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Responsabilità amministrativa enti e reati ambientali

La Corte di Cassazione si è pronunciata su un complesso caso di traffico illecito di rifiuti e associazione per delinquere, coinvolgendo un dirigente e la sua società. La sentenza chiarisce i presupposti per la responsabilità amministrativa enti (D.Lgs. 231/2001) in materia ambientale. Per il dirigente, il reato associativo è stato dichiarato prescritto. Per la società, la Corte ha annullato la condanna con rinvio, sottolineando la necessità di dimostrare non solo il reato presupposto, ma anche una specifica “colpa di organizzazione” e un effettivo interesse o vantaggio per l’ente, principi cardine della responsabilità amministrativa enti.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Responsabilità Amministrativa Enti: Cassazione su Reati Ambientali

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato i rigorosi paletti per attribuire la responsabilità amministrativa enti in caso di reati ambientali, come il traffico illecito di rifiuti. La decisione chiarisce che la condanna penale di un dirigente non comporta automaticamente la colpevolezza della società, ma richiede una prova specifica della cosiddetta “colpa di organizzazione”.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una complessa indagine su attività illecite svolte presso un cantiere navale. Le accuse principali riguardavano la costituzione di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico organizzato di rifiuti speciali, anche pericolosi. Nello specifico, ingenti quantità di “grit esausto” – materiale abrasivo di scarto derivante dalla sabbiatura delle navi – venivano smaltite illegalmente, spesso classificate con codici errati per eludere i costi e i controlli di un corretto smaltimento.

Al dirigente di fatto del cantiere veniva contestato il ruolo di promotore e organizzatore del sodalizio criminale. Alla società, invece, veniva addebitata la responsabilità amministrativa ai sensi del D.Lgs. 231/2001, per i reati di associazione per delinquere e di traffico illecito di rifiuti, commessi nel suo interesse e a suo vantaggio.

La Decisione della Corte di Cassazione e la Responsabilità Amministrativa Enti

La Suprema Corte ha esaminato le posizioni dell’imputato e della società con esiti differenti.

Per quanto riguarda la persona fisica, i giudici hanno dichiarato l’estinzione per prescrizione del reato più grave, quello associativo (art. 416 c.p.), confermando però le statuizioni civili. Ciò significa che, sebbene la sanzione penale non sia più applicabile, l’imputato resta obbligato al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili.

Il cuore della sentenza, tuttavia, risiede nell’analisi della responsabilità amministrativa enti. La Corte ha annullato la sentenza di condanna della società con rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Appello. Questa decisione si fonda su principi cruciali del diritto societario-penale.

I Reati Presupposto e il Principio di Tassatività

La Cassazione ha innanzitutto ribadito che la responsabilità di un ente può sorgere solo in relazione a specifici reati, detti “reati presupposto”, tassativamente elencati nel D.Lgs. 231/2001. Alcuni dei reati contestati alla società (relativi a violazioni commesse in stato di emergenza rifiuti) non erano inclusi in tale elenco al momento dei fatti. Per questi, la Corte ha annullato la condanna senza rinvio perché “il fatto non sussiste” dal punto di vista della responsabilità dell’ente.

Il Principio di Legalità e l’Applicazione nel Tempo

I giudici hanno inoltre chiarito l’importanza del principio di legalità temporale. L’ente può rispondere del reato di associazione per delinquere (art. 24-ter D.Lgs. 231/01) solo per le condotte poste in essere dopo l’8 agosto 2009, data di entrata in vigore della norma. Analogamente, per il reato di traffico illecito di rifiuti (inserito nell’art. 25-undecies), la responsabilità dell’ente scatta solo per i fatti successivi al 16 agosto 2011.

Le motivazioni

La motivazione centrale dell’annullamento con rinvio risiede nella carenza della sentenza d’appello riguardo alla prova della “colpa di organizzazione”. I giudici di legittimità hanno spiegato che, per affermare la responsabilità amministrativa enti, non è sufficiente dimostrare che un dirigente abbia commesso un reato presupposto nell’interesse o a vantaggio della società. L’accusa deve provare un elemento ulteriore e distinto: il deficit organizzativo dell’ente.

Questo significa dimostrare che la società non ha adottato o non ha efficacemente attuato un Modello di Organizzazione e Gestione (MOG) idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi. La sentenza impugnata è stata ritenuta generica su questo punto, limitandosi a collegare la responsabilità dell’ente a quella della persona fisica, senza un’analisi autonoma e specifica della struttura organizzativa e dei presidi di controllo interni.

La Corte ha specificato che la responsabilità dell’ente è una responsabilità per “fatto proprio” e non per fatto altrui, fondata proprio su questo rimprovero di natura organizzativa. Il giudice di rinvio dovrà quindi valutare se, nel periodo rilevante, la società avesse un MOG, se fosse adeguato e se sia stato eluso fraudolentemente, fornendo una motivazione puntuale su questi aspetti, nonché sull’effettivo e concreto interesse o vantaggio patrimoniale conseguito dall’ente tramite la commissione dei reati.

Le conclusioni

Questa pronuncia rafforza un orientamento consolidato: la responsabilità amministrativa enti non è una conseguenza automatica dei reati commessi dai suoi vertici. Essa richiede un accertamento rigoroso e autonomo che va oltre la condotta del singolo. Le aziende sono chiamate a dotarsi non solo formalmente, ma sostanzialmente di modelli organizzativi efficaci, che rappresentano il principale strumento di difesa contro addebiti di questo tipo. Per la pubblica accusa, invece, la sentenza è un monito sulla necessità di costruire l’impianto accusatorio provando non solo il reato della persona fisica, ma anche, e con pari rigore, la colpa di organizzazione che costituisce il fondamento della responsabilità dell’ente.

Quando un’azienda è responsabile per un reato commesso da un suo dirigente?
Secondo il D.Lgs. 231/2001 e la giurisprudenza della Cassazione, un’azienda è responsabile se il reato è tra quelli specificamente previsti dalla legge (reato presupposto), è stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso, e l’accusa dimostra una “colpa di organizzazione”, ovvero la mancanza o l’inefficace attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire quel tipo di illecito.

Cosa si intende per “colpa di organizzazione”?
Si intende il rimprovero mosso all’ente per non aver adottato e implementato efficacemente le cautele organizzative e gestionali necessarie a prevenire la commissione di reati. È un deficit strutturale che rende possibile l’illecito e costituisce il fondamento della responsabilità autonoma dell’ente, distinta da quella della persona fisica che ha materialmente agito.

Perché la Cassazione ha annullato con rinvio la condanna della società?
La Cassazione ha annullato la condanna perché la Corte d’Appello non aveva adeguatamente motivato sulla sussistenza della “colpa di organizzazione” della società e sull’effettivo interesse o vantaggio ottenuto. La sentenza di merito aveva collegato in modo troppo automatico la responsabilità dell’ente a quella del suo dirigente, senza condurre l’indagine autonoma richiesta dalla legge sui deficit organizzativi e sui presupposti specifici della responsabilità ex D.Lgs. 231/2001.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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