Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 5354 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 5354 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BERGAMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/02/2023 del TRIBUNALE di BERGAMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette – la requisitoria scritta presentata – ex art. 23, comma 8, decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, conv. con modif. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 – dal Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata; – le conclusioni rassegnate, ai sensi della stessa norma, dall’avvocato NOME COGNOME che, nell’interesse dell’imputato, si è associato a quanto rassegnato dal Procuratore generale ed ha insistito nell’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del giorno 8 febbraio 20223 il Tribunale di Bergamo ha assolto NOME COGNOME, perché non punibile per particolare tenuità del fatto, dall’imputazione di diffamazione (art. 595, commi 1 e 3, cod. pen.) commessa in pregiudizio di NOME COGNOME per il tramite della pubblicazione di un post sul social network Facebook
Avverso la sentenza il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, articolando un unico motivo (di seguito esposto nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, d. att. cod. proc. pen.) con il quale sub specie del vizio di motivazione – ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto provato che il ricorrente fosse segretario della «RAGIONE_SOCIALE» della RAGIONE_SOCIALE e responsabile anche della relativa pagina Facebook e che, in quanto tale, potesse rispondere del messaggio diffamatorio pubblicato sulla bacheca del gruppo medesimo (contrariamente a quanto chiarito da Sez. 5, n. 7220 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 280473 – 01). Ancora, a sostegno di quanto dedotto ha offerto in produzione, quale «documento nuovo» sopravvenuto all’emissione del provvedimento impugnato una dichiarazione scritta di «tale Sig. COGNOME NOME» che si è attribuito la paternità del post in relazione al quale è stata elevata l’imputazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, nei termini di seguito esposti.
Anzitutto, all’imputato deve riconoscersi l’interesse a impugnare (cfr. Sez. 3, n. 36687 del 29/05/2019, Gentile, Rv. 277666 – 01: «è ammissibile l’impugnazione dell’imputato avverso la sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto, anche laddove non siano dedotti possibili profili di efficacia della pronuncia nel giudizio civile o amministrativo di danno, sussistendo l’interesse dello stesso a rimuovere il pregiudizio derivante dall’iscrizione della sentenza nel casellario giudiziale»; cfr. pure Sez. 1, n. 459 del 02/12/2020 – dep. 2021, De Venuto Rv. 280226 – 01).
In secondo luogo, è utile osservare che nella specie non è stato proposto un ricorso immediato (art. 569 cod. proc. pen.) in quanto, a seguito della novella dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. (in forza del d. Igs. 10 ottobre 2022, n. 150, applicabile ratione temporis), sono inappellabili le sentenze di proscioglimento relative a reati (non più solo alle contravvenzioni)
puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa, tra cui rientra il reato in contestazione.
Ancora, deve osservarsi che è del tutto irrituale la produzione della dichiarazione scritta sopra indicata. Difatti:
«nel giudizio di legittimità possono essere prodotti esclusivamente i documenti che l’interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio, sempre che essi non costituiscano “prova nuova” e non comportino un’attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici di merito» (Sez. 2, n. 42052 del 19/06/2019, COGNOME, Rv. 277609 – 01; Sez. 3, n. 5722 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266390 – 01);
e, mediante l’offerta in produzione del detto atto, la difesa ha devoluto a questa Corte un’attività di apprezzamento da compiersi nel contesto degli elementi già raccolti e valutati nel giudizio di merito, che per l’appunto non può trovare ingresso nel giudizio di cassazione.
4. Tanto premesso, il ricorso è fondato.
Dalla sentenza impugnata si trae, come anticipato, che il fatto diffamatorio è stato commesso per il tramite di un messaggio pubblicato sulla detta pagina Facebook, ad avviso del Tribunale riconducibile al COGNOME (nonostante la contestazione mossa al riguardo dalla difesa) poiché individuato negli atti di indagine (segnatamente, nella comunicazione della notizia di reato acquisita con il consenso delle parti, redatta dai Carabinieri) come «responsabile» della stessa pagina (conclusione cui i militari sarebbe pervenuti «verosimilmente sulla base di un’indagine informale») e come segretario pro tempore della RAGIONE_SOCIALE di partito cui essa è riferibile, tenuto conto che secondo la comune esperienza – «il responsabile di una sezione di partito», specie di un piccolissimo comune» (quale quello in discorso), «eserciti un pieno controllo sui contenuti» in particolare quando si discorra di questioni politiche rilevanti.
