Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 11390 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 11390 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/01/2024
SENTENZA
Oggi, GLYPH 19 MAR, 2024
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME NOME a MUGNANO DI NAPOLI il P_IVA 1 L La RAGIONE_SOCIALE il
avverso la sentenza del 14/10/2021 della CORTE APPELLO di MESSINA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore AVV_NOTAIO
Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento con rinvio in quanto al trattamen sanzioNOMErio per COGNOME NOME; inammissibile nel resto. Inammissibilità per RAGIONE_SOCIALE
Uditi i difensori
Il difensore di parte civile RAGIONE_SOCIALE conclude riportand alle conclusioni che deposita unitamente alla nota spese.
AVV_NOTAIO conclude insistendo per l’accoglimento del ricorso.
L’AVV_NOTAIO COGNOME
GLYPH
%dandosi ai motivi insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata
1.1. Con la sentenza del 14 ottobre 2021 la Corte di appello di Messina, p quanto qui interessa, in parziale riforma della condanna inflitta dal Tribuna Messina il 16 gennaio 2019, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti NOME COGNOME perché estinti per prescrizione i reati di cui ai capi:
2) ex artt. 110 cod. pen. e 260 d.lgs. n. 152 del 2006, commesso in Messina, secondo la Corte di appello, fino a tutto il 2011, per avere, quale responsabi fatto del cantiere COGNOME di Messina, in concorso con altri soggetti, al fi conseguire un ingiusto profitto consistito nel non dover sopportare i costi do ordinariamente per il corretto smaltimento in discarica o per il recupero dei ri presso siti all’uopo autorizzati, abusivamente gestito ed occultato in quantitativi di rifiuti, anche pericolosi, costituiti da materiale abrasivo d (cd. grit esausto) prodotto dall’attività di sverniciatura delle na «sabbiatura») effettuata nel cantiere navale di Messina della RAGIONE_SOCIALE
3) ex artt. 110 e 434 cod. pen. per avere, in concorso con altre persone e c le condotte descritte ai capi precedenti, nella qualità prima indicata, comme fatti diretti a cagionare un disastro ambientale con pericolo per la pub incolumità, avendo immesso nell’ambiente i predetti rifiuti, in parte sotterr aree attigue a torrenti; in Messina da epoca successiva e prossima al 30 novembr 2007 al 15 aprile 2013;
5) ex artt. 110 cod. pen., 6, comma 1, lett. a), b), d) del d.l. n.172 del convertito dalla legge n.210 del 2008, per avere, nella qualità prima indicat concorso materiale e morale con altri soggetti, nel territorio della Regione Si in cui vige lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti dichi con D.P.C.M. del 9.7.2010 raccoglievano, trasportato e smaltito illecitamente il grit esausto, materiale abrasivo di scarto, costituente rifiuto speciale, pericoloso, avente codice CER NUMERO_DOCUMENTO (materiale abrasivo di scarto, contenente sostanze pericolose) o 120117 (materiale abrasivo di scarto da quello di cui voce 120 116), prodotto dai lavori di sverniciatura (cd. sabbiatura) delle ca delle navi effettuati nel cantiere di Messina della RAGIONE_SOCIALE; in Messina 22 luglio 2010 al 15 aprile 2013;
9) ex artt. 110 cod. pen., 6, comma 1, lett. g), del d.l. n.172 del convertito dalla legge n.210 del 2008, per avere, nella qualità prima indicat concorso materiale e morale con altri soggetti, nel territorio della Regione Si in cui vige lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti dichi con D.P.C.M. del 9.7.2010 effettuato nei cantieri navali di Messina della RAGIONE_SOCIALE attività di miscelazione di complessivi mc 50 di terra con material
demolizione e materiale abrasivo di scarto utilizzato per la sverniciatura delle navi, contenente sostanze pericolose; accertato in Messina il 22 maggio 2012.
1.2. La Corte territoriale ha confermato la condanna inflitta a NOME COGNOME per il reato di cui al capo 1), ex art. 416 cod. pen., quale promotore ed organizzatore dell’associazione per delinquere costituita allo scopo di commettere delitti concernenti il traffico illecito organizzato di rifiuti speciali, anche perico mediante una serie indeterminata di RAGIONE_SOCIALE e sversamenti, presso siti sconosciuti o discariche comunque non autorizzate, di ingenti quantità di materiale abrasivo di scarto (cd. grit esausto) avente codice CER 120116 (materiale abrasivo di scarico, contenente sostanze pericolose) o 120117 (materiale abrasivo di scarto diverso da quello di cui alla voce 120116), prodotto dai lavori di sverniciatura (cd. sabbiature) delle carene delle navi effettuati nel cantiere di Messina della RAGIONE_SOCIALE*, operando con continuità e allestimento di mezzi. Il fatto è contestato nell’imputazione in Messina dal 2008 al 15 aprile 2013, data di esecuzione della misura cautelare.
Ha ridetermiNOME la pena inflitta a NOME COGNOME in 4 anni di reclusione, revocando la pena accessoria dell’interdizione legale e sostituendo l’interdizione in perpetuo dei pubblici uffici con l’interdizione temporanea per la durata di anni 5.
1.3. La Corte di appello di Messina ha ridotto la sanzione amministrativa inflitta alla RAGIONE_SOCIALE a 450 quote del valore di euro 500,00 ciascuna ed ha revocato le sanzioni interdittive applicate ex artt. 9 e 24 ter, co. 3, d.lgs. 231/01
RAGIONE_SOCIALE è stata condannata per gli illeciti amministrativi contestati a capo 11) di cui agli artt. 24-ter, comma 2, e 25-undecies d.lgs. n. 231 del 2001, in relazione ai reati di cui ai capi 1), 2), 5) e 9), commessi in Messina dal 8 agosto 2019, data di entrata in vigore dell’art. 24-ter, sino al 15 aprile 2013.
1.4. La Corte territoriale, inoltre:
ha assolto NOME COGNOME e NOME COGNOME dai reati loro ascritti per non aver commesso il fatto, NOME COGNOME dai reati ascritti ai capi 1,2,3 e 5 per non aver commesso il fatto e ha dichiarato non doversi procedere perché estinto per prescrizione il reato di cui al capo 9 a lui ascritto;
ha dichiarato non doversi procedere perché estinti per prescrizione i reati ascritti
a NOME COGNOME e NOME COGNOME;
ha ridotto la sanziona inflitta alla RAGIONE_SOCIALE mentre ha assolto la RAGIONE_SOCIALE dall’imputazione a lei ascritta;
ha confermato nel resto la sentenza di primo grado e le statuizioni civili nei confronti dei soggetti condannati o i cui reati sono stati dichiarati prescritti.
1.5. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di COGNOME NOME e della RAGIONE_SOCIALE
2. Il ricorso di NOME COGNOME
Con il ricorso di NOME COGNOME si impugna la sentenza della Corte di appello di Messina «contro tutti i capi ed i punti della sentenza».
2.1. Con il primo motivo si deduce la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sulla condotta di illecito trattamento e smaltimento di rifiuti pericolosi sussunta nei reati contestati a NOME COGNOME ai capi 1, 2, 3, 5 e 9 della rubrica, risultanti dal testo della sentenza nonché dall’esame dei testi COGNOME (udienza del 22 aprile 2014, pag. 28, udienza del 17 giugno 2014, pag. 8-10, 92 e ss), COGNOME (udienza del 15 ottobre 14, pag. 24 e ss.), COGNOME (udienza del 25 ottobre 2016), e dalla relazione del consulente tecnico di parte AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
2.1.1. La motivazione sarebbe contraddittoria, sulla destinazione del grit utilizzato presso i cantieri COGNOME di Messina, in quanto la Corte di appello non avrebbe valutato che alcune delle fatture di acquisto recavano in modo esplicito la destinazione del grit in un luogo diverso dai cantieri COGNOME di Messina.
Sarebbe manifestamente illogico suffragare l’ipotesi accusatoria solo in base alle fatture di acquisto provenienti dal fornitore RAGIONE_SOCIALE omettendo d considerare le fatture nelle parti in cui indicano come destinazione del grit Siracusa e non i cantieri COGNOME di Messina: la diversa destinazione emergerebbe anche dall’ali. 8 alla consulenza tecnica del AVV_NOTAIO.
La Corte di appello avrebbe ignorato il motivo di appello, fondato sulla relazione del consulente tecnico di parte AVV_NOTAIO COGNOME, con cui si sostenne che parte del grit venduto da RAGIONE_SOCIALE sarebbe stato trasferito presso i cantieri di Napoli il 23 maggio 2008 mentre un’altra parte sarebbe stata acquistata dalla RAGIONE_SOCIALE e direttamente indirizzata alla sede di tale società a Siracusa, non al cantiere COGNOME di Messina.
