Resistenza a Pubblico Ufficiale: la Cassazione Chiarisce i Confini
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi sul delitto di resistenza a pubblico ufficiale, offrendo importanti chiarimenti sulla linea di demarcazione tra una condotta penalmente rilevante e una mera opposizione passiva. Il caso analizzato fornisce l’occasione per approfondire quando l’atto di divincolarsi da un fermo di polizia si trasforma in un reato e quali sono gli obblighi di motivazione del giudice nel calcolare la pena per reati connessi.
I Fatti di Causa e il Ricorso in Cassazione
Un individuo, condannato dalla Corte d’Appello di Milano per resistenza a pubblico ufficiale e altri reati, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando due vizi principali della sentenza impugnata.
In primo luogo, sosteneva che la sua condotta fosse stata erroneamente qualificata come resistenza attiva, mentre a suo dire si trattava di una semplice opposizione passiva, non punibile.
In secondo luogo, contestava la carenza di motivazione riguardo all’aumento di pena applicato per la continuazione tra i vari reati contestati. A suo avviso, il giudice non aveva specificato adeguatamente le ragioni dell’entità dell’aumento per i cosiddetti reati satellite.
La Decisione della Corte: i Confini della Resistenza a Pubblico Ufficiale
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le doglianze e confermando la correttezza della decisione dei giudici di merito.
Il Confine tra Resistenza Attiva e Opposizione Passiva
Il punto centrale della decisione riguarda la qualificazione della condotta dell’imputato. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: l’atto di divincolarsi da un soggetto fermato dalla polizia giudiziaria integra il requisito della violenza necessario per configurare il reato di resistenza a pubblico ufficiale.
Secondo gli Ermellini, non si tratta di una mera resistenza passiva quando la reazione non è una risposta spontanea e istintiva all’atto del pubblico ufficiale, ma un vero e proprio impiego di forza fisica. L’obiettivo di neutralizzare l’azione dell’agente e sottrarsi alla presa per guadagnare la fuga qualifica la condotta come una resistenza attiva e, quindi, penalmente rilevante. Il ricorso, su questo punto, è stato giudicato una semplice riproposizione di argomenti già correttamente respinti in appello.
La Motivazione sull’Aumento di Pena per il Reato Continuato
Anche il secondo motivo di ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato. La Corte ha ricordato che, in tema di reato continuato, il giudice ha l’obbligo di motivare l’aumento di pena per ciascun reato satellite. Tuttavia, il grado di dettaglio di tale motivazione è correlato all’entità dell’aumento stesso.
Quando l’aumento è contenuto e il trattamento sanzionatorio complessivo risulta congruo, l’obbligo di motivazione può ritenersi implicitamente assolto. Nel caso specifico, i giudici di merito avevano correttamente ritenuto adeguata la pena finale, comprensiva dell’aumento per il reato satellite, assolvendo così, seppur implicitamente, al loro onere argomentativo.
Le Motivazioni della Cassazione
La motivazione della Corte si fonda su due pilastri. Sul primo punto, si richiama la giurisprudenza costante che interpreta il concetto di ‘violenza’ nell’art. 337 c.p. in senso ampio, includendovi qualsiasi impiego di energia fisica diretto a contrastare l’azione del pubblico ufficiale. La distinzione cruciale risiede nell’intenzionalità dell’azione: un conto è un moto istintivo e non finalizzato, un altro è un’azione deliberata per fuggire, come il divincolarsi.
Sul secondo punto, la Corte applica un principio di proporzionalità e ragionevolezza, mutuato dalle Sezioni Unite. Si riconosce che imporre una motivazione analitica per ogni minimo aumento di pena appesantirebbe inutilmente il processo decisionale, specialmente quando la pena complessiva appare equilibrata rispetto alla gravità dei fatti. La motivazione implicita è quindi sufficiente a garantire il controllo sul rispetto dei limiti di legge e ad escludere un mero cumulo materiale delle pene.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza consolida due importanti principi. In primo luogo, chiarisce che opporsi a un fermo con atti di forza, anche se non sfociano in una vera e propria aggressione, costituisce reato di resistenza. La soglia tra lecito e illecito è superata quando l’opposizione cessa di essere ‘passiva’ e si traduce in un’azione fisica volta a impedire l’operato delle forze dell’ordine. In secondo luogo, offre una guida pratica sulla motivazione della pena nel reato continuato: la congruità della sanzione finale può bastare a giustificare aumenti di pena contenuti per i reati satellite, semplificando l’onere del giudice senza sacrificare le garanzie difensive.
Quando l’atto di divincolarsi durante un fermo diventa reato di resistenza a pubblico ufficiale?
Divincolarsi integra il reato di resistenza quando non è una reazione spontanea e istintiva, ma un vero e proprio impiego di forza fisica diretto a neutralizzare l’azione del pubblico ufficiale e a sottrarsi alla presa per guadagnare la fuga.
Una semplice opposizione verbale o fisica senza violenza è considerata resistenza?
No. La Corte distingue tra una ‘mera opposizione passiva’, che non è reato, e una ‘resistenza attiva penalmente rilevante’. Quest’ultima richiede l’uso di violenza o minaccia, e l’atto di divincolarsi con forza rientra in questa categoria.
Come deve motivare il giudice l’aumento di pena per reati commessi in continuazione?
Il giudice deve motivare l’aumento per ogni reato satellite, ma il livello di dettaglio dipende dall’entità dell’aumento. Se l’aumento è modesto e la pena complessiva è ritenuta congrua, la motivazione può essere considerata implicitamente assolta.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9018 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9018 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a COSENZA il 12/02/1969
avverso la sentenza del 18/06/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME;
ritenuto che il primo motivo di ricorso, che contesta la correttezza della motivazione posta a base del giudizio di responsabilità per il reato di cui all’art. 337 cod. pen., è indeducibile perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito nella parte in cui ha correttamente ritenuto che la condotta dell’imputato non consisteva, come asserito dalla difesa, in un comportamento di mera opposizione passiva, bensì di resistenza attiva penalmente rilevante (si vedano in particolare pag. 5-6 della sentenza impugnata), dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
considerato, inoltre, che ai fini della configurabilità del delitto di cui all’ar 337 cod. pen., l’atto di divincolarsi posto in essere da un soggetto fermato dalla polizia giudiziaria integra il requisito della violenza e non una condotta di mera resistenza passiva, quando non costituisce una reazione spontanea ed istintiva al compimento dell’atto del pubblico ufficiale, ma un vero e proprio impiego di forza diretto a neutralizzarne l’azione ed a sottrarsi alla presa, guadagnando la fuga (Sez. 5, n. del 27/09/2013 Ud. (dep. 21/02/2014 ) Rv. 259043 – 01);
ritenuto che il secondo motivo di ricorso che denuncia genericamente il vizio di omessa motivazione sulla misura dell’aumento di pena per la continuazione fra reati è manifestamente infondato;
che i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione della regola di giudizio secondo la quale in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269);
che l’obbligo è stato precisato nel senso che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e deve essere tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risulti rispettati i limiti previsti dall’art. 81 cod. pen. e che non si sia opera surrettiziamente un cumulo materiale di pene;
che tale onere argomentativo è stato, pertanto, implicitamente assolto dal giudice di merito, nella parte in cui ha correttamente ritenuto congruo il
trattamento sanzionatorio complessivo ivi compreso l’aumento di pena determinato per il reato satellite (si veda, in particolare, pag. 7 della sentenza impugnata);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di euro tremila alla cassa delle ammende.
Roma, 18/02/2025
Il Presi ente
Imperiali