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Resistenza passiva: quando divincolarsi è reato

La Corte di Cassazione affronta il tema della resistenza passiva durante una manifestazione. In un caso con due imputate, chiarisce che divincolarsi e dimenarsi per sottrarsi a un fermo non è resistenza passiva, ma integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale. La sentenza di una delle imputate è stata annullata per un vizio procedurale, ossia una discordanza tra il dispositivo letto in udienza e la motivazione scritta, con rinvio alla Corte d’Appello per un nuovo giudizio.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza passiva o reato? La Cassazione traccia il confine

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1072 del 2025, è intervenuta per chiarire i confini tra la resistenza passiva, penalmente irrilevante, e la condotta che integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale. Il caso, scaturito da una manifestazione di protesta, ha visto due donne impugnare la propria condanna, sollevando questioni sia di merito che procedurali di grande interesse. Questa pronuncia offre spunti fondamentali per comprendere quando un comportamento di opposizione durante un fermo di polizia superi la soglia della legalità.

I fatti di causa

La vicenda trae origine da una manifestazione di protesta durante la quale due donne venivano condannate dalla Corte di Appello di Torino per reati di resistenza e violenza a pubblico ufficiale. La prima ricorrente contestava la sua stessa identificazione come autrice del reato, ritenendola basata su elementi indiziari (un sopracciglio curato e le scarpe) non sufficientemente solidi. La seconda ricorrente, invece, basava il suo ricorso su tre distinti motivi: un grave vizio procedurale, la qualificazione della sua condotta come mera resistenza passiva e il mancato riconoscimento della non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Analisi dei motivi di ricorso e il concetto di resistenza passiva

Le doglianze presentate alla Suprema Corte erano eterogenee.

* Il vizio procedurale: La seconda ricorrente ha evidenziato una palese discrasia tra il dispositivo letto in udienza dalla Corte d’Appello, che la assolveva per particolare tenuità del fatto (ex art. 131-bis c.p.), e la successiva sentenza scritta che, al contrario, ne confermava la condanna. Questo errore è stato ritenuto dalla Cassazione un vizio sostanziale e non meramente formale.

* La qualificazione della condotta: Il punto centrale del ricorso della seconda imputata riguardava la natura della sua condotta. Secondo la difesa, l’essersi limitata a urlare, puntare i piedi e divincolarsi costituiva una forma di resistenza passiva, non punibile penalmente. Si sosteneva che non vi fosse stata un’aggressione attiva nei confronti degli agenti.

* La valutazione dell’identificazione: La prima ricorrente, invece, ha tentato di smontare il quadro probatorio alla base della sua identificazione, criticando la valutazione delle prove operata dai giudici di merito.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha analizzato separatamente le posizioni delle due ricorrenti, giungendo a conclusioni diverse.

Per la prima ricorrente, il ricorso è stato dichiarato inammissibile. I giudici hanno stabilito che le sue critiche non riguardavano un vizio di legittimità della sentenza, ma una contestazione della valutazione dei fatti (il cosiddetto ‘merito’), attività preclusa in sede di Cassazione. La motivazione della Corte d’Appello, basata su una pluralità di elementi (abbigliamento, un dato somatico e il riconoscimento di un operatore di polizia), è stata ritenuta logica e non manifestamente errata.

Ben più articolata la decisione sulla seconda ricorrente. La Corte ha accolto il primo motivo di ricorso, riconoscendo la gravità della discrasia tra dispositivo letto in udienza e motivazione depositata. Tale mutamento della decisione è stato considerato una “modificazione essenziale dell’atto”, non sanabile con una semplice correzione. Di conseguenza, la sentenza è stata annullata su questo punto, con rinvio a un’altra sezione della Corte d’Appello di Torino per un nuovo giudizio.

Cruciale è stata, però, la reiezione del secondo motivo, quello sulla resistenza passiva. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: non può definirsi “passiva” una resistenza che si connota per l’impiego di forza fisica in funzione antagonista all’operato del pubblico ufficiale. Strattonare, divincolarsi o, come nel caso di specie, “dimenarsi” al punto da rendere necessario l’intervento di più agenti per contenere la persona, non è una mera opposizione, ma un’azione di forza volta a neutralizzare l’operato pubblico e sottrarsi alla presa. Questa condotta, secondo la Corte, integra pienamente il reato di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.).

Le conclusioni

La sentenza in esame offre due importanti insegnamenti. Sul piano procedurale, riafferma il principio per cui la decisione del giudice si cristallizza nel momento della lettura del dispositivo in udienza, e qualsiasi successiva modifica sostanziale nella motivazione scritta è illegittima. Sul piano sostanziale, traccia una linea netta: la resistenza passiva si ferma dove inizia l’uso della forza fisica, anche se solo difensiva e non offensiva. L’atto di divincolarsi energicamente per sfuggire a un arresto o a un fermo non rientra nella categoria della non-violenza penalmente irrilevante, ma costituisce un reato, poiché costringe gli agenti a un ulteriore impiego di coazione fisica e ne ostacola l’attività.

Divincolarsi durante un fermo di polizia è considerato resistenza passiva?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che divincolarsi e “dimenarsi” per sottrarsi alla presa, impiegando forza fisica per neutralizzare l’azione del pubblico ufficiale, integra il reato di resistenza e non è una mera resistenza passiva, la quale è solo una forma di opposizione non violenta.

Cosa succede se c’è una differenza tra ciò che il giudice legge in aula e ciò che scrive nella sentenza?
Se la differenza riguarda un punto essenziale della decisione (come una condanna invece di un’assoluzione per tenuità del fatto), questa costituisce una “modificazione essenziale dell’atto” che non può essere corretta con una semplice procedura. Ciò porta all’annullamento della sentenza su quel punto, con rinvio a un nuovo giudice.

Un ricorso in Cassazione può essere respinto se riguarda solo la valutazione delle prove?
Sì. Se il ricorso si limita a contestare la valutazione dei fatti e delle prove (come il riconoscimento di una persona) fatta dai giudici dei gradi precedenti, senza dimostrare un’illogicità manifesta nella motivazione, viene dichiarato inammissibile. La Corte di Cassazione è giudice di legittimità, non di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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