Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 4424 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 4424 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Borgo San Lorenzo il 15/01/1960
avverso la sentenza del 15/12/2023 della Corte di appello di Milano
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE, avv. NOME COGNOME del foro di Milano, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso, con condanna alle spese; udito il difensore dell’imputato, avv. NOME COGNOME del foro di Santa Maria Capua
COGNOME, che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Giudicando in sede di rinvio disposto da questa Corte, Sez. 4, con sentenza n. 35840 del 15 giugno 2021 – che, in accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore generale e dalle parti civili, aveva annullato la decisione emessa il 14 settembre 2020 dalla Corte di Appello di Milano, la quale, ai fini qui di interesse, aveva assolto NOME COGNOME dal reato di disastro colposo di cui all’art. 449, comma 1, cod. pen. in relazione all’art. 434, comma 2, cod. pen. con la formula perché il fatto non sussiste -, la Corte di appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado, la quale aveva condannato NOME COGNOME nella sua qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, impresa affidataria della costruzione di un edificio residenziale sito in Milano, INDIRIZZO in prossimità del INDIRIZZO in relazione al delitto di crollo, per colpa consistit nell’aver provveduto alla consegna dell’opera alla committente RAGIONE_SOCIALE senza aver rimosso la situazione di pericolo derivante dal posizionamento, avvenuto nella primavera del 2009, di opere provvisionali, quali tavole e puntelli lignei, a chiusura dell’apertura lasciata nell’intercapedine contro terra, tra secondo e il terzo piano interrato.
In particolare, secondo l’editto accusatorio, in data 8 luglio 2014, per effetto delle forti piogge, si verificava uno smottamento di terreno con conseguente dislocazione o comunque cedimento parziale delle medesime tavole e puntelli lignei, cui conseguiva il franamento di materiale fangoso all’interno di box di pertinenza dell’edificio sito in INDIRIZZO e, successivamente, in data 26 luglio 2014, in occasione di nuove intense precipitazioni, per effetto del vuoto determinato dal precedente franamento e in assenza di opere di messa in sicurezza dell’area, si verificava un ulteriore smottamento con cedimento definitivo delle menzionate tavole e conseguente crollo del manto stradale sovrastante, con apertura, su strada pubblica, di una voragine di dodici metri di profondità e di ampiezza di sei metri per tre metri.
Avverso la sentenza l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, ha presentato ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi.
2.1. Con un primo motivo, deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125, comma 3, 533, comma 1, 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. con riferimento alla oggettiva attribuibilità all’imputato del reato contestato. Dopo aver ripercorso le vicende processuali, rappresenta il difensore che la condotta ascritta al COGNOME è stata erroneamente qualificata come colposa, in quanto nessuna consegna, da intendersi come
ultimazione dei lavori commissionati, è stata posta in essere dalla RAGIONE_SOCIALE, società di cui l’imputato era l’amministratore pro-tempore; invero, la dichiarazione di fine lavori fu sottoscritta dal legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, il quale, unitamente al direttore dei lavori, richiese la dichiarazio di agibilità dell’immobile, oggetto di intervento edilizio, autocertificando una serie di verifiche e di adempimenti, richiesta che non sortì esito favorevole da parte della pubblica amministrazione. Nel caso in esame, si è verificato un avvicendamento di società appaltatrici all’interno dello stesso cantiere, posto che la RAGIONE_SOCIALE venne sostituita, nel settembre 2010, dalla RAGIONE_SOCIALE, che realizzò all’interno dell’unità immobiliare opere per centinaia di migliaia di euro. Aggiunge il difensore che, in seguito, ulteriori società effettuarono lavori sull’immobile nelle rispettive sfere di competenza, come da fatture allegate al ricorso, venute in possesso del ricorrente solo dopo la sentenza impugnata e delle quali si chiede l’acquisizione. Orbene, se le opere non erano state ancora ultimate nel momento dell’allontanamento dal cantiere della RAGIONE_SOCIALE, è del tutto evidente che detta società non avrebbe più avuto titolo per verificare, pianificare ed eseguire l’opera di rimozione della tamponatura temporanea per sostituirla con la definitiva posa in opera di materiale cementizio, anche considerando che il committente era a conoscenza della temporaneità di detta tamponatura.
2.2. Con un secondo motivo, deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125, comma 3, 533, comma 1, 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. con riferimento all’art. 40 cod. pen. per mancanza di nesso di causalità tra la condotta posta in essere dall’imputato e l’evento, con conseguente venir meno anche dell’elemento soggettivo. Espone il difensore che non vi sarebbe alcun nesso di causalità tra la realizzazione dell’opera di tamponatura e l’evento, verificatosi dopo cinque anni, sia perché, fino a che la società fu presente nel cantiere, non si erano verificati problemi in ordine alla tenuta dell’opera provvisoria, sia perché, in ogni caso, la responsabilità per l’evento occorso è riconducibile a chi, dopo il 2010, ha omesso di eseguite l’attività di manutenzione e/o sostituzione dell’opera provvisoria e, soprattutto, dopo l’episodio dell’8 luglio 2014, non ha provveduto a porre in essere per ripristinare la tamponatura rimossa dallo smottamento del terreno.