L’erroneità della deduzione dell’illecito smaltimento del grit – desunta dal volume di prodotto acquistato per l’attività di sabbiatura dei cantieri COGNOME troverebbe conferma nella parte della motivazione in cui, in modo contraddittorio, si indicherebbe che, ai fini della verifica dell’ipotesi accusatoria, non sarebbe stata ritenuta decisiva l’esatta quantificazione del grit.
La Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che attraverso il corretto calcolo dei grit lavorato presso i cantieri COGNOME sarebbe stato dimostrato che tutto il materiale sarebbe stato conferito presso la discarica Vallone Guidara, regolarmente autorizzata a ricevere tale tipologia di rifiuti.
2.1.2. La motivazione sarebbe, poi, in manifestamente illogica perché non avrebbe tenuto conto degli esiti della analisi comparativa tra i campioni in esame, come indicato nel primo motivo d’appello, da cui risulterebbe che il materiale rinvenuto nella discarica non proverrebbe dalle lavorazioni riferibili al ricorrente.
L’unica analisi scientifica sarebbe stata svolta dal consulente della dif quale non avrebbe rinvenuto la presenza degli elementi caratterizzanti il grit, c il ferro e l’alluminio, dato che risulterebbe anche dai test dell’RAGIONE_SOCIALE.
Dalla motivazione della sentenza (pag. 29 e 30 riportate nel ricors risulterebbe ignorato il primo motivo di appello con cui si rilevò che le an scientifiche sui campioni delle sostanze rinvenute nelle discariche di Mili San Mar e Vallone Guidara con i reperti grit presenti presso i cantieri COGNOME escluderebbero che si tratti di frammenti di rifiuti provenienti dall’atti sabbiatura svolta nei cantieri COGNOME, a prescindere dalla presenza di fer alluminio.
Tale oggettivo risultato non potrebbe essere smentito dalla generica analogi della composizione chimica di materiali, riferiti ai tecnici dell’RAGIONE_SOCIALE che avrebbero mai effettuato analisi di laboratorio comparata tra i campioni.
Si riporta, sul punto, la relazione del consulente tecnico AVV_NOTAIO COGNOME richiamata nel primo motivo di appello, con la quale la Corte di appello non ·sarebbe confrontata.
Rispetto al risultato dell’accertamento scientifico eseguito dal consule tecnico della difesa, la Corte territoriale avrebbe fondato la decisione testimonianze di NOME COGNOME e NOME COGNOME che avrebbero collegato l’assenza delle sostanze contaminanti su una ipotesi, per cui i materiali potreb essere stati trascinati dalle acque.
La sentenza avrebbe, dunque, ascritto al ricorrente la condotta di ille trattamento e smaltimento dei grit esausto sulla base di una motivazione affet da contraddittorietà e manifesta illogicità.
2.2. Con il secondo motivo si deduce la manifesta illogicità della motivazion sul ruolo di promotore e organizzatore dell’associazione per delinquere attribu a NOME COGNOME.
Dopo aver riportato la motivazione della sentenza impugnata sul punto, si deduce la manifesta illogicità nella parte in cui si è ritenuto sussistente il promotore ed organizzatore: il ricorrente avrebbe dato istruzioni solo ai s dipendenti ma non a quelli delle altre ditte impegnate nei lavori di smaltiment la RAGIONE_SOCIALE – con cui erano in atto i contratti svolgimento di tale servizio.
La motivazione sarebbe, poi, contraddittoria perché avrebbe addebitato i ruolo di promotore anche per l’erronea compilazione dei formulari mentre risulterebbe dalla stessa sentenza (pag.23) che sui formulari sarebbe s apposta la firma apocrifa del ricorrente.
Mancherebbero gli elementi fattuali per ritenere sussistente la condotta promotore ed organizzatore.
2.3. Con il terzo motivo si deduce, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. p pen., la violazione dell’art. 416 cod. pen. con riferimento alla ri configurabilità dell’elemento materiale del reato di associazione per delinquere
La Corte di appello si sarebbe limitata a richiamare alcune massime dell giurisprudenza che escludono la sussistenza di un rapporto di specialità tra i ex art. 416 cod. pen. e 260 d.lgs. n. 152 del 2006 e non avrebbe risposto al mot di appello sull’assenza, in concreto, di elementi idonei a ritenere che il progr criminoso avesse travalicato la predisposizione di mezzi finalizzati all’il smaltimento di rifiuti.
Contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, la predisposizio dei mezzi, necessaria per la sussistenza del delitto ex art. 416 cod. pen., no identificarsi con quella finalizzata alla commissione del reato di cui al capo art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006.
I ruoli descritti nell’imputazione, su cui si fonda la motivazione, si rifer esclusivamente alle attività di smaltimento del grit esausto; la Corte di ap avrebbe sovrapposto l’organizzazione per la gestione dei rifiuti con la sta organizzazione rilevante ex art. 416 cod. pen. ed avrebbe dedotto l’esiste dell’associazione per delinquere con la contestazione di una serie di r ambientali, ricompresi nello scopo del reato ex art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006
Dopo i richiami alla giurisprudenza (pag.15-16) si sostiene che sarebb erroneo il generico richiamo alla complessità dell’organizzazione per riten sussistente l’associazione per delinquere, posto che non sussisterebbe la strut volta a commettere una serie indeterminata di delitti.
La motivazione sull’allestimento dei mezzi sarebbe di stile ed erronea laddov richiama la finalità di trarre il profitto illecito, per sostenere l’ dell’associazione per delinquere, mentre tale finalità è tipica del traffico ill rifiuti.
Le plurime azioni consistite nello smaltimento del grit concretizzerebbero più solo il delitto ex art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006. Mancherebbe la lesion bene giuridico protetto dall’art. 416 cod. pen.
2.4. Con il quarto motivo si deduce, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. p pen., il vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 416 e 43 cod. p la ritenuta sussistenza del dolo del reato associativo in capo a NOME COGNOME (capo 1).
L’errore contenuto nella motivazione della sentenza (il passo è riportato ricorso) consisterebbe nell’avere ritenuto che il dolo sia specifico, p finalizzato al conseguimento di un ingiusto profitto che, invece, sarebbe richi dall’art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006; la Corte territoriale avrebbe sovrappo due ipotesi di reato.
Gli elementi del dolo del reato ex art. 416 cod. pen. non sussisterebbero nel caso in esame perché ciascuno degli imputati ha agito nel solco degli oneri contrattuali previsti dagli accordi in atti, nell’esclusivo interesse personale, senza che vi fosse alcuna consapevolezza comune di partecipare ad un’associazione per delinquere con lo scopo di realizzare un più vasto, generico programma criminoso.
2.5. Con il quinto motivo si deduce il vizio di violazione di legge, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 434 cod. pen. per la ritenuta configurabilità del disastro ambientale sulla mera scorta della valutazione di astratta pericolosità del grit, senza che si fosse proceduto alla individuazione dell’elemento del disastro.
Sarebbe stato confuso l’inquinamento, in ipotesi realizzato con lo smaltimento prolungato del grit, con il disastro, in base, inoltre, alla indimostrata natura di rifiuto pericoloso del grit esausto che non sarebbe stata dimostrata neanche dai testi citati nella motivazione della sentenza (cfr. pag. 20 e ss. del ricorso).
Mancherebbe, poi, l’elemento costitutivo del pericolo per la pubblica incolumità: la sentenza avrebbe omesso di indicare il luogo in cui si sarebbe consumato il disastro e come la condotta contestata agli indagati, mediante l’illecito smaltimento, abbia inciso sull’habitat circostante, alterandolo in maniera significativa e duratura.
Alcun fatto idoneo a determinare un disastro o il sorgere di un pericolo per la pubblica incolumità sarebbe addebitabile a NOME COGNOME.
2.6. Con il sesto motivo si deduce il vizio di violazione di legge, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 15 cod. pen., per la mancata applicazione del principio del ne bis in idem sostanziale, dovendo i fatti contestati ai capi 5 e 9 dell’imputazione assorbiti nel reato di cui al capo 2.
La sentenza sarebbe viziata anche nella parte in cui ha ritenuto sussistenti i reati di cui ai capi 5 e 9, per quanto dichiarati estinti per prescrizione, perché le condotte ex art. 6 d.l. n. 172 del 2008 costituirebbero l’estrinsecazione della condotta di cui al capo 2 ed assorbiti nel reato ex art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006, oggi art. 452-quaterdecies cod. pen.
Si invoca l’applicazione dell’art. 15 cod. pen. Sullo specifico punto dell’appello la Corte territoriale avrebbe omesso ogni considerazione.
2.7. Con il settimo motivo si deduce il vizio di violazione di legge, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 260 d.lgs. n. 152 del 2006 e 43 cod. pen. nella parte in cui è stato ritenuto sussistente il dolo specifico dell’aver agito al fine di conseguire un profitto che sarebbe consistito nell’evitare gli oneri connessi alla classificazione del rifiuto prima dello smaltimento; i rifiut sarebbero stati smaltiti mediante l’indicazione nei formulari di un codice diverso, quello assegNOME ai materiali da demolizione: in dibattimento – nell’esame
all’udienza del 25 ottobre 2016 del AVV_NOTAIO COGNOME – sarebbe, però, emerso ch costo dello smaltimento di tali materiali sarebbe sostanzialmente analogo a quel previsto per il materiale abrasivo di scarto sicché sarebbe errata la motivaz della sentenza laddove ha ritenuto che il profitto illecito si identifich risparmio del costi.
