Resistenza Passiva: Quando la Non-Collaborazione Diventa Reato
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4991/2024, è tornata a pronunciarsi sul delicato confine tra la resistenza passiva non punibile e la resistenza attiva, che integra il reato previsto dall’art. 337 del codice penale. Questa decisione offre un importante chiarimento su quali comportamenti superino la soglia della mera non collaborazione, diventando penalmente rilevanti. Analizziamo insieme i dettagli di questo caso e le conclusioni della Suprema Corte.
I Fatti del Caso e il Percorso Giudiziario
Il caso ha origine da un ricorso presentato da un imputato contro la sentenza della Corte di Appello che lo aveva condannato per il reato di resistenza a pubblico ufficiale. Secondo la difesa, il comportamento dell’imputato si sarebbe limitato a una semplice resistenza passiva, un contegno di mera opposizione non violenta che non avrebbe dovuto portare a una condanna penale.
Tuttavia, sia il tribunale di primo grado che la Corte di Appello avevano accertato una dinamica dei fatti diversa. In particolare, era emerso che l’imputato non si era limitato a un atteggiamento di non collaborazione, ma aveva attivamente spintonato il pubblico ufficiale. Proprio questo gesto è stato il fulcro della contestazione e della successiva condanna.
L’Inammissibilità del Ricorso in Cassazione
Il ricorrente ha tentato di portare le medesime argomentazioni dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo un vizio di motivazione e una violazione di legge da parte della Corte di Appello. La Suprema Corte, però, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Il motivo è strettamente procedurale ma di fondamentale importanza: il ricorso era una semplice riproduzione delle stesse censure già adeguatamente esaminate e respinte nel grado precedente. L’imputato, di fatto, stava chiedendo alla Cassazione di effettuare una nuova valutazione dei fatti (una “rivalutazione di risultanze processuali”), un compito che non rientra nelle competenze del giudice di legittimità, il quale può pronunciarsi solo su questioni di diritto.
Le Motivazioni della Decisione
Le motivazioni della Corte sono chiare e lineari. La Cassazione sottolinea come la Corte di Appello avesse già fornito una spiegazione logica e coerente per cui il comportamento dell’imputato non poteva essere qualificato come resistenza passiva. L’atto di spintonare un pubblico ufficiale è un’azione fisica che va oltre la semplice inerzia o il rifiuto di obbedire. Si tratta di un’azione che ostacola attivamente l’operato del pubblico ufficiale, integrando così gli estremi del reato di cui all’art. 337 c.p.
La Corte ribadisce un principio consolidato: il giudizio di legittimità non è un terzo grado di merito. Non è possibile, in sede di Cassazione, rimettere in discussione l’accertamento dei fatti come compiuto dai giudici dei gradi precedenti, a meno che non emergano vizi logici manifesti o errori di diritto, cosa che in questo caso non è avvenuta. La richiesta della difesa di riconsiderare le prove è stata quindi ritenuta preclusa. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza consolida l’orientamento giurisprudenziale sulla netta distinzione tra resistenza attiva e passiva. Le conclusioni che possiamo trarre sono le seguenti:
1.  Limite della Resistenza Passiva: La non punibilità della resistenza passiva è circoscritta a comportamenti di pura omissione o di non collaborazione, come il rifiuto di muoversi o di seguire un ordine, purché non si traduca in un’azione fisica diretta contro l’agente.
2.  Rilevanza della Condotta Fisica: Qualsiasi atto fisico, anche se di lieve entità come uno spintone, volto a impedire o ostacolare l’attività di un pubblico ufficiale, è sufficiente per configurare il reato di resistenza.
3.  Limiti del Ricorso in Cassazione: La decisione riafferma che non è possibile utilizzare il ricorso in Cassazione per ottenere una nuova valutazione delle prove e dei fatti. L’appello alla Suprema Corte deve concentrarsi esclusivamente sulla corretta applicazione delle norme di legge e sulla coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata.
 
Cosa distingue la resistenza passiva da quella attiva secondo questa ordinanza?
La resistenza passiva è un comportamento di mera non collaborazione, senza violenza o minaccia. La resistenza attiva, invece, implica un’azione fisica, come spintonare un pubblico ufficiale, che ostacola il suo operato e costituisce reato.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché riproponeva le stesse argomentazioni già respinte dalla Corte d’Appello e chiedeva alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti del caso, un compito che non rientra nelle sue competenze di giudice di legittimità.
Spingere un pubblico ufficiale è considerato reato?
Sì, secondo la Corte, l’atto di spintonare un pubblico ufficiale non è qualificabile come resistenza passiva, ma integra pienamente il reato di resistenza a un pubblico ufficiale previsto dall’art. 337 del codice penale.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4991 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 4991  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a COSENZA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/03/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminato il ricorso di NOME
OSSERVA
Ritenuto che il motivo con cui si deducono vizi di motivazione e violazione di legge ordine alla contestata ipotesi di cui all’art. 337 cod. pen. è riproduttivo di identica adeguatamente confutata dalla Corte di appello che ha messo in risalto come il ricorrente non si fosse limitato ad assumere un contegno qualificabile in termini di resistenza passiva, avesse spintonato il pubblico ufficiale, conclusione che la difesa tenta di confutare attraver preclusa richiesta a questa Corte di una rivalutazione di risultanze processuali adeguatament apprezzate nelle competenti sedi di merito;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore dell Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 19/01/2024.