Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 631 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 631 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME nato a MONTECASSIANO il 23/10/1950
COGNOME NOME nato a JESI il 13/05/1977
avverso la sentenza del 27/02/2024 della CORTE APPELLO di ANCONA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale ‘Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio limitatamente al capo A 2b) e per il rigetto nel resto dei ricorsi; lette le conclusioni del difensore della parte civile avv. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Ancona ha confermato la condanna di COGNOME NOME e COGNOME NOME per il reato di bancarotta impropria da reato societario e per operazioni dolose descritte al capo A) d’imputazione, punti 1) e 2b), nonché per il reato di false comunicazioni sociali di cui al capo B), commessi nella loro qualità di amministratori di diritto della RAGIONE_SOCIALE società dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Macerata nel 2018. In parziale riforma della pronuncia di primo grado, la Corte territoriale ha, invece, assolto entrambi gli imputati per ulteriori ipotesi di operazioni dolose contestategli nel citato capo A) ai punti 2a) e 2c) ed ha provveduto di conseguenza a rimodulare il trattamento sanzionatorio.
In riferimento alla prima operazione dolosa accertata dai giudici del merito, oggetto di contestazione è l’aggravamento del dissesto della società conseguente all’appostazione nell’attivo del bilancio del 2017 di un credito che doveva essere appostato già nel 2013 e che nel frattempo era divenuto inesigibile, mantenendo così fittiziamente positivo il patrimonio netto, in modo da eludere l’obbligo di ricapitalizzare la società, porla in liquidazione o chiederne il fallimento. La seconda operazione dolosa ritenuta provata dalla sentenza ha ad oggetto la vendita di alcuni immobili acquistati dalla RAGIONE_SOCIALE società di cui COGNOME Franco era amministratore unico e socio, senza aver acquisito da quest’ultima società l’anticipo alla stessa versato dagli acquirenti finali.
Avverso la sentenza propongono ricorso gli imputati con unico atto articolando tredici motivi.
2.1 Con il primo motivo, i ricorrenti deducono violazione dell’art. 2621 c.c. in relazione all’ipotesi di false comunicazioni sociali di cui al capo B), sostenendo che i giudici d merito avrebbero errato nel ritenere la falsità dell’appostazione del credito vantato dalla fallita nei confronti della RAGIONE_SOCIALE In particolare, la Cor territoriale avrebbe omesso di considerare che l’annotazione in esame ha svolto unicamente la funzione di modificare la titolarità del debito, sostituendo così l’originaria annotazione eseguita nel bilancio del 2013 che descriveva l’esistenza del medesimo credito nei riguardi della RAGIONE_SOCIALE lasciando sostanzialmente immutato il risultato economico espresso dal bilancio. Ulteriore violazione di legge viene ravvisata nell’aver i giudici di merito erroneamente qualificato il credito vantato verso la RAGIONE_SOCIALE come non più esigibile, omettendo di considerare l’esistenza di un documento acquisito in sede dibattimentale in cui si dà atto che i soci della debitrice avevano prestato già nel 2012 idonea garanzia personale alla soddisfazione del debito in favore della fallita.
2.2 Con il secondo, il terzo e il quarto motivo, si denuncia violazione degli artt. 2621 c:.c e 223 co.2 n.1 I. fall. nonché vizi di motivazione in relazione all’ipotesi di bancarott impropria da reato societario di cui al capo A) sub 1. I ricorrenti lamentano che la Corte d’Appello avrebbe in maniera apodittica valutato la sussistenza del nesso di causalità tra la già esaminata condotta di falso in bilancio e l’aggravamento del dissesto societario che ne sarebbe derivato, omettendo, tuttavia, di considerare quale elemento a discarico il conferinnento spontaneo da parte di COGNOME NOME di un apporto economico a favore della fallita di entità superiore al valore del credito ritenuto inesigibile.
2.3 Con il quinto ed il sesto motivo, i ricorrenti denunciano violazione di legge e vizi d motivazione in riferimento all’ipotesi di bancarotta impropria da operazione dolosa di cui al capo A) punto 2 b).
