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Resistenza a pubblico ufficiale: ubriachezza irrilevante

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 27891/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per resistenza a pubblico ufficiale. La Corte ha stabilito che minacciare agenti per evitare l’identificazione integra il reato e che lo stato di ubriachezza è irrilevante ai fini del dolo. È stato inoltre confermato il diniego delle attenuanti generiche a causa della gravità della condotta.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a pubblico ufficiale: l’ubriachezza non giustifica l’opposizione alle forze dell’ordine

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta il tema della resistenza a pubblico ufficiale, chiarendo due aspetti fondamentali: l’irrilevanza dello stato di ubriachezza ai fini della colpevolezza e i criteri per la concessione delle attenuanti generiche. La pronuncia conferma un orientamento consolidato, ribadendo la necessità di tutelare l’operato dei pubblici ufficiali. Vediamo nel dettaglio il caso e le conclusioni della Suprema Corte.

Il caso in esame: minacce per evitare l’identificazione

Il procedimento nasce dal ricorso di un giovane contro la sentenza della Corte d’Appello che lo aveva condannato per il reato di cui all’art. 337 del Codice Penale. L’imputato era stato accusato di aver opposto resistenza a degli agenti di polizia, proferendo una serie di minacce al fine di impedire la propria identificazione e il successivo accompagnamento presso gli uffici della Questura. La difesa sosteneva l’insussistenza degli elementi costitutivi del reato, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo.

I motivi del ricorso: ubriachezza e attenuanti

Il ricorrente basava la sua difesa su tre motivi principali:

1. Carenza di motivazione: si lamentava una motivazione insufficiente riguardo all’atto d’ufficio che gli agenti stavano compiendo.
2. Assenza dell’elemento psicologico: si sosteneva la mancanza del dolo, ovvero della coscienza e volontà di commettere il reato, anche in relazione al suo stato di ubriachezza al momento dei fatti.
3. Mancata concessione delle attenuanti generiche: si contestava il diniego del beneficio, ritenuto ingiustificato.

La Corte d’Appello aveva già respinto tali argomentazioni, ritenendo la condotta dell’imputato pienamente integrata nel reato di resistenza e motivando adeguatamente il diniego delle attenuanti.

La decisione della Cassazione sulla resistenza a pubblico ufficiale

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo riproduttivo di censure già correttamente esaminate e respinte nel giudizio di merito, nonché manifestamente infondato.

L’irrilevanza dello stato di ubriachezza nel reato di resistenza a pubblico ufficiale

Per quanto riguarda i primi due motivi, la Suprema Corte ha evidenziato come la Corte d’Appello avesse fornito una motivazione congrua ed esaustiva. Era stato accertato che l’imputato aveva proferito una pluralità di minacce proprio per impedire agli agenti di svolgere il loro dovere. In questo contesto, i giudici hanno ribadito un principio cruciale: lo stato di ubriachezza dell’imputato è irrilevante ai fini della sussistenza del dolo. La volontaria assunzione di alcol non esclude la capacità di intendere e di volere e, di conseguenza, non elimina la consapevolezza di opporsi a un atto legittimo del pubblico ufficiale.

Il diniego delle attenuanti generiche

Anche sul terzo motivo, la Cassazione ha confermato la correttezza della decisione di merito. La Corte d’Appello, nell’esercizio del suo potere discrezionale, aveva legittimamente ritenuto ostative al riconoscimento delle attenuanti generiche le gravi modalità della condotta e l’assenza di altri elementi positivi da poter valorizzare a favore dell’imputato. La decisione è stata quindi considerata immune da vizi logici o giuridici.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte di Cassazione si fondano su principi consolidati del diritto penale. In primo luogo, il reato di resistenza a pubblico ufficiale si configura con qualsiasi comportamento violento o minaccioso volto a ostacolare un atto d’ufficio. Le minacce verbali, quando serie e idonee a intimidire, sono sufficienti a integrare la fattispecie. In secondo luogo, il nostro ordinamento, salvo casi specifici, non considera l’ubriachezza volontaria come una causa di esclusione dell’imputabilità o del dolo. Infine, la concessione delle attenuanti generiche è una valutazione di merito riservata al giudice, che può negarle quando la gravità del fatto e la personalità dell’imputato non lo giustifichino.

Le conclusioni

La pronuncia in esame riafferma con chiarezza che opporsi con minacce all’attività di identificazione da parte delle forze dell’ordine costituisce il reato di resistenza a pubblico ufficiale. La decisione sottolinea inoltre che lo stato di alterazione dovuto all’alcol non può essere invocato come scusante per sottrarsi alle proprie responsabilità penali. Questa ordinanza serve da monito sul fatto che la tutela della funzione pubblica prevale su condotte oppositive, anche quando poste in essere in stato di ebbrezza, e che la gravità del comportamento è un fattore determinante nella valutazione complessiva del fatto da parte del giudice.

Minacciare un agente per non essere identificato costituisce reato di resistenza a pubblico ufficiale?
Sì, la Corte ha confermato che proferire una pluralità di minacce al fine di impedire di essere identificato e condotto in Questura integra pienamente il reato di resistenza a pubblico ufficiale.

Essere ubriachi al momento del fatto può escludere la colpevolezza per il reato di resistenza a pubblico ufficiale?
No, la Corte ha ribadito che lo stato di ubriachezza è irrilevante ai fini della sussistenza del dolo (l’intenzione di commettere il reato), pertanto non esclude la colpevolezza.

Perché possono essere negate le circostanze attenuanti generiche in un caso di resistenza a pubblico ufficiale?
Possono essere negate quando il giudice, nel suo potere discrezionale, valuta che le gravi modalità della condotta e l’assenza di altri elementi positivi a favore dell’imputato rendono ingiustificata una riduzione della pena.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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