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Resistenza a pubblico ufficiale: un reato per ogni agente

La Corte di Cassazione ha stabilito che la minaccia o la violenza rivolta a più agenti durante un unico controllo integra una pluralità di reati di resistenza a pubblico ufficiale. La sentenza annulla la decisione della Corte d’Appello che aveva unificato le condotte in un unico reato, ripristinando la pena originaria che teneva conto della pluralità delle vittime. La Corte ha chiarito che la norma tutela sia il buon andamento della Pubblica Amministrazione sia la sicurezza di ogni singolo agente.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: Un Unico Gesto, Più Reati? La Sentenza della Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8113 del 2024, ha chiarito un punto fondamentale in materia di resistenza a pubblico ufficiale: opporsi con violenza o minaccia a più agenti durante lo stesso intervento non costituisce un reato unico, ma una pluralità di reati. Questa pronuncia ribalta una precedente decisione di merito e sottolinea la duplice tutela offerta dalla norma, rivolta sia alla funzione pubblica sia alla sicurezza individuale degli operatori. Analizziamo i dettagli della decisione.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un episodio di controllo di polizia durante il quale un individuo aveva minacciato due agenti per sottrarsi all’accertamento. In secondo grado, la Corte di appello aveva riformato la sentenza di primo grado, ritenendo che la condotta, pur rivolta a due distinti ufficiali, si inserisse in un unico contesto temporale e spaziale. Di conseguenza, aveva qualificato il fatto come un unico reato di resistenza, escludendo l’aumento di pena previsto per la continuazione e riducendo la sanzione a quattro mesi di reclusione.

Il Ricorso e la Pluralità dei Reati di Resistenza a Pubblico Ufficiale

Il Procuratore generale presso la Corte di appello ha impugnato tale decisione dinanzi alla Corte di Cassazione. Il motivo del ricorso si basava sull’erronea applicazione dell’articolo 81 del codice penale. Secondo l’accusa, la condotta dell’imputato, pur essendo unitaria, aveva leso l’interesse protetto dalla norma in relazione a ciascuno degli agenti coinvolti. Pertanto, si sarebbe dovuta configurare una pluralità di reati di resistenza, uniti dal vincolo del concorso formale, e non un reato unico.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno chiarito che l’interpretazione corretta dell’articolo 337 del codice penale non può prescindere dalla pluralità dei soggetti passivi del reato. La norma, infatti, non tutela unicamente l’interesse astratto al ‘regolare funzionamento della pubblica amministrazione’, ma anche, e concretamente, ‘la sicurezza e la libertà di determinazione e di azione’ delle singole persone fisiche che ne esercitano le funzioni.

Citando un’importante pronuncia delle Sezioni Unite (n. 40981/2018), la Corte ha ribadito che l’espressione ‘mentre compie un atto di ufficio o di servizio’ serve a definire il contesto e la finalità della condotta, ma non a unificare le offese dirette a più pubblici ufficiali. L’opposizione diretta a ‘ciascun’ pubblico ufficiale agente integra un’autonoma violazione della norma. Di conseguenza, quando la violenza o la minaccia è rivolta a più agenti, si realizzano tanti reati di resistenza quanti sono gli ufficiali coinvolti, da unificare sotto il regime del concorso formale.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata. Ha riqualificato il fatto ai sensi degli articoli 81 e 337 del codice penale, configurando un concorso formale di reati. Di conseguenza, ha rideterminato la pena, ripristinando quella decisa in primo grado: quattro mesi e quindici giorni di reclusione, comprensiva dell’aumento per la pluralità dei reati commessi. Questa decisione riafferma un principio fondamentale: ogni aggressione a un servitore dello Stato è un reato a sé stante, e la pena deve riflettere la gravità di un’azione che colpisce più persone incaricate di un pubblico servizio.

Minacciare più pubblici ufficiali durante lo stesso controllo costituisce un unico reato o più reati?
Secondo la Corte di Cassazione, costituisce una pluralità di reati. Anche se la condotta avviene in un unico contesto, si configura un reato di resistenza per ogni pubblico ufficiale a cui è diretta la violenza o la minaccia, da unire sotto il vincolo del concorso formale.

Qual è il bene giuridico tutelato dal reato di resistenza a pubblico ufficiale?
L’interesse protetto è duplice: da un lato, il regolare funzionamento della pubblica amministrazione e, dall’altro, la sicurezza e la libertà di azione delle persone fisiche che ne esercitano le funzioni, ovvero i singoli pubblici ufficiali.

Come viene calcolata la pena in caso di resistenza verso più agenti?
La pena viene calcolata applicando le regole del concorso formale di reati (art. 81, comma primo, cod. pen.). Si applica la pena prevista per il reato più grave, aumentata fino al triplo. Nel caso specifico, la Corte ha ripristinato la pena originaria che includeva tale aumento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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