Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 3026 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 3026 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nato a Senigallia il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato ad Ancona il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/03/2023 del Tribunale di Ancona visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata; udito, per il ricorrente, l’AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’avvoca
NOME COGNOME, che ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 28 marzo 2023, il Tribunale di Ancona ha dichiarato la penale responsabilità di NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di cui agli artt. 5, lett. c), e 6, terzo comma, legge 30 aprile 1962, n. 283 ( ) q ed ha condannato il primo alla pena di euro 2.000,00 di ammenda, ed il secondo, /
previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di euro 1.000,00 di ammenda.
Secondo quanto ricostruito dal Tribunale, NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente nelle qualità, il primo, di presidente del consiglio d amministrazione e, il secondo, di amministratore delegato della società “RAGIONE_SOCIALE“, avrebbero commercializzato molluschi bivalvi vivi contenenti cariche batteriche microbiche superiori ai limiti consentiti, in particolare con riguardo all’Escherichia Coli, cedendoli all’azienda RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE“, con sede in Volla, in data precedente e prossima al 16 luglio 2019.
Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale indicata in epigrafe NOME COGNOME e NOME COGNOME, con un unico atto sottoscritto dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, articolando sei motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, con riferimento agli artt. 191 cod. proc. pen. e 223 disp. att. cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo al mancato rilievo dell’inutilizzabilità dei risultati degli esami laboratorio sui campioni ittici prelevati.
Si deduce che illegittimamente il Tribunale ha ritenuto utilizzabili nei confronti degli attuali ricorrenti i risultati delle analisi di laboratorio sui campioni prelevati presso la società “RAGIONE_SOCIALE“, nonostante l’omesso avviso agli stessi del giorno, dell’ora e del luogo in cui gli esami sarebbero stati effettuati, e, quindi, in violazione di quanto previsto dall’art 223 disp. att. cod. proc. pen. Si precisa che l’avviso di presenziare alle operazioni di analisi è stato dato esclusivamente ad NOME COGNOME, presente al prelievo dei campioni presso l’azienda RAGIONE_SOCIALE dal medesimo gestita, e che agli attuali ricorrenti è stata rilasciata comunicazione solo in ordine ai risultati degli esami indicati. Si rappresenta, inoltre, che le analisi non erano ripetibili, in quan effettuate su molluschi vivi ed aventi ad oggetto la ricerca di batteri, i quali no rimangono inalterati nel prodotto per lunghi periodi.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, con riferimento all’art. 521 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo al difetto di correlazione tra accusa e sentenza.
Si deduce che gli attuali ricorrenti sono stati tratti a giudizio per risponder del reato di cui all’art. 5, lett. c), legge n. 283 del 1962, per aver commercializzat alimenti con cariche microbiche superiori ai limiti stabiliti dalla legge, e che, però la sentenza impugnata, in motivazione, ha giustificato la condanna rilevando il M «cattivo stato di conservazione» degli alimenti commercializzati.
Si rappresenta che le due condotte sono ben distinte tra loro, in quanto, come osserva la giurisprudenza, quella prevista dall’art. 5, lett. c), legge n. 283 del 1962 ha riguardo a sostanze alimentari già viziate ed alterate, mentre quella prevista dall’art. 5, lett. b), legge n. 283 del 1962, si riferisce al cattivo sta conservazione degli alimenti, indipendente dal loro avvenuto deterioramento o alterazione (si cita Sez. 3, n. 44299 del 13/11/2007).
Si precisa che, come dimostrato con prove documentali, il prodotto contenuto nel lotto ceduto dalla società “RAGIONE_SOCIALE” alla “RAGIONE_SOCIALE“, e poi oggetto delle analisi, era stato esaminato da un laboratorio accreditato prima di essere consegnato al trasportatore per l’invio alla ditta acquirente, ed era risultato “sottosoglia” per le cariche microbiche, nonché pienamente idoneo alla commercializzazione. Si aggiunge che il momento di proliferazione del batterio è ragionevolmente individuabile in una fase successiva alla consegna del prodotto al trasportatore, per l’interruzione della catena del freddo o per l’errata manipolazione della merce.
