Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 4535 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 4535 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso l’ordinanza del Tribunale di Salerno del 25/07/2024;
visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto che il ricorso venga rigettato; sentito il difensore della società ricorrente, Avvocato NOME COGNOME in sostituzione dell’Avvocata NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Salerno con ordinanza del 25 luglio 2024 ha rigettato l’appello formulato dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso l’ordinanza del Gip del 14 maggio 2024 che ha applicato alla stessa – in relazione alla contestazione provvisoria di cui all’art. 24 d.lgs. n. 231 del 2001 (reato
presupposto: art. 356 cod. pen. a carico di COGNOME NOME e COGNOME NOME, rispettivamente, legale rappresentante e amministratore di fatto della medesima) – quale misura interdittiva in via cautelare, ex art. 45 del d.lgs. n. 231, il divieto per la durata di un anno di contrattare con la P.A.
Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame propone ricorso l’ente, che deduce cinque motivi, reiterativi delle doglianze formulate nell’appello.
2.1. Con il primo motivo si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione per avere ritenuto i Giudici della cautela configurabile a carico della società l’illecito ex d.lgs. n. 231 nonostante la fattispecie di cui all’art. 356 cod. pen. sia divenuta reato presupposto solo per effetto dell’art. 5 del d.lgs. n. 75 del 2020 (entrato in vigore il 30 luglio del 2020) mentre, si sostiene, la condotta ascrivibile all’ente è precedente a tale data. Sul punto, si evidenzia che l’ultimazione dei lavori fornitura degli ascensori – ascrivibile alla ricorrente risale al 3 agosto del 2018 mentre tutta l’attività successiva (di cui peraltro si contesta l’asserita illiceità e ogni caso si sostiene essere antecedente al 30 luglio del 2020) attiene al collaudo degli stessi. Si deduce quindi che non è possibile – pena la violazione del principio di irretroattività del trattamento sanzionatorio – applicare all’ente un illecito che non esisteva al momento in cui si collocherebbero le presunte attività fraudolente.
Sotto altro, e correlato, profilo si eccepisce che, essendo trascorso al momento dell’intervento del primo atto interruttivo della prescrizione dell’illecito (ossia la richiesta del PM di applicazione della misura cautelare interdittiva) un periodo eccedente i cinque anni dall’ultimazione della condotta ascrivibile all’ente, l’illecito stesso sarebbe in ogni caso prescritto ai sensi art. 22 d.lgs. n. 231 del 2001.
2.2. Con il secondo motivo l’ente deduce la non configurabilità dei presupposti per l’applicazione della misura interdittiva cautelare, in riferimento: a) all’assenza di un “profitto di rilevante entità 11 (asserito in modo apodittico dai Giudici della cautela ma in alcun modo dimostrato dagli atti che, al contrario, evidenziano che dall’operazione in esame l’ente ha subito una perdita economica); b) alla radicale mancanza di “gravi indizi di colpevolezza” a carico dell’ente (in merito alla commissione del delitto presupposto da parte degli “apicali” del medesimo), dovendosi il malfunzionamento degli ascensori ricondursi ad un cattivo uso dei medesimi, impiegati, contrariamente alla loro destinazione, a “montacarichi di cantiere” e per le operazioni di trasloco di mobili e materiale pesante in occasione del trasferimento nei locali degli uffici della Procura della Repubblica; c) all’assenza di concreti rischi di reiterazione degli illeciti, rischi anche in questo caso solo affermati in modo apodittico, ma non dimostrati.
2.3. Con il terzo motivo si deduce “eccesso di potere giurisdizionale”, per non essersi il Tribunale del riesame confrontato con le decisioni adottate in sede civile GLYPH 2
che hanno ritenuto non dimostrata la condotta inadempiente relativa all’appalto in oggetto.
2.4. Con il quarto motivo si censura la decisione del Tribunale del riesame che ha respinto la richiesta di sospensione della misura interdittiva per l’avvenuta adozione in data 13 dicembre 2022 del modello organizzativo, sostenendosi che illegittima risulta l’argomentazione secondo la quale l’art. 49 del d.lgs. n. 231 non potrebbe applicarsi se non quando la misura abbia avuto esecuzione.
2.5. Con il quinto motivo, infine, si deduce l’illegittimità dell’ordinanza del Tribunale che ha rigettato la richiesta di nomina di un commissario giudiziario, per la quale, nell’ottica di consentire la continuità aziendale, vi erano tutti i presupposti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è parzialmente fondato.
In particolare, risultano fondati i primi due motivi.