In primo luogo, l’argomentazione del provvedimento in discorso è viziata in quanto – come affermato dalla giurisprudenza di legittimità in relazione all’apprezzamento degli atti di indagine quando si procede nelle forme del giudizio abbreviato, con argomenti che ben si sposano con l’apprezzamento dei medesimi atti entrati a far parte (come nella specie) del compendio probatorio col consenso delle parti (ex art. 493, comma 3, cod. proc. pen.) – il fatto che «gli atti delle indagini preliminari possano essere utilizzati ai fini di prova, non esime minimamente il giudice del merito a valutare tutti gli atti che assumono
valore probatorio applicando l’art. 192 cod. proc. pen., anche in relazione agli obblighi di motivazione ex art. 546 cod. proc. pen.»; difatti, «anche il contenuto degli atti di polizia giudiziaria va verificato nel processo, L.] in applicazione delle norme sulle prove e dell’art. 546 cod. proc. pen.», dovendo distinguersene l’utilizzabilità (a seguito della scelta del rito ovvero per i consenso alla specifica acquisizione di essi) dalla valutazione della loro portata probatoria (Sez. 3, n. 16977 del 22/03/2022, COGNOME, Rv. 283069 – 01; cfr. pure Sez. 2, n. 28960 del 10/05/2017, Rv. 270527 – 01). Tale valutazione non può cogliersi, nel caso di specie, nel mero riferimento da parte del Tribunale a quanto esposto nella comunicazione della notizia di reato, senza alcun compiuto apprezzamento del suo contenuto, che non può ravvisarsi nell’asserto (già riportato) secondo cui gli operanti avrebbero tratto (peraltro, «verosimilmente») quanto rassegnato da un’imprecisata «indagine informale».
Inoltre, il che è dirimente, nel caso in esame la responsabilità penale è stata attribuita al COGNOME non perché egli è stato ritenuto l’autore del messaggio ma attribuendogli un ruolo di controllo sui contenuti della pagina Facebook. Tuttavia:
– la giurisprudenza ha già chiarito come, in tema di diffamazione, l’art. 57 cod. pen., è applicabile alle sole testate giornalistiche telematiche e non anche ai diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, facebook), in relazione ai quali la responsabilità dell’amministratore del sito (o di altro mezzo di comunicazione su Internet), vale a dire – per quel che qui rileva – di chi gestisca la pagina del social network, può affermarsi in presenza di elementi che ne denotino la compartecipazione alla attività diffamatoria, ossia quando sia provato il suo consapevole e volontario concorso nella diffusione stessa (cfr. Sez. 5, n. 7220 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 280473 – 01; cfr. pure Sez. 5, n. 12546 del 08/11/2018 – dep. 2019, COGNOME, Rv. 275995 – 01, secondo cui al riguardo può venire in rilievo pure l’omessa tempestiva rimozione delle espressioni diffamatorie);
e la sentenza impugnata non ha argomentato correttamente e compiutamente neppure al riguardo, avendo attribuito al COGNOME – sulla scorta del ruolo di responsabile della pagina Facebook a lui attribuito (secondo l’iter viziato già esposto) – il controllo sul contenuto del sito in termini congetturali e non anche (nonostante quanto asserito nella sentenza) sulla scorta di una massima di esperienza (Sez. 6, n. 1775 del 09/10/2012 – dep. 2013, Ruoppolo, Rv. 254196 – 01: «le massime di esperienza sono generalizzazioni empiriche indipendenti dal caso concreto, fondate su ripetute esperienze ma autonome da e sono tratte, con procedimento induttivo, dall’esperienza
comune, conformemente ad orientamenti diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione, in quanto non si risolvono in semplici illazioni o in criteri meramente intuitivi o addirittura contrastanti con conoscenze o parametri riconosciuti e non controversi»; cfr. pure Sez. 5, n. 25616 del 24/05/2019, COGNOME, Rv. 277312 – 01: «le massime di esperienza sono giudizi ipotetici a contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, fondati su ripetute esperienze ma autonomi da esse, e valevoli per nuovi casi, e vanno distinti dalle congetture, cioè ipotesi non fondate sull’id quod plerumque accidit e, quindi, insuscettibili di verifica empirica»).
La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata con rinvio al Tribunale di Bergamo (art. 623 cod. proc. pen.).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio a diverso Giudice del Tribunale di Bergamo.
Così deciso il 14/11/2023.