Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 34191 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3   Num. 34191  Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: PAZIENZA VITTORIO
Data Udienza: 16/09/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA avverso la sentenza emessa il 11/03/2025 dalla Corte d’Appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; uditi i difensori del ricorrente, AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, che hanno concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso 
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 11/03/2025, la Corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Milano in data 03/05/2024, con la quale COGNOME NOME era stato condannato alla pena di giustizia in relazione al reato di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000, a lui ascritto nella qualità di amministrato unico della RAGIONE_SOCIALE
Ricorre per cassazione l’COGNOME, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.2. Vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo. Si censura la sentenza per aver ritenuto sufficiente il fatto che l’COGNOME avesse accettato di rivestire, per amicizia, la carica di amministratore della società, ed avesse sottoscritto le dichiarazioni per l’anno 2015 senza operare alcun controllo. Si evidenzia, in particolare, che il ricorrente era un mero prestanome del dominus COGNOME, ed era ignaro della inesistenza della società straniera emittente le fatture, tanto più che le dichiarazioni fiscali erano predisposte dal commercialista. Non erano quindi ravvisabili i presupposti della macroscopica illegalità dell’attività svolta e della consapevolezza di ciò, da parte del prestanome, individuati dalla giurisprudenza quali elementi sintomatici idonei a fondare una responsabilità per dolo (alla luce anche RAGIONE_SOCIALE funzioni di mero
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata acquisizione dei documenti richiamati dal teste dell’accusa e mai prodotti nel fascicolo, con violazione dei diritti di difesa e al contraddittorio. Si censura l sentenza per avere la Corte ritenuto “irrilevante” la corrispondente doglianza dedotta con il motivo di appello, pur essendo pacifico che i documenti fondanti la deposizione del teste di accusa non erano mai stati prodotti né acquisiti agli atti nonostante il P.M. ne avesse preannunciato il deposito in aula, dopo averli scaricati e stampati (il riferimento era allo spesometro, al questionario, ai verbali del contraddittorio, alla memoria e alle fatture estere inviate via EMAIL: atti che in parte non erano stati neppure acquisiti al fascicolo del Pubblico Ministero). Si evidenzia quindi che non era in questione la completezza della deposizione del teste di accusa, ma l’impossibilità di confutarne il contenuto, a causa della indisponibilità degli atti richiamati dal teste medesimo. Era per le stesse ragioni mancata la necessaria autonoma valutazione, da parte del giudicante, degli elementi raccolti in sede di accertamento fiscale. Insistendo per la violazione del diritto al contraddittorio, la difesa richiama la deposizione del teste di accusa nella parte relativa alla quantificazione dei costi riconosciuti “sulla base della documentazione prodotta”, nonché al fatto che tutta la documentazione era stata valutata in sede amministrativa; sotto altro profilo, si sottolinea che la Corte territoriale aveva rigettato il motivo sulla confisca affermando che il profitto era stato quantificato non già sulla base di “formule astratte o su presunzioni, ma sui dati contenuti negli avvisi di accertamento dell’RAGIONE_SOCIALE acquisiti agli atti e utilizzati da giudice”: con ciò ammettendo che le altre questioni (rilievi sugli elementi passivi, fittizietà RAGIONE_SOCIALE fatture, memoria inviata dalla società e verbali del contraddittorio erano state risolte sulle sole dichiarazioni del teste in merito ad atti mai confluit nel fascicolo. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
addetto ai corsi di formazione, svolte dall’RAGIONE_SOCIALE in assenza di qualsiasi tipo di ingerenza nella gestione societaria).
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla confisca. Si censura, da un lato, la quantificazione del profitto per le stesse ragioni di incompletezza documentale già evidenziate e di per sé lesive del diritto alla verifica in contraddittorio di quanto determinato in sede amministrativa. D’altro lato, si lamenta l’omessa motivazione in ordine alla proporzionalità dell’intervento, censurata in considerazione del ruolo marginale svolto dal ricorrente.