La sentenza avrebbe, poi, fatto coincidere l’elemento oggettivo con quell soggettivo.
2.8. Con l’ottavo motivo si deduce, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. pr pen., la mancanza e manifesta illogicità della motivazione sul trattamen sanzioNOMErio in relazione al mancato riconoscimento del minimo edittale ed a diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Mancherebbe la motivazione in risposta al motivo di appello con cui si contestò la scelta del Tribunale di applicare una pena superiore al minimo edittale e di riconoscere le circostanze attenuanti generiche.
La Corte territoriale non avrebbe valutato la immediata collaborazione del ricorrente con l’autorità giudiziaria, avvenuta nell’interrogatorio.
2.9. Il ricorrente ha poi depositato un motivo nuovo con il quale, olt ribadirsi i vizi della motivazione della sentenza, si eccepisce la prescrizion reato associativo.
3. Il ricorso della RAGIONE_SOCIALE
Dopo aver riportato i fatti per i quali è intervenuta la condanna, nel peri determiNOME dalla Corte di appello – dal 8 agosto 2009, data di entrata in vi dell’art. 24-ter d.lgs. n. 231 del 2001, sino a tutto il 2011, ricordato l’attività s dalla società ricorrente, si indica che la sentenza è impugnata:
per assenza di motivazione sul tema dei «bilanci di massa», ovvero del calco secondo cui tutto il grit era stato regolarmente smaltito presso la disc autorizzata di COGNOME NOME a luglio 2009 con conseguenze sia sulla correttez dello smaltimento sia sul tempus commissi delicti e sulla successiva entrata in vigore degli illeciti contestati (8 agosto 2009 per il 24-ter, 16 agosto 2011 per il 25-undecies d.lgs. n. 231 del 2001);
per violazioni di legge e motivazione illogica nei capi e punti sulla qualif produttore del rifiuto; sulla insussistenza dei reati presupposto dell’illecito e n. 231 del 2001; sulla mancanza di interesse o vantaggio della RAGIONE_SOCIALE relazione allo smaltimento del grit e all’attribuzione dei codici Cer; sulla manc di profitto; sul ruolo dei dipendente di NOME COGNOME; sull’esistenza ed idon dei modelli organizzativi adottati dalla società; sulla confisca e sulla dosim della sanzione.
3.1. Con il primo motivo si deducono la violazione degli artt. 2, comma 1, 24ter, comma 2, e 25-undecies d.lgs. n. 231 del 2001 e la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione ai capi 1, 2, 5, 9 e 11.
L’ipotesi accusatoria sullo smaltimento del grit esausto si fonderebbe su una presunzione, fondata sulla differenza tra il totale di grit acquistato da RAGIONE_SOCIALE e quello inutilizzato trovato all’interno del cantiere COGNOME di Messina. Si è ipotizzato che le 2250 tonnellate mancanti fossero state illecitamente sversate nel terreno di Scopellitti NOME o portate nella discarica COGNOME di Vallone Guidara, accompagnate da un F.I.R. recante un codice Cer (17.09.04), volutamente errato e incompatibile con la natura del grit esausto, per ottenere un risparmio dovuto all’assenza di costi per lo smaltimento.
Risulterebbe, però, dalle dichiarazioni del teste di polizia giudiziaria COGNOME che il calcolo per determinare la quantità di grit inutilizzato sarebbe stato effettuato mediante una stima ad occhio (cfr. le pagine 4 e 5 del ricorso).
La Corte di appello non avrebbe risposto al motivo di impugnazione sui bilanci di massa contenuti nella relazione del AVV_NOTAIO COGNOME, consulente tecnico della difesa ed avrebbe ritenuto che l’errore sui codici Cer fosse sufficiente ad integrare il reato ex art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006.
La Corte territoriale non avrebbe, però, motivato sulle ragioni che avrebbero spinto la RAGIONE_SOCIALE all’adozione del codice cer 17.09.04, rifiuti misti di costruzione e demolizione, in luogo di quello corretto 12.01.16, materiale abrasivo di scarpe di scarto, e la rilevanza economica di tale scelta, sicché non sarebbe motivato il vantaggio che avrebbero tratto le società dall’indicazione fraudolenta del codice Cer. Mancherebbe la motivazione sul perché l’errata indicazione debba essere ricondotta alla malafede degli imputati.
La Corte di appello non avrebbe risposto al motivo di appello con cui si sarebbe spiegato perché fu utilizzato il codice cer 17.09.04 che identifica i rifiuti derivant da costruzione e demolizione. Il corretto uso della matrice 17, che ricomprenderebbe il ferro e, quindi, la ruggine depositata sugli scafi delle navi, non sarebbe neanche stato oggetto di domanda ai tecnici dell’RAGIONE_SOCIALE.
Inoltre, la Corte territoriale avrebbe erroneamente motivato sulle deduzioni difensive che, invece, si fondavano sull’esame del AVV_NOTAIO COGNOME – da cui risulterebbe che prima del 2015, quando fu modificata la normativa dal Regolamento Ue della Commissione europea n.1357 del 2014, la matrice poteva essere regolarmente utilizzata, perché solo nel 2015 fu inserita la parola sabbiatura nel codice Cer 12.01.17 (l’esame è riportato pag.7-8) – e della d.ssa NOME COGNOME, consulente esterno della RAGIONE_SOCIALE (pag.9.10 del ricorso) e della d.ssa COGNOME, quanto alla necessità che il codice Cer si dovesse riferire alla tipologia di attività, intesa come ciclo produttivo.
La Corte di appello avrebbe commesso un travisamento della prova per omissione rispetto a tali prove.
Inoltre, la Corte territoriale non avrebbe valutato che sarebbero errati i calcoli effettuati dalla polizia giudiziaria e dal Pubblico ministero, perché eseguiti in maniera atecnica, come indicato nelle pagine 11-12 del ricorso, in particolare per non aver adoperato il peso specifico del grit, ma una densità pari a quella dell’acqua, in contrasto con la scheda tecnica del prodotto, richiamata in sentenza e con l’esame del teste AVV_NOTAIO COGNOME (pag.12-14 del ricorso); né sarebbero state valutate le testimonianze del AVV_NOTAIO COGNOME e della COGNOME (pag.15), dell’imputato COGNOME (pag.16-17) sulla percentuale di grit che si polverizza e non produce rifiuto. La corretta valutazione di tali elementi di prova avrebbe determiNOME che i quantitativi di rifiuti portati in discarica erano uguali a quell acquistati e non differenti come sostenuto dall’accusa.
Da pag. 19 della sentenza impugnata emergerebbe che la Corte di appello, e prima il Tribunale, non hanno valutato la prova documentale – le fatture di acquisto utilizzate dalla Corte territoriale – da cui risulta che parte del gr acquistato da RAGIONE_SOCIALE era destiNOME a Siracusa; che la somma di 3.300 t. andava ridotta di 2.250 t. di grit perché o restituito a RAGIONE_SOCIALE, o trasferito cantiere di Napoli o perché parte del grit sarebbe ancora nel cantiere di Messina.
Dalla valutazione delle prove documentali risulterebbe, dunque, la coincidenza tra i metri cubi acquistati e quelli smaltiti con il codice 17.
Sarebbe stato documentalmente provato che tutto il grit sarebbe stato conferito alla discarica di COGNOME NOME fino al luglio 2009.
La Corte di appello, che ha ridotto il periodo dell’attività illecita fino al 2011 rispetto alla originaria contestazione al 2013, ha fondato la penale responsabilità sulle dichiarazioni dell’autista e del palista della RAGIONE_SOCIALE che si occupavano del trasporto dei rifiuti. Però, tali testi avrebbero riferito che i rifiuti del can COGNOME sarebbero stati conferiti nel periodo 2007-2009 (pag. 26 della sentenza impugnata); la questione è rilevante perché gli illeciti contestati alla società ricorrente sono entrati in vigore ad agosto 2009 e ad agosto 2011 e perché la discarica COGNOME era autorizzata fino al 2010, come risulterebbe dalla testimonianza del teste COGNOME (pag.19 del ricorso).
Il travisamento della prova riguarderebbe, altresì, i quantitativi che sarebbero stati sversati illecitamente nel terreno di COGNOME NOME in Mili San Marco, anche se non oggetto di colpa ascritta alla società ricorrente (pag.20) e riguarderebbe il contenuto delle dichiarazioni dei tecnici dell’RAGIONE_SOCIALE, ed in particolare della d.ssa COGNOME, poiché tali tecnici non avrebbero mai cercato gli elementi caratterizzanti il grit, il ferro e l’alluminio.
