Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2789 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2789 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOMECOGNOME nato in Albania il 03-10-1981, NOMECOGNOME nato a Niscemi il 14-07-1978; avverso la sentenza del 06-11-2023 della Corte di appello di Brescia; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso di COGNOME e per l’inammissibilità del ricorso di NOME; udito l’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia del ricorrente COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME sostituto processuale dell’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia del ricorrente COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 6 novembre 2023, la Corte di appello di Brescia, per quanto in questa sede rileva, confermava la decisione emessa dal G.U.P. del Tribunale di Bergamo 1’8 ottobre 2022, con la quale, nell’ambito di un articolato procedimento penale in tema di reati tributari, NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati condannati, il primo, alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione e, il secondo, alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione. Gli imputati sono stati in particolare ritenuti colpevoli, Rranzi, dei reati di cui agli art. 2 (capo A) e 8 del 1gs. n. 74 del 2000 (capo S), fatti commessi in Levate il 29 febbraio 2016 (capo A) e in Pedrengo nell’anno 2018 (capo S) e, Reale, del reato di cui all’art. 8 del d. Igs. n. 74 del 2000 (capo Q), fatto commesso in Treviglio il 2 luglio 2018.
Nei confronti di COGNOME la Corte di appello revocava altresì i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione concessigli dal G.U.P.
Avverso la sentenza della Corte di appello lombarda, COGNOME e COGNOME tramite i rispettivi difensori di fiducia, hanno proposto distinti ricorsi per cassazione.
2.1. COGNOME ha sollevato sei motivi.
Con il primo, la difesa contesta la revoca della sospensione condizionale della pena riconosciuta dal primo giudice, eccependo la violazione degli art. 164 e 168 cod. pen. ed evidenziando che, come risulta dall’allegata attestazione di cancelleria, non è stato acquisito dalla Corte di appello il fascicolo processuale relativo al procedimento nell’ambito del quale il beneficio revocato è stato riconosciuto, il che non avrebbe consentito la revoca, avendo la giurisprudenza di legittimità richiamata nel ricorso affermato il principio secondo cui è possibile revocare in sede esecutiva la sospensione condizionale della pena solo se le cause ostative alla sua concessione non fossero documentalmente note al giudice della cognizione, per cui è necessaria, al fine di compiere tale verifica, l’acquisizione del relativo fascicolo, acquisizione che nella vicenda in esame non vi è stata.
Con il secondo motivo, le critiche difensive investono la conferma del giudizio di colpevolezza del ricorrente, rilevandosi in proposito che NOME COGNOME è stato amministratore della RAGIONE_SOCIALE solo dal 4 febbraio 2015 all’8 marzo 2016 e non ha mai sottoscritto la dichiarazione Iva, che è stata trasmessa a sua insaputa dal commercialista dr. NOME COGNOME con firma apocrifa, come emerso dalla perizia grafologica in atti, essendo l’attività aziendale gestita dal fratello NOME COGNOME senza che vi fosse alcuna comunanza di interessi tra l’imputato, il fratello e la moglie di costui, NOME COGNOME che ha poi acquisito il 99% della società.
Mancherebbe dunque la prova che il ricorrente abbia compreso le responsabilità di controllo derivanti dalla carica rivestita, tanto più ove si consideri che lo stesso si fidava del fratello maggiore NOMECOGNOME che era più esperto e competente di lui.
Con il terzo motivo, si censura il giudizio sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato: si osserva al riguardo che la carica di amministratore formale non vale a fondare automaticamente l’affermazione della penale responsabilità, che va esclusa qualora, come nel caso di specie, si accerti che la concreta gestione dell’amministratore di fatto sia tale da ridurre il legale rappresentante a una figura meramente nominale, per cui in capo al ricorrente andava escluso il dolo di evasione, e tanto anche in ragione del fatto che il credito di imposta non è stato utilizzato nel brevissimo lasso temporale in cui l’imputato ha ricoperto la carica.
Con il quarto motivo, ci si duole, sotto il profilo del vizio di motivazione e del travisamento della prova, dell’omessa valutazione sia delle produzioni documentali avvenute all’udienza del 21 aprile 2022, sia della memoria difensiva del 19 ottobre 2023, avendo tale omissione influito anche sul trattamento sanzionatorio.
