Resistenza Attiva: Quando l’Opposizione Diventa Reato
Il concetto di resistenza attiva a pubblico ufficiale è un tema cruciale nel diritto penale, poiché segna il confine tra un comportamento penalmente irrilevante e un reato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un’importante occasione per ribadire i criteri distintivi tra la semplice opposizione passiva e l’uso di violenza che integra il delitto. Analizziamo questa decisione per comprendere meglio i principi applicati.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo condannato in Corte d’Appello per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, previsto dall’art. 337 del codice penale. L’imputato sosteneva che il suo comportamento non costituisse una resistenza attiva, ma una mera opposizione passiva, e che in ogni caso l’episodio fosse talmente lieve da meritare l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.).
Secondo la difesa, mancava un’azione intenzionale e violenta diretta contro le forze di polizia. Il ricorso mirava quindi a smontare l’accusa, derubricando la condotta a un comportamento non punibile.
La Decisione della Corte di Cassazione e la Resistenza Attiva
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. I giudici hanno chiarito che il comportamento dell’imputato non poteva essere qualificato come una semplice opposizione passiva. Al contrario, la Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato come l’individuo avesse fatto un “uso di violenza e forza fisica volto a neutralizzare l’azione, sottrarsi alla presa e impedire lo svolgimento degli atti d’ufficio”.
Questa ricostruzione, basata su riscontri oggettivi, ha permesso di stabilire che la condotta andava ben oltre la non collaborazione. La Cassazione ha ribadito che per integrare la resistenza attiva non è necessario un atto di violenza eclatante, ma è sufficiente un qualsiasi impiego di forza fisica diretto a ostacolare l’operato del pubblico ufficiale.
L’Esclusione della Causa di Non Punibilità
Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p., è stato respinto. La Corte ha ritenuto la motivazione della sentenza d’appello solida e corretta. I giudici di merito avevano infatti valorizzato due elementi chiave per escludere la particolare tenuità del fatto:
1. L’ostinazione del gesto: la perseveranza nel comportamento oppositivo.
2. Il grado di violenza e forza fisica: l’intensità dell’azione posta in essere.
Questi fattori, secondo la Corte, sono incompatibili con la nozione di “particolare tenuità”, che presuppone un’offesa minima al bene giuridico tutelato.
Le Motivazioni della Sentenza
La Corte di Cassazione ha sottolineato come i motivi del ricorso fossero meramente riproduttivi di censure già esaminate e respinte dal giudice di merito, senza confrontarsi specificamente con la logica e completa motivazione della sentenza impugnata. Il comportamento dell’imputato, sia sotto il profilo materiale che psicologico, manifestava chiaramente l’intenzione di impedire l’atto d’ufficio attraverso l’uso della forza. La decisione si fonda su una valutazione concreta dei fatti, immune da censure di legittimità, confermando che la linea di demarcazione tra lecito e illecito è superata nel momento in cui alla passività si sostituisce un’azione fisica, per quanto contenuta, finalizzata a neutralizzare l’intervento pubblico.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale: la resistenza attiva si configura con qualsiasi uso di forza fisica che si opponga a un atto d’ufficio. Non è necessario che tale forza si traduca in lesioni o percosse, essendo sufficiente che sia diretta a impedire o ostacolare l’attività del pubblico ufficiale. Inoltre, la valutazione della tenuità del fatto non può prescindere dall’analisi dell’intensità della condotta e dell’atteggiamento psicologico dell’agente. Un comportamento ostinato e connotato da un uso significativo di forza fisica esclude in radice la possibilità di beneficiare della non punibilità.
Qual è la differenza tra resistenza attiva e opposizione passiva secondo questa ordinanza?
La resistenza attiva implica un uso di violenza e forza fisica volto a neutralizzare l’azione di un pubblico ufficiale, sottrarsi a una presa o impedire un atto d’ufficio. L’opposizione passiva, invece, è una mera non collaborazione priva di violenza.
L’uso di forza fisica per divincolarsi da un agente è considerato resistenza attiva?
Sì, secondo la Corte, un comportamento che manifesta un uso di forza fisica per sottrarsi alla presa e impedire lo svolgimento di un atto d’ufficio configura pienamente il reato di resistenza attiva.
Perché non è stata applicata la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
Non è stata applicata perché la Corte ha ritenuto che l’ostinazione del gesto e il grado di violenza e forza fisica utilizzati dall’imputato fossero incompatibili con la nozione di particolare tenuità, che richiede un’offesa minima.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11342 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11342 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BARLETTA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/03/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
N. 38377/23 DNOME
OSSERVA
Ritenuto che i motivi dedotti con il ricorso in relazione alla sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 337 cod. pen. sono inammissibili perché riproduttivi di censure già vagliate dal giudice di merito e comunque nel complesso manifestamente infondati;
Considerato, in particolare, che il primo motivo di ricorso – con cui si contesta l’affermazione di penale responsabilità del ricorrente per mancanza di una “azione intenzionale diretta contro le forze di polizia costitutiva di una resistenza attiva” (cfr. p. 2 del ricorso) – non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, la quale dà conto che il comportamento del ricorrente, sia sotto il profilo materiale che psicologico, “lungi dal configurare una mera opposizione passiva, manifesta un uso di violenza e forza fisica volto a neutralizzare l’azione, sottrarsi alla presa e impedire lo svolgimento degli atti d’ufficio” (cfr. p. 2 della sentenza impugnata). La sentenza, inoltre, si basa sui riscontri oggettivi a conforto di questa ricostruzione (cfr. p. 3 del provvedimento), risultando sul punto immune da censure.
Ritenuto, infine, che il secondo motivo di ricorso – che lamenta la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. – risulta anch’esso manifestamente infondato alla luce della solida motivazione contenuta nel provvedimento impugnato, che correttamente valorizza l’ostinazione del gesto e il grado di violenza e forza fisica utilizzato dal ricorrente al momento dei fatti per escluderne la particolare tenuità (cfr. p. 3 della sentenza impugnata).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente ai pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.