La Corte di appello avrebbe anche travisato l’esito delle analisi effettuate dal consulente tecnico della difesa – affermando che anche da tali analisi non emergerebbe la presenza di ferro ed alluminio – in quanto il AVV_NOTAIO COGNOME, nell’effettuare gli accertamenti, non avrebbe cercato tali metalli, trovati dalla Università di Messina, ma quelli che caratterizzavano il grit esausto.
La motivazione sarebbe in contrasto con le prove acquisite anche quanto all’affermazione che lo smaltimento illecito si sia protratto fino al 2011, poiché il trasporto effettuato dalla ditta RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE del 13 giugno 2011 sarebbe stato destiNOME a Catania; ciò risulterebbe dalla testimonianza di NOME COGNOME, dalle prove documentali e, come indicato a pagina 20 ultimo penultimo capoverso della sentenza impugnata, sarebbe stato effettuato con codice cer 12.01.17. Un ulteriore trasporto di grit esausto effettuato nel settembre del 2011 dalla stessa società fu rispedito alla COGNOME perché contenente grit esausto miscelato con altro materiale.
Mancherebbe, dunque, la prova che l’illecito smaltimento si sia protratto nell’anno 2011: di conseguenza, i fatti si sarebbero esauriti nel luglio 2009, data dell’ultimo conferimento presso la ditta RAGIONE_SOCIALE, come emergerebbe dalla deposizione del teste broccio (cfr. pagine 22 e 23 del ricorso).
Il trasporto del settembre 2011 non può ritenersi illecito perché i rifiuti sarebbero stati restituiti alla società ricorrente.
La Corte di appello, peraltro, non avrebbe tenuto conto delle dichiarazioni dell’imputato COGNOME (pag. 23-24 del ricorso) assolto dalla Corte di appello, e del teste COGNOME, per cui l’erronea miscelazione avvenuta in tale trasporto fu il frutto di un errore commesso dalla RAGIONE_SOCIALE, società assolta, non riferibile alla società ricorrente.
Risulterebbe dal testo della sentenza, dunque, che le condotte sarebbero cessate nel luglio del 2009, mentre l’introduzione tra i reati presupposto della responsabilità dell’ente di quelli di criminalità organizzata è avvenuta con l’introduzione dell’art. 24-ter con la legge 15 luglio 2009 n.94, entrata in vigore il 8 agosto 2009, e dei reati ambientali con l’art. 25-undecies mediante l’art. 2 del d.lgs. 7 luglio 2011 n.121, entrato in vigore il 16 agosto 2011.
3.2. Con il secondo motivo si deducono, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 183, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 152 del 2006, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e la mancanza di motivazione in relazione ai capi 1, 2, 5, 9 e 11.
La Corte di appello avrebbe erroneamente individuato nella società ricorrente il produttore del rifiuto; il rifiuto sarebbe stato, invece, prodotto dalle società su appaltatrici, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE.
Il richiamo alla giurisprudenza sarebbe erroneo.
La ricorrente non sarebbe stata la destinataria dell’obbligo di caratterizzazione e della corretta attribuzione del codice Cer, ritenuto determinante in sentenza per la sussistenza del delitto di traffico illecito di rifiuti perché, come risulterebbe anch dalla deposizione del teste COGNOME (pag.29-31 del ricorso), in concreto, l’attività di sabbiatura era svolta dalle società sub appaltatrici.
La Corte di appello sarebbe giunta alla condanna operando un travisamento per omissione delle prove in quanto da esse sarebbe, invece, emerso:
– che i contratti di subappalto con le ditte che si occupavano della sabbiatura, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, prevedevano lo smaltimento con la corretta attribuzione del codice Cer, a carico delle ditte subappaltatrici e, solo per alcune lavorazioni commissionate alla RAGIONE_SOCIALE, a spese della RAGIONE_SOCIALE ma sempre a carico della RAGIONE_SOCIALE (testi COGNOME e d.ssa COGNOME, pag. 31-33);
– che i contratti, i documenti di sicurezza delle navi a firma di NOME COGNOME della RAGIONE_SOCIALE, i passaggi di attrezzature, i testi escussi (d.ssa COGNOME, pag.33, e COGNOME pag. 34-36 del ricorso) avrebbero dimostrato che lo smaltimento del grit fosse a carico delle ditte subappaltatrici, fosse stato acquistato per l’attività svolta da queste ultime su cui gravava anche l’onere di redazione del formulario.
La Corte di appello avrebbe erroneamente applicato l’art. 183, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 152 del 2006, nel ritenere la ricorrente produttrice del rifiuto; a società non sarebbe riferibile la produzione del rifiuto che è, invece, attribuibile alle sub appaltatrici. Si richiama la giurisprudenza che avrebbe sempre ritenuto che lo smaltimento a carico dell’appaltatore e subappaltatore, in relazione all’attività svolta e al ciclo produttivo autonomo rispetto all’attività principale e ch escluderebbe qualsiasi obbligo giuridico di intervenire in capo all’appaltante.
Conseguentemente l’unico soggetto da cui poteva pretendersi la redazione del formulario dei rifiuti erano la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE quali ditte subappaltatrici. Si richiama anche la deposizione della d.ssa COGNOME (pag.38-41).
L’attività di sabbiatura inciderebbe in maniera irrisoria sul volume della produzione della RAGIONE_SOCIALE la quale, pertanto, non avrebbe alcun vantaggio interesse a smaltire il regolarmente il grit.
2.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 24-ter d.lgs. n. 231 del 2001 e 416 cod. pen. La conferma della sussistenza del reato associativo sarebbe avvenuta con motivazione apodittica; erroneamente sarebbe stata attribuita la qualifica di organizzatore e promotore a NOME COGNOME perché l’attività di sabbiatura non rientrava nelle sue competenze; le società avrebbero operato ciascuna per i propri interessi, come risulterebbe in via documentale dallo scambio di minute dei contratti.
Si richiama la giurisprudenza sulla distinzione tra concorso di persone nel reato e reato associativo (pag.43-44); i giudici di merito avrebbero solo
individuato un accordo per realizzare, in maniera articolata, il risparmio sui costi di smaltimento del grit; anche l’imputazione sub 1 farebbe esclusivo riferimento al solo smaltimento del grit quale programma criminoso.
3.4. Con il quarto motivo si deducono l’erronea applicazione dell’art. 5 d.lgs. n. 231 del 2001 in relazione alla mancanza di interesse o vantaggio per l’ente, e dell’art. 25-undecies d.lgs. n. 231 del 2001 in relazione all’elemento costitutivo dell’ingiusto profitto e la mancanza di motivazione in relazione ai capi 1,2,5.9 ed 11, in relazione all’art. 19 d.lgs. n. 231 del 2001.
La motivazione sull’interesse o vantaggio della ricorrente e sull’ingiusto profitto, elemento costitutivo dell’art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006, oggi art. 452quaterdecies cod. pen., sarebbe mancante; l’affermazione sui lucrosi guadagni sarebbe apodittica non essendovi motivazione sulla differenza tra il costo sostenuto indicando il Cer 17.09.04 e quello ritenuto corretto 12.01.17 e non avendo la Corte territoriale risposto al motivo di appello su quanto emerso in dibattimento sulla indifferenza, quanto ai costi, dell’uso di un codice o di un altro e della marginalità dell’attività di sabbiatura da parte della società ricorrente.
Il costo sostanzialmente pari emergerebbe dall’esame del AVV_NOTAIO COGNOME (pag. 46 del ricorso), ferme restando le argomentazioni sul soggetto reale produttore del rifiuto.
La Corte territoriale avrebbe, poi, valorizzato l’attività di sabbiatura nell’attività della società ricorrente non tenendo conto del motivo di appello fondato sulle deposizioni dei testi AVV_NOTAIO COGNOME, direttore amministrativo, e della d.ssa COGNOME, amministratore unico (udienza del 28 febbraio 2017), avvenute mediante l’analisi della documentazione (pag.48-52) sulla marginalità dell’attività di sabbiatura sul complessivo volume di affari.
Il punto sarebbe rilevante perché dimostrerebbe l’assenza di interesse o vantaggio della ricorrente a lucrare sullo smaltimento del grit.
La Corte di appello avrebbe, poi, rigettato il motivo sull’insussistenza dell’ingiusto profitto, rilevante anche ai fini della confisca, facendo riferimento apoditticamente ai maggiori costi e senza rispondere alle argomentazioni in diritto dell’appello sul profitto confiscabile e sull’errore di calcolo del Tribunale.
3.5. Con il quinto motivo si deducono i vizi di erronea applicazione degli art. 5, comma 1, lett. a) e 6, comma 1, d.lgs. n. 231 del 2001 e l’assenza di motivazione sui modelli organizzativi adottati dalla società.
