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Resistenza a pubblico ufficiale: spinta e lesioni

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un uomo condannato per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. L’imputato, fermato senza mascherina durante l’emergenza Covid, aveva spintonato un carabiniere per sottrarsi all’identificazione. La Corte ha ritenuto il ricorso generico, confermando che la spinta volontaria per ostacolare un pubblico ufficiale integra il reato, indipendentemente dall’esito.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: Basta una Spinta per Integrare il Reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 23624/2024) ha ribadito i confini del reato di resistenza a pubblico ufficiale, chiarendo come anche un gesto apparentemente minore, come uno spintone, sia sufficiente a configurare il delitto se finalizzato a ostacolare l’attività delle forze dell’ordine. Questa decisione offre importanti spunti di riflessione sulla natura del reato e sui limiti della difesa in sede di legittimità. Analizziamo insieme il caso.

I Fatti del Processo

La vicenda trae origine da un controllo avvenuto il 26 aprile 2020, in pieno periodo di emergenza sanitaria da COVID-19. Un uomo veniva fermato per strada dai Carabinieri perché non indossava la mascherina, all’epoca obbligatoria. Per evitare di essere identificato, l’uomo spintonava volontariamente uno dei militari, facendolo cadere a terra e causandogli lesioni.

Sia il Tribunale che la Corte di Appello di Milano riconoscevano la sua colpevolezza, condannandolo per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni aggravate. L’imputato, non rassegnato alla decisione, proponeva ricorso per Cassazione tramite il proprio difensore.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputato si basava su due argomenti principali:

1. Errata qualificazione giuridica del fatto: Secondo il ricorrente, l’episodio si sarebbe limitato a una discussione animata, senza gesti violenti o minacce concrete. A sostegno di questa tesi, veniva citata l’assoluzione di una coimputata presente ai fatti.
2. Vizio di motivazione: La difesa sosteneva che la caduta dell’agente fosse stata involontaria, un urto accidentale, e non un’azione volontaria. Di conseguenza, le lesioni avrebbero dovuto essere qualificate come colpose e non come conseguenza di un’azione dolosa di resistenza.

In sostanza, il ricorso tentava di presentare una ricostruzione dei fatti alternativa a quella accertata nei primi due gradi di giudizio.

Le Motivazioni della Cassazione sulla Resistenza a Pubblico Ufficiale

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per genericità, ritenendo i motivi proposti un mero tentativo di rimettere in discussione l’accertamento dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. I giudici hanno sottolineato come i motivi di ricorso non si confrontassero in modo critico con il ragionamento logico e coerente della Corte di Appello.

La sentenza impugnata, infatti, aveva ricostruito l’accaduto basandosi su prove solide, come le testimonianze degli operanti e la natura delle lesioni refertate, concludendo senza ombra di dubbio che l’imputato avesse spintonato volontariamente il Carabiniere per sottrarsi al controllo.

La Cassazione ha colto l’occasione per ribadire i principi cardine del reato di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.):

* Elemento oggettivo: Per la configurazione del reato è sufficiente qualsiasi forma di opposizione violenta o minacciosa all’attività del pubblico ufficiale, indipendentemente dal suo esito. Non è necessario che l’agente venga effettivamente fermato o che subisca un danno.
* Elemento soggettivo (dolo): È sufficiente la coscienza e la volontà di usare violenza o minaccia con lo scopo di ostacolare l’espletamento di un atto d’ufficio, anche se l’agente ha altri scopi (come, in questo caso, evitare l’identificazione).

Infine, la Corte ha specificato che l’assoluzione della coimputata era del tutto irrilevante, in quanto motivata dalla sua condotta non oppositiva, a differenza di quella tenuta dal ricorrente.

Conclusioni

La sentenza n. 23624/2024 conferma un orientamento consolidato: il delitto di resistenza a pubblico ufficiale è un reato che tutela il corretto svolgimento della pubblica funzione e non richiede un’intensa violenza per essere integrato. Una spinta, se posta in essere con la consapevolezza e la volontà di impedire o turbare un atto d’ufficio, è sufficiente a far scattare la responsabilità penale. Questa decisione serve da monito sull’impossibilità di utilizzare il ricorso in Cassazione come un terzo grado di giudizio per riesaminare i fatti, sottolineando l’importanza di presentare motivi di ricorso specifici e pertinenti a vizi di legge o di logica della sentenza impugnata.

Quando una spinta a un pubblico ufficiale integra il reato di resistenza?
Secondo la Corte, una spinta integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) quando è volontaria e finalizzata a opporsi a un atto d’ufficio, come un’identificazione. Non è necessaria una violenza particolare, essendo sufficiente l’opposizione per ostacolare l’attività del pubblico ufficiale, indipendentemente dall’esito.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per genericità, poiché si limitava a contestare la ricostruzione dei fatti già accertata nei gradi di merito, senza confrontarsi criticamente con il ragionamento logico e giuridico della sentenza della Corte di Appello. La Cassazione non può riesaminare le prove, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.

L’assoluzione di un’altra persona coinvolta negli stessi fatti può influenzare la decisione?
No, in questo caso l’assoluzione della coimputata è stata ritenuta irrilevante. La sua assoluzione era motivata dalla sua specifica condotta, risultata non oppositiva, e quindi non poteva avere alcuna influenza sulla valutazione della condotta, attiva e violenta, tenuta dal ricorrente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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