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Resistenza a pubblico ufficiale: quando non sussiste

Un soggetto ai domiciliari, condannato per resistenza a pubblico ufficiale per frasi minacciose rivolte agli agenti durante un controllo, ottiene l’annullamento della sentenza. La Cassazione ha chiarito che non sussiste il reato di resistenza a pubblico ufficiale se la minaccia non è finalizzata a impedire l’atto d’ufficio. Il fatto è stato riqualificato come minaccia aggravata ma, in assenza di querela, la condanna è stata annullata.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a pubblico ufficiale: la minaccia non finalizzata all’opposizione non integra il reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. N. 16654/2025) offre un importante chiarimento sui confini del reato di resistenza a pubblico ufficiale. La Corte ha stabilito che le frasi minacciose rivolte agli agenti, se non sono direttamente finalizzate a impedire il compimento di un atto d’ufficio, non configurano tale delitto, potendo essere riqualificate in un reato diverso, come la minaccia. Approfondiamo i dettagli del caso e le motivazioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda un uomo sottoposto alla misura degli arresti domiciliari. Durante un controllo di routine da parte delle forze dell’ordine presso la sua abitazione, l’uomo rivolgeva agli agenti frasi dal contenuto intimidatorio. Per questo comportamento, veniva condannato in primo e secondo grado per i reati di oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale.

La Corte d’Appello, pur assolvendo l’imputato dal reato di oltraggio per insussistenza del fatto, aveva confermato la condanna per la resistenza, sebbene con una riduzione della pena. La difesa dell’imputato ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che le frasi proferite, pur essendo minacciose, erano di fatto slegate dall’attività di controllo svolta dagli agenti e, pertanto, non idonee a costituire una vera e propria opposizione all’atto d’ufficio.

La Decisione della Cassazione sulla resistenza a pubblico ufficiale

La Suprema Corte ha accolto il ricorso della difesa, annullando senza rinvio la sentenza di condanna. Il punto centrale della decisione risiede nella distinzione tra un atteggiamento genericamente minaccioso e una condotta concretamente oppositiva.

Secondo i giudici, per configurare il delitto di resistenza a pubblico ufficiale previsto dall’articolo 337 del codice penale, è necessario che la violenza o la minaccia siano utilizzate con lo scopo specifico di opporsi al compimento dell’atto d’ufficio. La minaccia deve avere una “funzionalità oppositiva”, ovvero deve essere uno strumento per impedire o ostacolare l’attività del pubblico ufficiale.

Nel caso di specie, le frasi pronunciate dall’imputato, sebbene offensive e intimidatorie, sono state ritenute prive di questa finalità. Esse si sostanziavano in un atteggiamento di ostilità, ma non erano dirette a fermare il controllo che gli agenti stavano legittimamente eseguendo.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione sottolineando che i fatti, così come accertati nei precedenti gradi di giudizio, non consentivano di configurare il reato contestato. Le minacce dell’imputato, pur avendo un “indubbio contenuto intimidatorio”, non erano tali da integrare un’azione di contrasto all’atto d’ufficio. Mancava quel nesso funzionale che è elemento costitutivo del reato di resistenza.

La Corte ha quindi proceduto alla riqualificazione giuridica del fatto. Il comportamento dell’imputato è stato inquadrato non come resistenza, ma come minaccia aggravata ai sensi degli articoli 612 e 61, n. 10, del codice penale. Tuttavia, il reato di minaccia è procedibile a querela di parte. Poiché nel fascicolo processuale non risultava presentata alcuna querela da parte degli agenti offesi, l’azione penale non poteva proseguire.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

La conclusione della Suprema Corte è stata l’annullamento della sentenza impugnata per mancanza di una condizione di procedibilità (la querela). Questa pronuncia ha importanti implicazioni pratiche: non ogni espressione minacciosa o aggressiva verso un pubblico ufficiale integra automaticamente il delitto di resistenza a pubblico ufficiale. È sempre necessario valutare se tale condotta sia concretamente volta a impedire l’esercizio delle funzioni pubbliche.

Questa sentenza ribadisce la necessità di un’analisi rigorosa degli elementi costitutivi del reato, distinguendo tra una generica manifestazione di ostilità e un’effettiva azione oppositiva, con conseguenze significative sia sulla qualificazione del reato che sulla sua procedibilità.

Quando una minaccia a un pubblico ufficiale non costituisce resistenza?
Quando la minaccia, sebbene intimidatoria, non è funzionale a opporsi concretamente all’atto d’ufficio che il pubblico ufficiale sta compiendo, ma si sostanzia in un atteggiamento minaccioso slegato dall’attività in corso.

Cosa ha deciso la Corte in questo caso specifico?
La Corte ha riqualificato il reato da resistenza a pubblico ufficiale a minaccia aggravata e, poiché per tale reato è necessaria la querela della persona offesa e questa mancava, ha annullato la sentenza di condanna senza rinvio.

Perché la condanna è stata annullata anche se il fatto è stato considerato un reato di minaccia?
La condanna è stata annullata per un motivo procedurale. Il reato di minaccia è procedibile solo a seguito di una querela presentata dalla parte offesa. In assenza di tale querela, l’azione penale non può essere proseguita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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