L’unico passaggio della responsabilità della società ricorrente sarebbe a pag. 40 della sentenza impugnata (riportato nel ricorso), ed opererebbe una inversione dell’onere della prova in capo all’ente incolpato; mancherebbe, invece, la valutazione degli elementi costitutivi della responsabilità dell’ente: la motivazione si fonderebbe sulla responsabilità di NOME COGNOME quale gestore di fatto del
cantiere di Messina, senza l’indicazione degli elementi di responsabilità, l’interesse o il vantaggio dell’ente, erroneamente ritenuti esistenti per il dolo della persona fisica.
La motivazione sul criterio di imputazione soggettiva, la colpa grave, sarebbe apodittica, frutto del travisamento della prova per omissione dei documenti prodotti dalla difesa, privo del giudizio di idoneità ed adeguatezza dei modelli organizzativi e della indicazione del comportamento alternativo lecito, della prevedibilità ed evitabilità dell’evento.
La sentenza sarebbe, poi, contraddittoria perché avrebbe ridotto la sanzione pecuniaria ed escluso la sanzione interdittiva perché la società ricorrente ha dimostrato di aver elimiNOME le carenze organizzative che avevano determiNOME reati, mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire i reati e ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca (pag. 41 della sentenza impugnata). Orbene il Mog adottato dalla società ricorrente è unico, ed è intervenuto il 30 settembre 2008 ed è stato prodotto all’udienza del 28 febbraio 2017. Quello del 2011 è stato adottato perché in tale anno sono stati introdotti i reati ambientali nel catalogo del d.lgs. n. 231 del 2001. Tali dat risultano anche dalla testimonianza della d.ssa COGNOME (pag. 58 del ricorso).
3.6. Con il sesto motivo si deduce l’erronea applicazione degli artt. 5, 6 e 7 d.lgs. n. 231 del 2001. La Corte di appello avrebbe omesso di valutare le prove che escludono la qualità di soggetto apicale di NOME COGNOME. Dalle deposizioni dei testi AVV_NOTAIO COGNOME e d.ssa COGNOME, rispettivamente direttore amministrativo e amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, emergerebbe che NOME COGNOME avrebbe avuto solo il compito di verificare il corretto funzionamento del cantiere di Messina ma non avrebbe avuto compiti relativi alla sabbiatura; avrebbe ricoperto solo la carica di direttore commerciale.
Inoltre, la Corte territoriale avrebbe ritenuto NOME COGNOME amministratore di fatto del cantiere di Messina per la presenza sui formulari della sua firma; non avrebbe valutato la consulenza tecnica grafologica che avrebbe dimostrato che sui formulari era stata apposta la firma apocrifa di NOME COGNOME il quale, peraltro, non era il rappresentante legale della società. Ciò emergerebbe anche dall’esame della d.ssa COGNOME.
Tenuto conto della qualifica soggettiva di NOME COGNOME quale soggetto sottoposto alla direzione e vigilanza dell’ette, la posizione ricoperta da quest’ultimo non può integrare il criterio di imputazione soggettivo ex art. 5, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 231 del 2001, bensì quello di cui alla lett. b), con conseguente maggior aggravio valutativo per il giudice per la dimostrazione del nesso di causalità tra l’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza e la commissione del reato da parte del dipendente.
La Corte di appello ha, invece, limitato la responsabilità dell’ente all’accertamento del reato da parte della persona fisica.
Quanto alla esigibilità della condotta, si richiama la testimonianza della d.ssa COGNOME sul possesso di tutte le certificazioni ambientali; anche tale prova non sarebbe stata valutata dalla Corte di appello.
3.7. Con il settimo motivo si deducono i vizi di erronea applicazione degli artt. 11 e 12 d.lgs. n. 231 del 2001 in relazione al capo 11 e la mancanza di motivazione sul trattamento sanzioNOMErio; si deduce la mancata applicazione dei criteri di proporzionalità, idoneità e gradualità e dell’art. 12 d.lgs. n. 231 del 2001, tenuto conto della sospensione delle attività di sabbiatura, della messa a disposizione della somma, sequestrata, ritenuta equivalente al profitto, dell’adozione del Mog nel 2008.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Sul ricorso di NOME COGNOME
1.1. Deve preliminarmente rilevarsi, tenuto conto che il ricorso per cassazione di NOME COGNOME non è inammissibile, che è fondata l’eccezione di estinzione del reato ex art. 416 cod. pen. per prescrizione, unico delitto per il quale è intervenuta la condanna.
Il termine ordinario di prescrizione è di 7 anni, tenuto conto della pena massima inflitta per il delitto di cui all’art. 416, comma 1, cod. pen.
Secondo l’imputazione, la condotta relativa al reato associativo è cessata il 15 aprile 2013, data di esecuzione della misura cautelare.
Il termine ordinario di prescrizione deve essere aumentato di un quarto, di un anno e 9 mesi; al termine massimo di prescrizione di 8 anni e 9 mesi devono essere aggiunti i periodi di sospensione della prescrizione, pari a 240 giorni in primo grado e 161 giorni nel giudizio di appello, come calcolati dalla Corte di appello nella sentenza impugnata (cfr. pag. 39). Si giunge al 20 febbraio 2023.
La sentenza impugnata deve, di conseguenza, essere annullata senza rinvio perché estinto il reato per prescrizione con assorbimento del motivo relativo al trattamento sanzioNOMErio.
I motivi dovranno essere esaminati ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., tenuto conto della presenza delle parti civili.
1.2. Il primo motivo, con cui si deduce il vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, è infondato.
Tale motivo, per quanto formalmente riferito ai capi 1, 2, 3, 5 e 9, si riferisce esclusivamente alla gestione del grit esausto, oggetto dell’imputazione sub capo 2, anche quale reato fine dell’associazione per delinquere di cui al capo 1.
Per i reati di cui ai capi 5 e 9, che riguardano il trasporto e l’illecita mis dei rifiuti, l’unica contestazione concerne il dedotto assorbimento nel delitto al capo 2, non la sussistenza del fatto.
1.2.1. Dal testo della sentenza impugnata, riportato nello stesso rico risulta che la questione della consegna del grit presso il cantiere di Messina o cantiere è stata esplicitamente esaminata dalla Corte di appello che fa an riferimento alla consulenza tecnica del AVV_NOTAIO COGNOME. Dunque, il motivo impugnazione risulta esamiNOME.
1.2.2. La motivazione della sentenza non può dirsi manifestamente illogic perché, oltre ai passi citati nel ricorso, si fonda anche sulla valutazi sopralluogo svolto il 22 maggio 2012 presso il cantiere navale di Messina del RAGIONE_SOCIALE, sulle dichiarazioni dei testi NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, sulla documentazione sequestrata presso la RAGIONE_SOCIALE, sul valutazione delle prove indicate dalla difesa (il consulente tecnico AVV_NOTAIO COGNOME e la consulente della RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME), sull’analisi dei rapporti d e dei formulari acquisiti, sulle dichiarazioni dei testi NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, sull’interrogatorio di NOME COGNOME (cfr. pag.23-24), sull’esame dell’impu NOME COGNOME, sulle dichiarazioni dei testi NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME.
Con il motivo, pertanto, il ricorrente ha effettuato un confronto parziale la motivazione della sentenza, posto che la Corte di appello ha ritenuto esist un accordo illecito, complessivo, tra tutti i soggetti impegnati nello smaltim del grit esausto.
1.2.3. Per altro, la sussistenza del reato sub capo 2 è stata ritenuta dalla territoriale in base all’accertato uso di un codice Cer, volutamente errato, il 1 – relativo al «materiale misto da demolizione» – anziché di quello corretto 120 (materiale abrasivo di scarto, contenente sostanze pericolose) o 1201 (materiale abrasivo di scarto diverso da quello di cui alla voce 120116) proprio il grit esausto detenuto presso il cantiere di Messina della RAGIONE_SOCIALE l’illecita miscelazione dei rifiuti.
Le prove acquisite (cfr. pag. 23) hanno escluso che dopo il 2007 siano sta eseguiti nel cantiere lavori edili di demolizione.
Tali formulari risultano essere stati redatti solo per un periodo di tempo essendo proseguite le attività di gestione del rifiuto, come risulta dalla ricost dei fatti operata nelle pagine 25 e ss. della sentenza impugnata.
Gli elementi di prova sul punto sono stati indicati dalla Corte territo proprio rispondendo ai motivi di appello (cfr. da pag.21) ed indicando tra le f
di prova anche l’esame dell’imputato che ha ammesso, pur disconoscendo la firma, che i formulari relativi ai RAGIONE_SOCIALE si riferiscano in realtà al grit esausto.
1.2.4. Come correttamente rilevato dalla Corte di appello, secondo la giurisprudenza (Sez. 3, n. 47288 del 09/10/2019, Verlezza, Rv. 277898 – 01, in motivazione) anche in base alla sentenza del 29 marzo 2019 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il detentore del rifiuto (e non soltanto il produttore), quando la composizione del rifiuto potenzialmente pericoloso non sia immediatamente nota, ha l’onere di raccogliere le informazioni idonee a consentirgli di acquisire una conoscenza sufficiente di detta composizione e, in tal modo, di attribuire a tale rifiuto il codice appropriato.