Si evidenzia che il rapporto di eterogeneità ed incompatibilità tra la condotta indicata nella imputazione e quella per cui è stata pronunciata condanna è immediatamente rilevabile perché gli imputati si sono difesi dimostrando di aver distribuito un prodotto perfettamente “regolare” e sono stati dichiarati responsabili per il cattivo stato di conservazione dello stesso, ossia per una condotta successiva a quella della commercializzazione della merce.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, con riferimento all’art. 5, lett. c), legge n. 283 del 1962, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato.
Si deduce che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che lo stoccaggio dei bancali in cui è conservato il prodotto ad opera della ditta degli imputati costituisca fatto idoneo ad ascrivere a questi ultimi anche la responsabilità per le contaminazioni avvenute nella fase successiva alla consegna.
Si sottolinea che il posizionamento del carico nel camion avviene ad opera del trasportatore, e che la ditta cedente, effettuata la consegna al medesimo, non ha più alcun potere di vigilanza e controllo. Si segnala, poi, che tanto l’interruzione della catena del freddo, potenzialmente causata anche mediante spegnimento della cella frigorifero in fase di trasporto, quanto la manipolazione della merce possono determinare la proliferazione per raddoppio del batterio ogni venti minuti, come evidenziato dalle dichiarazioni rese a dibattimento dai testimoni NOME COGNOME e COGNOMECOGNOME Si aggiunge, ancora, che la proliferazione del batterio potrebbe essere avvenuta persino dopo il prelievo effettuato dagli organi di vigilanza, posto che non sono state precisate le modalità di conservazione del/
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campione, e questo è stato sottoposto ad esame solo ventiquattro ore dopo l’indicato prelievo.
Si conclude che la totale assenza di notizie circa le modalità di trasporto e di conservazione del prodotto dopo la consegna al trasportatore avrebbe dovuto far escludere l’esistenza di un nesso causale tra la fornitura del prodotto da parte della ditta dei due imputati e la presenza del batterio Escherichia Coli all’atto del prelievo presso la ditta di Volla. Si osserva che questa conclusione è confermata anche dagli esiti degli esami di laboratorio, dai quali sono stati rilevati valori differ per le cinque aliquote esaminate, recando alcune valori poco sopra il consentito, ed altre valori molto superiori alla norma: questo esito, infatti, è spiegabile sol con una manipolazione successiva alla pesca del prodotto, come dichiarato a dibattimento dalla AVV_NOTAIO NOME COGNOME, la quale ha proceduto alle analisi ex art. 223 disp. att. cod. proc. pen.
2.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, con riferimento all’art. 5, lett. c), legge n. 283 del 1962, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Si deduce che deve escludersi qualunque negligenza, imprudenza o imperizia a carico dei due imputati, perché: a) gli stessi erano in posizione di vertice rispetto alla società “RAGIONE_SOCIALE“; b) detta società, avente 59 dipendenti ed un fatturato pari ad oltre 34.000.000,00 di euro nel 2020, commercializza giornalmente 350 quintali di prodotto, ed è dotata di un adeguato sistema di controllo alimentare, caratterizzato da un doppio livello di verifiche, uno interno all’azienda e l’altro esterno, eseguito da un laboratorio certificato; c) il prodot sottoposto a verifica costituisce una insignificante percentuale di quello oggetto di compravendita giornaliera.
2.5. Con il quinto motivo, si denuncia violazione di legge, con riferimento all’art. 131-bis cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo al mancato proscioglimento per particolare tenuità del fatto.
Si deduce che il fatto è di particolare tenuità, sia perché l’azienda degli imputati aveva un corretto sistema di controllo della regolarità del prodotto, sia perché lo stesso avrebbe dovuto essere consumato solo dopo cottura, come segnalato sull’etichetta, con eliminazione di ogni rischio per la salute del consumatore.
2.6. Con il sesto motivo, si denuncia violazione di legge, con riferimento all’art. 62-bis cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche a NOME COGNOME e alla determinazione del trattamento sanzionatorio per entrambi gli imputati.
Si deduce che gli elementi indicati nei precedenti motivi e l’assenza di precedenti penali avrebbero dovuto implicare la concessione delle circostanze attenuanti generiche a NOME COGNOME, e che il discostamento dal minimo edittale per entrambi gli imputati è stato deciso del tutto immotivatamente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, per le ragioni di seguito indicate, è infondato in riferimento all censure formulate nei primi due motivi, ma fondato con riguardo alle censure esposte nel terzo motivo, mentre le ulteriori censure sono assorbite.
