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Responsabilità amministrativa enti: nomina difensore nulla

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di condanna per falso documentale e truffa legati a un impianto fotovoltaico. La Corte ha rinviato il caso per una nuova valutazione sul ‘falso innocuo’ e ha annullato la condanna di una società per un vizio procedurale fondamentale: la nomina del difensore da parte del legale rappresentante, a sua volta indagato, è nulla. Questo principio rafforza la netta separazione tra la posizione dell’ente e quella della persona fisica nel contesto della responsabilità amministrativa degli enti.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Responsabilità Amministrativa degli Enti: Il Caso della Nomina Invalida del Difensore

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 3196/2024) ha riaffermato principi cruciali in materia di responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D.Lgs. 231/2001, con particolare riguardo al conflitto di interessi che invalida la nomina del difensore della società. Il caso, originato dalla presunta retrodatazione di documenti per ottenere incentivi nel settore fotovoltaico, offre spunti fondamentali sulla distinzione tra la posizione processuale della persona giuridica e quella dei suoi amministratori indagati.

I Fatti: La Retrodatazione di un Progetto Fotovoltaico

Al centro della vicenda vi è un’operazione finalizzata a ottenere illecitamente incentivi pubblici per un impianto fotovoltaico. Secondo l’accusa, diversi soggetti, tra cui imprenditori, un progettista e dipendenti di una società, avevano apposto una falsa data di ricezione, con tanto di timbro di protocollo, sul progetto esecutivo di un parco fotovoltaico. L’obiettivo era far apparire che il progetto fosse stato depositato presso il Comune in una data antecedente a quella reale, per rientrare nei termini previsti per l’accesso a una tariffa incentivante più vantaggiosa.

L’indagine, scaturita da accertamenti su altri fronti, ha portato alla contestazione di vari reati, tra cui falso in atto pubblico (art. 476 c.p.) e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis c.p.). Di conseguenza, sono state coinvolte anche le società a cui vantaggio sarebbero stati commessi i reati, in base alla normativa sulla responsabilità amministrativa degli enti.

Il Percorso Giudiziario e i Motivi del Ricorso in Cassazione

Dopo le condanne nei primi due gradi di giudizio, gli imputati e le società hanno presentato ricorso per cassazione, sollevando diverse questioni giuridiche. Le difese si sono concentrate principalmente su tre punti:

1. Inutilizzabilità delle intercettazioni: Si sosteneva che le intercettazioni, disposte in un altro procedimento per reati ambientali, non potessero essere utilizzate in questo processo.
2. Il principio del “falso innocuo”: La difesa ha argomentato che la falsificazione della data sul protocollo era, in concreto, irrilevante e inidonea a ingannare la pubblica fede, poiché altri documenti già trasmessi ad altre amministrazioni avrebbero comunque svelato la manovra. Si tratterebbe, quindi, di un falso non punibile.
3. Nullità processuale per le società: Una delle società ha eccepito la nullità assoluta di tutti gli atti processuali a suo carico, poiché il suo legale rappresentante, che aveva nominato il difensore di fiducia dell’ente, era contemporaneamente indagato per il reato presupposto. Questo creava un insanabile conflitto di interessi vietato dall’art. 39 del D.Lgs. 231/2001.

La Decisione sulla Responsabilità Amministrativa degli Enti

La Corte di Cassazione ha accolto in parte i ricorsi, annullando la sentenza impugnata su due fronti decisivi. Per quanto riguarda la posizione degli imputati persone fisiche, la Corte ha annullato la condanna per il reato di falso, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello. Il motivo risiede nella mancata e adeguata valutazione della tesi del “falso innocuo”.

Ma è sulla posizione delle società che la sentenza esprime i principi più rilevanti. La Suprema Corte ha accolto il motivo di ricorso relativo alla nullità derivante dal conflitto di interessi. Ha stabilito che il legale rappresentante di un ente, quando è indagato o imputato per il reato presupposto, si trova in una condizione di incompatibilità assoluta che gli impedisce di rappresentare la società nel procedimento, inclusa la nomina di un difensore. Questa incompatibilità discende da una presunzione iuris et de iure di conflitto di interessi tra l’ente e il suo rappresentante.