Con il quinto motivo, oggetto di doglianza è la mancata risposta della sentenza impugnata al motivo di appello con cui erano state eccepite la violazione dell’art. 8 del d. Igs. n. 74 del 2000 e l’assenza dell’elemento psicologico richiesto ai fini dell’integrazione della fattispecie, non potendo il dolo specifico essere ritenuto in re ipsa, una volta accertata l’inesistenza delle operazioni sottese alle fatture emesse, e ribadendosi che l’accettazione della carica formale di amministratore, non accompagnata dalla consapevolezza degli episodi di mala gestio da parte dell’amministratore di fatto, non può dare luogo a una responsabilità da posizione.
Il sesto motivo è infine dedicato al trattamento sanzionatorio, lamentando la difesa sia il difetto di motivazione rispetto al diniego delle attenuanti generiche, sia l’entità dell’aumento a titolo di continuazione, non avendo la Corte di appello valorizzato l’adesione del contribuente alla definizione agevolata delle imposte.
2.2. Reale ha sollevato un unico motivo, con il quale la difesa deduce il travisamento delle prove dichiarative, la mancata disamina di prove documentali e la manifesta contraddittorietà e illogicità della motivazione, evidenziando che la Corte di appello ha del tutto trascurato il significativo apporto argomentativo e probatorio offerto dalla difesa, con cui era stata rimarcata l’effettiva esecuzione dei lavori di cui alle fatture contestate, il che avvalora la veridicità del dichiarazioni rese tanto da Reale quanto da COGNOME in ordine alla gestione dei rapporti tra le società RAGIONE_SOCIALE amministrata dal primo e la RAGIONE_SOCIALE amministrata dal secondo, risultando i rapporti tra le due società finalizzati non a evadere il Fisco, ma, più semplicemente, ad aggirare un divieto di subappalto, per cui non poteva essere ritenuto sussistente il contestato reato di cui all’art. 8 del d. Igs. n. 74 del 2000, sotto il profilo sia oggettivo che soggettivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di Reale è inammissibile perché manifestamente infondato, mentre, quanto al ricorso di COGNOME, è fondato solo il primo motivo riguardante la revoca dei benefici di legge, mentre le altre doglianze sono manifestamente infondate.
Iniziando dal ricorso di Reale, occorre evidenziare che la conferma del
1.1. In definitiva, in quanto sorretto da argomentazioni razionali e coerenti con le acquisizioni probatorie, correttamente intese nefKloro effettiva valenza dimostrativa, il giudizio sulla sussistenza del reato ei contestato e sulla sua ascrivibilità all’imputato, legale rappresentante della società al momento dell’emissione delle false fatture, resiste alle obiezioni sollevate nel ricorso, con le quali si sollecita sostanzialmente una differente lettura delle prove raccolte, operazione questa che tuttavia esula dal perimetro del giudizio di legittimità, dovendosi richiamare in proposito la consolidata affermazione della giurisprudenza di questa Corte (cfr. ex plurimis Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di
irrazionalità, come quello in esame, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.
Di qui l’infondatezza manifesta delle doglianze in punto di responsabilità.