Infondate sono le censure esposte nel primo motivo, che contestano la ritenuta utilizzabilità dei risultati degli esami di laboratorio sui campioni it prelevati, deducendo l’omesso avviso agli attuali ricorrenti del giorno, dell’ora e del luogo in cui le analisi furono effettuate, a norma dell’art. 223, disp. att. cod proc. pen.
2.1. Va innanzitutto rilevato che, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, in tema di prelievi di campioni finalizzati all’espletamento di analisi, occorre distinguere tra prelievo inerente ad attività di polizia giudiziari nell’ambito di un’indagine preliminare ex art. 220 disp. att. cod. proc. pen., per il quale operano in via genetica le norme di garanzia della difesa previste dal codice di rito, e prelievo inerente ad attività amministrativa ex art. 223 disp. att. cod proc. pen., per il quale, invece, i diritti della difesa devono essere assicurati sol ove emergano indizi di reato, giacché in tal caso l’attività amministrativa non può più definirsi extra-processum (così, tra le tante, Sez. 2, n. 52793 del 24/11/2016, COGNOME, Rv. 268766-01, e Sez. 3, n. 5235 del 24/05/2016, dep. 2017, COGNOME Verde, Rv. 269213-01).
E, nella specie, secondo quanto si apprende dalla sentenza impugnata, i prelievi dei campioni dai mitili e le analisi sugli stessi sono stati eseguiti in sede attività amministrativa da addetti del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per il luogo in cui i precisati prodotti erano esposti per la vendita.
Inoltre, gli attuali ricorrenti contestano la mancata applicazione della disciplina di cui all’art. 220 disp. att. cod. proc. pen., ma non forniscono alcun elemento per far rilevare l’emersione, a loro carico, al momento del prelievo e delle analisi, di indizi di reato.
2.2. In secondo luogo, poi, per completezza, occorre aggiungere che il divieto di includere nel fascicolo per il dibattimento, e quindi di utilizzare come elementi di prova, i risultati di analisi dei campioni prelevati, le quali siano state esegui senza il previo avviso ai soggetti interessati a norma dell’art. 223 disp. att. cod.
proc. pen. sussiste solo qualora la conseguente nullità sia stata tempestivamente eccepita nella fase delle indagini preliminari (così Sez. 3, n, 19253 del 13/04/2005, COGNOME, Rv. 231990-01), o, comunque, e preferibilmente, trattandosi di nullità AVV_NOTAIO a regime intermedio ex artt. 178, comma 1, lett. c), e 180 cod. proc. pen., non oltre la deliberazione della sentenza di primo grado (cfr., in particolare, Sez. 6, n. 36695 del 06/10/2010, Drago, Rv. 248527-01, e Sez. 3, n. 37400 del 28/06/2006, COGNOME, Rv. 235140-01, entrambe specificamente relative all’analisi di campioni prelevati con riferimento ad alimenti deperibili).
Nella specie, la questione della inutilizzabilità dei risultati delle analisi campioni prelevati presso l’esercizio di rivendita di prodotti ittici risulta propos solo con i ricorsi per cassazione attualmente in esame, quindi ben dopo la deliberazione della sentenza di primo grado.
In effetti, relativamente alla proposizione della precisata questione in un momento anteriore alla presentazione dell’impugnazione, non solo non viene rilevato alcunché di specifico nei ricorsi, ma nulla risulta dagli atti a disposizion nel fascicolo. In particolare, dal verbale dell’udienza di dibattimento, risulta che la difesa si riporta alla memoria depositata e chiede l’assoluzione per entrambi gli imputati con la formula più ampia, o, in subordine, a norma dell’art. 131-bis cod. proc. pen.; nella memoria presente in atti, poi, non viene sollevata alcuna eccezione in ordine all’omissione dell’avviso avviso agli attuali ricorrenti in ordine al giorno, all’ora e al luogo in cui le analisi furono effettuate.
Infondate sono anche le censure formulate nel secondo motivo, che contestano il difetto di correlazione tra accusa e sentenza, deducendo che il fatto indicato nell’imputazione, costituito dalla commercializzazione di molluschi vivi contenenti cariche batteriche microbiche superiori ai limiti consentiti, è diverso da quello ritenuto in sentenza, integrato dall’aver commercializzato detti molluschi in cattivo stato di conservazione.
