Resistenza a Pubblico Ufficiale: Quando la Fuga Diventa Reato
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi sul delicato tema della resistenza a pubblico ufficiale, delineando con chiarezza la linea di confine tra una semplice fuga e una condotta penalmente rilevante. L’ordinanza offre spunti importanti anche sulla validità delle procedure di identificazione informale. Analizziamo insieme questo caso per comprendere meglio le implicazioni pratiche della decisione.
I Fatti del Caso
Un automobilista veniva condannato in primo e secondo grado per il reato previsto dall’art. 337 del codice penale. L’accusa era quella di essersi sottratto con violenza a un controllo di polizia. Nello specifico, l’imputato, invece di fermarsi all’alt, aveva compiuto una manovra pericolosa mettendo a rischio l’incolumità di un’agente di polizia e di altri utenti della strada, per poi darsi a una fuga precipitosa.
Contro la sentenza della Corte d’Appello, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un’errata valutazione dei fatti e contestando le modalità con cui era stato identificato.
I Motivi del Ricorso e il Ruolo della Cassazione
L’imputato basava il suo ricorso su due argomenti principali:
1. Errata valutazione dei fatti: Sosteneva che la sua condotta fosse stata una mera fuga, priva degli elementi di violenza o minaccia necessari a configurare il reato di resistenza.
2. Illegittimità dell’identificazione: Contestava il fatto di essere stato identificato tramite un cartellino fotosegnaletico e non attraverso una formale ricognizione personale, come previsto dal codice di procedura penale.
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo la propria funzione di giudice di legittimità, che non può entrare nel merito della ricostruzione dei fatti operata dai giudici dei gradi precedenti, se non in caso di vizi logici manifesti.
L’interpretazione della Resistenza a Pubblico Ufficiale
Il punto centrale della decisione riguarda la qualificazione della condotta dell’imputato. La Corte ha chiarito che non si è trattato di una semplice fuga. Il comportamento violento non si è limitato al tentativo di scappare, ma si è concretizzato in una manovra pericolosa che ha messo a repentaglio la sicurezza non solo dell’agente, ma anche di pedoni e altri automobilisti.
Questo elemento attivo, che va oltre la mera volontà di sottrarsi al controllo, è ciò che trasforma la fuga in resistenza a pubblico ufficiale. La violenza o la minaccia, in questi casi, è insita nella condotta di guida pericolosa, utilizzata come strumento per opporsi all’atto d’ufficio.
La Validità dell’Identificazione Informale
Un altro aspetto cruciale affrontato dalla Corte è la validità dell’identificazione dell’imputato. Il ricorrente lamentava la mancata esecuzione di una formale ricognizione di persona. La Cassazione ha respinto questa doglianza, definendola manifestamente infondata.
Secondo la Corte, l’identificazione effettuata tramite un cartellino fotosegnaletico è pienamente legittima. Essa rappresenta una riproduzione di una percezione visiva e ha il valore di una dichiarazione. La sua forza probatoria non deriva dalle formalità della procedura, ma dal valore della testimonianza dell’agente che conferma il riconoscimento. Peraltro, in questo caso, l’esattezza dell’identificazione era ulteriormente corroborata dal fatto che l’auto usata per la fuga risultava di proprietà dell’imputato, e la sua targa era stata annotata dall’agente al momento del fatto.
Le Motivazioni
La Corte di Cassazione ha ritenuto i motivi del ricorso come mere doglianze in punto di fatto, sviluppate su una valutazione alternativa delle prove, non consentita in sede di legittimità. La sentenza impugnata aveva ampiamente motivato sul contegno violento dell’imputato, evidenziando come la manovra pericolosa avesse superato il limite della semplice fuga. Anche i rilievi sull’identificazione sono stati giudicati infondati, poiché il riconoscimento tramite foto è un atto pienamente utilizzabile, il cui valore probatorio è rimesso al libero apprezzamento del giudice. Infine, la Corte ha confermato la decisione di non concedere sanzioni sostitutive, valorizzando i precedenti penali dell’imputato e la gravità del fatto come indicatori della sua non idoneità a percorsi rieducativi alternativi.