1.2. Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell’interesse di Reale deve essere quindi dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
Passando al ricorso di COGNOME e iniziando per ragioni di priorità logica dalle censure concernenti il giudizio di responsabilità articolate nel secondo, nel terzo, nel quarto e nel quinto motivo di ricorso, censure suscettibili di trattazione unitaria perché tra loro sovrapponibili, occorre evidenziare che anche in tal caso la conferma dell’affermazione di colpevolezza non rivela profili di criticità. Sul punto deve premettersi che i reati ascritti al ricorrente sono quelli di cui agli art. 2 (capo A) e 8 (capo S) del d. Igs. n. 74 del 2000, reati a lui contestati nella veste di amministratore unico della Ernest 3 dal 10 gennaio al 31 dicembre 2018 (capo S) e di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE dal 4 febbraio 2015 all’8 marzo 2016 (capo A, contestato in concorso con NOME COGNOME e NOME COGNOME il primo, amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE dal 4 febbraio 2015 e, il secondo, amministratore unico della medesima società dal 9 marzo 2016). ti
2.1. Ora, rispetto al capo S, le due conformi sentenze di merito (più diffusamente la decisione di primo grado, cfr. pag. 38-43, in maniera più sintetica ma comunque adeguata la pronuncia della Corte territoriale, cfr. pag. 59-60) hanno richiamato gli accertamenti di P.G. da cui è emerso che la società RAGIONE_SOCIALE legalmente rappresentata dal 10 gennaio al 31 dicembre 2018 da NOME COGNOME, ha emesso nel 2018 fatture per operazioni inesistenti nei confronti di tre distinte società, ossia la RAGIONE_SOCIALE la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE La falsità di tali fatture è stata desunta di una pluralità di elementi tra lo convergenti, ossia la genericità del loro oggetto, non venendo mai specificato nel dettaglio quali lavorazioni venissero eseguite e quali materiali venissero forniti, nonché la sproporzione tra i dipendenti della RAGIONE_SOCIALE, pagati complessivamente 168.775,02 euro nel 2018, e i ricavi per oltre tre milioni di euro risultanti da bilancio di esercizio del 2018, essendo in ogni caso del tutto inverosimile che i
dipendenti della società (in tutto 24, ma non tutti impegnati in tutti i mesi dell’anno, essendo emerso che sette di loro hanno lavorato per soli 44 giorni e uno per soli 30 giorni) abbiano potuto eseguire contemporaneamente le proprie prestazioni in differenti cantieri, situati peraltro in luoghi molto distanti tra loro.
A ciò è stato aggiunto che le fatture emesse nei confronti della RAGIONE_SOCIALE non sono state pagate, non avendo la RAGIONE_SOCIALE terminato i lavori a lei commissionati.
Dunque, pur dando atto che, come riconosciuto dalla stessa Guardia di finanza, alcuni singoli interventi sono stati comunque realizzati, tanto è vero che la Ernest 3 nel 2020 ha ottenuto dei decreti ingiuntivi, i giudici di merito, rimarcando l’inesistenza sostanziale delle molteplici operazioni fatturate, sono pervenuti alla conclusione della sussistenza del reato, che è stato attribuito a NOME COGNOME, amministratore di diritto della società nel ‘anno di emissione delle false fatture.
2.2. Quanto al capo A, deve rilevarsr – sia il G.U.P. (pag. 13-22 della pronuncia di primo grado) che la Corte di appello (pag. 57-59 della sentenza impugnata) hanno innanzitutto ritenuto integrato il reato dal punto di vista oggettivo, richiamando in tal senso gli accertamenti della Guardia di Finanza, compendiati nell’informativa del 24 agosto 2018, da cui è emerso che la società RAGIONE_SOCIALE negli anni 2015 e 2016, ha annotato diverse fatture emesse dalle società RAGIONE_SOCIALE aventi ad oggetto l’acquisto di materiali di consumo e ricambi di depurazione dell’aria utilizzati per bonificare siti contaminati da amianto. Tali fatture, tuttavia, erano riferibili a operazioni inesistenti, posto che la societ RAGIONE_SOCIALE (la quale nel 2015 ha emesso nei confronti della RAGIONE_SOCIALE fatture per complessivi 2.770.492,86) è risultata essere una società cartiera, in quanto costituita il 2 luglio 2015, mentre la prima fattura risulta emessa il 30 giugno 2015, ossia addirittura in data antecedente alla costituzione della società, che peraltro non ha mai versato imposte e che nel 2016 non ha trasmesso all’Agenzia delle Entrate i dati dello spesometro, né informazioni relative a prestazioni eseguite ai clienti o ricevute dai fornitori; a sua volta, anche la RAGIONE_SOCIALE è risulta essere una cartiera: tale società, costituita 1’8 marzo 2016, ossia tre mesi prima dell’emissione della prima fattura, non ha infatti mai presentato alcuna dichiarazione dei redditi, non ha versato imposte, non ha mai comunicato allo spesometro integrato i nominativi di clienti e fornitori, ed è stata amministrata dal 10 aprile 2016 al 17 marzo 2017 da NOME COGNOME legale rappresentante di altre due società cartiere, ovvero la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il giudizio sulla falsità delle fatture è stato inoltre corroborato da altre du circostanze, ossia il loro carattere generico, non essendo state sufficientemente circoscritte le prestazioni eseguite, e la sproporzione delle forniture rispetto alle reali esigenze della RAGIONE_SOCIALE: è stato infatti calcolato che in tre anni la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto acquistare dalla MP e dalla RAGIONE_SOCIALE un numero