In particolare, i ricorrenti lamentano la divergenza tra parte motiva e parte dispositiva del provvedimento impugnato, in quanto nella motivazione la Corte territoriale avrebbe in realtà assolto gli imputati per la menzionata condotta delittuosa, mentre nella parte dispositiva li avrebbe invece condannati per tale fatto. Di contro, la pronuncia impugnata avrebbe fornito una motivazione compatibile con un’affermazione di responsabilità penale nei confronti degli imputati per l’ulteriore ipotesi criminosa di cui al sub 2a) pervenendo, al contempo, nel dispositivo all’assoluzione per la stessa condotta. La evidenziata divergenza tra motivazione e dispositivo non sarebbe invero risolvibile mediante la mera correzione di quest’ultimo, sul quale dovrebbe prevalere la motivazione, ma imporrebbe l’annullamento della sentenza, implicando valutazioni di merito che trascendono i poteri del giudice di legittimità.
2.4 Con riguardo alla contestata operazione dolosa descritta al capo A) sub 2a) della rubrica, i ricorrenti, con il settimo motivo, deducono violazione erronea applicazione della legge penale, lamentando la mancata valutazione da parte della pronuncia impugnata non solo degli elementi già proposti dalla difesa nei precedenti motivi a sostegno dell’inesistenza di un nesso eziologico tra la transazione con offerta di cessione di beni immobili alla RAGIONE_SOCIALE e l’aggravio del dissesto societario, ma anche l’omessa considerazione del fatto che il suddetto contratto avrebbe consentito alla fallita di cancellare la trascrizione per l’esercizio dell’azione revocatoria nei suoi confronti, così da poter proseguire la propria attività sociale ed evitare una perdita di bilancio.
2.5 Con l’ottavo e il nono motivo, i ricorrenti denunciano violazione di legge e vizi di motivazione in relazione al riconoscimento dell’elemento soggettivo dei reati contestati in capo agli imputati, sostenendo, con particolare riguardo all’ipotesi di bancarotta impropria, l’inesistenza di elementi che comprovino la volontà della causazione del dissesto, non avendo la Corte tenuto conto del conferimento effettuato da COGNOME NOME mediante l’utilizzo di risorse personali acquisite accendendo un muto ipotecario e del fatto che egli aveva coinvolto nella gestione della fallita il proprio figlio, circosta
idonee ad evidenziare come egli abbia agito per evitare e non già cagionare il dissesto della società.
2.6 Con il decimo ed undicesimo motivo, i ricorrenti lamentano violazione di legge e vizi di motivazione in riferimento alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, in ragione dello stato di incensuratezza dei due ricorrenti e della mancata analisi da parte dei giudici di merito della corretta intensità dell’elemento soggettivo addebitato agli imputati, ma soprattutto del citato impegno di risorse personali per evitare il fallimento della società.
2.7 Nell’interesse del solo COGNOME MarcoCOGNOME il ricorso articola gli ultimi due motivi.
I difensori degli imputati hanno depositato memoria di replica alle conclusioni del P.G. ribadendo i motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati.
La sentenza impugnata anzitutto risulta illogicamente motivata ed errata in diritto laddove ha confermato la condanna degli imputati per il reato di bancarotta impropria
da reato societario di cui al capo A) sub 1, nella fattispecie falso in bilancio, in concorso con il delitto di falso in bilancio di cui al capo B) d’imputazione, omettendo di considerare che la fattispecie di cui all’art. 223 comma 2 n. 1) legge fall. configura una ipotesi d reato complesso ex art. 84 cod. pen., contenendo al suo interno, quale elemento costitutivo, un fatto (quello di falso in bilancio) che costituirebbe, di per sé stesso, al reato, il quale rimane dunque assorbito. Infatti, la consolidata giurisprudenza di legittimità afferma che il falso in bilancio seguito dal fallimento della società integ l’ipotesi di bancarotta fraudolenta impropria e si distingue dalla fattispecie di cui all’a 2621 cod. civ., che è reato sussidiario punito a prescindere dall’evento fallimentare. Pertanto, verificatosi il fallimento, il fatto di cui all’art. 2621 cod. civ. rimane assor nel reato di bancarotta impropria (Sez. 5, n. 15062 del 02/03/2011, Siri, Rv. 250092; Sez. 5, n. 7293 del 28/05/1996, Schillaci, Rv. 205987).