Le Conclusioni
Questa ordinanza consolida due principi fondamentali. Primo, la resistenza a pubblico ufficiale non si configura con la sola fuga, ma richiede un ‘quid pluris’, ovvero una condotta attiva e pericolosa volta a impedire l’azione del pubblico ufficiale. Secondo, l’identificazione di un indagato tramite documentazione fotografica da parte di un testimone è una fonte di prova pienamente legittima, la cui attendibilità viene valutata dal giudice insieme a tutti gli altri elementi, senza la necessità di ricorrere sempre alle forme solenni della ricognizione personale.
La semplice fuga in auto per sottrarsi a un controllo di polizia costituisce resistenza a pubblico ufficiale?
No, secondo la Corte la semplice fuga non è sufficiente. Il reato si configura quando la fuga è accompagnata da condotte che integrano violenza o minaccia, come una manovra pericolosa che mette a repentaglio l’incolumità degli agenti o di terzi.
L’identificazione di un sospettato tramite una foto segnaletica è valida ai fini processuali?
Sì, la Corte ha stabilito che tale modalità di identificazione è pienamente utilizzabile e legittima. La sua forza probatoria non deriva da formalità procedurali, ma dal valore della dichiarazione confermativa di chi effettua il riconoscimento, come la deposizione di un testimone.
Perché la Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano ‘mere doglianze in punto di fatto’, cioè contestazioni sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle prove, che non possono essere riesaminate in sede di legittimità, la quale si occupa solo della corretta applicazione della legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23561 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23561 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 26/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CHIETI il 10/06/1959
avverso la sentenza del 03/10/2024 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letti gli atti, il provvedimento impugnato esaminati i motivi di ricorso di A. COGNOME; dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME
Ritenuto che i motivi dedotti nel ricorso in relazione alla condanna per il reato di cui all’art. 337 cod. pen. non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché costituiti da mere doglianze in punto di fatto sviluppate sulla scorta di un’alternativa valutazione delle risultanze di prova derivanti dalle dichiarazioni rese dai verbalizzanti e senza un effettivo confronto con gli elementi posti a fondamento della sentenza ( si veda la diffusa motivazione a pag. 3) in cui viene evidenziato il contegno violento dell’imputato, affatto limitato alla mera fuga avendo, dapprima compiuto una manovra pericolosa in danno dell’agente NOME COGNOME e, subito dopo, in danno degli altri utenti della strada, pedoni e automobilisti, dandosi a precipitosa fuga per sottarsi al controllo ( Sez. 2, n. 44860 del 17/10/2019, Besana, Rv. 277765).
Manifestamente infondati anche i rilievi sulla illegittimità della individuazione dell’imputato perché eseguita sul cartellino fotosegnaletico e non attraverso una formale attività di ricognizione poiché il risultato di tale attività è pienamen utilizzabile e legittimo in quanto riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, sicché la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale, e non dalle formalità di assunzione previste dall’art. 213 cod. proc. pen. per la ricognizione personale, utili ai fini della efficacia dimostrativa secondo il libe apprezzamento del giudice (Sez. 5, n. 23090 del 10/07/2020, COGNOME, Rv. 279437). Nel caso, peraltro, l’esattezza della individuazione dell’imputato è stata asseverata dalla circostanza che questi fosse proprietario dell’autovettura la cui targa l’agente di polizia aveva annotato al momento del fatto.
I reiterati precedenti penali e la gravità del fatto sono stati valorizzati, senz che ciò comporti manifesta illogicità della motivazione, per escludere la idoneità a fini rieducativi, della sanzione sostitutiva richiesta dall’imputato (cfr. pag. 4 del sentenza impugnata);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 26 maggio 2025
La Consiglier atrice
Il Pre ‘dente