2.1. Dal testo dell’ordinanza impugnata risulta che quantomeno una parte dei lavori oggetto della commessa contestata all’ente (ossia la fornitura di ascensori per la “cittadella giudiziaria” di Salerno che non corrisponderebbero alle specifiche pattuite) sono antecedenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 75 del 2020. Sul punto, il Tribunale del riesame (pag. 9 s.) fa riferimento alla giurisprudenza di legittimità secondo la quale per accertare il momento consumativo del reato di cui all’art. 356 cod. pen. è necessario verificare come la fase dell’inadempimento contrattuale assuma connotazioni diverse a seconda della tipologia del negozio stipulato, richiamandosi il principio secondo cui il delitto di frode in pubbliche forniture, quando riguardi contratti di somministrazione di beni o servizi, assume la struttura di un reato a consumazione prolungata, connotato da pluralità delle condotte (Sez. 6, n. 12673 del 06/02/2020, COGNOME, Rv. 278752). Atteso che il “contratto di fornitura” stipulato tra l’appaltatore RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE è del 24.05.2017 e che esso contemplava a carico dell’ente indagato, oltre alla fornitura e posa in opera degli ascensori, anche attività di collaudo e manutenzione degli stessi (che si è protratta ben oltre il 30 luglio 2020), si conclude che l’esecuzione delle prestazioni da parte di RAGIONE_SOCIALE (nell’ambito delle quali si sarebbero verificate le condotte fraudolente) non possono ritenersi cessate al 3 agosto 2018, in quanto a tale data gli ascensori “non erano stati ancora collaudati né immatricolati” (la procedura di collaudo secondo le prescrizioni della direttiva 2014/33/UE si è conclusa solo negli anni 2022/2023: pag. 11). Dunque, evidenzia il Tribunale del riesame, “trattasi di condotta maliziosamente volta a dissimulare la dolosa errata esecuzione del contratto, protrattasi negli anni 2021-2023,
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allorquando l’Amministrazione, a causa delle severe criticità poste in essere nella fase di installazione e manutenzione doveva assumere ulteriori oneri di manutenzione straordinaria … per mettere in sicurezza gli impianti, che venivano collaudati secondo l’allegato V della direttiva … solo nel 2022-2023″.
2.2. Tale motivazione non risulta adeguata. L’art. 2 del d.lgs. n. 231 del 2001 stabilisce che l’ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto. E’ pacifico che gli ascensori sono stati installati e consegnati nel 2018 (quando l’art. 356 cod. pen. non rientrava nel catalogo dei “reati presupposti” della responsabilità degli enti) e la condotta fraudolenta sarebbe consistita nella fornitura di beni che, per caratteristiche tecniche, non corrispondevano a quanto stabilito. Le attività ulteriori “volte a dissimulare la dolosa errata esecuzione del contratto” – se scollegate dalla iniziale fornitura, che ratione temporis non rileva come illecito ex d.lgs. n. 231 – non possono integrare il presupposto della responsabilità amministrativa dipendente da reato. Sarebbe a tal fine necessario dimostrare che le condotte poste in essere dall’ente dopo il 30 giugno 2020 fossero sin dall’inizio programmate al fine di nascondere il doloso inadempimento, circostanza che, però, non emerge in modo convincente dal testo del provvedimento impugnato.
Per quanto concerne i presupposti della responsabilità amministrativa dell’ente, il Tribunale (pag. 12 s.) motiva, quanto alla gravità indiziaria, riportandosi alle considerazioni del Gip, mentre sulla rilevante entità del profitto indica l’esistenza di un cospicuo “risparmio di spesa” correlato al minor costo degli impianti (di qualità inferiore a quella pattuita); il pericolo di reiterazione viene invece dedotto dall’assenza di un idoneo modello organizzativo per la prevenzione dei reati, dalla particolare abilità dissimulatoria dimostrata, nonchè dal fatto che RAGIONE_SOCIALE è una società attiva che ha in essere appalti con altre P.A.
3.1. Peraltro, questa Sezione ha già avuto modo di precisare che ai fini della configurabilità del delitto di frode nelle pubbliche forniture, non è sufficiente il semplice inadempimento doloso del contratto, richiedendo la norma incriminatrice una condotta qualificabile in termini di malafede contrattuale, consistente nel porre in essere un espediente malizioso o ingannevole, idoneo a far apparire l’esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti (Sez. 6, n. 25372 del 17/05/2023, Marino, Rv. 284883 – 01; Sez. 6, n. 29374 del 14/09/2020, Sale, Rv. 279679 – 01). Nella specie, non è chiaro quale, secondo, la prospettazione del Tribunale cautelare, sia la condotta decettiva posta in essere. Invero, da un lato, si fa riferimento alla fornitura di beni che, per caratteristiche tecniche, non corrispondevano a quanto stabilito, mentre, dall’altro lato, le attività ulteriori
“volte a dissimulare la dolosa errata esecuzione del contratto” sembrano consistere nella mancata esecuzione dei collaudi a norma di legge; condotte omissive che appaiono prive di finalità ingannatorie, rientrando al più nella mancata esecuzione della prestazione pattuita.
