. Violazione di legge ed erronea applicazione della legge penale in relazione alla omessa dichiarazione di intervenuta prescrizione, la domanda unica di pagamento Ł stata presentata dal ricorrente negli anni precedenti all’anno 2015; la Corte di appello ha errato nel ritenere la ‘decorrenza ‘ del reato dalla data del 13/10/2016; nell’ambito dello stesso motivo Ł stata richiamata la violazione di legge e l’erronea applicazione della legge penale in relazione alla disposta confisca, attesa la mancata percezione da parte del ricorrente di alcuna utilità.
3. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł inammissibile perchØ proposto con motivi generici, non consentiti, oltre che manifestamente infondati.
Il primo e il secondo motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente, attesa la proposizione di plurime censure, relative alla sussistenza del reato ascritto nella sua componente oggettiva e soggettiva, nonchØ quanto alla ricorrenza di asserite carenze del giudizio in appello per la mancata assunzione di prove decisive, proposte da diverse prospettive convergenti sulla critica proposta relativa alla sussistenza del fatto.
2.1. I motivi non sono consentiti perchØ totalmente reiterativi dei motivi di appello ed in parte non devoluti (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01) e si caratterizzano altresì per evidente genericità (Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521-01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710-01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Rv. 255568-01; Sez. 4, n.18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849-01; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Rv. 236945-01)
atteso il mancato confronto con la motivazione della Corte di appello, che ha ricostruito in modo del tutto argomentato, logico e privo di aporie, la responsabilità del ricorrente per il delitto allo stesso ascritto, sicchØ le doglianze della difesa si risolvono nella volontà di introdurre, in presenza di una doppia decisione conforme, una non consentita lettura alternativa del merito (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, NOMECOGNOME Rv. 252615-01; Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME , Rv. 191229-01).
2.2. In tal senso, si deve osservare come la Corte di appello abbia ricostruito compiutamente la condotta posta in essere dal ricorrente, evidenziando alcuni dati risolutivi quanto alla sua responsabilità, con i quali il ricorrente non si confronta in alcun modo, con particolare riferimento: all’avere il COGNOME richiamato nell’invio della domanda un atto notorio in ordine al possesso dei terreni in realtà inesistente, mentre nel fascicolo cartaceo era presente un contratto di comodato risultato falso; – all’avere utilizzato per l’invio della domanda le credenziali di un privato cittadino (NOME COGNOME), del tutto estraneo alla gestione e competenza del CAA, che anzi si era rivolto a tale centro per avere le credenziali (mai comunicate allo stesso) per lo svolgimento di proprie pratiche; – all’essere la somma oggetto di domanda entrata nella disponibilità della richiedente grazie alla compensazione con precedenti debiti, così realizzandosi l’ingiusto profitto e il correlativo danno. Ne consegue all’evidenza come, in presenza di un compendio tanto significativo, considerato dalla Corte di appello con motivazione del tutto immune da illogicità, non potessero essere ritenute assolutamente necessarie al fine del decidere le prove richiamate dalla difesa, invece evidentemente disattese dalla Corte territoriale, in assenza di qualsivoglia violazione di legge sul punto.
Invero, la Corte di appello, nel ricostruire in modo articolato e puntuale la condotta del ricorrente, ha chiarito con motivazione del tutto congrua, come la condotta ascritta al COGNOME non si fosse limitata al mero inserimento della domanda, ma avesse avuto una portata causale determinante in modo decisivo al fine di integrare il delitto contestato. In tal senso, sono stati correttamente applicati i principi già affermati da questa Corte quanto al ruolo, qualifica e competenze del soggetto addetto al CAA nell’inserimento delle domande volte ad ottenere gli aiuti comunitari per l’agricoltura. Si Ł infatti chiarito, con principi applicabili al caso di specie che ricorrono specifici: ‘oneri di controllo, sussistenti in capo ai CM, di identificazione del produttore e dell’esistenza del titolo della conduzione dell’azienda agricola, di cui all’art. 2 del D.M. 27 marzo 2008 (Mipaaf)’ (Sez. 5, n. 47251 del 10/06/2019, COGNOME, non massimata).
