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Responsabilità 231: non basta il reato presupposto

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di condanna nei confronti di due società per illecito amministrativo dipendente da reato. La Corte ha stabilito che per affermare la responsabilità 231 di un ente non è sufficiente provare la commissione del reato presupposto (in questo caso, indebita percezione di erogazioni pubbliche) da parte di una persona fisica. È necessario che il giudice accerti in modo autonomo e specifico gli ulteriori elementi richiesti dalla normativa: il rapporto qualificato tra l’autore del reato e l’ente, l’interesse o il vantaggio per l’ente, e soprattutto la cosiddetta ‘colpa di organizzazione’. La Corte d’appello aveva erroneamente dedotto la responsabilità delle società in via automatica, senza svolgere queste verifiche essenziali.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Responsabilità 231: La Cassazione Annulla la Condanna, Non Basta il Reato Presupposto

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 17664/2025) ha riaffermato un principio fondamentale in materia di responsabilità 231: la condanna di una società non può essere una conseguenza automatica del reato commesso da un suo amministratore o dipendente. Per affermare la responsabilità dell’ente, il giudice deve condurre un’indagine autonoma e approfondita sulla sussistenza di specifici requisiti, tra cui la ‘colpa di organizzazione’.

I Fatti del Caso: Contributi Pubblici e Pagamenti Posticipati

Due società erano state condannate in primo e secondo grado per l’illecito amministrativo previsto dal D.Lgs. 231/2001, in relazione al reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.).

Le aziende, per ottenere l’erogazione dell’ultima tranche di un contributo pubblico legato a un patto territoriale, avevano presentato documentazione che attestava l’integrale pagamento dei lavori e delle forniture. L’accusa, tuttavia, ha dimostrato che i pagamenti ai fornitori, effettuati tramite assegni bancari, erano stati in realtà incassati solo dopo l’ottenimento del contributo statale. In pratica, le società avevano utilizzato i fondi pubblici appena ricevuti per saldare i debiti che, sulla carta, risultavano già estinti.

La Corte di Appello aveva confermato la condanna, ritenendo che la presentazione di attestazioni non veritiere sul completamento dei pagamenti integrasse il reato presupposto e, di conseguenza, l’illecito amministrativo dell’ente.

L’Errore della Corte di Appello sulla Responsabilità 231

Le società hanno presentato ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni. La più importante e decisiva riguardava il modo in cui i giudici di merito avevano accertato la loro responsabilità.

Secondo le difese, la Corte d’Appello si era limitata a dare per provato il reato presupposto commesso dalla persona fisica, inferendo da questo, in modo automatico, la responsabilità della società. Questo approccio, definito ‘di rimbalzo’, è stato duramente censurato dalla Suprema Corte.

La responsabilità 231 non è una forma di responsabilità oggettiva o indiretta. Al contrario, essa è autonoma rispetto a quella penale della persona fisica e si fonda su presupposti propri che devono essere rigorosamente accertati dal giudice.

La Struttura Complessa dell’Illecito dell’Ente

L’illecito amministrativo previsto dal D.Lgs. 231/2001 è una fattispecie complessa che richiede la prova di più elementi:

1. Elementi Oggettivi:
* La commissione di uno dei reati presupposto previsti dal decreto.
* Un rapporto qualificato tra l’autore del reato e l’ente (posizione apicale o di subordinazione).
* La commissione del reato nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

2. Elemento Soggettivo:
* La cosiddetta ‘colpa di organizzazione’, che varia a seconda che il reato sia stato commesso da un soggetto apicale o da un sottoposto.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto i motivi di ricorso su questo punto cruciale. Ha spiegato che il D.Lgs. 231/2001 ha deliberatamente evitato un modello di responsabilità ‘di rimbalzo’. Non basta dire ‘la persona fisica ha commesso il reato, quindi la società è responsabile’.

I giudici di legittimità hanno rilevato che la Corte d’Appello aveva completamente omesso di verificare gli elementi costitutivi della responsabilità dell’ente. In particolare, la sentenza impugnata non aveva accertato:

* Se l’autore del reato avesse un rapporto qualificato con le società.
* Se il reato fosse stato commesso per un interesse o vantaggio concreto per le società.
* Soprattutto, se sussistesse una colpevolezza di organizzazione in capo agli enti, ovvero se questi avessero mancato di adottare ed efficacemente implementare modelli organizzativi idonei a prevenire quel tipo di reato.

Questa omissione ha reso la motivazione della sentenza d’appello meramente apparente e viziata, portando al suo annullamento con rinvio.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce con forza l’autonomia della responsabilità 231. La condanna di un ente non può mai essere data per scontata. Richiede un’indagine giudiziaria specifica e meticolosa che vada oltre la semplice commissione del reato presupposto. Le imprese sono chiamate a dimostrare di aver adottato modelli organizzativi efficaci, ma è onere dell’accusa provare tutti gli elementi, oggettivi e soggettivi, che fondano l’illecito amministrativo. Una mera derivazione della responsabilità dalla condotta individuale non è sufficiente e, come dimostra questo caso, conduce all’annullamento della sentenza di condanna.

La condanna di una società per un illecito amministrativo ai sensi del D.Lgs. 231/2001 può basarsi sulla sola commissione del reato da parte di un suo amministratore?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la responsabilità dell’ente non può essere inferita automaticamente dalla commissione del reato presupposto. È necessario un accertamento autonomo dei requisiti specifici richiesti dalla legge.

Cosa deve accertare il giudice per affermare la responsabilità 231 di un ente?
Il giudice deve verificare la sussistenza di tre elementi oggettivi (la commissione di un reato presupposto, un rapporto qualificato tra l’autore e l’ente, e un interesse o vantaggio per l’ente) e di un elemento soggettivo, ovvero la ‘colpa di organizzazione’ dell’ente stesso.

Il pagamento tramite assegno bancario estingue subito il debito?
No. La sentenza, richiamando la giurisprudenza civile, chiarisce che la consegna di un assegno bancario costituisce un pagamento ‘pro solvendo’. Ciò significa che il debito si considera estinto solo nel momento dell’effettiva riscossione della somma da parte del creditore, non alla semplice consegna dell’assegno.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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