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Responsabilità alimentare e catena del freddo

La Corte di Cassazione ha annullato la condanna per due amministratori di un’azienda ittica accusati di aver commercializzato molluschi con carica batterica superiore ai limiti. La sentenza chiarisce un punto fondamentale sulla responsabilità alimentare: la colpevolezza del produttore non può essere presunta. È onere dell’accusa dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, che la contaminazione sia avvenuta prima che il prodotto lasciasse l’azienda e non in una fase successiva, come il trasporto o la conservazione presso il rivenditore. In assenza di tale prova, la condanna è illegittima.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Responsabilità alimentare: chi paga se la catena del freddo si interrompe?

La questione della responsabilità alimentare è un tema cruciale per produttori, distributori e consumatori. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 3026/2024) ha fornito chiarimenti fondamentali su dove finisce la responsabilità del produttore e dove inizia quella degli altri attori della filiera, specialmente quando si parla di interruzione della catena del freddo. Il caso riguardava la commercializzazione di molluschi che, una volta giunti a destinazione, presentavano una carica batterica superiore ai limiti di legge.

I fatti del caso

Due amministratori di una cooperativa ittica venivano condannati in primo grado per aver venduto una partita di molluschi bivalvi vivi contaminati da Escherichia Coli. Le analisi, eseguite presso l’azienda acquirente, avevano rivelato il superamento dei limiti consentiti. Gli imputati, tuttavia, hanno sempre sostenuto la loro innocenza, presentando ricorso in Cassazione. La loro difesa si basava su un punto cruciale: avevano le prove che il prodotto era perfettamente conforme alla legge al momento della spedizione, grazie a controlli effettuati da un laboratorio accreditato. La contaminazione, a loro dire, doveva essere avvenuta in una fase successiva, fuori dal loro controllo: durante il trasporto o presso il magazzino del compratore.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso degli imputati, annullando la sentenza di condanna e rinviando il caso a un nuovo giudice per un riesame completo. La decisione si fonda sull’assenza di una prova certa riguardo al momento esatto in cui è avvenuta la contaminazione batterica. I giudici di Cassazione hanno evidenziato come il tribunale di merito avesse dato per scontata la colpevolezza dei produttori, senza considerare adeguatamente le altre possibili cause dell’alterazione del prodotto.

Le motivazioni: l’incertezza sulla responsabilità alimentare

Il cuore della sentenza risiede nel principio del “ragionevole dubbio”. La Corte ha stabilito che per affermare la responsabilità alimentare penale del produttore, non è sufficiente accertare che il prodotto finale sia contaminato. È necessario che l’accusa provi, senza ombra di dubbio, che la causa della contaminazione sia direttamente attribuibile alla fase di produzione o preparazione gestita dal produttore stesso. Nel caso specifico, la proliferazione batterica poteva essere stata causata da molteplici fattori successivi alla consegna al trasportatore:
* Un’interruzione della catena del freddo durante il viaggio.
* Una manipolazione non igienica della merce allo scarico.
* Una conservazione inadeguata presso il rivenditore.

La stessa testimonianza della tecnica che ha eseguito le analisi aveva confermato che la proliferazione batterica è un processo esponenziale che può essere innescato da una scorretta conservazione. Il tribunale di primo grado, invece, aveva ingiustamente addossato ai produttori l’onere di provare la propria innocenza, invertendo di fatto l’onere della prova. La Cassazione ha ribadito che spetta sempre all’accusa dimostrare la colpevolezza dell’imputato, individuando con certezza il momento e la causa del deterioramento.

Conclusioni

Questa sentenza rappresenta un importante baluardo a tutela dei produttori alimentari che operano nel rispetto delle norme. Essa chiarisce che la responsabilità non è automatica e non può basarsi su mere presunzioni. Le aziende che possono documentare l’adozione di rigorosi protocolli di controllo e la conformità del prodotto al momento della spedizione hanno un’arma di difesa concreta. Per l’intera filiera agroalimentare, questa decisione sottolinea l’importanza di una gestione attenta e tracciabile di ogni fase, dal trasporto allo stoccaggio, poiché la responsabilità può essere individuata in capo a chiunque abbia causato l’interruzione della catena di sicurezza e qualità del prodotto.

Quando un produttore alimentare è penalmente responsabile per la contaminazione di un prodotto?
Secondo la sentenza, il produttore è responsabile solo se l’accusa riesce a provare, oltre ogni ragionevole dubbio, che la contaminazione è avvenuta durante la fase di produzione o comunque prima che il prodotto venisse consegnato al trasportatore, uscendo dalla sua sfera di controllo.

Se un alimento risulta contaminato presso il rivenditore, la colpa è automaticamente del produttore?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che non esiste alcuna presunzione di colpa. La responsabilità deve essere accertata concretamente, escludendo che l’alterazione del prodotto sia avvenuta in fasi successive alla produzione, come il trasporto o la conservazione da parte di terzi.

Cosa significa “annullamento con rinvio” in questo caso?
Significa che la sentenza di condanna è stata cancellata. Il processo dovrà essere celebrato nuovamente davanti a un altro giudice, il quale dovrà riesaminare tutte le prove e le testimonianze per accertare con precisione in quale momento della filiera si sia verificata la contaminazione, seguendo i principi stabiliti dalla Corte di Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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