Sul punto si deve osservare che l’interpretazione dell’art. 2, comma 2, pone a carico dei CAA, per le attività previste dal comma 1, lettere a) e b), la responsabilità dell’identificazione del produttore e dell’accertamento dell’esistenza del titolo di conduzione dell’azienda, nonchØ della corretta immissione dei dati, del rispetto per quanto di competenza delle disposizioni comunitarie, oltre alla facoltà di accedere alle banche dati del SIAN (Sistema Informativo Agricolo Nazionale) esclusivamente per il tramite di procedure di interscambio dati. Ne consegue che i requisiti formali, per definire un’azienda agricola “in attività”, dunque, legittimata a ricevere i contributi che qui interessano, di cui al D.M. n. 6513 del 2014, rimandano nel loro complesso ad un’attività in esercizio effettivo ed in essere al momento della domanda (si pensi al piano colturale, all’esistenza di determinate percentuali di produzione o ancora al requisito dell’iscrizione all’Inps che presuppongono lo svolgimento di attività effettiva ed in atto).
Fermo quanto precede, il ricorrente, nell’esercizio del pubblico servizio espletato ha chiaramente violato i doveri allo stesso riferibili, affermando falsamente (con ciò dovendosi ritenere integrato con piena consapevolezza sia l’elemento oggettivo, che quello soggettivo, del delitto contestato) la presenza nel fascicolo oggetto di controllo di un atto notorio, elemento questo
smentito dagli accertamenti espletati che, tra l’altro, come già detto, dimostravano che nel fascicolo cartaceo tale atto notorio non era presente, ma era invece presente un falso contratto di comodato.
2.3. Nel caso di specie il procedimento, destinato a concludersi con il pagamento delle erogazioni concesse dall’Unione Europea a sostegno della produzione agricola degli Stati membri, ha preso le mosse dalla presentazione di un’autocertificazione al CAA, alla quale doveva seguire un’autonoma attività di accertamento da parte del funzionario pubblico: quest’ultimo infatti, in base all’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 188/2000 e all’art. 8 della convenzione tra l’AGEA e il C.A.A., aveva l’obbligo di accertare l’esistenza effettiva dei titoli di conduzione dell’azienda.
I giudici di merito, con motivazione non censurabile in questa sede, hanno evidenziato che il ricorrente non si Ł limitato ad esporre notizie e dati falsi, ma ha adottato un comportamento assolutamente conseguente per il raggiungimento dell’obiettivo, consistente nel trarre in inganno l’ente pagatore, così facendo ricevere indebitamente il contributo statale, pur avendo consapevolezza che l’istante non possedeva i requisiti richiesti dalla legge per accedere al beneficio. Infine, occorre osservare che, come già affermato in modo condivisibile da questa Corte, non Ł possibile sostenere che l’esistenza, nell’ambito di un procedimento amministrativo, di piø fasi distinte tra loro, sia condizione di per sØ sufficiente ad interrompere il nesso di causalità tra la condotta fraudolenta dell’imputato ed il profitto illecito conseguito; nØ, ai fini della conclusiva affermazione della responsabilità del ricorrente, rileverebbe la circostanza che il deceptus fosse tenuto ad effettuare controlli sulla veridicità di quanto dichiarato, e comunque avesse la possibilità di effettuarli utilmente: la rilevanza penale dell’accertata, fraudolenta, induzione in errore non viene, infatti, meno per il solo fatto che il deceptus abbia a sua disposizione strumenti di difesa, in ipotesi non compiutamente utilizzati, poichØ, in siffatta situazione, la responsabilità penale Ł sempre collegata al fatto dell’agente ed Ł indipendente dalla eventuale cooperazione, piø o meno colposa, della vittima negligente (Sez. 2, n. 52316 del 27/09/2016, COGNOME, Rv. 268960-01; Sez. 5, n. 17919 del 18/12/2017, dep. 2018, COGNOME, non massimata; Sez. 2, n. 21411 del 25/03/2021, COGNOME, non massimata).
In conclusione, si deve poi osservare come sia manifestamente infondata, e superata dalle considerazioni della Corte di appello, la doglianza secondo la quale il controllo rimesso al Di Mineo sarebbe stato solo di natura formale, con la conseguenza che l’operatore CAA non dovrebbe essere tenuto a verificare le veridicità della documentazione prodotta dal richiedente. In senso contrario depone, senza incertezze, la lettera della norma istitutiva dei Centri di Assistenza Agricola, in quanto l’art. 3bis , comma 3, decreto legislativo n. 165 del 1990, espressamente dispone che: ‘per le attività di cui al comma 1, i Centri hanno, in particolare, la responsabilità della identificazione del produttore e dell’accertamento del titolo di conduzione dell’azienda, della corretta immissione dei dati, del rispetto per quanto di competenza delle disposizioni dei regolamenti (CE) n. 1287/95 e n. 1663/95, nonchØ la facoltà di accedere alle banche dati del SIAN, esclusivamente per il tramite di procedure di interscambio dati’.
