Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 8576 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 8576 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a VENEZIA il 16/03/1963
avverso la sentenza del 29/05/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha concluso chiedendo
udito il difensore
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza emessa il 29.5.2024, la Corte di Appello di Milano ha confermato la pronuncia emessa in primo grado nei confronti di COGNOME che lo aveva dichiarato colpevole dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui al capo a), con esclusione delle condotte di cui agli ultimi due punti, di bancarotta fraudolenta documentale e di bancarotta impropria cd. tributaria, in relazione alla società RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita il 15.9.2016.
2.Avverso la suindicata sentenza, ricorre per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo quattro motivi di seguito enunciati nei limiti di cu all’art. 173, comma 1, disp. att, cod. proc. pen.
2.1.Col primo motivo deduce violazione di legge e motivazione parente e contraddittoria in ordine alla conferma della responsabilità dell’imputato in relazione al reato di bancarotta fraudolenta distrattiva per essersi la sentenza impugnata adagiata completamente sulle argomentazioni svolte dal primo giudice, limitandosi a rigettare le doglianze difensive e a motivare solamente su come non sia stato provato l’assenso degli altri soci alle singole operazioni posto che si trattava d attività patrimoniali attinenti allo stesso imputato. La Corte d’appello aggancia poi l responsabilità del ricorrente alla posizione di garanzia rivestita dallo stesso prim come presidente del consiglio di amministrazione e successivamente come amministratore unico, senza scendere tuttavia nello specifico delle singole condotte distrattive e riportandosi di fatto alle argomentazioni svolte dal Tribunale, che, a su volta, riteneva di poter attribuire le condotte distrattive a Scaglia in quanto lo stes rivestiva la carica di presidente del c.d.a. Tuttavia, non si considera che propri perché si trattava di un organo collegiale le decisioni erano prese collegialmente. La relazione ex articolo 33 I.f, puntualizza, infatti, che gli amministratori NOME e NOME, facenti parte anch’essi del CDA, non si limitavano a rivestire solo formalmente tali cariche, adombrando dubbi sulla loro estraneità alle operazioni societarie e alle decisioni societarie. Le operazioni e l’esecuzione delle stesse erano pertanto a gestione collegiale. Tale dato avrebbe dovuto condurre il giudice di merito a seguire un percorso argomentativo differente, che avrebbe dovuto, a sua volta, approdare a conclusioni differenti. La sentenza semplifica immotivatamente il punto della attribuibilità delle condotte al solo ricorrente, non analizza correttamente cronologia delle operazioni distrattive contestate e non verifica la posizione soggettiva non solo formale, ma anche sostanziale, rivestita da COGNOME e dagli altri amministratori al tempo delle singole operazioni.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2.Col secondo motivo deduce violazione di legge e motivazione apparente e contraddittoria in relazione all’elemento psicologico del delitto di bancarott fraudolenta documentale di cui al capo B. La Corte di appello, dopo aver fissato in risposta ai motivi di gravame una generica posizione di garanzia dell’imputato, e richiamato l’obbligo dell’amministratore e del legale rappresentante alla tenuta, conservazione e consegna al curatore della documentazione contabile della società, motiva la condanna per la bancarotta documentale respingendo le censure difensive che sconterebbero il non essersi confrontate con le specifiche accuse, anche in ragione dell’elemento psicologico del delitto contestato : la difesa non si è confrontata con la specifica accusa concernente la mancata consegna di quei libri e di quella contabilità così rilevanti e lumeggianti anche l’elemento psicologico postulato dalla norma incriminatrice.”. Il dolo sarebbe ricavabile in maniera logica dalle operazioni dolose e dalle distrazioni contestate negli altri capi di imputazione. giudici di merito sostengono inoltre che è provata la consapevolezza di voler recare il pregiudizio ai creditori e di voler impedire la ricostruzione del movimento degli affar tuttavia l’elemento soggettivo non risulta neppure esattamente individuato – se specifico o generico.