Con memoria trasmessa il 10/09/2025, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO sollecita il rigetto del ricorso, per l’infondatezza RAGIONE_SOCIALE censure prospettate.
 Con memoria trasmessa il giorno successivo, la difesa insiste per l’accoglimento del ricorso, sottolineando l’assenza di effettivo contraddittorio con l’amministrazione finanziaria nel corso del procedimento in sede tributaria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente alla statuizione relativa alla confisca, dovendo nel resto adottarsi una decisione di rigetto, per l’infondatezza RAGIONE_SOCIALE censure proposte.
Con il primo motivo, la difesa ha censurato la valutazione, espressa dalla Corte territoriale, di “irrilevanza” – alla luce dell’esaustività della deposizione d teste di accusa – del motivo di appello, con cui si era lamentato il fatto che la deposizione del predetto teste si era fondata su atti non prodotti in giudizio dal Pubblico Ministero: atti in parte neppure presenti nel fascicolo di quest’ultimo.
La difesa ha chiarito che non si intendeva in realtà confutare il contenuto della deposizione dell’operante, ma lamentare una lesione dei diritti di difesa e del contraddittorio per effetto della mancata acquisizione degli atti richiamati dal teste escusso: lesione determinata dal fatto che il Pubblico Ministero, pur avendone fatto espressa riserva all’udienza del 19/01/2024 (“mi riservo di produrli sono tutti atti tiapizzati, li devo scaricare tutti, li devo stampare”), non aveva in realtà ma effettuato la produzione documentale annunciata (cfr. la terza pagina del ricorso, privo di numerazione).
2.1. Ritiene il Collegio che la censura sia infondata per un duplice ordine di ragioni.
Da un lato, deve qui richiamarsi l’insegnamento di Questa Suprema Corte, secondo cui «gli atti processuali contenuti nel sistema ministeriale Tiap (Trattamento informatico atti processuali), comunicati ai sensi dell’art. 64, commi 3 e 4, disp. att. cod. proc. pen. e visualizzabili con modalità regolamentate da protocolli d’intesa stipulati tra uffici giudiziari e organismi rappresentati
dell’avvocatura, sono pienamente utilizzabili dal giudice per la decisione, posto che al ricorrere di dette condizioni essi fanno parte del corredo processuale e s’intendono conosciuti dalle parti« (Sez. 3, n. 27910 del 27/03/2019, COGNOME, Rv. 276677 – 02, la quale ha precisato, in motivazione, che ai sensi dell’art. 22 del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, Codice dell’amministrazione digitale, le copie digitali di atti, rilasciate dai depositari pubblici autorizzati o dai pubblici uffic prodotte mediante processi e strumenti che assicurano che il documento informatico abbia contenuto e forma identici a quelli del documento analogico da cui sono tratte, tra le quali possono essere ricomprese quelle inserite nel sistema ministeriale indicato, assumono la stessa efficacia dell’atto cartaceo. In senso conforme, da ultimo, cfr. Sez. 3, n. 5018 del 29/10/2024, dep. 2025, Galasso).
In tale ottica ricostruttiva, da cui non vi è motivo di discostarsi, occorre evidenziare che la difesa non ha contestato – richiamandola anzi letteralmente (cfr. supra) la precisazione effettuata in udienza dal Pubblico Ministero secondo cui gli atti, di cui veniva riservata la produzione in giudizio, erano tutti “tiapizzat né tantomeno ha dedotto la sussistenza di condizioni ostative all’utilizzo degli atti medesimi (nel senso chiarito dalla giurisprudenza qui appena richiamata). La difesa avrebbe quindi ben potuto chiedere l’accesso al sistema per esaminare, estrarre copia ecc. degli atti che possono, ed anzi devono considerarsi parte del compendio posto a sostegno dell’ipotesi di accusa.
