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Responsabilità 231: irretroattività e frode forniture

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che applicava una misura interdittiva a una società per frode in pubbliche forniture. La decisione si fonda sul principio di irretroattività, poiché la condotta fraudolenta principale è avvenuta prima che il reato presupposto fosse incluso nel novero della responsabilità 231. La Corte ha chiarito che le attività successive, come il collaudo, non possono fondare la responsabilità se non è provato che fossero parte di un piano criminoso iniziale. Si tratta di un’importante precisazione sui limiti temporali della responsabilità degli enti.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

La responsabilità 231 non è retroattiva: la Cassazione fissa i paletti per la frode in pubbliche forniture

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cardine del nostro ordinamento: l’irretroattività della legge penale, applicandolo al complesso tema della responsabilità 231 degli enti. Il caso riguardava una società accusata di frode in pubbliche forniture per l’installazione di ascensori in un importante complesso di uffici pubblici. La Corte ha annullato con rinvio la misura interdittiva disposta nei confronti dell’azienda, fornendo chiarimenti cruciali su quando la condotta di un ente possa essere sanzionata.

Il Contesto: Una Fornitura Pubblica Sotto Accusa

Una società specializzata nella fornitura di ascensori si era vista applicare dal Tribunale del riesame una misura interdittiva cautelare: il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione per un anno. L’accusa era quella di illecito amministrativo dipendente dal reato di frode in pubbliche forniture (art. 356 c.p.).

Secondo la tesi accusatoria, la società aveva installato nel 2018 degli impianti non conformi alle specifiche tecniche pattuite nel contratto. La difesa dell’ente, tuttavia, sollevava una questione determinante: il reato di frode in pubbliche forniture è stato inserito nel catalogo dei reati che fondano la responsabilità 231 solo nel luglio 2020. Poiché la fornitura e l’installazione degli ascensori erano avvenute nel 2018, la società sosteneva di non poter essere sanzionata per un fatto che, all’epoca, non costituiva illecito amministrativo per l’ente.

Il Tribunale del riesame aveva rigettato questa tesi, sostenendo che la condotta illecita si fosse protratta nel tempo, includendo le attività di collaudo e manutenzione avvenute dopo il 2020, rendendo così applicabile la nuova normativa.

La Questione Chiave: l’Applicazione della Legge nel Tempo e la responsabilità 231

Il cuore della controversia risiede nell’articolo 2 del D.Lgs. 231/2001, che recepisce il principio di legalità e irretroattività. Un ente non può essere ritenuto responsabile se la sua responsabilità per un determinato reato non era espressamente prevista da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto.

La Procura sosteneva una visione ‘prolungata’ del reato, ma la Cassazione ha ritenuto questa interpretazione non adeguatamente motivata. La condotta fraudolenta, infatti, si era concretizzata nella fornitura di beni non conformi nel 2018. Le attività successive, come i tentativi di collaudo o le manutenzioni, potevano rilevare solo se fosse stata fornita la prova che esse erano state programmate sin dall’inizio per nascondere l’inadempimento doloso originale. In assenza di tale prova, queste attività successive non possono ‘trascinare’ la condotta originaria nel campo di applicazione di una legge successiva.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto i primi due motivi di ricorso della società, annullando l’ordinanza e rinviando il caso a un nuovo giudizio. I giudici hanno evidenziato due carenze principali nella motivazione del Tribunale del riesame.

In primo luogo, è stato criticato l’approccio alla questione temporale. La Cassazione ha specificato che, per superare il principio di irretroattività, non è sufficiente affermare che l’attività dell’azienda sia continuata dopo l’entrata in vigore della nuova legge. È necessario dimostrare in modo convincente che le condotte successive al 2020 fossero state programmate fin dall’inizio come parte integrante del piano fraudolento. Separare la fornitura iniziale dalle attività successive è fondamentale: se la fornitura del 2018 è un fatto esaurito, essa non può essere sanzionata ai sensi del D.Lgs. 231.

In secondo luogo, la Corte ha ribadito che per configurare il delitto di frode in pubbliche forniture non basta un semplice inadempimento, seppur doloso. La norma richiede una ‘malafede contrattuale’, ovvero un espediente malizioso o ingannevole volto a far apparire l’esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti. Nel provvedimento impugnato, non era chiaro quale fosse stata, concretamente, la condotta decettiva: la semplice fornitura di beni diversi o la successiva mancata esecuzione dei collaudi a norma di legge.

le motivazioni

La decisione della Cassazione si fonda sul rigoroso rispetto del principio di irretroattività sancito dall’art. 2 del D.Lgs. 231/2001. I giudici hanno ritenuto che la motivazione del Tribunale del riesame non fosse adeguata a superare questo principio fondamentale. Le attività di collaudo e manutenzione, se scollegate da un piano iniziale volto a dissimulare la frode, non possono integrare il presupposto per la responsabilità 231, in quanto la condotta fraudolenta principale (la fornitura) si era già consumata prima della modifica legislativa del 2020.

Inoltre, la Corte ha sottolineato la necessità di individuare una condotta qualificata di malafede contrattuale per poter parlare di frode in pubbliche forniture, e non un mero inadempimento. La mancanza di chiarezza su questo punto nel provvedimento impugnato ha contribuito all’annullamento.

le conclusioni

Questa sentenza rappresenta un importante monito per l’applicazione della responsabilità 231. Ribadisce che l’estensione della responsabilità a un ente non può prescindere da una rigorosa verifica dei presupposti, primo fra tutti quello temporale. Le aziende non possono essere sanzionate per fatti commessi quando la legge non lo prevedeva. Per i casi di reati ‘prolungati’ o con attività successive, l’accusa ha l’onere di provare che tali attività fossero parte di un unico disegno criminoso concepito prima del cambiamento normativo. Un principio di garanzia che tutela la certezza del diritto e previene applicazioni retroattive delle norme sanzionatorie.

Quando un ente può essere ritenuto responsabile ai sensi del D.Lgs. 231/2001 per un reato?
Un ente può essere ritenuto responsabile solo se la sua responsabilità amministrativa per un determinato reato presupposto e le relative sanzioni sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto. Non è possibile applicare retroattivamente la normativa.

Cosa ha stabilito la Corte riguardo all’applicazione nel tempo della legge sulla responsabilità 231?
La Corte ha stabilito che la condotta illecita deve essere valutata al momento in cui è stata commessa. Se il reato presupposto è stato inserito nel catalogo del D.Lgs. 231 in un momento successivo alla condotta principale (es. la fornitura), l’ente non può essere sanzionato. Le attività successive (es. collaudo, manutenzione) rilevano solo se è provato che facevano parte di un piano iniziale, concepito per nascondere la frode, e non come condotte autonome.

Cosa è necessario per configurare il delitto di frode in pubbliche forniture secondo la Cassazione?
Non è sufficiente un semplice inadempimento doloso del contratto. È necessaria una condotta qualificabile come ‘malafede contrattuale’, ovvero la messa in atto di un espediente malizioso o ingannevole, idoneo a far apparire l’esecuzione del contratto come conforme agli obblighi assunti, quando in realtà non lo è.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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