Resistenza a pubblico ufficiale: la Cassazione traccia il confine con la protesta
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27865/2024, è tornata a pronunciarsi sul delitto di resistenza a pubblico ufficiale, delineando con chiarezza la linea di demarcazione tra una condotta penalmente rilevante e una mera protesta o resistenza passiva. La decisione sottolinea come il tentativo di colpire fisicamente gli agenti, anche senza riuscirci, integri pienamente il reato.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso di un uomo condannato dalla Corte d’Appello di Milano per il reato di cui all’art. 337 del codice penale. L’imputato, in evidente stato di alterazione alcolica, si trovava all’interno di una ricevitoria dove stava importunando gli altri avventori, arrivando a tirare pugni contro le pareti. All’arrivo delle forze dell’ordine, che gli impedivano di rientrare nel locale, l’uomo aveva reagito tentando di colpirli con dei pugni. Contro la sentenza di condanna, l’imputato proponeva ricorso in Cassazione, sostenendo che la sua condotta non fosse altro che una generica protesta o, al più, una resistenza passiva.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la condanna. I giudici hanno ritenuto che le argomentazioni della difesa fossero costituite da “mere doglianze in punto di fatto”, ovvero contestazioni sulla ricostruzione degli eventi, che non possono essere oggetto di valutazione nel giudizio di legittimità, il quale si concentra esclusivamente sulla corretta applicazione delle norme di diritto.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su due principi cardine.
La distinzione tra resistenza attiva e passiva nella resistenza a pubblico ufficiale
Il punto centrale della decisione è la qualificazione della condotta dell’imputato. La Cassazione ha chiarito che le azioni poste in essere non si sono esaurite in una “mera resistenza passiva o in una generica protesta”. Il tentativo di colpire gli agenti con pugni, sebbene non andato a segno, rappresenta un’azione violenta finalizzata a opporsi all’atto d’ufficio degli agenti. Questo comportamento configura una resistenza attiva e, di conseguenza, integra pienamente gli elementi costitutivi del reato di resistenza a pubblico ufficiale previsto dall’art. 337 c.p.
Il diniego delle attenuanti generiche
La Corte ha inoltre ritenuto non censurabile la scelta dei giudici di merito di negare l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche. Tale decisione è stata giudicata non “manifestamente illogica”, in quanto basata sulla valorizzazione dei precedenti penali dell’imputato, che includevano anche reati violenti. Questo elemento ha pesato negativamente nella valutazione complessiva della personalità dell’agente, giustificando un trattamento sanzionatorio più severo.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame ribadisce un importante principio in materia di reati contro la pubblica amministrazione. Qualsiasi forma di violenza fisica, anche solo tentata, rivolta contro un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, è sufficiente per configurare il reato di resistenza. Non è necessario che l’azione violenta si traduca in lesioni; il semplice atto di ostacolare con la forza l’operato dell’agente è penalmente rilevante. Inoltre, la pronuncia conferma che la valutazione circa la concessione delle attenuanti generiche è ampiamente discrezionale e strettamente legata al passato giudiziario dell’imputato, il quale può precludere l’accesso a benefici di pena.
Tentare di colpire un agente con un pugno costituisce resistenza a pubblico ufficiale?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, il tentativo di colpire un agente con pugni è una condotta idonea a configurare il reato di resistenza a pubblico ufficiale, in quanto non si tratta di una mera resistenza passiva ma di un’azione violenta.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi proposti erano “mere doglianze in punto di fatto”, cioè contestazioni sulla ricostruzione dei fatti, che non sono consentite in sede di legittimità. La Corte di Cassazione può giudicare solo sulla corretta applicazione della legge, non riesaminare le prove.
Per quale motivo non sono state concesse le attenuanti generiche?
La Corte ha ritenuto legittima la decisione di non concedere le attenuanti generiche perché l’imputato aveva precedenti penali, anche per reati violenti. La valorizzazione di questi precedenti ha reso la scelta del giudice non manifestamente illogica.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27865 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27865 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME nato a KHOURIBG( MAROCCO) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/12/2023 della CORTE APPELLO di MILANIO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi del ricorso di NOME; dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che i motivi dedotti nel ricorso, avverso la sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 337 cod. pen., non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità, perché costituiti da . mere doglianze in punto di fatto.
Le modalità della condotta sono state ritenute idonee a configurare la condotta di resistenza perché non si erano esaurite in una mera resistenza passiva o in una generica protesta poiché il ricorrente aveva tentato di colpire con pugni gli agenti che gli impedivano di rientrare nei locali di una ricevitoria ove aveva importunato gli avventori tirando pugni contro le pareti, trovandosi in stato di alterazione alcolica;
Considerato che non è censurabile la scelta di denegare l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche perché non manifestamente illogica (la Corte di merito ha valorizzato i precedenti penali, anche per reati violenti);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14 giugno 2024
Il Consigliere pejatore
Il Presid nte