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Resistenza a pubblico ufficiale: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un cittadino condannato per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. L’ordinanza sottolinea che i motivi di ricorso non possono essere una mera riproposizione di argomentazioni già respinte e che la violenza usata per impedire l’identificazione da parte degli agenti integra il reato di resistenza. La Corte ha escluso sia la scriminante della reazione ad un atto arbitrario, non ravvisando alcuna arbitrarietà nell’operato degli agenti, sia la particolare tenuità del fatto per le lesioni, a causa delle gravi modalità della condotta.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a pubblico ufficiale: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile

L’ordinanza n. 19238/2024 della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sui limiti dell’impugnazione per il reato di resistenza a pubblico ufficiale. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, confermando la condanna e ribadendo principi consolidati in materia di diritto e procedura penale. Analizziamo la decisione per comprendere le ragioni che hanno portato a questa conclusione e le sue implicazioni pratiche.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una condanna emessa dalla Corte d’Appello nei confronti di un individuo per i reati di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) e lesioni personali (art. 582 c.p.). I fatti si erano svolti durante un controllo di polizia, nel corso del quale l’imputato aveva tenuto una condotta violenta per impedire agli agenti di compiere un atto del loro ufficio, ovvero la sua identificazione, cagionando loro anche delle lesioni. L’imputato, ritenendo la sentenza ingiusta, ha proposto ricorso per Cassazione, basandolo su diverse presunte violazioni di legge.

I Motivi del Ricorso

Il ricorrente ha articolato la sua difesa su più fronti. In primo luogo, ha lamentato vizi procedurali, sostenendo una violazione delle norme sull’esame di testimoni indagati in procedimenti connessi e l’omessa acquisizione di prove a suo favore. Nel merito, ha contestato l’errata applicazione della legge penale, argomentando che la sua condotta non integrasse il reato di resistenza a pubblico ufficiale. In subordine, ha sostenuto che la sua reazione dovesse essere giustificata ai sensi dell’art. 393-bis c.p., in quanto provocata da un atto arbitrario degli agenti. Infine, per il solo reato di lesioni, ha richiesto l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.).

Le Motivazioni della Cassazione sul tema della resistenza a pubblico ufficiale

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, definendolo inammissibile in quanto riproduttivo di censure già correttamente esaminate e respinte dalla Corte d’Appello e, in ogni caso, manifestamente infondato. La motivazione della Suprema Corte è un compendio di principi giuridici fondamentali.

Sul piano procedurale, la Corte ha chiarito che l’omissione dell’avviso di cui all’art. 64 c.p.p. (facoltà di non rispondere) a un testimone potenzialmente incompatibile non rende inutilizzabile la testimonianza se la questione non viene sollevata prima dell’esame. Inoltre, nel caso di specie, i testimoni non erano più in una situazione di incompatibilità, poiché il procedimento a loro carico era stato archiviato.

Nel merito del reato di resistenza a pubblico ufficiale, i giudici hanno confermato la valutazione della Corte d’Appello: la condotta violenta dell’imputato era chiaramente finalizzata a impedire l’atto d’ufficio degli agenti, ovvero l’identificazione. Non è emerso alcun elemento che potesse qualificare l’operato dei pubblici ufficiali come arbitrario. Pertanto, è stata correttamente esclusa l’applicazione della scriminante della reazione ad atto arbitrario, che richiede un comportamento del pubblico ufficiale palesemente ingiusto e contrario ai suoi doveri.

Infine, riguardo alla richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto in relazione alle lesioni, la Cassazione ha ritenuto immune da vizi la motivazione della Corte d’Appello. Quest’ultima aveva correttamente individuato nelle “gravi modalità della condotta” un elemento ostativo al riconoscimento del beneficio, una valutazione di merito che, se logicamente argomentata, non è sindacabile in sede di legittimità.

Conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce un principio cruciale: il ricorso per Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove poter ridiscutere il merito dei fatti. I motivi devono denunciare specifiche violazioni di legge o vizi logici manifesti nella motivazione, non limitarsi a riproporre le stesse argomentazioni già vagliate nei gradi precedenti. La decisione conferma che la violenza esercitata per sottrarsi a un legittimo controllo di polizia integra pienamente il delitto di resistenza a pubblico ufficiale, e che la giustificazione per reazione ad un atto arbitrario può essere invocata solo in presenza di abusi evidenti da parte del pubblico ufficiale. Infine, la gravità delle modalità dell’azione può precludere l’applicazione di istituti di favore come la non punibilità per tenuità del fatto.

Quando una reazione violenta contro un pubblico ufficiale è considerata reato di resistenza?
Secondo la Corte, si configura il reato di resistenza quando la condotta violenta è finalizzata a impedire a un pubblico ufficiale di compiere un atto del proprio ufficio, come in questo caso le operazioni di identificazione.

La reazione a un atto dei pubblici ufficiali può essere giustificata?
Sì, ma solo se l’atto del pubblico ufficiale è arbitrario, cioè compiuto al di fuori o in violazione dei propri doveri d’ufficio. Nel caso esaminato, la Corte ha ritenuto che l’attività di identificazione non presentasse alcun profilo di arbitrarietà, escludendo quindi la giustificazione.

Perché non è stata applicata la non punibilità per “tenuità del fatto” al reato di lesioni?
La Corte ha stabilito che la non punibilità per tenuità del fatto non può essere concessa quando le modalità della condotta sono gravi. Nel caso specifico, la violenza usata per infliggere le lesioni agli agenti è stata considerata un elemento ostativo all’applicazione di tale beneficio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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