2.3. Con un terzo motivo, deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125, comma 3, 533, comma 1, 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. con riferimento al ruolo meramente formale di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE Rappresenta il difensore che la penale responsabilità del ricorrente è stata affermata sulla sola base del ruolo di legale rappresentante della società, quindi per la posizione ricoperta, senza alcun accertamento in ordine alla piena consapevolezza dello stato dei luoghi e delle
opere eseguite, posto che dall’istruttoria è emerso che nessuno dei soggetti coinvolti nel cantiere di INDIRIZZO ebbe mai alcun contatto con l’imputato; in ogni caso, sul punto la motivazione sarebbe del tutto mancante.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Va premesso che la sentenza rescindente – la quale ha cassato con rinvio la pronuncia assolutoria, per insussistenza del fatto, emessa dalla Corte di appello che, in riforma di quella resa in primo grado, aveva escluso la configurabilità del disastro colposo sia in ragione dei profili dimensionali dell’evento disastroso, sia per la ritenuta mancanza di un pericolo concreto per la pubblica incolumità, alla luce dell’avvenuta messa in sicurezza della zona nell’immediatezza del crollo – ha affermato il principio di diritto, così massimato: in tema di disastro innominato colposo, il disastro è integrato da un avvenimento, sotto il profilo naturalistico, grave e complesso – ma non necessariamente eclatante, immane ed eccezionale per dimensioni – e, sotto il profilo dell’offensività, idoneo a mettere in concreto pericolo, secondo una valutazione ex ante, la vita o l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone, anche qualora tale pericolo possa essere escluso secondo una valutazione ex post in ragione degli interventi di urgenza e di ripristino eseguiti nell’immediatezza del fatto (Sez. 4, n. 35840 del 15/06/2021, P.G. in c. COGNOME e altri, Rv. 281884).
In sede di rinvio, in applicazione del principio dinanzi richiamato, la Corte di appello ha qualificato il fatto come crollo colposo, come peraltro già ritenuto dal Tribunale, affermando, tra l’altro, la penale responsabilità del ricorrente, il quale non attacca né la ricostruzione del fatto, né la sua qualificazione giuridica, ma concentra le proprie censure sulla ascrivibilità al Dordolo del verificarsi dell’evento disastroso.
Ciò chiarito, i motivi di ricorso, esaminabili congiuntamente essendo collegati, sono infondati.
Quanto al primo motivo, si osserva che le argomentazioni difensive – incentrate sul fatto che la RAGIONE_SOCIALE non avrebbe mai consegnato il manufatto, né effettuato alcuna dichiarazione di ultimazione dei lavori, posto che sarebbe subentrata una diversa società appaltatrice, la quale avrebbe concluso i lavori – insinuano una ricostruzione della vicenda, che non trova riscontro né nella sentenza di impugnata, né in quella di primo grado. Il difensore, pertanto, avrebbe
dovuto dedurre il vizio di travisamento, allegando – o, quantomeno, indicando in maniera specifica – gli atti da cui desumere le circostanze dedotte in questa sede, il che non è avvenuto.
Si osserva, in ogni caso, che, anche laddove si fosse provato che la società appaltatrice non aveva ultimato i lavori ed era stata sostituita da un’altra impresa edile, ciò non avrebbe inciso sull’affermazione della penale responsabilità del ricorrente.
Come affermato da questa Corte, va ribadito che l’appaltatore di lavori, in base al principio del neminem laedere, deve osservare tutte le cautele necessarie per evitare danni alle persone, non soltanto nel periodo di esecuzione delle opere appaltate, ma anche nella fase successiva, permanendo l’obbligo di non lasciare senza custodia le situazioni di grave pericolo che gli siano note (Sez. 4, n. 24692 del 29/03/2016, Nobilioni, Rv. 267230).
Coerentemente con quest’impostazione, si è precisato che l’appaltatore di opere edili che ne abbia interrotto l’esecuzione, per essere stato sostituito da altro operatore, non soddisfa gli obblighi di cautela su di lui incombenti in virtù del principio del neminem laedere, allorché si limiti a indicare all’operatore subentrato le cautele da adottare a presidio dell’opera non completata (connotata, nel caso di specie, da manifesti errori di costruzione), in quanto tali cautele devono essere anzitutto predisposte dal medesimo autore della costruzione (Sez. 4, n. 1511 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259085).