Di conseguenza, la nomina del difensore effettuata dall’amministratore indagato è stata dichiarata inefficace, e tutti gli atti compiuti dal difensore sono stati ritenuti inammissibili. Questo vizio ha determinato l’annullamento senza rinvio della sentenza di condanna nei confronti della società, con trasmissione degli atti alla Procura per un nuovo inizio del procedimento.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha articolato il suo ragionamento su diversi pilastri. In primo luogo, ha ribadito l’orientamento consolidato secondo cui il divieto di rappresentanza previsto dall’art. 39 del D.Lgs. 231/2001 è assoluto. L’incompatibilità del rappresentante legale indagato mira a garantire la piena autonomia della difesa dell’ente, che potrebbe avere interessi divergenti da quelli della persona fisica. L’ente, ad esempio, potrebbe voler dimostrare l’assenza di un modello organizzativo idoneo o che l’amministratore ha agito nel suo esclusivo interesse, strategie difensive in conflitto con quelle della persona fisica.

In secondo luogo, riguardo al “falso innocuo”, la Corte ha sottolineato che i giudici di merito non possono ignorare una specifica doglianza difensiva che, se accolta, porterebbe all’assoluzione. La Corte d’Appello avrebbe dovuto approfondire se la retrodatazione fosse effettivamente irrilevante ai fini del significato probatorio dell’atto, considerando le circostanze specifiche, come l’avvenuta trasmissione di altra documentazione corretta alla Regione. La mancata analisi di questo punto costituisce una lacuna motivazionale che impone un nuovo giudizio.

Infine, per la società la cui condanna è stata annullata per prescrizione del reato presupposto, la Corte ha chiarito che, ai fini della responsabilità dell’ente, è necessario un accertamento incidentale della sussistenza del fatto di reato. Tuttavia, la motivazione della corte territoriale è stata giudicata carente e apparente, in quanto non ha adeguatamente dimostrato la “colpa di organizzazione” dell’ente, limitandosi a un rinvio meccanico alla sentenza di primo grado.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza offre insegnamenti di fondamentale importanza pratica. Per le aziende, emerge con chiarezza la necessità di gestire con estrema attenzione la propria posizione processuale quando un amministratore è coinvolto in un’indagine penale. È imperativo che la nomina di un difensore per l’ente avvenga attraverso un organo o un soggetto non coinvolto nel procedimento (ad esempio, un nuovo amministratore, un procuratore speciale nominato ad hoc o l’assemblea dei soci) per evitare la nullità di tutti gli atti difensivi.

Per i professionisti legali, la decisione rafforza l’importanza di eccepire tempestivamente i vizi procedurali legati al conflitto di interessi e di articolare in modo dettagliato le difese nel merito, come quella del “falso innocuo”, costringendo il giudice a una motivazione puntuale. La sentenza conferma che la responsabilità amministrativa degli enti è una materia autonoma, con regole e garanzie proprie che non possono essere subordinate o confuse con la difesa delle persone fisiche.

Quando la nomina del difensore di una società è considerata nulla?
Secondo la sentenza, la nomina è nulla quando viene effettuata dal legale rappresentante dell’ente che è, contestualmente, indagato o imputato per il reato presupposto da cui deriva la responsabilità della società. Questa situazione crea un insanabile conflitto di interessi, rendendo l’atto di nomina privo di efficacia.

Cos’è il “falso innocuo” e perché è importante in un processo per falso documentale?
Il “falso innocuo” è una falsificazione che, in concreto, si rivela inidonea a ledere l’interesse protetto dalla norma, ovvero la fede pubblica. È importante perché, se la falsità non ha la capacità di ingannare o di conseguire uno scopo antigiuridico, il fatto non costituisce reato. Nel caso di specie, la difesa sosteneva che la retrodatazione fosse innocua perché altre comunicazioni già inviate avrebbero svelato la verità.

Può una società essere ritenuta responsabile se il reato presupposto è prescritto?
Sì. L’art. 8 del D.Lgs. 231/2001 stabilisce l’autonomia della responsabilità dell’ente. Anche se il reato della persona fisica si estingue per prescrizione, il giudice deve comunque procedere all’accertamento incidentale della sussistenza del fatto di reato per poter affermare la responsabilità amministrativa della società.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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