complessivo di 204.500 tute, equivalente a un consumo giornaliero di 187 tute, considerando 1095 giorni lavorativi in tre anni, dato numerico che sarebbe giustificato solo se ogni dipendente avesse impiegato tutti i giorni e per tre anni consecutivi ben 12 tute al giorni, circostanza questa oggettivamente inverosimile. Tanto premesso dal punto di vista oggettivo, occorre precisare che il G.U.P., sul versante soggettivo, ha circoscritto l’affermazione di colpevolezza di NOME COGNOME alla sola dichiarazione iva 2016 relativa all’anno di imposta 2015, presentata il 29 febbraio 2016, quando l’imputato ricopriva la carica di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE carica assunta il 4 febbraio 2015 e cessata 1’8 marzo 2016.
Il ricorrente è stato invece assolto per non aver commesso il fatto in ordine alla dichiarazione iva 2017, posto che all’epoca di presentazione di tale dichiarazione, riferita all’anno 2016, era amministratore altra persona, ossia NOME COGNOME.
Ora, quanto alla dichiarazione iva 2016, relativa all’anno 2015, i giudici di merito hanno ritenuto irrilevante la circostanza che NOME COGNOME come da consulenza calligrafica prodotta dalla difesa, non abbia materialmente firmato la dichiarazione, atteso che la responsabilità dell’amministratore può sussistere pure nell’ipotesi in cui all’incombente della firma abbia provveduto un altro soggetto all’uopo delegato; in tal senso è stato infatti sottolineato che, al di là della carica ricoperta, il ricorrente è risultato pienamente inserito nella vicenda illecita per cui si procede, come rivelato sia dal suo stretto legame con il fratello NOME COGNOME amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, che ha definito la sua posizione mediante concordato in appello, sia dalla conversazione intercorsa il 2 maggio 2019 tra il coindagato NOME COGNOME ed NOME COGNOME il quale inviava al fratello NOME la registrazione di tale dialogo, dal quale si evince la comunanza di interessi tra i due fratelli nella gestione delle società cartiere coinvolte nei fatti.
2.3. Orbene, le valutazioni compiute nelle sentenze di merito circa la responsabilità penale di NOME COGNOME rispetto ai reati a lui ascritti ai capi A ed S non prestano il fianco alle censure difensive, in quanto ancorate a dati fattuali di indubbia valenza probatoria, correlati tra loro in maniera non illogica, dovendosi solo precisare, da un lato, che i motivi di ricorso mirano a sollecitare una diversa (e non consentita in questa sede) rivalutazione di merito delle fonti dimostrative acquisite e, dall’altro, che l’impostazione seguita dal G.U.P. e dalla Corte di appello risulta coerente con il principio elaborato da questa Corte (cfr. Sez. Feriale, n. 42897 del 09/08/2018, Rv. 273939 – 02 e Sez. 3, n. 7770 del 05/12/2013, dep. 2014, Rv. 258850), secondo cui, in tema di reati tributari, l’amministratore di una società risponde del reato omissivo contestatogli, quale diretto destinatario degli obblighi di legge, anche se questi sia mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto
comporta responsabilità penale o a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino, fermo restando che, nella vicenda in esame, i giudici di merito hanno ben spiegato che NOME COGNOME in ragione della sua diretta interazione con il fratello, dominus della vicenda, ha agito nella piena consapevolezza del meccanismo illecito sotteso alle false fatturazioni riferite alle società di cui egli è stato legale rappresentante. Le doglianze in punto di responsabilità risultano quindi manifestamente infondate, restando solo da aggiungere che la Corte di appello non ha mancato di confrontarsi con i temi devoluti dalla difesa, superandoli con argomentazioni non illogiche, mentre è rimasta generica la doglianza relativa all’omessa disamina dei documenti e della memoria prodotti dalla difesa nel giudizio di appello, atti questi di cui nel ricorso non risultano adeguatamente specificati né il contenuto, né, tantomeno, l’idoneità a destrutturare la tenuta argomentativa delle decisioni di merito.