3. Il terzo motivo di ricorso non Ł consentito perchØ reiterativo, oltre che generico, in mancanza di confronto con la motivazione della Corte di appello, che ha incensurabilmente valorizzato la condotta partecipativa del ricorrente (pag. 17 e segg.), la sua piena consapevolezza, la significativa gravità del fatto, in presenza di un danno senza alcun dubbio di considerevole entità. Con tale motivazione il COGNOME non si confronta, limitandosi a reiterare senza alcuna ulteriore considerazione il motivo di appello. In tal senso deve essere ribadito il principio di diritto secondo il quale Ł inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’appello, e motivatamente respinti in secondo grado, atteso che non si confronta criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, ma si limita, in maniera generica, a
lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (cfr., ex multis , Sez. 2, n. 27816/2019, cit.).
Il quarto motivo di ricorso Ł reiterativo e generico in mancanza di confronto con la motivazione della Corte di appello (pag. 18), che ha specificamente escluso la possibilità di concedere altri benefici in considerazione della gravità della condotta, escludendo complessivamente la asserita marginalità del contributo del Di Mineo, ed anzi caratterizzandolo specificamente per gravità e incidenza decisiva nella determinazione della condotta imputata. Anche con tale motivazione il ricorrente omette di confrontarsi.
Il quinto motivo di ricorso oltre ad essere del tutto generico, così caratterizzandosi già in sede di appello quanto al tema della eccessività della pena, non risulta invece devoluto in sede di gravame quanto alla violazione ed errata applicazione dell’art. 69 cod. pen. con conseguente interruzione della catena devolutiva sul punto. Per il resto, quanto alla dosimetria della pena, nonostante l’evidente genericità del motivo e la sua natura del tutto esplorativa già in fase di appello, occorre osservare come la Corte territoriale abbia specificamente richiamato l’applicazione della pena in misura prossima al minimo edittale, esplicitando il proprio giudizio quanto alla applicazione delle circostanze attenuanti in termini di equivalenza. Ancora una volta si Ł in presenza di una motivazione del tutto congrua con la quale il ricorrente omette di confrontarsi, limitandosi ad affermare l’irrogazione di una pena eccessiva.
Del tutto generica ed aspecifica risulta poi la censura relativa ad una erronea applicazione dell’art. 69 cod. pen. La doglianza, come già detto non devoluta con i motivi di appello, si caratterizza per assoluta genericità, non avendo il ricorrente chiarito quale sia o avrebbe dovuto essere il parametro violato ai sensi dell’art. 69 cod. pen.; in ogni caso, Ł stata del tutto omessa l’allegazione di quale sia il vizio nella specie ricorrente.
Il sesto motivo di ricorso, quanto alla doglianza proposta in ordine all’intervenuto decorso del termine di prescrizione, non Ł consentito in quanto meramente reiterativo in mancanza di confronto con la motivazione resa dalla Corte di appello sui temi devoluti, con particolare riferimento alla data di consumazione del delitto imputato, individuata nel 13/10/2016 e, dunque, al momento della percezione dell’aiuto comunitario con compensazione conseguente con i debiti pregressi, rispetto alla quale il ricorrente si Ł limitato a richiamare la data di inserimento della domanda, senza confrontarsi in alcun modo con la ricostruzione del fatto, la sua portata e l’effetto di depauperamento conseguente con ingiusto profitto.
La Corte di appello ha correttamente motivato sul punto ed ha richiamato specificamente le cause di sospensione del decorso del termine di prescrizione, tutti elementi con il quale ricorrente non si confronta.
La seconda doglianza, in ordine alla asserita ricorrenza di violazione di legge quanto alla disposta confisca non Ł stata devoluta con specifico motivo di appello, con conseguente interruzione della catena devolutiva sul punto, ma si caratterizza anche per la sua evidente genericità in mancanza di confronto con la motivazione della Corte di appello (pag. 18), che ha richiamato la natura della confisca e la estensione della stessa al concorrente nel reato. Invero, il ricorrente si Ł limitato ad affermare di non avere ricevuto alcuna utilità dalla commissione del reato, senza confrontarsi con la motivazione della Corte di appello, che ha ricostruito, in modo non censurabile in questa sede, la sua condotta e la portata causalmente decisiva della stessa nel determinare l’ingiusta erogazione dei contributi, disponendo la confiscain applicazione del principio solidaristico, nell’evidente impossibilità di definire la misura della effettiva partecipazione di ciascuno alla
formazione e acquisizione del profitto del reato (Sez. 3, n. 24350 del 21/02/2024, COGNOME Rv. 286548-01).
Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. al pagamento delle spese processuali e della somma, stimata equa, di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 30/01/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME