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Resistenza a pubblico ufficiale: quando non c’è reato

La Corte di Cassazione ha confermato l’annullamento di una misura cautelare per alcuni manifestanti accusati di resistenza a pubblico ufficiale. La decisione si fonda sull’analisi di videoriprese che hanno dimostrato l’assenza di condotte violente o minacciose, riducendo l’accaduto a una mera frizione con le forze dell’ordine, inidonea a configurare il reato.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Resistenza a Pubblico Ufficiale: Quando la Protesta non è Reato

In un contesto sociale dove le manifestazioni di piazza sono frequenti, definire il confine tra legittima espressione del dissenso e il reato di resistenza a pubblico ufficiale è fondamentale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 9160/2025, offre un’analisi dettagliata su questo tema, sottolineando l’importanza di valutare la reale offensività delle condotte individuali, specialmente quando supportate da prove video.

I Fatti: Una Manifestazione Sotto la Lente della Giustizia

Il caso nasce da una manifestazione di protesta organizzata davanti alla sede di un’emittente televisiva nazionale. Durante l’evento, un gruppo di manifestanti è entrato in contatto con il cordone di polizia schierato a protezione dell’edificio. A seguito di questi eventi, a quattro persone è stata applicata la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per i reati di resistenza a pubblico ufficiale aggravata e lesioni in concorso.

Secondo la prima ricostruzione, i manifestanti avrebbero avanzato in massa spingendo uno striscione e alcuni di loro avrebbero colpito gli agenti con aste di bandiere, spinto e ostacolato la visibilità di un operatore. Gli agenti, a loro volta, avrebbero reagito per contenere il tentativo di sfondamento.

La Decisione del Tribunale del Riesame

Contro la misura cautelare, gli indagati hanno proposto istanza al Tribunale del Riesame. Quest’ultimo, dopo aver visionato integralmente le riprese video dell’evento, durato circa un minuto e venti secondi, ha completamente ribaltato la valutazione iniziale, annullando l’ordinanza.

Il Tribunale ha concluso che non vi era stata alcuna condotta violenta o minacciosa da parte dei ricorrenti. L’episodio è stato derubricato a una “mera frizione” tra manifestanti e forze dell’ordine, causata dalla pressione della folla (“calca”). Le azioni specifiche contestate sono state ritenute inoffensive: le aste delle bandiere erano di plastica leggera e flessibile, la spinta dietro lo striscione non era violenta e il tentativo di coprire la visuale di un agente con un altro striscione era un gesto simbolico privo di carica minatoria.

Il Ricorso in Cassazione per resistenza a pubblico ufficiale

Il Procuratore della Repubblica ha impugnato la decisione del Riesame, presentando ricorso in Cassazione. Secondo l’accusa, il Tribunale avrebbe commesso un errore di “travisamento della prova”, basando la sua decisione solo sulla visione parziale delle immagini e ignorando altri elementi, come una relazione di servizio della polizia e il ritrovamento di pietre sul luogo. Inoltre, il Procuratore sosteneva che le singole azioni andavano lette nel contesto di un’azione collettiva di resistenza, e che il Tribunale avesse confuso la tipicità del reato con la sua effettiva offensività.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso del Procuratore inammissibile, confermando in toto la decisione del Tribunale del Riesame. La motivazione della Suprema Corte è un punto cruciale per comprendere i limiti del giudizio di legittimità e l’importanza della prova video.

Il Collegio ha stabilito che la valutazione del Tribunale del Riesame era immune da censure, in quanto fondata su un’analisi logica e completa delle prove disponibili, in particolare le riprese video che coprivano l’intero arco temporale dei fatti. La Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la correttezza logico-giuridica della motivazione. In questo caso, la motivazione del Riesame era solida: aveva escluso la violenza e la minaccia, elementi costitutivi del reato di resistenza a pubblico ufficiale, sulla base di una prova diretta e inconfutabile.

Riguardo alla mancata valutazione del lancio di pietre, la Corte ha osservato che, sebbene delle pietre fossero state trovate e sequestrate, le riprese non mostravano alcun lancio da parte di nessuno. Pertanto, l’argomento del Procuratore era irrilevante per disarticolare il ragionamento probatorio del Tribunale.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce alcuni principi fondamentali:

1. Centralità della Prova Oggettiva: Le riprese video, quando complete e chiare, possono essere decisive nel determinare la sussistenza o meno di un reato, prevalendo su altre forme di prova come le relazioni di servizio.
2. Necessità di una Violenza o Minaccia Concreta: Per integrare il reato di resistenza a pubblico ufficiale, non è sufficiente un contatto fisico o un’azione di disturbo. È necessaria una condotta che abbia una reale capacità di opporsi all’atto del pubblico ufficiale attraverso la violenza o una minaccia seria.
3. Valutazione della Condotta Individuale: Anche in un contesto di gruppo, la responsabilità penale è personale. Le singole azioni devono essere analizzate nella loro specifica offensività. Gesti simbolici o l’uso di oggetti palesemente innocui non possono, di per sé, configurare il reato.
4. Limiti del Giudizio di Cassazione: La Suprema Corte non è un terzo grado di giudizio sui fatti. Il suo compito è garantire l’uniforme interpretazione della legge e controllare la logicità delle motivazioni, non sostituire la propria valutazione delle prove a quella dei giudici di merito.

Una semplice spinta o un attrito fisico durante una manifestazione integra sempre il reato di resistenza a pubblico ufficiale?
No, secondo la sentenza, una “mera frizione” derivante dalla pressione della folla, senza specifici atti violenti o minacciosi da parte del singolo, non è sufficiente a configurare il reato di resistenza a pubblico ufficiale.

L’uso di oggetti come aste di bandiere in plastica è considerato un atto di violenza?
La sentenza chiarisce che se gli oggetti sono intrinsecamente innocui (come aste di plastica leggere e flessibili) e vengono usati in un modo che non crea una minaccia concreta, il loro impiego non costituisce automaticamente la violenza richiesta per il reato di resistenza.

In che modo le videoriprese possono influenzare la valutazione della colpevolezza?
Le videoriprese sono fondamentali. In questo caso, il Tribunale del Riesame prima e la Cassazione poi hanno basato la loro decisione sulla visione diretta e completa dei filmati, concludendo che questi smentivano l’ipotesi accusatoria e dimostravano l’assenza di condotte penalmente rilevanti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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