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Resistenza a pubblico ufficiale: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione, con ordinanza del 4 luglio 2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per resistenza a pubblico ufficiale. I motivi, considerati mere doglianze di fatto e non di diritto, e la censura infondata sulla mancata applicazione di pene sostitutive, non hanno superato il vaglio di legittimità, confermando la condanna al pagamento delle spese e di un’ammenda.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il ricorso in sede di legittimità non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti. Il caso analizzato riguarda una condanna per resistenza a pubblico ufficiale, dove l’imputato ha visto il suo ricorso dichiarato inammissibile perché basato su contestazioni fattuali e non su vizi di legge.

I Fatti del Caso

Un detenuto veniva condannato nei gradi di merito per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, previsto dall’art. 337 del codice penale. Secondo la ricostruzione dei giudici, l’uomo si era opposto con violenza e minaccia all’ordine di rientrare nella sua cella. La sua condotta si era manifestata non solo verbalmente, ma anche attraverso un atto di danneggiamento del lavandino della cella, un comportamento ritenuto idoneo a integrare l’elemento psicologico e materiale del reato.

Contro la sentenza della Corte d’Appello, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un’errata valutazione dei fatti e la mancata motivazione sulla non applicazione delle pene sostitutive.

L’Analisi della Corte di Cassazione e la resistenza a pubblico ufficiale

La Suprema Corte ha esaminato i motivi del ricorso, giungendo a una declaratoria di inammissibilità. Vediamo nel dettaglio le argomentazioni dei giudici.

Inammissibilità per Doglianze di Fatto

Il motivo principale del rigetto risiede nella natura delle censure mosse dall’imputato. La Corte ha sottolineato che i motivi addotti non erano consentiti dalla legge in sede di legittimità, in quanto si traducevano in ‘mere doglianze in punto di fatto’.

In altre parole, il ricorrente non contestava una violazione di legge o un vizio logico nella motivazione della sentenza d’appello, ma tentava di ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove e dei fatti. Questo tipo di riesame è precluso alla Corte di Cassazione, il cui compito è verificare la corretta applicazione del diritto, non ricostruire l’accaduto.

I giudici di legittimità hanno confermato che le modalità della condotta, ovvero l’opposizione all’ordine di rientro in cella accompagnata da minacce e dal danneggiamento di un bene, erano state correttamente qualificate dai giudici di merito come idonee a configurare il reato di resistenza a pubblico ufficiale.

La Questione delle Pene Sostitutive

Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla presunta assenza di motivazione sulla mancata applicazione di pene sostitutive, è stato giudicato ‘manifestamente infondato’. La ragione è semplice e perentoria: tali pene non erano mai state richieste dalla difesa nel corso del processo di merito. Non si può, quindi, accusare un giudice di non aver motivato una decisione su un’istanza mai presentata.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Corte si fonda sul consolidato principio della distinzione tra giudizio di fatto e giudizio di legittimità. Il ricorso per Cassazione è un rimedio straordinario, destinato a correggere errori di diritto (‘errores in iudicando’) o vizi del procedimento (‘errores in procedendo’). Non costituisce una terza istanza di giudizio dove poter ridiscutere la colpevolezza dell’imputato sulla base di una diversa interpretazione delle prove.

La Corte ha ritenuto che i giudici d’appello avessero fornito una motivazione logica e coerente nel ritenere provata la resistenza a pubblico ufficiale, sia nel suo elemento oggettivo (la condotta violenta e minacciosa) sia in quello soggettivo (la volontà di opporsi all’atto d’ufficio). Di fronte a una motivazione immune da vizi logici e giuridici, ogni ulteriore discussione sui fatti è preclusa in sede di legittimità. La declaratoria di inammissibilità è stata la logica conseguenza, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza offre un importante monito per chi intende impugnare una sentenza di condanna davanti alla Corte di Cassazione. È essenziale che i motivi di ricorso siano focalizzati su specifiche violazioni di legge o su vizi di motivazione palesi (come illogicità manifesta o contraddittorietà), e non su una generica contestazione della valutazione delle prove effettuata dai giudici di merito. Tentare di ottenere una terza valutazione dei fatti è una strategia destinata al fallimento e comporta unicamente un’ulteriore condanna economica per il ricorrente.

Perché il ricorso per resistenza a pubblico ufficiale è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano ‘mere doglianze in punto di fatto’, ovvero contestazioni sulla ricostruzione degli eventi, che non possono essere riesaminate dalla Corte di Cassazione, la quale giudica solo sulla corretta applicazione della legge.

È possibile contestare la valutazione dei fatti davanti alla Corte di Cassazione?
No, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito non è rivalutare le prove o ricostruire i fatti, ma solo verificare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e motivato la loro decisione in modo logico e non contraddittorio.

Per quale motivo è stato respinto il motivo sulla mancata applicazione delle pene sostitutive?
Il motivo è stato giudicato manifestamente infondato perché le pene sostitutive non erano mai state richieste dall’imputato durante i gradi di merito del processo. Di conseguenza, il giudice non era tenuto a motivare la loro mancata applicazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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