In ogni caso, la sentenza omette totalmente di confrontarsi con un dato dirimente ovvero che la documentazione successiva al 2013 (da quando amministratore unico era il ricorrente) era tenuta dallo studio COGNOME di Piacenza, il quale, a richiesta d curatore non forniva alcun riscontro. Sicché in relazione alle scritture contabi mancanti nulla può essere imputato al ricorrente, che consegnava al curatore tutta la documentazione in suo possesso, anche parte di quella successiva al 2013 ed indicava dove si trovava la restante parte di documentazione ovvero presso io studio COGNOME. Sicché il giudice di merito avrebbe dovuto o disporre l’integrazione probatoria oppure accontentarsi dell’incompleto quadro probatorio, in entrambi i casi non poteva sottrarsi ad un obbligo motivazionale e stringente scevro da scorciatoie di logica argomentativa.
Non può non rilevarsi, inoltre, una contraddizione insanabile tra quanto si argomenta in relazione all’impossibilità che si è venuta a creare per il curatore di individuare momento e le cause di insorgenza della crisi a causa delle carenze documentali, e quanto poi si afferma in relazione alla bancarotta impropria rispetto alla quale s individua l’insorgenza del debito e del dissesto nell’anno 2011 e si afferma che esso deriverebbe dalle obbligazioni tributarie.
2.3.Col terzo motivo deduce violazione di legge, motivazione apparente e contraddittoria in ordine all’elemento psicologico del delitto di bancarotta fraudolenta impropria, di cui al capo c). In parte si riproducono i medesimi argomenti sviluppati col prìmo motivo di ricorso in relazione alla posizione e alla qualifica rivestita
ricorrente e dagli altri soggetti che amministravano la società, lamentando che l’impostazione dei giudici di merito anche riguardo alla bancarotta impropria si fondi sulla posizione di garanzia riferibile alla carica di presidente del consiglio amministrazione rivestita dal ricorrente dalla costituzione della società sino al 14 Febbraio 2013 e su quella di amministratore unico dal medesimo rivestita fino alla data del fallimento. La sentenza, tuttavia, dimentica di verificare quale fosse modello di gestione della società e la compagine amministrativa ed appresta una motivazione del tutto sbrigativa ed apparente. In particolare, non si considera che il debito della società insorgeva nell’anno 2011 e cioè quando COGNOME era semplicemente presidente del consiglio di amministrazione senza alcun potere decisionale. Si sarebbero dovute, invece, individuare le inadempienze direttamente riferibili a COGNOME e ciò vieppiù si sarebbe imposto perché il curatore, come già sopra esposto, ha dichiarato che tutti i soci, quindi anche gli amministratori, non hanno avuto alcun atteggiamento di tutela della società e dei creditori, presumendo che anche gli ex amministratori COGNOME e COGNOME NOME non rivestissero un ruolo meramente passivo e che la loro posizione fosse alquanto discutibile, dubitando che essi non fossero a conoscenza delle operazioni compiute dalla società.
2.4.Col quarto motivo deduce la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da RAGIONE_SOCIALE NOME, socio della fallita fino al 30.12.2015, e NOME NOME, socio della fallita sino al 30.12.2015 e consigliere di amministrazione dalla Cost. al 14.2.2013, poiché non esaminati con le garanzie difensive e gli avvertimenti dì legge, pur risultando ai giudici di merito, alla stregua degli atti acquisiti e della relazion articolo 33 I.f. e della deposizione del curatore già intervenuta, che si trattava soggetti implicati nella vicenda oggetto di imputazione, che pertanto avrebbero dovuto essere escussi con le garanzie di cui all’art. 210 del codice di rito. Indi, argomenta in ordine alla cosiddetta prova di resistenza, assumendo che senza le deposizioni di tali soggetti non sarebbe stata raggiunta la prova, in particolare, dell distrazioni relative alla proprietà di Villanova d’Albenga, alla casa di Murisengo e all’immobile sito in Porto Valtravaglia.
