Responsabilità amministratore sito: la Cassazione chiarisce i limiti per la diffamazione
La questione della responsabilità amministratore sito per contenuti diffamatori pubblicati da terzi è un tema di grande attualità nell’era digitale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fornisce un’importante chiave di lettura, distinguendo nettamente la posizione di chi gestisce un blog o un forum da quella del direttore di una testata giornalistica online registrata. Analizziamo insieme questa decisione per comprendere i confini della responsabilità penale nel mondo del web.
I Fatti del Caso
La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un soggetto per il reato di diffamazione aggravata, confermata sia in primo grado dal Tribunale sia in appello. L’imputato, in qualità di gestore di un sito internet, era stato ritenuto penalmente responsabile per contenuti lesivi della reputazione altrui. Ritenendo ingiusta la condanna, ha proposto ricorso per Cassazione, basandolo principalmente su due motivi: il primo, di natura fattuale, mirava a una riconsiderazione degli eventi; il secondo, di natura giuridica, contestava l’applicabilità della normativa sulla responsabilità del direttore responsabile ai gestori di siti web non giornalistici.
La Decisione della Corte di Cassazione
Con l’ordinanza in esame, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione si fonda su una duplice valutazione. In primo luogo, i giudici hanno ribadito un principio cardine del processo di legittimità: la Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti del processo, ma solo verificare la corretta applicazione della legge. Pertanto, il primo motivo del ricorso è stato respinto perché intendeva sollevare censure di merito, non consentite in tale sede. In secondo luogo, e questo è il cuore della decisione, la Corte ha giudicato il secondo motivo come manifestamente infondato.
Le Motivazioni: la distinta responsabilità amministratore sito
Il punto centrale delle motivazioni riguarda l’interpretazione dell’articolo 57 del codice penale, che disciplina la ‘Responsabilità per reati commessi col mezzo della stampa’. La Corte ha chiarito che questa norma, anche nella sua estensione al mondo digitale, si applica esclusivamente alle testate giornalistiche telematiche regolarmente registrate. Non può, invece, essere estesa per analogia ad altre forme di comunicazione online come forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list o social network.
La Cassazione, richiamando un suo precedente orientamento (sentenza n. 16751 del 2018), ha sottolineato che la figura del ‘direttore responsabile’ e gli obblighi di controllo che ne derivano sono specifici del mondo giornalistico, caratterizzato da una struttura editoriale e da precise garanzie legali. Estendere tale regime di responsabilità a qualsiasi amministratore di un sito web significherebbe applicare una norma penale al di fuori dei casi espressamente previsti, violando il principio di legalità.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
Le conseguenze della declaratoria di inammissibilità sono state la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. Dal punto di vista giuridico, questa ordinanza consolida un principio fondamentale: la responsabilità amministratore sito per i contenuti pubblicati non è automatica e non segue le stesse regole previste per la stampa. Se da un lato ciò esclude l’applicazione dell’art. 57 c.p. per i gestori di blog o forum, non significa che questi siano privi di qualsiasi responsabilità. Essi possono comunque essere chiamati a rispondere, ad esempio, a titolo di concorso nel reato di diffamazione, qualora siano consapevoli del contenuto illecito e non si attivino per rimuoverlo. La decisione, quindi, non crea una zona di impunità, ma traccia un confine netto tra diverse forme di responsabilità online, invitando a valutare caso per caso il ruolo e il coinvolgimento effettivo del gestore del sito.
Quando l’amministratore di un sito internet è responsabile per diffamazione ai sensi dell’art. 57 del codice penale?
Secondo la Corte, la responsabilità ai sensi dell’art. 57 c.p. si applica esclusivamente agli amministratori di testate giornalistiche telematiche regolarmente registrate, e non a gestori di altri mezzi informatici come forum, blog, newsletter o social network.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per due ragioni: il primo motivo sollevava censure in fatto, non valutabili dalla Corte di Cassazione; il secondo motivo era manifestamente infondato dal punto di vista giuridico.
Quali sono le conseguenze per il ricorrente a seguito della dichiarazione di inammissibilità?
A seguito dell’inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 47181 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 47181 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 27/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a COSENZA il 12/11/1964
avverso la sentenza del 06/03/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Cosenza del 7 dicembre 2021 che aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di diffamazione aggravata e lo aveva condannato alla pena di giustizia;
che il primo motivo del ricorso dell’imputato è inammissibile in quanto diretto a sollevare censure in fatto;
che il secondo motivo è manifestamente infondato, poiché, in tema di diffamazione, l’amministratore di un sito internet non è responsabile ai sensi dell’art. 57 cod. pen., in quanto tale norma è applicabile alle sole testate giornalistiche telematiche e non anche ai diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, facebook) (Sez. 5, n. 16751 del 19/02/2018, COGNOME, Rv. 272685);
che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 27/11/2024.