LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Resistenza a pubblico ufficiale: ricorso inammissibile

Un soggetto è stato condannato per il reato di resistenza a pubblico ufficiale per aver sputato, spintonato e minacciato degli agenti di polizia. La Corte di Cassazione ha dichiarato il suo ricorso inammissibile, confermando che tale condotta, volta a ostacolare l’operato delle forze dell’ordine, integra pienamente il reato. La Corte ha inoltre respinto una censura procedurale relativa alla correzione di un errore materiale, poiché il ricorrente non ha dimostrato un interesse concreto a partecipare all’udienza di correzione.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a pubblico ufficiale: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un caso di resistenza a pubblico ufficiale, delineando con chiarezza i confini tra questo reato e le semplici condotte di ingiuria o minaccia. La Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso di un imputato, confermando la condanna e fornendo importanti chiarimenti sia sul piano sostanziale che processuale.

I Fatti: la condotta contestata

I giudici di merito avevano accertato la responsabilità di un individuo per il reato di cui all’art. 337 del codice penale. L’imputato, per opporsi a degli agenti intervenuti per sedare una sua aggressione ai danni di un’altra persona, aveva posto in essere condotte violente e minacciose. Nello specifico, aveva sputato verso gli agenti, li aveva spintonati e aveva proferito frasi intimidatorie come “io vi sparo, vi uccido”, accompagnate da insulti e vanterie sulla sua presunta posizione di “collaboratore di giustizia”.

I motivi del ricorso e la resistenza a pubblico ufficiale

Il ricorrente aveva impugnato la sentenza di condanna della Corte d’Appello basandosi su due motivi principali, entrambi ritenuti manifestamente infondati dalla Cassazione.

La violenza e minaccia come elemento del reato

Il primo motivo contestava la qualificazione giuridica dei fatti. Secondo la difesa, le azioni dell’imputato non integravano la resistenza a pubblico ufficiale. La Cassazione, tuttavia, ha rigettato questa tesi. Ha ribadito che il delitto di resistenza si configura quando il comportamento aggressivo è specificamente diretto a costringere il pubblico ufficiale a compiere un atto contrario ai suoi doveri o a omettere un atto d’ufficio. La condotta, quindi, deve trascendere la mera espressione di volgarità o una generica minaccia, essendo finalizzata a incidere concretamente sull’attività del pubblico ufficiale.

La nullità per correzione dell’errore materiale

Il secondo motivo era di natura procedurale. La difesa lamentava la nullità della sentenza d’appello perché la Corte territoriale aveva corretto de plano (cioè senza fissare udienza) un errore materiale relativo alla data della sentenza di primo grado, violando così la procedura prevista dall’art. 130 del codice di procedura penale. L’errore consisteva nell’aver indicato come data della decisione quella del deposito delle motivazioni anziché quella dell’udienza effettiva.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, smontando entrambi i motivi. Sul primo punto, ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse motivato in modo adeguato, logico e corretto. Le azioni dell’imputato (sputi, spintoni e minacce esplicite di morte) non erano semplici insulti, ma un comportamento aggressivo e minaccioso chiaramente finalizzato a coartare la volontà degli agenti e a impedir loro di svolgere il proprio dovere.

Sul secondo punto, relativo alla procedura di correzione, la Corte ha richiamato un suo precedente orientamento. La correzione de plano di un errore materiale può comportare una nullità solo se il ricorrente dimostra di avere un “concreto interesse” a partecipare all’udienza camerale per la correzione. Nel caso di specie, l’errore sulla data era evidente dall’intestazione stessa della sentenza di primo grado e, soprattutto, il ricorrente non aveva spiegato in alcun modo quale sarebbe stato il suo interesse a discutere in udienza la correzione di una data palesemente sbagliata.

Le conclusioni

L’ordinanza consolida due principi importanti. In primo luogo, definisce che la resistenza a pubblico ufficiale si configura quando la violenza o la minaccia sono strumentali a ostacolare un atto d’ufficio, superando il livello di una mera reazione verbale o di un’offesa. In secondo luogo, in ambito processuale, stabilisce che le nullità non possono essere eccepite in modo formalistico: per contestare la procedura di correzione di un errore materiale, è necessario dimostrare che la mancata partecipazione all’udienza ha causato un pregiudizio concreto e reale, e non solo teorico.

Quando le minacce e gli insulti a un poliziotto diventano resistenza a pubblico ufficiale?
Secondo la Corte, ciò avviene quando il comportamento aggressivo è specificamente diretto a costringere il pubblico ufficiale a omettere un atto del proprio ufficio o a compierne uno contrario ai suoi doveri, trascendendo la mera espressione di volgarità o una minaccia generica.

È possibile annullare una sentenza se il giudice corregge un errore di data senza un’udienza formale?
No, non è possibile se l’errore è palesemente materiale e se la parte che si duole della procedura non dimostra di avere un interesse concreto e specifico a partecipare all’udienza per la correzione di detto errore.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro, giudicata congrua dalla Corte (in questo caso tremila euro), in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati