Resistenza a Pubblico Ufficiale: Quando il Ricorso è Inammissibile
L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 19232/2024 offre un’importante lezione sulla disciplina del reato di resistenza a pubblico ufficiale e sui requisiti di ammissibilità del ricorso per cassazione. La Suprema Corte ha confermato la condanna di un individuo, rigettando il suo ricorso perché basato su motivi generici e manifestamente infondati. Analizziamo i dettagli di questa decisione per comprenderne le implicazioni pratiche.
I Fatti del Caso
Il ricorrente era stato condannato nei gradi di merito per i reati di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) e lesioni personali (art. 582 c.p.). La condotta contestata consisteva nell’aver tenuto un comportamento minaccioso e violento nei confronti di alcuni pubblici ufficiali impegnati in operazioni di controllo. L’obiettivo dell’imputato era quello di ostacolare e impedire lo svolgimento di un atto d’ufficio.
Contro la sentenza della Corte d’Appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, sollevando diverse censure.
I Motivi del Ricorso in Cassazione
La difesa ha articolato il ricorso su tre punti principali:
1. Errata configurazione del reato: Secondo il ricorrente, la sua condotta non era diretta a impedire un atto d’ufficio e, pertanto, non integrava gli estremi del reato di resistenza a pubblico ufficiale.
2. Eccessività del trattamento sanzionatorio: Si contestava la severità della pena inflitta, sostenendo che la Corte d’Appello non avesse riconosciuto la particolare tenuità del fatto e non avesse bilanciato correttamente le circostanze, negando la prevalenza delle attenuanti generiche sulla recidiva.
3. Mancata concessione della sospensione condizionale della pena: Il ricorrente lamentava il diniego del beneficio della sospensione condizionale, ritenendo la motivazione della Corte territoriale insufficiente.
La Valutazione della Corte sulla Resistenza a Pubblico Ufficiale
La Corte di Cassazione ha ritenuto tutti i motivi del ricorso inammissibili. Per quanto riguarda la configurabilità del reato di resistenza a pubblico ufficiale, i giudici hanno sottolineato come la Corte d’Appello avesse fornito una motivazione corretta, logica ed esaustiva. Sulla base delle prove acquisite, in particolare del verbale di polizia giudiziaria, era stato accertato che la condotta minacciosa del ricorrente era inequivocabilmente finalizzata a ostacolare le attività di controllo dei pubblici ufficiali. Di conseguenza, sia l’elemento oggettivo (la violenza o minaccia) sia quello soggettivo (la volontà di opporsi all’atto d’ufficio) del reato erano pienamente integrati.
Le motivazioni
La Suprema Corte ha confermato la correttezza del ragionamento della Corte d’Appello anche per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio. I giudici di legittimità hanno ribadito che la valutazione sulla pena rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, e tale valutazione è sindacabile in Cassazione solo se manifestamente illogica o contraddittoria.
Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva adeguatamente motivato il diniego di qualsiasi beneficio, valorizzando le gravi modalità della condotta e la violenza espressa. Questa gravità è stata considerata ostativa sia al riconoscimento della particolare tenuità del fatto, sia a un giudizio di bilanciamento delle circostanze favorevole all’imputato. La stessa motivazione è stata ritenuta sufficiente per escludere la concessione della sospensione condizionale della pena, rendendo il motivo di ricorso sul punto del tutto generico e infondato.
Le conclusioni
In conclusione, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende. Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale del processo penale: il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito. Per essere ammissibile, deve sollevare questioni di legittimità specifiche e non limitarsi a riproporre censure generiche sulla valutazione dei fatti già operate dai giudici di merito. La decisione conferma che una condotta violenta o minacciosa, finalizzata a impedire un’attività legittima della pubblica autorità, costituisce senza dubbio il reato di resistenza a pubblico ufficiale, e la sua gravità può precludere l’accesso a benefici premiali.
Quando un comportamento minaccioso integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale?
Secondo l’ordinanza, un comportamento minaccioso integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale quando è specificamente rivolto a ostacolare l’attività di pubblici ufficiali che stanno compiendo un atto del loro ufficio, come un’operazione di controllo.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché i motivi presentati erano generici e manifestamente infondati. Essi non sollevavano questioni di legittimità valide, ma miravano a una nuova valutazione dei fatti, compito che non spetta alla Corte di Cassazione.
La gravità della condotta può impedire la concessione della sospensione condizionale della pena?
Sì, l’ordinanza dimostra che la valutazione sulla gravità delle modalità della condotta e sulla violenza utilizzata è stata considerata una motivazione sufficiente da parte dei giudici di merito per negare benefici come la sospensione condizionale della pena.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19232 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19232 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/09/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
Ritenuto che i motivi dedotti nel ricorso, afferente alla condanna del ricorrente in relazione ai reati di cui agli artt. 337 e 582 cod. pen. sono inammissibili in quanto aventi ad ogg generiche e manifestamente infondate;
Considerato, invero, che, quanto al motivo con an si censura la motivazione della se impugnata in relazione alla configurabilità del reato di cui all’art. 337 cod. pen., pe condotta del ricorrente diretta ad impedire un atto d’ufficio, la Corte d’appello, con corretta, congrua ed esaustiva, ha ritenuto integrati tanto l’elemento oggettivo q soggettivo del detto reato, essendo stato accertato, alla luce dell’esaustivo verbale di condotta minacciosa del ricorrente fosse rivolta ad ostacolare le attività dei pubblic stavano procedendo ad operazioni di controllo (cfr. pagg. 3 e 4);
Ritenuto che, quanto ai motivi afferenti al trattamento sanzionatorio, la Corte d nell’esercizio del suo potere discrezionale e con motivazione, per come argomentata, im vizi censurabili in sede di legittimità, ha ritenuto ostative al riconoscimento della part del fatto le gravi modalità della condotta, valorizzando la violenza della stessa anc I escludere il giudiziOranciamento delle circostanze con prevalenza delle circostanze generiche sulla recidiva;
Considerato, infine, che, quanto al motivo sull”omessa concessione della sospens condizionale della pena, deve rilevarsi come lo stesso risulti formulato in modo asso generico e come risultasse tale già per come prospettato con i motivi di appello, essen caso, la motivazione della Corte d’appello in merito al trattamento sanzionatorio suf escludere la concessione di tale beneficio;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la cond ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore de delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese pro della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 22 marzo 2024.