Il ricorso, proposto successivamente al 30.6.2024, è stato trattato – ai sensi dell’art. 611, come modificato dal d.lgs. del 10.10.2022 n. 150 e successive integrazioni – senza l’intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto:
il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chìedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;
il difensore dell’imputato ha insistito nell’accoglimento del ricorso, allegando documentazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è, nel suo complesso, infondato e merita pertanto di essere rigettato.
1.1.11 primo motivo è del tutto fuori fuoco e generico, dal momento che, genericamente, lamenta il mancato esame della cronologia delle operazioni distrattive e della posiziona non solo formale, ma anche sostanziale, che sarebbe stata rivestita dagli altri amministratori al tempo delle singole operazioni – senz peraltro neppure specificare se essi avessero o meno avuto deleghe – dimenticando che l’imputazione è stata elevata esclusivamente nei confronti del ricorrente, al quale, nella qualità rivestita di presidente del c.d.a. e di amministratore unico po sono state ascritte le condotte distrattiva oggetto di condanna. Condotte che, peraltro, hanno ad oggetto prevalentemente l’utilizzo di denaro della società per coprire spese personali dello stesso COGNOME, presidente del c.d.a. Sicché, l’eventuale concorso di altri, che si assume adombrato dal curatore, giammai avrebbe potuto costituire oggetto di specifica disamina da parte dei giudici di merito in quanto fuor dell’imputazione e trattandosi, in ogni caso, secondo quanto prospetta lo stesso ricorso, di mero sospetto nutrito dalla curatela in ordine alla conoscenza da parte degli altri amministratori del modo con cui operava il ricorrente (anzi, a ben vedere, giudici di merito danno atto, sulla scorta dei documenti acquisiti e delle dichiarazion del curatore, delle pressanti richieste dei soci – che, all’esito di verifiche contabil 2012-2013, avevano scoperto gli irregolari prelevamenti e disposizioni dello Scaglia, indicati arbitrariamente a titolo di restituzione finanziamento soci, mentre in real erano relativi ad operazioni estranee all’oggetto sociale e alle finalità dell’impres volte al solo interesse personale – a seguito delle quali lo COGNOME aveva rilasciato dichiarazione confessoria del 15.12.2014 con ricognizione di debito e promessa di pagamento, e rinuncia alle restituzione dei finanziamenti soci). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tant’è che nessuna imputazione veniva elevata nei loro confronti non avendo, evidentemente, il sospetto oltrepassato la soglia del mero dubbio, di cui fa cenno lo stesso ricorso.
E soprattutto, ciò che più conta è che con riferimento alle condotte distrattive oggetto di contestazione col primo motivo in scrutinio – si è trattato di esbors effettuati, dall’imputato, per far fronte a spese prevalentemente personali – relativ ad immobili di proprietà della sua famiglia o comunque a soggetto, avv. COGNOME estraneo alle dinamiche societarie, per non avere la società mai intrattenuto rapporto professionale o ad altro titolo con esso – utilizzando il denaro sui conti della societ dì cui, nella qualità dì presidente del consiglio di amministrazione, COGNOME evidentemente disponeva.
Sicché, come ha giustamente osservato anche il P.G. nella requisitoria scritta, la circostanza che le distrazioni siano riferite al periodo in cui COGNOME era presidente de consiglio di amministrazione, e le decisioni erano quindi prese collegialmente, potrebbe, al più, rilevare ai fini di un concorso degli altri componenti del consigli ma non escludere la responsabilità dell’imputato, che, secondo quanto affermano i giudici di merito nelle conformi pronunce di primo e secondo grado, nulla di concreto ha, peraltro, addotto a giustificazione di tali spese, né del pagamento delle fatture relative a costi sostenuti dalla fallita, per un importo complessivo di euro 99.337,89, per lavori di ristrutturazione dell’immobile in Porto Valtravaglia di proprietà dell’av NOME COGNOME.
