Resistenza a pubblico ufficiale: l’ubriachezza non giustifica l’opposizione alle forze dell’ordine
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta il tema della resistenza a pubblico ufficiale, chiarendo due aspetti fondamentali: l’irrilevanza dello stato di ubriachezza ai fini della colpevolezza e i criteri per la concessione delle attenuanti generiche. La pronuncia conferma un orientamento consolidato, ribadendo la necessità di tutelare l’operato dei pubblici ufficiali. Vediamo nel dettaglio il caso e le conclusioni della Suprema Corte.
Il caso in esame: minacce per evitare l’identificazione
Il procedimento nasce dal ricorso di un giovane contro la sentenza della Corte d’Appello che lo aveva condannato per il reato di cui all’art. 337 del Codice Penale. L’imputato era stato accusato di aver opposto resistenza a degli agenti di polizia, proferendo una serie di minacce al fine di impedire la propria identificazione e il successivo accompagnamento presso gli uffici della Questura. La difesa sosteneva l’insussistenza degli elementi costitutivi del reato, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo.
I motivi del ricorso: ubriachezza e attenuanti
Il ricorrente basava la sua difesa su tre motivi principali:
1. Carenza di motivazione: si lamentava una motivazione insufficiente riguardo all’atto d’ufficio che gli agenti stavano compiendo.
2. Assenza dell’elemento psicologico: si sosteneva la mancanza del dolo, ovvero della coscienza e volontà di commettere il reato, anche in relazione al suo stato di ubriachezza al momento dei fatti.
3. Mancata concessione delle attenuanti generiche: si contestava il diniego del beneficio, ritenuto ingiustificato.
La Corte d’Appello aveva già respinto tali argomentazioni, ritenendo la condotta dell’imputato pienamente integrata nel reato di resistenza e motivando adeguatamente il diniego delle attenuanti.
La decisione della Cassazione sulla resistenza a pubblico ufficiale
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo riproduttivo di censure già correttamente esaminate e respinte nel giudizio di merito, nonché manifestamente infondato.
L’irrilevanza dello stato di ubriachezza nel reato di resistenza a pubblico ufficiale
Per quanto riguarda i primi due motivi, la Suprema Corte ha evidenziato come la Corte d’Appello avesse fornito una motivazione congrua ed esaustiva. Era stato accertato che l’imputato aveva proferito una pluralità di minacce proprio per impedire agli agenti di svolgere il loro dovere. In questo contesto, i giudici hanno ribadito un principio cruciale: lo stato di ubriachezza dell’imputato è irrilevante ai fini della sussistenza del dolo. La volontaria assunzione di alcol non esclude la capacità di intendere e di volere e, di conseguenza, non elimina la consapevolezza di opporsi a un atto legittimo del pubblico ufficiale.
Il diniego delle attenuanti generiche
Anche sul terzo motivo, la Cassazione ha confermato la correttezza della decisione di merito. La Corte d’Appello, nell’esercizio del suo potere discrezionale, aveva legittimamente ritenuto ostative al riconoscimento delle attenuanti generiche le gravi modalità della condotta e l’assenza di altri elementi positivi da poter valorizzare a favore dell’imputato. La decisione è stata quindi considerata immune da vizi logici o giuridici.
Le motivazioni
Le motivazioni della Corte di Cassazione si fondano su principi consolidati del diritto penale. In primo luogo, il reato di resistenza a pubblico ufficiale si configura con qualsiasi comportamento violento o minaccioso volto a ostacolare un atto d’ufficio. Le minacce verbali, quando serie e idonee a intimidire, sono sufficienti a integrare la fattispecie. In secondo luogo, il nostro ordinamento, salvo casi specifici, non considera l’ubriachezza volontaria come una causa di esclusione dell’imputabilità o del dolo. Infine, la concessione delle attenuanti generiche è una valutazione di merito riservata al giudice, che può negarle quando la gravità del fatto e la personalità dell’imputato non lo giustifichino.
Le conclusioni
La pronuncia in esame riafferma con chiarezza che opporsi con minacce all’attività di identificazione da parte delle forze dell’ordine costituisce il reato di resistenza a pubblico ufficiale. La decisione sottolinea inoltre che lo stato di alterazione dovuto all’alcol non può essere invocato come scusante per sottrarsi alle proprie responsabilità penali. Questa ordinanza serve da monito sul fatto che la tutela della funzione pubblica prevale su condotte oppositive, anche quando poste in essere in stato di ebbrezza, e che la gravità del comportamento è un fattore determinante nella valutazione complessiva del fatto da parte del giudice.
Minacciare un agente per non essere identificato costituisce reato di resistenza a pubblico ufficiale?
Sì, la Corte ha confermato che proferire una pluralità di minacce al fine di impedire di essere identificato e condotto in Questura integra pienamente il reato di resistenza a pubblico ufficiale.
Essere ubriachi al momento del fatto può escludere la colpevolezza per il reato di resistenza a pubblico ufficiale?
No, la Corte ha ribadito che lo stato di ubriachezza è irrilevante ai fini della sussistenza del dolo (l’intenzione di commettere il reato), pertanto non esclude la colpevolezza.
Perché possono essere negate le circostanze attenuanti generiche in un caso di resistenza a pubblico ufficiale?
Possono essere negate quando il giudice, nel suo potere discrezionale, valuta che le gravi modalità della condotta e l’assenza di altri elementi positivi a favore dell’imputato rendono ingiustificata una riduzione della pena.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27891 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27891 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MESSINA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/01/2024 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
R.G.N. 5618/24 COGNOME
OSSERVA
· Ritenuto che i motivi dedotti con il ricorso, afferente alla condanna del ricorrente perii reato di cui all’art. 337 cod. pen., sono inam missibili in quanto riproduttivi di di censura già adeguatamente vagliati con corretti argomenti giuridici dal giudice d merito, nonché manifestamente infondati;
Considerato, invero, che, quanto al primo e al secondo motivo, con cui si lamenta l’insussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 337 cod. pen., per carente la motivazione in ordine all’atto d’ufficio posto in essere dai pubblici uffici per essere assente l’elemento psicologico, la Corte d’appello, con congrua ed esaustiv motivazione, ha ritenuto pienamente integrata la resistenza a pubblico ufficiale, d momento che era stato accertato come il ricorrente avesse proferito una pluralità d minacce al fine di impedire di essere identificato e successivamente condotto negli uffic della Questura, e che risulta irrilevante, ai fini del dolo, lo stato di ubriachez predetto (cfr. sentenza d’appello, pag. 3);
Ritenuto che, quanto al terzo motivo, con cui si contesta l’omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche, la Corte d’appello, nel corretto esercizio del suo pot discrezionale, ha ritenuto ostative al riconoscimento di tale beneficio le gravi modali della condotta, nonché l’assenza di ulteriori elementi positivamente valorizzabili;
Ritenuto che il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 14/06/2024.