Resistenza Passiva: La Cassazione e i Limiti del Ricorso Inammissibile
L’ordinanza in esame offre un’importante lezione sulla differenza tra la difesa nel merito e i requisiti di ammissibilità di un ricorso in Cassazione. Il caso verte sulla contestazione di una condanna per resistenza a pubblico ufficiale, fondata sulla tesi difensiva della resistenza passiva, ma la Corte Suprema si concentra su un aspetto puramente processuale: la corretta formulazione dei motivi di ricorso.
I Fatti del Processo
Un cittadino veniva condannato in primo grado e successivamente in appello per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, previsto dall’articolo 337 del codice penale. La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza del 21 novembre 2023, confermava la sua colpevolezza.
Contro tale decisione, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge e vizi di motivazione. Il nucleo della sua difesa si basava sull’argomento che il suo comportamento non fosse qualificabile come resistenza attiva e violenta, bensì come mera resistenza passiva, un’opposizione non diretta contro gli agenti di polizia.
L’inammissibilità come ostacolo insormontabile
Il ricorrente, nel suo atto, cercava di rimettere in discussione la qualificazione giuridica dei fatti, sostenendo che la sua condotta non integrasse gli estremi del reato contestato. Tuttavia, la sua iniziativa si è scontrata con un principio fondamentale del giudizio di legittimità.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 25 ottobre 2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della distinzione tra resistenza attiva e passiva, ma si ferma a un gradino precedente, quello dei requisiti formali e sostanziali del ricorso stesso.
La Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, ritenendo che non vi fosse assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
Le motivazioni: perché il ricorso è inammissibile?
La ragione della decisione è netta e istruttiva. La Corte ha stabilito che il ricorso non era altro che una “riproposizione di doglianze tutte già compiutamente esaminate e disattese dai giudici d’appello”. In altre parole, l’imputato si è limitato a ripetere le stesse argomentazioni già presentate e respinte nel precedente grado di giudizio.
Il punto cruciale, sottolineato dai giudici, è che il ricorso “elude qualsiasi confronto critico” con le argomentazioni della sentenza impugnata. Per essere ammissibile, un ricorso in Cassazione non può limitarsi a riaffermare la propria tesi; deve, invece, attaccare specificamente la logica e le motivazioni della decisione della Corte d’Appello, dimostrando dove e perché i giudici di secondo grado avrebbero sbagliato.
Le conclusioni: implicazioni pratiche della decisione
Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale per chiunque intenda adire la Corte di Cassazione. Il giudizio di legittimità non è un terzo grado di merito dove si possono semplicemente ripresentare le proprie difese. È, invece, una sede di controllo sulla corretta applicazione della legge e sulla coerenza logica della motivazione delle sentenze precedenti.
La conseguenza pratica è chiara: un ricorso che non si confronta criticamente con la sentenza impugnata, ma si limita a riproporre le stesse tesi, è destinato all’inammissibilità. Questo comporta non solo la conferma della condanna, ma anche l’aggiunta di ulteriori oneri economici per il ricorrente, come le spese processuali e la sanzione a favore della Cassa delle ammende.
Qual è il motivo principale per cui il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché si limitava a riproporre le stesse argomentazioni (doglianze) già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, senza confrontarsi criticamente con le motivazioni della sentenza impugnata.
Cosa sosteneva il ricorrente riguardo al suo comportamento?
Il ricorrente sosteneva che il suo comportamento dovesse essere qualificato come “resistenza passiva” e non come resistenza diretta contro gli operatori di polizia, e che pertanto non sussistesse il reato contestato.
Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente a seguito della dichiarazione di inammissibilità?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43059 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43059 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/11/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME impugna la sentenza in epigrafe indicata, che ne ha confermato la condanna per il delitto di cui all’art. 337, cod. pen..
Il ricorso lamenta violazione di legge e vizi di motivazione in punto di sussistenza del reato, essendosi trattato di resistenza passiva e non diretta contro gli operatori di polizia.
Il ricorso è inammissibile, risolvendosi nella riproposizione di doglianze tutte già compiutamente esaminate e disattese dai giudici d’appello, con le cui argomentazioni il ricorso elude qualsiasi confronto critico.
All’inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equa in tremila euro, non ravvisandosi assenza di colpa della ricorrente nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 25 ottobre 2024.