Della responsabilità del ricorrente la sentenza impugnata ha offerto una ricostruzione specifica, richiamando anche la già completa ed esaustiva ricostruzione contenuta nella pronuncia di primo grado, con la quale in definitiva difetta un effettivo confronto in ricorso, che ha inteso appuntarsi sul presunto coinvolgimento di altri soggetti per assumere, del tutto genericamente, che in mancanza dell’accertamento di tale eventuale ruolo in relazione a ciascuna delle condotte distrattive ascritte al ricorrente, non si sarebbe potuto giungere alla condanna di COGNOME. Laddove, come detto, è la natura stessa delle condotte distrattive poste in essere in funzione di interessi a lui riconducibili a costituire la cifra della responsabilità, che l’eventuale assenso di altri non avrebbe in alcun modo potuto scalfire, e che neppure gli argomenti difensivi hanno in qualche modo consentito di arginare.
Le considerazioni del ricorrente circa il ruolo attribuibile anche agli altri s componenti del consiglio di amministrazione non valgono ad esonerare da responsabilità il ricorrente, il quale per legge rimane investito dei poteri tipici ass nella qualità rivestita. Infatti, nelle società di capitale l’amministratore si iden con i soggetti effettivamente titolari dei poteri decisionali e di spesa all’inte dell’azienda, e quindi con i vertici dell’azienda stessa, ovvero nel presidente del consiglio di amministrazione, o amministratore delegato o componente del consiglio di amministrazione cui siano state attribuite le relative funzioni; con la precisazion che nell’eventualità di una ripartizione di funzioni nell’ambito del consiglio amministrazione ex art. 2381 cod. civ. gli altri componenti rispondono anch’essi del fatto illecito allorché abbiano dolosamente omesso di vigilare o, una volta venuti a conoscenza di atti illeciti o dell’inidoneità del delegato, non siano intervenuti (Sez. n. 12370 del 09/03/2005, Rv. 231076 – 01).
L’impostazione del motivo in scrutinio è, quindi, sotto ogni profilo del tut generica a fronte della ricostruzione svolta nelle conformi pronunce di merito che danno conto degli ammanchi e correttamente desumono, in virtù, appunto, del
principio consolidato che investe l’amministratore dell’onere di fornire indicazioni precise sulla destinazione dei beni a finì societari, che le svariate fuoriuscite danaro ad opera del ricorrente sono rimaste del tutto ingiustificate rispetto all esigenze della società.
1.2. Infondato è nel suo complesso il secondo motivo relativo all’elemento psicologico della bancarotta fraudolenta documentale, dal momento che la motivazione della sentenza di secondo grado, che non si diffonde sull’elemento soggettivo, sconta la genericità dell’appello su tale punto specifico (che si era limita ad evidenziare lo spirito collaborativo avuto dall’imputato nei confronti del curatore definito, invece, apparente dal Tribunale sulla base di specifiche ragioni, prima tra tutte quella secondo cui l’imputato aveva sostenuto l’inverosimile assunto che le scritture mancanti si trovassero presso la madre solo in dibattimento, che l’appello aveva ritenuto di confutare evidenziando che il primo contatto utile per interloquire col curatore su tale punto era stato in giudizio, laddove è in sede fallimentare che scatta l’obbligo di consegna delle scritture contabili al curatore ed è in relazione tale obbligo, oltre che a quello della regolare tenuta della contabilità, che son costruite le fattispecie di bancarotta documentale).
In ogni caso, a differenza di quanto si assume in ricorso, i giudici di merito hanno argomentato in relazione alla responsabilità dell’imputato in ordine alla tenuta della contabilità, in ragione del ruolo di amministratore (quale presidente del consiglio di amministrazione e poi amministratore unico), peraltro rivestito, non solo formalmente, dalla costituzione della società al fallimento. Responsabilità certamente non esclusa dall’affidamento della contabilità ad un professionista, restando, secondo il granitico orientamento di questa Corte, cura dell’amministratore la consegna delle scritture contabili al curatore, trattandosi di obblighi, sia quello della tenuta regol della contabilità che quello del deposito di essa, in caso di fallimento, in Tribunal espressamente inerenti alla carica di amministratore rivestita. Tali obblighi, pertanto non possono essere trasferiti su altro soggetto, quale il professionista incaricato nel primo caso, e il curatore nell’altro. Non è certamente compito del curatore reperire le scritture contabili che l’imputato indica come rinvenibili in un determinato luogo, non potendo trasferirsi su quest’ultimo l’obbligo gravante ex lege sull’amministratore, né potrebbe in alcun modo rilevare la circostanza – su cui pure si fa leva in ricorso secondo cui il curatore sarebbe, comunque, riuscito a ricostruire, sia pure in parte, le vicende societarie.