Per la giurisprudenza, va esclusa radicalmente la possibilità di arbitrarie scelte da parte del detentore del rifiuto circa le modalità di qualificazione del rifiuto ed accertamento della pericolosità.
I rifiuti indicati nei formulari con il codice Cer errato risultano trasportati dal RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME ed effettivamente giunti a destinazione; sono stati sversati nella discarica di inerti della ditta COGNOME RAGIONE_SOCIALE in Vallone Guidara.
Pertanto, è del tutto irrilevante che la discarica Vallone Guidara fosse autorizzata a ricevere le tipologie di rifiuti con codice cer 17 2 12, perché ciò che rileva, ai fini della sussistenza del reato, è l’avvenuta gestione dei rifiuti co modalità dolosamente volte a rappresentare una diversa natura del rifiuto e la prosecuzione degli sversamenti, direttamente nella vallata, trasportati con formulari mai rinvenuti (cfr. pag. 26-27 della sentenza).
Dalla sentenza risulta, altresì, l’avvenuta illecita miscelazione dei rifiuti (cfr pag. 20-21).
1.2.5. Il primo motivo, al punto 1.2 del ricorso, è manifestamente infondato perché, contrariamente a quanto si rappresenta, la Corte di appello ha esplicitamente valutato la questione relativa all’analisi comparativa (a partire da pag.28), rigettando il motivo di appello in base alle fonti di prova ivi indicate, all modalità dello sversamento, descritte nelle pag. 29 e 30, mentre il ricorso si limita a riproporre la tesi difensiva senza indicare perché la motivazione sarebbe manifestamente illogica, tale essendo il vizio dedotto.
La consulenza del AVV_NOTAIO COGNOME risulta essere stata analizzata in più punti della sentenza, con motivazione espressa di rigetto delle tesi proposte, sicché il dedotto vizio di omessa motivazione (pag. 9 del ricorso) è manifestamente infondato.
1.2.6. In ogni caso, deve rilevarsi che i capi di imputazione ascritti al ricorrente non fanno alcun riferimento alla discarica di Mili San Marco, ma solo a quella di Contrada Vallone Guidara, sicché la questione dedotta nelle pagine 7-10 del ricorso è priva di concreta rilevanza ai fini della decisione.
1.3. Il secondo motivo, con cui si deduce il vizio di manifesta illogicità della motivazione sul ruolo di promotore ed organizzatore attribuito a NOME COGNOME è infondato.
1.3.1. Ed invero, la sentenza di primo grado ha richiamato l’interrogatorio dell’imputato il quale ha riferito che egli si occupava delle attività dei cantieri d Messina: quindi, anche di quelle relative al grit esausto, posto che nell’interrogatorio del 29 giugno 2012 il ricorrente ha affermato «… di sapere che il materiale che usciva dal cantiere e che veniva trasportato con la dicitura “materiale da demolizione” era grit esausto, pur trincerandosi dietro l’inaccettabile giustificazione, inaccettabile in considerazione dell’attività professionale svolta da tempo e diffusamente dai COGNOME, di essere convinto che il grit esausto fosse un materiale assimilabile a materiale da demolizione, circostanza, peraltro, quest’ultima, smentita, anche solo sotto il profilo visivo, da numerosi testi…» (così la sentenza di primo grado a pag.17).
1.3.2. Anche la Corte di appello ha richiamato tali dichiarazioni nonché (cfr. pag. 24) quelle relative alle modalità di smaltimento del grit esausto.
Ha, altresì, richiamato le dichiarazioni di NOME COGNOME, in cui vi sono espliciti riferimenti alle modalità di gestione del grit esausto ed alle istruzioni fornite da NOME COGNOME al teste ed a NOME COGNOME, che risulta essere stato condanNOME in via definitiva per i reati di cui agli art. 416, cod. pen. e 110 cod. pen. e 260 d.lgs. n. 152 del 2006.
Il ruolo attivo nella gestione del cantiere – indicato quale responsabile del cantiere – e dei rifiuti relativi al grit esausto è stato ritenuto provato anche in base alle dichiarazioni di NOME COGNOME, nei confronti del quale la condanna inflitta per i reati di cui ai capi 1,2,3 e 5 con la sentenza di primo grado è divenuta irrevocabile il 1 giugno 2019 (cfr. pag. 25 e 26).
La Corte territoriale ha fondato la decisione anche sulle dichiarazioni di NOME COGNOME, che ha specificamente indicato che il cantiere di Messina era di fatto amministrato da NOME COGNOME.
1.3.3. Secondo il ricorrente la motivazione sarebbe manifestamente illogica perché non risulterebbe che NOME COGNOME abbia dato istruzioni ai dipendenti delle altre ditte incaricate dei lavori di smaltimento.
L’assunto difensivo, oltre a non confrontarsi con le prove testimoniali riportate nella sentenza, ed in particolare con il passo della motivazione sul rapporto del ricorrente con NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, non dimostra in alcun modo che la motivazione sia manifestamente illogica, perché la tesi difensiva presuppone che ogni promotore o organizzatore debba impartire istruzioni a ciascun partecipe, mentre proprio la condotta di gestione del cantiere e delle attività illecite relative ai rifiuti dimostra l’esistenza di quella attiv
coordinamento degli associati, con i caratteri di essenzialità e infungibilità che, anche secondo il ricorso, concretizza la fattispecie ascritta al ricorrente.
È, invece, manifestamente infondato il ricorso nella parte in cui attribuisce alla motivazione della sentenza che a NOME COGNOME sia addebitata l’erronea compilazione dei formulari, mentre la sentenza sul punto ha richiamato il contenuto dell’interrogatorio del ricorrente il quale ha collegato i formulari alla gestione del grit esausto, come prima indicato.
1.4. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
1.4.1. Con tale motivo si deduce il vizio di violazione di legge perché la Corte territoriale avrebbe, in estrema sintesi, sovrapposto gli elementi costitutivi del reato ex art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006 con quelli di cui all’art. 416 cod. pen.
Poiché con tale motivo si deduce il vizio di violazione di legge, non si contesta la ricostruzione del fatto operata dalla Corte di appello.
La sussistenza dei reati ex art. 416 cod. pen., 260 d.lgs. n. 152 del 2006 e 434 cod. pen., è stata già accertata in via definitiva a seguito della sentenza di Sez. 3, n. 39952 del 16/04/2019, COGNOME, Rv. 278531, nonché a seguito della dichiarazione di inammissibilità il 22 giugno 2018 del ricorso per cassazione proposto da NOME COGNOME avverso la condanna inflitta dalla Corte di appello di Messina il 18 aprile 2017.
1.4.2. In punto di diritto, il reato di attività organizzate per il traffico il di rifiuti era contemplato nell’articolo 260 d.lgs. n. 152 del 2006 che sanzionava la condotta di «chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti …».
La stessa condotta è oggi prevista dall’art. 452-quaterdecies cod. pen.
Si è affermato che il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di r è reato abituale, che si perfeziona soltanto attraverso la realizzazione di più comportamenti non occasionali della stessa specie, finalizzati al conseguimento di un ingiusto profitto, con la necessaria predisposizione di una, pur rudimentale, organizzazione professionale di mezzi e capitali, che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo (Sez. 3, n.16036 del 28/02/2019, COGNOME, Rv.NUMERO_DOCUMENTO).
La condotta deve concretizzarsi in una pluralità di operazioni con allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, ovvero attività di intermediazione e commercio (cfr. Sez. 3, n. 40827 del 6/10/2005, COGNOME, Rv. 232348; Sez. 3, n. 28685 del 04/05/2006, COGNOME, Rv. 234931), e tale attività deve essere «abusiva», ossia effettuata o senza le autorizzazioni necessarie (ovvero con autorizzazioni illegittime o scadute), o violando le prescrizioni e/o i limiti dell
c.
autorizzazioni stesse (cfr. Sez. 3, n. 40828 del 6/10/2005, COGNOME, Rv. 23235 Sez. 4, n. 28158 del 02/07/2007, COGNOME, Rv. 236906).
1.4.3. Quanto al concorso tra il reato ex art. 452-quaterdecies cod. pen. e quello ex art. 416 cod. pen. il ricorso non tiene conto, a differenza della sentenza impugnata, che il reato ex art. 452-quaterdecies cod. pen. non richiede, per la sua configurazione, una pluralità di soggetti agenti, trattandosi di fattispecie m soggettiva, sebbene sia richiesta una pluralità di operazioni, in contin temporale, relative ad una o più delle diverse fasi in cui si concre ordinariamente la gestione dei rifiuti.