D’altro lato, deve osservarsi che – anche a voler prescindere da tale pur assorbente considerazione – il ricorso risulta generico nella parte in cui non chiarisce se la questione della mancata produzione in giudizio degli atti, nonostante l’espressa riserva del PAVV_NOTAIOM., sia stata sollevata, ed in qualche modo trattata, nel corso del giudizio di primo grado.
È invero evidente che la difesa, dinanzi al “mancato scioglimento” della riserva da parte del P.M., avrebbe potuto ed anzi dovuto chiedere al Tribunale di sollecitare la controparte alla produzione degli atti, prima della conclusione dell’istruttoria, e/o chiedere un termine, all’esito dell’esame diretto, per pote controesaminare il teste di accusa alla luce degli atti evocati nel corso della deposizione.
Se è vero che il mancato accoglimento di tali richieste avrebbe certamente dato luogo alla lesione dei diritti di difesa denunciata in questa sede, altrettanto vero è che il difensore avrebbe dovuto, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 182 comma 2, cod. proc. pen., immediatamente e formalmente eccepire la nullità in questione, avendovi assistito. Non risulta invece che, nel corso del giudizio di primo grado, vi sia stata alcuna iniziativa in tal senso da parte della difesa, la quale – a quanto consta – ha accettato la situazione per poi proporre la questione in appello, e quindi tardivamente.
In tale prospettiva, le censure alla ricostruzione dell’operante devono ritenersi generiche e comunque attinenti al merito, in presenza di una “doppia conforme” non illogicamente motivata.
Anche le censure dedotte in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico non appaiono meritevoli di accoglimento.
3.1. I giudici di merito hanno invero concordemente ritenuto che, pur essendo emersa la figura di COGNOME NOME come dominus della RAGIONE_SOCIALE, l’COGNOME – chiamato a rispondere del reato di dichiarazione infedele in relazione alla carica di amministratore di diritto della società – non poteva essere considerato un semplice inconsapevole prestanome del COGNOME.
Oltre al consolidato rapporto con quest’ultimo (avendo l’COGNOME lavorato per circa un decennio nelle aziende del COGNOME), il primo giudice aveva richiamato alcune significative dichiarazioni del ricorrente, stando alle quali egli – impegnato sia quale docente nei corsi di formazione tenuti dalla società, sia nel coordinamento RAGIONE_SOCIALE unità operative, quale riferimento tecnico per gli altri docenti – aveva accettato la carica di amministratore delegato della RAGIONE_SOCIALE senza ricevere altri compensi correlati alla carica stessa, e senza conoscere le ragioni che avevano indotto il COGNOME a nominarlo: pur avendo quest’ultimo comunicatogli che “non poteva comparire per ragioni legate ad aspetti evidentemente di rischi che correva comparendo in società” (pag. 3 della sentenza di primo grado). Su tali basi, ed alla luce RAGIONE_SOCIALE condizioni personali dell’COGNOME (soggetto non esperto di contabilità ma culturalmente attrezzato, oltre che a conoscenza dei meccanismi di funzionamento della realtà imprenditoriale in cui si trovava ad operare), il Tribunale ha ritenuto che il ricorrente fosse pienamente consapevole degli obblighi inerenti la carica rivestita e responsabile RAGIONE_SOCIALE condotte penalmente rilevanti.
Dal canto proprio, la Corte d’Appello ha ritenuto configurabile il dolo specifico del reato di dichiarazione infedele, nella forma del dolo eventuale, non solo alla luce di quanto evidenziato dal primo giudice sulla scorta RAGIONE_SOCIALE stesse dichiarazioni dell’AVV_NOTAIO (ben consapevole del fatto, oggettivamente allarmante, che il COGNOME gli aveva comunicato di non voler comparire all’esterno come reale amministratore “per ragioni legate evidentemente ad aspetti di rischi che correva”), ma anche sottolineando che era proprio l’COGNOME a fornire ai terzi le prestazioni per le quali non veniva richiesta e pagata VIVA: “ciò doveva indurlo a verificare che la società da lui rappresentata fosse in regola con la normativa fiscale” (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata).