Ed invero, è pacifico che il curatore non è tenuto ad attivarsi per reperire l scritture contabili neppure nel caso in cui l’amministratore abbia indicato il luogo ov esse si trovano (peraltro, nel caso di specie, indicato dapprima nello studio del commercialista e poi nei domicilio della madre).
Osservano, più in generale, i giudici di merito che la responsabilità per i reati materia fallimentare è attribuita all’amministratore pro-tempore, individuato secondo le norme civilistiche, che rappresenta e gestisce l’ente, e quindi chi assume la carica di amministratore va ad accettare volontariamente anche le conseguenze che possono derivare da comportamenti altrui.
In particolare, l’obbligo di deposito delle scritture contabili discende dalla legg innanzitutto dalla stessa disposizione di cui all’art. 216 comma 1 n. 2 I. f. ch sanziona penalmente la sottrazione dei libri e delle altre scritture contabili, ed h peraltro contenuto più ampio rispetto all’ordine di deposito, entro tre giorni, d bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, di cui all’art. 16 I.f., c nella sentenza dichiarativa di fallimento.
Sicché, le dichiarazioni rese dall’imputato, quale soggetto legittimato e tenuto a dare indicazioni, riguardo alla reperibilità della documentazione sono state giudicate in sede di merito, oltre che ininfluenti, anche contraddittorie e lacunose (cfr. pagg. 8 della sentenza impugnata che riporta la ricostruzione operata dal Tribunale).
La pretestuosìtà delle giustificazioni in relazione alle scritture non pervenute, i uno alla gravità e consistenza delle lacune riscontrate nelle residue scritture contabil pervenute al curatore per un numero elevato di esercizi, sono state, quindi, giustamente ritenute indicative del dolo specifico del reato, anche alla luce delle altr condotte ascritte al ricorrente, quali le operazioni dolose e le distrazioni. A ritenere sul piano logico che l’imputato abbia agito al fine di impedire agli organi de fallimento la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della società, s pongono – si conclude nella sentenza di primo grado – le operazioni dolose e le distrazioni oggetto di distinte imputazioni. La condotta di irregolare tenuta e dell omessa consegna di libri e altre scritture contabili è stata evidentemente funzionale proprio all’occultamento e alla dissimulazione degli atti dolosamente posti in essere.
Il dolo specifico, in altri termini, trova riscontro nell’entità delle distrazioni generale nelle carenze accertate anche sotto il profilo dell’evasione sistematica degli obblighi tributari e previdenziali.
E quanto alla contraddizione indicata in ricorso, è solo il caso di evidenziare che i giudici di merito hanno, invece, precisato che il curatore aveva affermato che la contabilità mancante, costituita dal libro giornale dal 2014 in avanti, dal lib inventari e dal libro cespiti – che se correttamente tenuta avrebbe permesso dì ricavare il dettaglio dei crediti e dei beni della società per ogni anno e la redditi dei singoli cantieri – non consentiva al curatore la ricostruzione corretta degli affa pur potendo collocare temporalmente il periodo di insorgenza dello stato di dissesto nel 2011.
1.3. Quanto al terzo motivo, relativo alla bancarotta cd. tributaria per operazioni dolose, è palesemente emerso l’omesso sistematico inadempimento delle obbligazioni tributarie e previdenziali, rilevato sin dal 2011 e sino al fallimento l’importo complessivo di 1,2 milioni di euro rispetto al passivo di 2,3 milioni di euro quale surrettizia forma di autofinanziamento, che deve essere anch’esso riferito, in virtù del ruolo rivestito, all’imputato, a prescindere dalla eventuale, parziale (fino 13/2/2013), imputabilità anche ai consiglieri di amministrazione, che si sostiene nel ricorso nel solco delle precedenti deduzioni, della cui manifesta inconferenza si è già sopra detto.