In relazione ad entrambi i profili sopra indicati, si impone pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio su detti punti al Tribunale del riesame di Salerno.
5. Infondati, invece, risultano i residui motivi.
5.1. In ordine alla denuncia di “eccesso di potere giurisdizionale” in riferimento ai provvedimenti adottati dal Giudice civile (oggetto del terzo motivo del ricorso), la censura non si confronta con il testo dell’ordinanza impugnata (pag. 15). Sul punto, il Tribunale del riesame ha infatti rilevato che il provvedimento civile richiamato (ordinanza ex art. 696 bis cod. proc. civ. emessa dal Tribunale di Salerno), che è stato adottato a seguito di ricorso proposto dal Ministero della Giustizia nei confronti società diverse dalla ricorrente (tra cui la appaltatrice RAGIONE_SOCIALE), si è limitato “a rigettare la richiesta di consulenza tecnica preventiva, non ravvisando, vista la complessità delle questioni tecniche prospettate e le molteplici questioni di merito sollevate da tutte le parti, la finalità deflattiva e conciliativ richiesta dallo strumento azionato”. Detto provvedimento, peraltro, “non affronta nel merito l’eziologia del malfunzionamento degli impianti e non ha alcuna valenza in punto di valutazione dei gravi indizi di colpevolezza dei delitti presupposto”.
Le censure della ricorrente sul punto – a prescindere dalla eccentricità della denuncia di un “eccesso di potere” giurisdizionale – risultano meramente reiterative del simmetrico motivo del riesame, rigettato con motivazione non illogica e dunque insindacabile in sede di legittimità, e quindi sono inammissibili.
5.2. Per quanto concerne il quarto motivo, il Tribunale del riesame (pag. 15 s.), oltre a condividere le conclusioni del Gip circa la inapplicabilità della disciplina dell’art. 49 d.lgs. n. 231 se non dopo che la misura abbia avuto esecuzione, evidenzia che il modello organizzativo in ogni caso non risulta idoneo a prevenire la commissione dei reati presupposto in quanto esso non contempla una mappatura completa del rischio reato e non risultano documentati controlli da parte dell’OdV (la società aveva nominato solo un avvocato con un budget assai ridotto: 2.500 euro annui e solo il 29 maggio 2024 si è decisa a istituire un organismo collegiale composto da due componenti esterni e uno interno).
A prescindere dalla questione relativa alla applicabilità o meno di tale disciplina prima che la misura cautelare interdittiva abbia avuto esecuzione profilo sul quale non è necessario soffermarsi in questa sede – la motivazione in
ordine alla inidoneità del modello proposto appare congrua e le doglianze della ricorrente su tale profilo sono del tutto generiche.
5.3. Infondata risulta infine anche la censura relativa alla mancata nomina del Commissario giudiziario. Il rigetto della relativa richiesta si è fondato sulla mancata dimostrazione dello svolgimento da parte della società di “un pubblico servizio la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività o rilevanti ripercussioni sull’occupazione”. Questa Corte ha chiarito che la nomina del commissario rappresenta una misura del tutto diversa da quelle interdittive cautelari, per natura e funzioni, alternativa rispetto ad esse nonché precipuamente volta ad evitarne alcuni “effetti collaterali” poiché essa è «diretta ad evitare che l’accertata responsabilità dell’ente si risolva in un pregiudizio per la collettività ogni qual volta la sanzione inflitta dal giudice incida sul servizio pubblico svolto dall’ente, provocandone l’interruzione, ovvero (…) provochi rilevanti ripercussioni sull’occupazione» (così Sez. 6, n. 40563 del 28/06/2022, COGNOME, Rv. 283985 – 02; Sez. 6, n. 43108 del 28/09/2011, RAGIONE_SOCIALE, P.v. 250846). Pertanto, incombe sull’ente la dimostrazione della sussistenza dei presupposti per tale nomina e sul punto il ricorso risulta del tutto silente.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Salerno competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen.
Così deciso il 19 dicembre 2024