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Responsabilità amministratore Facebook: la Cassazione

Un individuo, assolto per diffamazione a mezzo social network per la particolare tenuità del fatto, ha impugnato la sentenza per veder rimossa ogni attribuzione di responsabilità. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione, stabilendo principi chiave sulla responsabilità amministratore pagina Facebook. Secondo la Corte, tale responsabilità non può essere presunta sulla base di indagini informali o mere congetture, ma richiede la prova di un concorso consapevole e volontario nella diffusione del contenuto lesivo.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Responsabilità amministratore pagina Facebook: non basta il ruolo a fondare la colpa

La gestione di una pagina su un social network come Facebook comporta onori e oneri, ma fino a che punto si estende la responsabilità penale per i contenuti pubblicati da terzi? Con la sentenza n. 5354 del 2024, la Corte di Cassazione torna a delineare i confini della responsabilità amministratore pagina Facebook, stabilendo che non può basarsi su mere congetture o su un ruolo formale, ma richiede una prova rigorosa del suo coinvolgimento.

I fatti del caso

Un individuo, segretario di una sezione locale di un partito politico, veniva accusato di diffamazione per un post pubblicato sulla pagina Facebook ufficiale della sezione. Il Tribunale di primo grado, pur riconoscendo la particolare tenuità del fatto e quindi la non punibilità, aveva comunque ritenuto provata la sua responsabilità in quanto gestore della pagina. Insoddisfatto di questa conclusione, che lasciava un’ombra sulla sua condotta, l’imputato decideva di ricorrere in Cassazione per ottenere un’assoluzione piena, contestando le basi su cui il Tribunale aveva fondato il proprio convincimento.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando la sentenza impugnata e rinviando il caso a un altro giudice del Tribunale per un nuovo esame. La decisione si fonda sulla manifesta illogicità e carenza della motivazione della sentenza di merito, che aveva attribuito la responsabilità all’imputato in modo frettoloso e congetturale.

Le motivazioni della Suprema Corte sulla responsabilità amministratore pagina Facebook

Il cuore della sentenza risiede nella critica mossa dalla Cassazione al ragionamento del giudice di primo grado. Le motivazioni possono essere riassunte in tre punti fondamentali.

1. Insufficienza degli atti di indagine non vagliati criticamente

Il Tribunale aveva basato la sua decisione su una comunicazione di notizia di reato redatta dai Carabinieri, nella quale l’imputato era indicato come “responsabile” della pagina a seguito di una non meglio precisata “indagine informale”. La Cassazione ricorda un principio cardine del processo penale: anche quando gli atti delle indagini preliminari entrano nel fascicolo del dibattimento, essi non possono essere presi per oro colato. Il giudice ha l’obbligo di valutarli criticamente, secondo le regole probatorie (art. 192 cod. proc. pen.), e non può limitarsi a un mero riferimento a quanto riportato dalla polizia giudiziaria, specialmente se basato su attività investigative descritte in modo vago.

2. La responsabilità per diffamazione online non è oggettiva

Il punto più rilevante riguarda la natura della responsabilità amministratore pagina Facebook. La Corte chiarisce che la norma sulla responsabilità del direttore di testata giornalistica (art. 57 cod. pen.) si applica solo alle testate telematiche registrate, non a mezzi di comunicazione informale come blog, forum o pagine Facebook. Per questi strumenti, la responsabilità dell’amministratore per un contenuto diffamatorio pubblicato da altri può sorgere solo se viene provato il suo concorso consapevole e volontario nella diffusione del messaggio. Questo concorso può manifestarsi anche attraverso un’omissione, come la mancata rimozione tempestiva del post offensivo una volta venutone a conoscenza.

3. Il divieto di usare congetture come “massime di esperienza”

Il Tribunale aveva sostenuto che, secondo una “massima di esperienza”, il responsabile di una sezione di partito di un piccolo comune esercita un “pieno controllo” sui contenuti della relativa pagina Facebook. La Cassazione censura duramente questo argomento, spiegando la differenza tra una vera massima di esperienza e una semplice congettura. Una massima di esperienza è una regola generale fondata su esperienze ripetute e condivise (l’ id quod plerumque accidit), mentre una congettura è un’ipotesi soggettiva, non verificabile. Affermare che un segretario di partito controlli ogni post è una congettura, non una verità basata sull’esperienza comune, e come tale non può essere usata per fondare una sentenza di condanna.

Conclusioni: cosa significa questa sentenza?

La pronuncia della Cassazione rafforza un principio di garanzia fondamentale: nessuna responsabilità penale può derivare da una posizione o da un ruolo, se non è supportata da prove concrete di un contributo causale al reato. Per gli amministratori di pagine Facebook, gruppi o altri spazi di discussione online, questo significa che non sono automaticamente responsabili per ogni contenuto illecito pubblicato da terzi. L’accusa dovrà sempre dimostrare che l’amministratore ha contribuito, con un’azione o un’omissione cosciente e volontaria, alla diffusione del messaggio diffamatorio. La sentenza è un importante monito per i giudici di merito a non ricorrere a scorciatoie probatorie e a fondare le proprie decisioni su un’analisi rigorosa e completa delle prove disponibili.

L’amministratore di una pagina Facebook è sempre responsabile per i post diffamatori pubblicati da altri?
No, la sua responsabilità non è automatica. Secondo la sentenza, deve essere provato il suo concorso consapevole e volontario nella diffusione del messaggio, che può consistere anche nell’omessa e tempestiva rimozione del contenuto offensivo.

Un’indagine definita “informale” dalla polizia giudiziaria è una prova sufficiente in un processo?
No. La Corte ha stabilito che il contenuto degli atti di polizia giudiziaria deve essere sempre verificato e valutato criticamente dal giudice secondo le norme sulle prove, e non può essere accettato come vero sulla base di un’imprecisata “indagine informale”.

Cosa differenzia una “massima di esperienza” da una semplice congettura secondo la Corte?
Una massima di esperienza è una generalizzazione fondata su ripetute esperienze comuni, riconosciute e non controverse (ciò che accade di solito). Una congettura, invece, è un’ipotesi non fondata su tale base solida e non suscettibile di verifica. La Corte ha ritenuto che presumere il controllo totale dei contenuti da parte di un amministratore di pagina sia una congettura, non una massima di esperienza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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