La sentenza impugnata riguardo al presunto ruolo degli altri amministratori ha, peraltro, osservato come non sia emersa in alcun modo la loro condivisione della decisione di non adempiere gli adempimenti fiscali e previdenziali, imputata al ricorrente, che il motivo in scrutinio tende a contestare unicamente sotto il profilo d mancato accertamento del ruolo, non meramente passivo, che avrebbero avuto anche gli altri amministratori.
1.4. Inammissibile è anche il quarto motivo. Innanzitutto, dall’atto di appello non risulta che il rilievo sulla inutilizzabilità sia stato già in quella sede mosso. Si il motivo in scrutinio si appalesa, innanzitutto, inedito e quindi inammissibile sott tale profilo. Ed infatti, implicando, esso, in base alla sua stessa prospettazione, anche valutazioni che involgono il compendio probatorio complessivo e la verifica della qualità dei testi sulla base di quanto emergeva all’atto della loro escussione, si sarebbe dovuto devolvere l’esame della questione prima al giudice di merito.
Non spettando, peraltro, a questa Corte, in mancanza di specifiche deduzioni, di verificare se esistano cause di inutilizzabilità o di invalidità di atti del procedim che, non apparendo manifeste, implichino la ricerca di evidenze processuali o di dati fattuali che è onere della parte interessata rappresentare adeguatamente (Sez. U, Sentenza n. 39061 del 16/07/2009, Rv. 244328 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 30102 del 19/04/2018, Rv. 273511; Sez. 5, Sentenza n. 19553 del 25/03/2014, Rv. 260404).
In ogni caso, lo stesso ricorso prospetta solo dubbi sul possibile coinvolgimento dei soggetti escussi come testimoni nelle vicende oggetto di imputazione, sicché non si apre, a monte, la possibilità di un rilievo ai fini di una diversa valutazione d veste che avrebbero dovuto assumere i testi.
Ha, invero, questa Corte già avuto modo di affermare, in relazione ad un caso analogo a quello in scrutinio, che non sussiste alcuna incompatibilità con l’ufficio d testimone nei confronti del titolare di una carica societaria che, in via esclusivamente astratta, avrebbe potuto essere coinvolto in responsabilità penale per ipotesi di reato connesse o collegate a quelle oggetto del procedimento in corso (Sez. 5, n. 631 del 30/11/2000, dep. 23/01/2001, Rv. 218829 – 01. Nella specie questa Corte ha
ritenuto che non vi fosse incompatibilità a testimoniare da parte del Presidente del consiglio di amministrazione di una società fallita per l’ipotesi, non verificatasi concreto, dì un suo coinvolgimento diretto come imputato).
Né il ricorso prospetta di avere sollevato eccezioni al riguardo in occasione dell’assunzione delle indicate testimonianze.
Né, nella specie, il ricorso indica gli elementi eventualmente emersi in sede di escussione dei testi che avrebbero dovuto indurre a sospendere l’esame per l’emersione di indizi di reità a loro carico.
A tutto ciò si aggiunga che il ricorso, nel sostenere l’inutilizzabilità d deposizioni testimoniali dei componenti del consiglio d’amministrazione, genericamente ne afferma la decisività, senza alcun confronto con il restante compendio probatorio e in particolare con la relazione del curatore fallimentare, che ricostruisce le vicende societarie, rispetto alle quali i dettagli evinti testimonianze rese dai soggetti indicati nulla aggiungono alla certezza delle distrazioni, precipuamente ricostruite, come già sopra esposto, sulla base dei riscontrati pagamenti di fatture per spese non riferibili all’oggetto sociale, afferenti a rapporti estranei alla fallita e comunque privi di giustificazione causale documentale rispetto alle quali le doglianze svolte in ricorso.
È, invero, onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente aff dai vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvediment impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243416).
Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processualì.
Così deciso 11 10/1/2025.