2.4. Parimenti immune da censure è anche la parte della sentenza impugnata dedicata al trattamento sanzionatorio (contestato con il sesto motivo). La Corte di appello, infatti, nel ritenere congrua la pena base di 2 anni di reclusione fissata dal primo giudice (peraltro di non molto superiore al minimo edittale), e dunque implicitamente nell’escludere la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle attenuanti generiche, ha valorizzato (pag. 60 della sentenza impugnata) sia l’entità delle somme oggetto di evasione, sia lo stabile e duraturo inserimento dell’imputato nell’ampio e collaudato sistema di frode fiscale di NOME COGNOME mentre l’aumento di pena di 6 mesi di reclusione operato ai sensi dell’art. 81 cod. pen. è stato ritenuto dai giudici di merito non particolarmente afflittivo, in considerazione della pluralità delle condotte poste in essere in seno a due distinte società. Quanto alla dichiarazione di adesione alla definizione agevolata delle imposte evase, la sentenza impugnata ne ha ridimensionato la rilevanza, in ragione di due aspetti, ossia la tardività dell’adesione alla procedura, e la lunghezza della rateizzazione delle somme, di cui quindi non si conosce l’esito. Ora, in presenza di un apparato argomentativo non illogico, non vi è spazio per l’accoglimento delle obiezioni difensive, con cui invero si sollecitano differenti apprezzamenti di merito che, come detto, non sono consentiti in questa sede.
2.5. E’ invece meritevole di accoglimento il primo motivo di ricorso. Va premesso che, nell’accogliere la richiesta avanzata dal Procuratore generale all’udienza del 28 settembre 2023, la Corte di appello ha revocato i benefici di legge concessi a COGNOME dal primo giudice, richiamando la condanna alla pena di anni 2, mesi 4 e giorni 10 di reclusione pronunciata dal G.U.P. del Tribunale di Bergamo con sentenza del 18 giugno 2019, irrevocabile il 5 febbraio 2020.
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Dunque, nel caso di specie, non vi è stata impugnazione del P.M., essendo la richiesta di revoca dei benefici intervenuta solo in udienza nel corso del giudizi appello, che è stato instaurato su iniziativa dei soli imputati condannati dal G. Ciò comporta che la statuizione di revoca dei benefici non può essere ritenut legittima, dovendosi richiamare in tal senso la recente affermazione delle Sezio Unite di questa Corte (cfr. sentenza n. 36460 del 30/05/2024, Rv. 287004), secondo cui il giudice di appello, in sede di cognizione, non ha il potere di revoc la sospensione condizionale della pena, pur se illegittimamente concessa dal giudice di primo grado, nel caso in cui, come nella vicenda in esame, non vi s stata una specifica devoluzione della questione da parte del Pubblico Ministero.
Si è infatti osservato che, in materia di benefici (sospensione condizionale, menzione e attenuanti), il giudice di appello, al di là del devoluto, ha solo un po di concessione ai sensi dell’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., ma non anche u potere di revoca, posto che la predetta norma processuale è di stre interpretazione, nella misura in cui comporta un’eccezione alla regola general dell’effetto devolutivo, per cui, in presenza di una causa ostativa ignota al giu di primo grado pur se nota a quello di appello, non investito dell’impugnazione s punto, la revoca del beneficio può ritenersi legittima solo in sede esecutiva.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di NOME COGNOME limitatamente alla statuizione di revoca dei benefici legge, statuizione che deve essere pertanto eliminata.
2.6. Fermo restando l’accoglimento del primo motivo nei termini appena esposti, il ricorso di COGNOME deve essere invece dichiarato inammissibile nel res
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di NOME e condanna il ricorrente pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME limitatamente alla statuizione di revoca dei benefici di legg statuizione che elimina. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di NOME
Così deciso il 08.10.2024