In aggiunta, è da ritenersi fondata l’obiezione difensiva relativa alla valutazione di sussistenza del nesso di causalità tra la condotta di falso in bilancio e l’aggravamento del dissesto societario che ne sarebbe derivato, in quanto la Corte territoriale ha omesso di valutare e specificare la natura del conferimento effettuato da COGNOME Franco a favore della fallita, di cui si darà conto nel proseguo.
Alla luce delle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata deve essere annullata nella parte in cui ha confermato la condanna degli imputati anche per il reato di falso in bilancio di cui al capo B) in riferimento, apparentemente, al medesimo fatto contestato ai medesimi anche nel capo A) sub 1.
3. Con rifermento ai motivi inerenti alle due condotte di operazioni dolose contestate, i ricorsi sono parimenti fondati nella parte in cui lamentano una divergenza irrisolvibile tra dispositivo e motivazione di natura non esclusivamente formale, ma riguardante profili di merito che non possono essere risolti in questa sede. In particolare, si osserva come il giudice d’appello, da un lato, abbia assolto nel dispositivo gli imputati per le condotte delittuose di cui al capo A) sub 2a) e 2c), condannandoli per il fatto contestato al punto 2b) del medesimo capo d’imputazione; dall’altro lato, tuttavia, ha fornito una motivazione apparentemente compatibile con l’affermazione di responsabilità degli imputati per i fatti sub 2a) e 2c).
Infatti, se l’intento della Corte era proprio quello di assolvere gli imputati per i reati 2a) e 2c), la motivazione offerta nella pronuncia non è in alcun modo coerente con la condanna per l’ulteriore operazione dolosa di cui al 2b). Ne deriva che questa Corte, pur avendo chiaro che la numerazione seguita dai giudici d’appello nel redigere la sentenza corrisponde a quella dei motivi formulati con l’atto d’appello, è impossibilitata a valutare gli ulteriori profili di legittimità censurati dalla difesa, in quanto non appaiono in al modo comprensibili le ragioni promosse dalla Corte territoriale a sostegno dell’assoluzione e della condanna degli imputati.
Ancora, un ulteriore elemento di contraddizione logica della motivazione si evince riferimento al punto 1B) della motivazione in cui la Corte d’appello rigetta l’ecce difensiva rivolta ad attribuire rilevanza al conferimento di denaro effettuato da Pa Franco quale elemento indicativo dell’assenza di volontà nel cagionare il dissesto fallita. In particolare, va evidenziato che i giudici del merito hanno impropria ricondotto la censura all’operazione dolosa di cui al capo 2b), quando, in realt motivi d’appello e dalla sua stessa narrazione si evince che la doglianza fosse r all’operazione di cui al capo 2a).
Anche con riguardo a tali censure, dunque, la sentenza deve essere annullata con rin rimanendo ovviamente impregiudicata ogni valutazione di merito sul fatto che le risor conferite dall’imputato abbiano o meno inciso sull’efficienza causale dell’operaz incriminata nella determinazione o nell’aggravamento del dissesto della fallita.
In relazione a questo specifico profilo, si rimanda pertanto alle determinazioni del g del rinvio, il quale dovrà chiarire se l’apporto economico in parola sia qualificabil un conferimento in conto capitale o, al contrario, integri un finanziamento societar quest’ultima ipotesi, la giurisprudenza di legittimità esclude la riconducibil conferimento da parte dell’amministratore di risorse proprie ad un’attività di contrario idonea ad annullare gli effetti negativi dell’operazione contestata, in qu finanziamento non evita che il pericolo per la garanzia dei creditori acquisisca eff concretezza, ma, al contrario, crea solamente una nuova passività per la soci attribuendo all’amministratore conferente la titolarità di un credito non posterga la cui soddisfazione dovrà concorrere insieme al ceto creditorio..
4. Parimenti fondati s clo 9i motivi di ricorso relativi all’estraneità dell’imputato NOME NOME rispetto ai fatti di reato contestati.
In primo luogo, è fondata l’obiezione difensiva sulla natura costitutiva dell’ dimissioni comunicato dall’amministratore agli organi sociali e su quella meramen dichiarativa della sua successiva pubblicazione nel registro delle imprese. Ne conse che l’unico obbligo imposto all’amministratore dimissionario affinché le dimissioni s effettive e possano segnare il venir meno della sua responsabilità è che lo stesso le comunicate agli organi sociali nel rispetto delle forme e modalità prescritte dall’art cod. civ., tanto che è onere di questi ultimi – e in particolare del collegio si procedere alla pubblicazione nel registro, adempimento che ha come unico effett l’opponibilità ai terzi delle dimissioni (ex multis Sez. 1 civ., n. 13221 del 17/05/2021, Rv. 661452).
Pertanto, il dimissionario non può essere ritenuto responsabile della gestione succes alle sue dimissioni, anche nel caso in cui la cessazione dalla carica di amminist non sia stata trascritta.
Il principio conosce, tuttavia, alcune eccezioni. In primo luogo, si richiama l’ipotesi in cu le dimissioni dell’amministratore facciano venir meno il numero legale dell’organo gestorio. In tale ipotesi, la legge riconosce una prorogatio dei poteri dell’amministratore successivamente alla comunicazione delle dimissioni fino alla ricostituzione della maggioranza dell’organo in seguito all’accettazione dei nuovi amministratori. Una seconda eccezione va individuata nei casi in cui l’amministratore dimissionario abbia continuato ad esercitare di fatto un potere gestorio all’interno dell’organizzazione societaria, anche spendendo la qualifica formale senza ricoprirla.
Nel caso di specie la Corte territoriale non ha sufficientemente chiarito se ricorra una delle ipotesi descritte, presupposto ineludibile per l’affermazione della responsabilità dell’imputato per condotte realizzate successivamente alle sue dimissioni.
Infatti, per quanto risulta dalle sentenze di merito, l’organigramma della fallita contemplava due amministratori titolari in via disgiunta dei pieni poteri gestori, per cui la cessazione dall’incarico di uno di loro non ha implicato la necessità di una proroga delle sue funzioni fino alla nomina di un sostituto, concentrandosi il potere gestorio sull’altro amministratore rimasto in carica.
Pertanto, l’unica ipotesi di prorogatio astrattamente applicabile al caso in esame è che il dimissionario abbia continuato di fatto ad amministrare la società. Ed in effetti sembra dalla motivazione della sentenza che questa sia l’eventualità ipotizzata dalla Corte territoriale, la quale ha imputato le condotte delittuose anche al COGNOME Marco in ragione del fatto che, successivamente alle sue dimissioni, egli, pur non ricoprendo formalmente alcun incarico gestorio, avrebbe continuato ad amministrare di fatto la società. A sostegno di tali conclusioni, i giudici di merito evocano l’avvenuta stipula da parte dell’imputato nell’interesse della società di un singolo “atto pubblico” nel 2017.
La tenuta del ragionamento articolato dalla Corte appare però minata in radice nella misura in cui non precisa anzitutto la natura dell’atto sottoscritto dall’imputato ed a che titolo egli avrebbe partecipato al medesimo. In secondo luogo, tenuto conto del rilevante lasso di tempo intercorso tra le dimissioni e la stipula dell’atto, la sentenza non chiarisce i motivi per cui debba ritenersi che, nonostante le intervenute dimissioni, egli abbia proseguito nella gestione della società ovvero abbia estemporaneamente ed occasionalmente esplicato poteri gestori nel diverso contesto temporale. In tale ultima ipotesi era allora necessario verificare se, alla luce dei consolidati principi stabiliti da giurisprudenza di legittimità (ex multis Sez. 5, n. 2514 del 04/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285881), possa effettivamente ritenersi che egli abbia assunto la qualifica di amministratore di fatto o possa eventualmente ritenersi abbia agito quale concorrente extraneus, sempre che, ovviamente, debba ritenersi che l’atto in questione – di cui si ribadisce la Corte non ha chiarito la natura – presenti una qualche rilevanza nella realizzazione delle operazioni dolose imputate.
Le evidenti lacune che affliggono sui punti indicati la motivazione della sentenza impugnata impongono anche in questo caso il suo annullamento con rinvio alla Corte d’appello di Perugia.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Perugia
Così deciso il 6/11/2024