È configurabile il concorso tra i reati di associazione per delinquere (di all’art. 416 cod. pen.) e di attività organizzate per il traffico illecito di rif all’art. 260 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152), non sussistendo tra gli stessi rapp specialità, trattandosi di reati che presentano oggettività giuridiche ed ele costitutivi diversi, atteso che il primo si connota per un’organizzazione, a minima, di uomini e mezzi funzionale alla realizzazione di una serie indeterminat di delitti in modo da turbare l’ordine pubblico, mentre il secondo si caratterizz l’allestimento di mezzi e attività continuative e per il compimento di più operazi finalizzate alla gestione abusiva di rifiuti, così da esporre a pericolo la pu incolumità e la tutela dell’ambiente (Sez. 3, n. 19665 del 27/04/2022, Romanello Rv. 283172 – 01).
La giurisprudenza ha effettivamente affermato che sussiste il concorso tra reati quando vi è la necessaria presenza degli elementi costitutivi di entrambe fattispecie, con la conseguente impossibilità di ricavare la sussistenza del associativo dalla mera sovrapposizione della condotta con quella richiesta p l’associazione per delinquere, prevedendo tale ultimo reato la predisposizione un’organizzazione strutturale, sia pure minima, di uomini e mezzi, funzionale al realizzazione di una serie indeterminata di delitti, nella consapevolezza, da p dei singoli associati, di far parte di un sodalizio durevole e di essere disponi operare nel tempo per l’attuazione del programma criminoso comune, che non può certo essere individuata nel mero allestimento di mezzi ed attività continuat organizzate e nel compimento di più operazioni finalizzate alla gestione abusiva rifiuti indicate dall’art. 260 d.lgs. 1526, richiedendosi, evidentemente, un’ e stabile partecipazione ad un sodalizio criminale per la realizzazione di progetto criminoso.
1.4.4. Con la sentenza impugnata, la Corte territoriale ha ritenuto che le pr acquisite, già prima indicate e riportate nella prima parte della motivazio dimostrano che a partire dal 2018 è stata costituita tra gli imputati un’associa per delinquere finalizzata al traffico illecito dei rifiuti, mediante la predisposizione di un’organizzazione strutturale di uomini e mezzi, funzionale al
realizzazione di una serie indeterminata di delitti, costituita dalle societ all’imputazione che operavano in sinergia avvalendosi delle stesse persone, nel consapevolezza, da parte dei singoli associati, di far parte di un sodalizio dur e di essere disponibili ad operare nel tempo per l’attuazione del program criminoso comune.
In particolare, la Corte di appello ha rilevato che la sussistenza del quid pluris rispetto alla sola ipotesi ex art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006 per l’esistenz organizzazione più complessa, in cui vi era una divisione dei ruoli, con la mess disposizione da parte dei sodali delle strutture imprenditoriali, dei propri del personale o della propria attività personale: una struttura, quindi, vol realizzazione di una serie indeterminata di delitti relativi al traffico di dimostrata anche dalla reiterazione dei reati fine.
1.5. Il terzo ed il quarto motivo, nella parte in cui fanno riferimento al vi violazione di legge in relazione all’elemento soggettivo del reato, sono infond Ed invero, i motivi non colgono la ratio del passaggio di pag. 32 della sentenza impugnata: la Corte di appello non ha ritenuto che il dolo del reato ex art. cod. pen. sia specifico e consista nel conseguimento di un ingiusto profitto ma fatto riferimento al fine comune dei partecipanti all’associazione per delinq che è quello di compiere attività relative alla illecita gestione dei rifiuti, riferimento al lucro è il motivo che ha spinto i soggetti all’adesione al sod oltre a costituire il dolo specifico del delitto ex art. 260 d.lgs. n. 152 del
1.6. Il quinto motivo, con cui si deduce il vizio di violazione di leg relazione all’art. 434 cod. pen., è manifestamente infondato in quanto parte presupposto che la sentenza impugnata avrebbe ritenuto integrato il disast ambientale in base ad una valutazione astratta di pericolosità del grit.
Invece, la Corte di appello ha fondato la motivazione (cfr. pag. 34) in bas dato di fatto, risultante anche dalla sentenza, esplicitamente richiamata, di 3, n. 39952 del 16/04/2019, COGNOME, Rv. 278531, che il materiale di scarto e stato sversato con continuità e per diversi anni in prossimità di falde acquife conseguentemente, aveva comportato una potenziale contaminazione diffusa, con gravissimo pericolo di inquinamento e lesione della pubblica incolumità.
La Corte territoriale ha richiamato il principio di diritto secondo cui inte c.d. «disastro innomiNOME» di cui all’art. 434 cod. pen., non soltanto il macroe di immediata manifestazione esteriore che si verifica in un arco di tempo ristre ma anche l’evento, non visivamente ed immediatamente percepibile, che si realizza in un periodo pluriennale (ex plurimis, Sez. 3, n. 2209 del 10/01/20 Sez. 1, n. 7941 del 19/11/2014).
Il motivo è, pertanto, inammissibile per il difetto del requisito della speci estrinseca, poiché non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata
1.7. Il sesto motivo è manifestamente infondato perché i delitti di cui ai capi 5) – ex artt. 110 cod. pen., 6, comma 1, lett. a), b), d) del d.l. n.172 del 2008, convertito dalla legge n.210 del 2008 – e 9) – ex artt. 110 cod. pen., 6, comma 1, lett. g) del d.l. n.172 del 2008, convertito dalla legge n.210 del 2008 – hanno una diversa oggettività giuridica rispetto al reato ex art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006 in quanto volti a tutelare i territori in cui vige lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti.
1.8. Il settimo motivo, con cui si deduce il vizio di violazione di legge, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 260 d.lgs. n. 152 del 2006 e 43 cod. pen. nella parte in cui è stato ritenuto sussistente il dolo specifico, è inammissibile.
Con l’appello la contestazione relativa all’elemento soggettivo era limitata alla mancanza di consapevolezza sull’illecito smaltimento del grit esausto e sulla insussistenza dell’ingiusto profitto in relazione ai costi.
La Corte di appello ha ritenuto che il profitto ingiusto si sia concretizzato anche nel vantaggio conseguito nello smaltire il rifiuto con modalità diverse e semplificate, mediante la erronea classificazione del rifiuto.
Con il ricorso per cassazione si deduce il vizio di violazione di legge, con riferimento al dolo specifico, in relazione all’aver agito al fine di conseguire un profitto, ma poi il motivo si incentra sulla valutazione di una prova, l’esame del AVV_NOTAIO COGNOME in relazione al risparmio dei costi.
Dunque, il motivo, da un lato non è correlato alla motivazione della sentenza impugnata, che si fonda su una diversa ratio, dall’altro è perplesso, perché il richiamo alla prova implica la deduzione di un vizio della motivazione che non è stato specificamente dedotto.
2. Sul ricorso della RAGIONE_SOCIALE
2.1. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti della RAGIONE_SOCIALE limitatamente all’illecito amministrativo di cui al capo 11 in relazione ai soli reati di cui ai capi 5 e 9 perché il fatto non sussiste.
Come già affermato dalla Sez. 3, con la sentenza n. 39952 del 16 aprile 2019 nel separato processo nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, per altro citata dalla Corte di appello (pag. 33) anche nella parte in cui ha pronunciato la sentenza di insussistenza dell’illecito amministrativo, la fattispecie di cui all’art. 6 del d.l. 172 del 2008 non rientra, a differenza delle altre fattispecie contestate, tra i reatipresupposto previsti dagli artt. 24 e ss. del d.lgs. n. 231 del 2001 e, conseguentemente, non può fondare la responsabilità amministrativa della ricorrente.
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Cfr. nello stesso senso Sez. 3, n. 2234 del 09/07/2021, Casa, Rv. 282694 02, secondo cui la responsabilità amministrativa dell’ente derivante da reati ambientali non è configurabile in relazione al delitto di gestione dei rifiuti nei territori nazionali dichiarati in stato di emergenza, di cui all’art. 6, lett. a) e d), 2, d.l. 6 novembre 2008, n. 172, convertivo con modificazioni nella legge 30 dicembre 2008, n. 210, non essendo tale disposizione inclusa nell’elenco dei reatipresupposto della responsabilità amministrativa di cui all’art. 25-undecies, comma 2, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.
L’annullamento senza rinvio assorbe l’analisi dei motivi relativi a tali ipotesi di illecito amministrativo.
2.2. Il ricorso è fondato anche quanto ai residui illeciti amministrativi di cui al capo 11, in relazione ai reati di cui ai capi 1 e 2, per le ragioni che seguono, con assorbimento degli altri motivi e ferme restando le considerazioni già espresse sulla sussistenza dei reati di cui ai capi 1 e 2 e sulla condotta posta in essere da NOME COGNOME.
2.2.1. Occorre chiarire l’ambito applicativo degli art. 24-ter e 25-undecies d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 perché l’impostazione della sentenza impugnata è inficiata da un vizio di fondo.