3.2. Nella giurisprudenza della Corte di cassazione, è del tutto costante l’affermazione – riferita al delitto di dichiarazione fraudolenta di cui all’art. 2, certamente applicabile anche alla fattispecie che qui rileva – secondo cui «in tema di reati tributari, il dolo specifico richiesto per integrare il delitto di dichiaraz
fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall’art. 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, rappresentato dal perseguimento della finalità evasiva, che deve aggiungersi alla volontà di realizzare l’evento tipico (la presentazione della dichiarazione), è compatibile con il dolo eventuale, ravvisabile nell’accettazione del rischio che l’azione di presentazione della dichiarazione, comprensiva anche di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, possa comportare l’evasione RAGIONE_SOCIALE imposte dirette o dell’Iva» (Sez. 3, n. 52411 del 19/06/2018, B., Rv. 274104 – 01. In senso conforme, tra le molte altre, cfr. Sez. 3, n. 12680 del 19/03/2020, COGNOME, alla quale si rinvia per ulterior riferimenti giurisprudenziali).
Nella specie, i giudici di merito hanno ritenuto applicabile tale indirizzo interpretativo sulla scorta di plurime convergenti indicazioni: il risalente rapporto fiduciario che legava il ricorrente al COGNOME; la conseguente accettazione della carica amministrativa nella piena consapevolezza del fatto che il COGNOME corresse “rischi” nel comparire ufficialmente come amministratore della società; l’accettazione, in tale contesto di “rischi” per il COGNOME, di essere esautorato da quest’ultimo nelle funzioni gestionali; il contestuale svolgimento di essenziali funzioni all’interno della RAGIONE_SOCIALE, sia come docente nei corsi di formazione sia come soggetto deputato a coordinare gli altri docenti, dei quali era il riferimento; la conseguente esclusione dell’ipotesi per cui l’COGNOME fosse un soggetto marginale, del tutto estraneo ed all’oscuro RAGIONE_SOCIALE vicende della società, come tale ignaro del fatto che proprio la specifica attività professionale, svolta e coordinata dal ricorrente per conto della RAGIONE_SOCIALE, fosse soggetta al pagamento dell’IVA, in considerazione del mancato riconoscimento della società da parte della Pubblica Amministrazione (cfr. sul punto pag. 6 della sentenza impugnata).
La valorizzazione di tali elementi ha dato luogo ad un compendio argomentativo, da valutare unitariamente secondo i noti principi in tema di “doppia conforme”, che appare immune da censure deducibili in questa sede (cfr. Sez. 1, n. 45331 del 17/02/2023, Rezzuto, Rv. 285504 – 01, secondo cui «in tema di giudizio di legittimità, la cognizione della Corte di cassazione è funzionale a verificare la compatibilità della motivazione della decisione con il senso comune e con i limiti di un apprezzamento plausibile, non rientrando tra le sue competenze lo stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzione dei fatti né condividerne la giustificazione».
4. È invece fondata la residua doglianza.
Nel confermare la statuizione sulla confisca, la Corte di Appello ha del tutto omesso di pronunciarsi sul difetto di proporzionalità dedotto dalla difesa ricorrente, limitandosi ad un richiamo agli atti contenuti nell’avviso di accertamento (cfr. pag. 8). La motivazione risulta perciò carente non solo sotto il profilo del necessario
autonomo accertamento, da parte del giudice, RAGIONE_SOCIALE risultanze dell’indagine amministrativa, ma anche quanto al totale silenzio sulla questione della proporzionalità dell’intervento ablativo, pur essendo emersa, secondo la concorde ricostruzione dei giudici di merito, la figura del COGNOME quale quella di effettivo dominus della società.
Tali considerazioni impongono, in parte qua, l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano per nuovo giudizio sul punto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente la quantificazione dell’importo della confisca e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 16 settembre 2025
Il Consigl COGNOME estensore  COGNOME
Il Presidente