Venendo al caso in esame, non rileva la circostanza che l’evento si sia verificato a distanza di anni, posto che la condotta colposa ascritta al legale rappresentante della ditta appaltatrice risiede nella percezione di pericolo e della completa assenza di qualsiasi forma di intervento sia al momento della consegna dell’opera, sia anche in seguito, essendo stata omessa, con colpevole negligenza, imprudenza e imperizia, sia la rimozione delle opere provvisionali con chiusura definitiva dell’apertura, sia, in ogni caso, l’approntamento di altre misure di sicurezza, sia ogni segnalazione al committente della urgenza di provvedere.
Con specifico riferimento alla decisione di non completare la muratura dell’intercapedine per agevolare la fornitura di servizi ai cantieri del teatro, come già osservato dal Tribunale (p. 8 della sentenza di primo grado), anche a voler ritenere sussistente uno specifico accordo a tal proposito – accordo di cui, peraltro, non vi è traccia nei dati probatori -, in ogni caso esso non può certamente giustificare la messa in pericolo di un numero indeterminato di persone, derivante dalla potenziale instabilità di un condominio e/o del terreno circostante.
7. Quanto al secondo motivo, la Corte di merito ha ribadito la sussistenza del nesso di causalità – peraltro nemmeno seriamente messo in discussione dal ricorrente – tra l’omessa cementificazione a chiusura dell’apertura lasciata nell’intercapedine contro terra tra il secondo e il terzo piano interrato, in luogo della quale furono realizzare opere provvisorie, costituite da tavole lignee sostenute da supporti anch’essi di legno, e il verificarsi dell’evento a formazione progressiva realizzatosi nel luglio 2014, ossia, dapprima, in data 8 luglio, lo smottamento del terreno, che determinò il dislocamento e il danneggiamento delle protezioni lignee provvisionali determinato da prolungate e consistenti precipitazioni, e, quindi, il 26 luglio, in cui si verificò un ulteriore smottamento con cedimento definitivo delle opere provvisorie e conseguente crollo del manto stradale sovrastante, con apertura, su strada pubblica, di una voragine di dodici metri di profondità e di ampiezza di sei metri per tre metri.
Né ha pregio l’assunto difensivo secondo cui occorrerebbe unicamente considerare, quale estremo del rapporto causale cui collegare la condotta, il solo evento occorso il 26 luglio; a tal proposito, già la sentenza rescindente aveva chiarito che il primo smottamento “è risultato prodromico e causalmente collegato al verificarsi di una voragine sul piano stradale occorsa in data 26 luglio 2014 allorquando era franata la porzione superficiale della sede stradale, a fronte di grotta sotterranea formatasi a seguito del primo smottamento, determinandosi una apertura del piano di calpestio (voragine) delle dimensioni di metri sei per tre e di profondità superiore a dieci metri”.
Come correttamente ritenuto dalla Corte d’appello, il comportamento colposo dell’imputato si inserisce pacificamente nella catena delle condotte che hanno cagionato il disastro, nessuna di esse ponendosi in termini di causa “da sola sufficiente a determinare l’evento”, così da escludere il rapporto di casualità ai sensi dell’art. 41 cod. pen.
8. Quanto, infine, al terzo motivo, che deduce l’erronea riconduzione di posizione di garanzia in capo all’imputato a prescindere dalla ogni fattiva partecipazione alla realizzazione dell’opera provvisoria realizzata, il ricorrente non si confronta con la congrua e adeguata motivazione fornita in sentenza, la quale fa leva sulla circostanza che la “distanza” dal cantiere non allontana il ricorrente dalla responsabilità penale, posto che, come accertato dalla Corte di merito, l’imputato consegnò l’immobile nella conoscenza della situazione di precarietà dei lavori, ciò emergendo dalle stesse dichiarazioni del COGNOME il quale ha affermato di aver appreso dal fratello di tale situazione.
Su queste basi, come ritenuto dai giudici di merito, il rimprovero per colpa ascritto all’imputato consiste perciò nel non aver verificato e controllato lo stato
Su questa basi, come ritenuto dai giudici di merito, il rimprovero per colpa ascritto all’imputato consiste perciò nel non aver verificato e controllato lo stato dell’immobile consegnato al committente, così mantenendo, in via di fatto permanente, opere, della cui esistenza era stato informato, unicamente e intrinsecamente provvisorie, come la tamponatura lignea, palesemente inadeguata a durare nel tempo e tali da determinare un grave pericolo per la staticità degli immobili sovrastanti e l’incolumità delle persone.
Per i motivi indicati, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 4.000, oltre accessori di legge.
Così deciso il 18/12/2024.