La sentenza impugnata, infatti, richiama sì i principi giurisprudenziali in materia di cattivo stato di conservazione degli alimenti, ma solo per affermare che gli attuali ricorrenti, quali soggetti preposti all’impresa che raccoglieva e distribuiv all’ingrosso il prodotto sottoposto ad analisi, sono da ritenere responsabili per la commercializzazione dei molluschi risultati contenere cariche batteriche microbiche superiori ai limiti consentiti anche ritenendo che queste ultime si siano sviluppate o comunque abbiano superato la soglia di tolleranza in un momento successivo all’analisi dei medesimi mitili compiuta nel laboratorio aziendale.
Può quindi concludersi che la condanna è stata pronunciata esattamente per la condotta di commercializzazione di sostanze alimentari contenenti cariche microbiche superiori ai limiti consentiti.
Fondate, invece, sono le censure enunciate nel terzo motivo, che contestano l’affermazione di ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, deducendo che la sentenza impugnata ha addossato ai ricorrenti la responsabilità per fatti di proliferazione delle cariche microbiche ragionevolmente imputabili, invece, al trasportatore o al commerciante al dettaglio, e, quindi, pur in presenza di un ragionevole dubbio.
La sentenza impugnata, in proposito, afferma che non vi è alcuna prova o argomentazione da cui inferire la traslazione della responsabilità del presunto deterioramento del prodotto in capo al vettore o alla ditta acquirente, per l’interruzione della catena del freddo o per l’errata gestione e manipolazione della merce. Precisa, in particolare, che l’impresa facente capo ai due imputati, dopo aver effettuato le analisi di laboratorio, preparava i bancali di spedizione, secondo protocolli implicanti modalità tali da evitare contaminazioni batteriche, e che il vettore aveva solo il compito di stivare i bancali e di scaricarli per la consegna al commerciante al dettaglio.
Tuttavia, la medesima sentenza richiama anche la deposizione, tra gli altri, dell’addetta al RAGIONE_SOCIALE, che ha eseguito gli accertamenti ed è stata citata come testimone dal P.M. Tale teste, in particolare, secondo quanto riportato dal Tribunale, ha riferito che le elevate quantità di cariche microbiche possono essere ricondotte ad un’errata o interrotta catena del freddo di conservazione, oppure alla venuta in contatto dei prodotti confezionati con oggetti o corpi contaminati, da far risalire o allo stivaggio e trasporto degli stessi o al loro maneggiamento in condizioni non igieniche, e che la proliferazione dei batteri si caratterizza per un processo di moltiplicazione esponenziale in termini di velocità e capacità propagativa, una volta interrotta la catena del freddo o avvenuta la contaminazione esterna.
Ciò posto, la sentenza impugnata non precisa perché deve ritenersi, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la contaminazione batterica sia avvenuta nella fase di preparazione dei bancali di spedizione e non, invece, in un momento successivo. Invero, per un verso, non è addotto alcun elemento specifico per ritenere che siano stati violati i protocolli per la preparazione dei bancali di spedizione; dall’altro, n si spiega perché la catena del freddo non potrebbe essersi interrotta o alterata durante il trasporto o dopo la consegna, o perché deve ragionevolmente escludersi una contaminazione al momento della consegna dei mitili al dettagliante o comunque nella successiva fase gestita da quest’ultimo.
La fondatezza delle censure enunciate nel terzo motivo impone l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, per un nuovo esame relativo
all’individuazione, al di là di ogni ragionevole dubbio, del momento in cui verificata l’alterazione della carica microbica.
A tal fine, il Giudice del rinvio valuterà tutti gli atti disponibili e proce ulteriori acquisizioni istruttorie ritenute utili, al fine di accertare, nel canone di cui all’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., quando è avvenuta contaminazione batterica, e, quindi, di individuare il soggetto o i soggetti a è riferibile la responsabilità della gestione, in quel momento, della sos alimentare di cui all’imputazione.
Solo all’esito di tali verifiche, e sempre che si accerti la riferibi contaminazione batterica all’attività dell’impresa degli attuali ricorr procederà alla verifica della sussistenza dell’elemento soggettivo in capo stessi, nonché, in via ulteriormente eventuale, dell’applicabilità della causa punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., e, infine, alla determinaz trattamento sanzionatorio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Ancona, in diversa persona fisica.
Così deciso il 15/12/2023