La Corte di appello ha valorizzato, ai fini della responsabilità amministrativa della società ricorrente, fattispecie di reato estranee al tassativo catalogo dei reatipresupposto dell’illecito dell’ente collettivo e come tali oggettivamente inidonee, ex d.lgs. n. 231 del 2001 a fondarne la stessa imputazione di responsabilità, come nel caso dei reati di cui ai capi 5 e 9.
Tale delimitazione, per altro, vale anche per l’analisi dei motivi di ricorso, che sono fondati solo nei limiti di cui alla motivazione che segue.
2.2.2. La legge n. 94 del 2009 ha inserito nel corpo del d.lgs. n. 231 del 2001 l’art. 24-ter, ampliando l’elenco dei reati-presupposto ai delitti di criminalità organizzata; tale norma è in vigore il 8 agosto 2009. Con la stessa legge, però, non sono stati inseriti i reati-fine dell’associazione per delinquere di cui al capo 1): l’art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006 è stato inserito tra i reati presupposto della responsabilità degli enti solo a far data dal 16 agosto 2011.
Ne consegue che per ritenere sussistente la responsabilità dell’ente in base agli elementi indicati nell’art. 5 d.lgs. n. 231 del 2001, ai fini della sussistenza dell’illecito ex art. 24-ter d.lgs. n. 231 del 2001, il reato che deve essere stato commesso – prima del 16 agosto 2011 – nell’interesse o a vantaggio dell’ente è solo quello ex art. 416 cod. pen.: se, infatti, l’interesse o il vantaggio fosse valutato rispetto ai reati fine dell’associazione per delinquere, non ricompresi nel catalogo del d.lgs. n. 231 del 2001, si violerebbe il principio di tassatività.
Cfr. in tal senso Sez. 3, n. 8785 del 29/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278256, che in motivazione distingue gli elementi costitutivi della responsabilità dell’ente dalla determinazione del profitto.
2.2.3. Analogamente, per la sussistenza dell’illecito ex art. 25-undecies, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, le condotte che possono essere valutate sono solo quelle successive al 16 agosto 2011 e con riferimento ad esse deve essere specificamente motivato l’interesse o il vantaggio dell’ente.
2.2.4. Va, poi, ricordato che secondo la giurisprudenza per la responsabilità per gli illeciti previsti dal d.lgs. n. 231 del 2001 non è sufficiente dimostrare la commissione del reato presupposto da parte del soggetto organico alla società, ma occorre anche dimostrare l’assenza dei modelli di organizzazione e la cd. colpa di organizzazione.
Per Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, COGNOME, Rv. 261113 – 01, «In tema di responsabilità da reato degli enti, la colpa di organizzazione, da intendersi in senso normativo, è fondata sul rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individua i rischi e delinea le misure atte a contrastarli».
Recentemente, Sez. 4, n. 21704 del 28/03/2023, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 284641 01, ha affermato il principio per cui ai fini della configurabilità della responsabilità da reato degli enti, non sono ex se sufficienti la mancanza o l’inidoneità degli specifici modelli di organizzazione ovvero la loro inefficace attuazione, essendo necessaria la dimostrazione della «colpa di organizzazione», che caratterizza la tipicità dell’illecito amministrativo ed è distinta dalla colpa degli autori del reato.
In motivazione tale sentenza afferma, richiamando Sez. 4, n. 18413 del 15/2/2022, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 283247, «… che la struttura dell’illecito addebitato all’ente è incentrata sul reato presupposto, rispetto al quale la relazione funzionale tra reo ed ente e quella teleologica tra reato ed ente hanno funzione di rafforzare il rapporto di immedesimazione organica, escludendo che possa essere attribuito a quest’ultimo un reato commesso sì da soggetto incardiNOME nell’organizzazione, ma per fini estranei agli scopi di questa … Ciò consente di dire, dunque, che l’ente risponde per fatto proprio e che – per scongiurare addebiti di responsabilità oggettiva – deve essere verificata una “colpa di organizzazione” dell’ente, dimostrandosi che non sono stati predisposti accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato. È il riscontro di un tale deficit organizzativo a consentire l’imputazione all’ente dell’illecito penale realizzato nel suo ambito operativo e spetta all’accusa, pertanto, dimostrare l’esistenza dell’illecito penale in capo alla persona fisica
inserita nella compagine organizzativa dell’ente e l’avere essa agito nell’interesse del secondo, previa individuazione di precisi canali che colleghino teleologicamente l’azione dell’uno all’interesse dell’altro (in motivazione, sez. 6, n. 27735 del 18/2/2010, Scarafià, Rv. 247666). Si tratta di un’interpretazione che, in sostanza, attribuisce al requisito della “colpa di organizzazione” dell’ente la stessa funzione che la colpa assume nel reato commesso dalla persona fisica, di elemento costitutivo cioè del fatto tipico, integrato dalla violazione “colpevole” (ovvero rimproverabile) della regola cautelare. Essa va dimostrata dall’accusa e l’ente può dimostrarne l’assenza, gli elementi costitutivi dell’illecito essendo rappresentati dalla sopra descritta immedesimazione organica “rafforzata”, ma anche da tale colpa di organizzazione, oltre che dal reato presupposto e dal nesso causale tra i due …».
2.2.5. La gran parte del ricorso (cfr. motivi 1,2) è volta a contestare i reati fine relativi alla gestione dei rifiuti per i quali non è ipotizzabile la responsabilit dell’ente.
2.2.6. Tanto premesso, la Corte di appello ha ritenuto sussistente la responsabilità dell’ente in base alla circostanza, fondata, che NOME COGNOME sia stata la persona a cui era attribuita la gestione di fatto del cantiere di Messina e sulla commissione dei reati di cui ai capi 1) e 2) ma, quanto agli altri presupposti della responsabilità ex d.lgs. n. 231 del 2001, ha affermato apoditticamente la sussistenza dell’interesse o del vantaggio senza neanche specificamente rapportarli alle condotte relative al reato associativo ed a quello ex art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006, nei limiti prima indicati.
2.2.7. In particolare, la sentenza impugnata ha indicato a pag. 41 un solo episodio che sarebbe rilevante, per la responsabilità dell’ente, ex art. 260 d.lgs. n. 152 del 2006, con riferimento all’ultimo smaltimento del grit in data successiva al 8 settembre 2011. La rilevanza penale di tale episodio è stata esplicitamente contestata con il ricorso (cfr. pag. 22). Non risulta data risposta al motivo di appello sulla insussistenza dell’interesse o del vantaggio, ferme restando le considerazioni svolte sugli episodi concretamente ascrivibili all’ente, fondato sugli elementi di prova indicati nelle pag. 77 e ss. dell’appello. È dunque fondato il 4 motivo di ricorso.
2.2.8. Per altro, come indicato, la motivazione, già di per sé generica, si riferisce a reati esclusi dal catalogo, contestati ai capi 5 e 9, per i quali è necessario pronunciare la sentenza di insussistenza del fatto.
2.2.9. Quanto alla colpa di organizzazione, oltre a non motivare sul punto, la Corte territoriale non ha preso in esame il motivo di appello (pag. 75) sull’esistenza dei Modelli di Organizzazione e Gestione richiesti dal d.lgs. n. 231 del 2001, redatti nel 2008 e nel 2011; il motivo, per altro, era specifico, con l’indicazione delle fonti
di prova da cui dedurre l’esistenza dei modelli. È fondato anche il quinto motivo di ricorso. La sentenza è anche contraddittoria perché nella parte relativa alla pena dà atto dell’esistenza di tali Modelli, senza però trarne le dovute conseguenze sulla valutazione della responsabilità dell’ente.
Il ricorso è dunque fondato, nei limiti prima indicati, quanto ai reati di cui ai capi 1 e 2 indicati nel capo 11), con assorbimento degli altri motivi.
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di NOME COGNOME perché il residuo reato di cui al capo 1 è estinto per prescrizione. Tenuto conto del rigetto degli altri motivi relativi alla sussistenza delle condotte contestate, devono essere confermate le statuizioni civili e l’imputato NOME COGNOME deve essere condanNOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE che si liquidano nel valore medio pari ad euro 3.686, oltre accessori di legge. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, limitatamente all’illecito amministrativo di cui al capo 11 in relazione ai soli reati di cui ai capi 5 e 9, perché il fatto non sussiste; deve, invece essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Messina per nuovo giudizio relativamente ai residui illeciti amministrativi di cui al capo 11, in relazione ai reati di cui ai capi 1 e 2.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME perchè il residuo reato di cui al capo 1 è estinto per prescrizione.
Conferma le statuizioni civili.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE che liquida in complessivi euro 3.686, oltre accessori di legge.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti della RAGIONE_SOCIALE limitatamente all’illecito amministrativo di cui al capo 11 in relazione ai soli reat di cui ai capi 5 e 9 perché il fatto non sussiste e con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Messina per nuovo giudizio relativamente ai residui illeciti amministrativi di cui al capo 11, in relazione ai reati di cui ai capi 1 e 2.
Così deciso il 24/01/2024.