Resistenza a Pubblico Ufficiale: Quando la Protesta Diventa Reato
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento sui confini del reato di resistenza a pubblico ufficiale. Il caso analizzato distingue nettamente tra una legittima critica all’operato delle forze dell’ordine e un comportamento che, attraverso minacce e intimidazioni, sfocia nell’illegalità. La decisione sottolinea come la volontà di ostacolare un atto d’ufficio sia l’elemento chiave per configurare il delitto, anche in assenza di violenza fisica.
I Fatti del Caso
Due individui venivano fermati a bordo di un motoveicolo e trovati in possesso di pannelli di lamiera. Le indagini successive collegavano il materiale a un furto avvenuto presso un vicino impianto di depurazione. La Corte d’Appello, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, li condannava per furto aggravato in concorso e per il reato di resistenza a pubblico ufficiale. Uno dei due imputati veniva inoltre condannato per evasione dagli arresti domiciliari, ai quali era sottoposto.
Durante il controllo, infatti, gli imputati avevano tenuto un comportamento aggressivo, rivolgendo agli operatori di Polizia Giudiziaria minacce di morte e compiendo atti intimidatori, tanto da rendere necessario l’intervento di altri agenti per completare le procedure.
Le Argomentazioni Difensive e il Ricorso in Cassazione
Gli imputati, attraverso i loro difensori, hanno presentato ricorso in Cassazione, contestando le condanne su più fronti.
La Tesi della Mera Critica per la Resistenza a Pubblico Ufficiale
Il punto centrale della difesa riguardava proprio il reato di resistenza a pubblico ufficiale. Gli appellanti sostenevano che le loro “intemperanze verbali” non fossero altro che una critica all’operato delle forze dell’ordine, priva di qualsiasi reale profilo di opposizione o minaccia concreta. A loro dire, mancava la volontà di impedire l’atto d’ufficio.
Altri Motivi di Ricorso
Oltre a ciò, la difesa contestava:
* La carenza di motivazione sulla prova del furto, proponendo una ricostruzione alternativa dei fatti.
* Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
* Per uno degli imputati, l’insussistenza del reato di evasione, poiché era in possesso di un’autorizzazione a lasciare il domicilio per svolgere attività lavorativa.
Le Motivazioni
La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi manifestamente infondati e quindi inammissibili, confermando la decisione della Corte d’Appello con motivazioni chiare e rigorose.
Il Collegio ha stabilito che il comportamento degli imputati andava ben oltre la semplice critica. Gli atti intimidatori, le minacce di morte e la scomposta gesticolazione non solo manifestavano la chiara volontà di contrastare il compimento degli atti d’ufficio (il controllo e gli adempimenti successivi), ma avevano anche un effetto concreto: costringere l’agente a chiedere l’ausilio di altri colleghi. Questo elemento, secondo la Corte, dimostra inequivocabilmente la sussistenza del reato di resistenza a pubblico ufficiale.
Per quanto riguarda gli altri motivi, la Corte ha ritenuto adeguata e logica la motivazione della sentenza impugnata. Le prove del furto (la vicinanza al luogo del delitto, il rinvenimento della refurtiva e di attrezzi da scasso, una ferita compatibile con tracce ematiche trovate sul posto) costituivano un quadro indiziario solido. Il diniego delle attenuanti generiche era stato correttamente giustificato sulla base dei numerosi precedenti penali e delle modalità del fatto, che indicavano una spiccata inclinazione al reato. Infine, riguardo all’evasione, i giudici hanno osservato che l’autorizzazione al lavoro ambulante non legittimava l’imputato a trovarsi in un contesto completamente diverso per commettere reati, per di più omettendo di comunicare la propria posizione e sottraendosi di fatto a ogni possibile controllo.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la linea di demarcazione tra la libertà di espressione e il reato di resistenza a pubblico ufficiale è superata quando il comportamento dell’individuo non si limita a un dissenso verbale, ma si traduce in una minaccia o in un atto intimidatorio finalizzato a ostacolare l’attività del pubblico ufficiale. Non è necessaria la violenza fisica; è sufficiente che l’azione sia idonea a intralciare o impedire l’atto d’ufficio. La decisione conferma, inoltre, che le autorizzazioni a lasciare il domicilio per motivi di lavoro non costituiscono una “carta bianca” e devono essere esercitate nel rispetto delle prescrizioni imposte dal giudice, senza abusarne per commettere ulteriori reati.
Quando una protesta verbale contro le forze dell’ordine diventa reato di resistenza a pubblico ufficiale?
Secondo questa ordinanza, la protesta diventa reato quando si trasforma in minacce (come quelle di morte), atti intimidatori o gesti violenti che manifestano la volontà di opporsi all’atto d’ufficio e sono concretamente in grado di ostacolarlo, ad esempio costringendo l’agente a chiedere rinforzi.
Avere un’autorizzazione per uscire di casa per lavoro protegge da una condanna per evasione?
No. L’autorizzazione è strettamente legata all’attività lavorativa dichiarata. Se la persona viene sorpresa a commettere altri reati in un luogo e contesto diversi da quelli lavorativi, e non ha comunicato la sua posizione, il reato di evasione sussiste perché si è sottratta al controllo dell’autorità giudiziaria.
Perché possono essere negate le circostanze attenuanti generiche?
La Corte può negarle con una motivazione adeguata, basandosi su elementi come il numero e la specificità dei precedenti penali di un imputato e le modalità concrete dei fatti commessi, qualora questi elementi rivelino una particolare inclinazione a delinquere.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33545 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33545 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a LENTINI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/11/2022 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Catania in parziale riforma della decisione del Tribunale di Caltagirone, ha assolto COGNOME NOME e COGNOME NOME dal reato di riciclaggio di una moto Ape a bordo della quale erano stati fermati e rideterminava loro la pena nella misura di giustizia in relazione ai reati di furto in concorso di materiali in lamiera sottratti presso un depuratore nel comune di Scordia e con riferimento al reato di resistenza a pubblico ufficiale e, per quanto concerne lo COGNOME, anche con riferimento al reato di evasione dagli arresti domiciliari.
Gli imputati, a mezzo dei propri difensori hanno proposto plurimi motivi di ricorso con i quali denunciano, con argomenti di diritto sostanzialmente comuni, il difetto di motivazione per carenza di gravità indiziaria in relazione alla prova della origine dei pannelli in lamiera rinvenuti nella disponibilità dei prevenuti e della prova del loro impossessamento, a fronte della ricostruzione alternativa offerta dagli indagati; assumono altresì violazione di legge e vizio motivazionale in punto di affermazione di responsabilità in relazione al reato dì resistenza a pubblico ufficiale atteso che gli atti di ufficio erano stati ritualmente compiuti e che le intemperanze verbali costituivano una mera critica alle forze dell’ordine prive di qualsiasi profilo d opposizione o di resistenza; denunciano altresì vizio motivazionale in ragione del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; COGNOME denuncia altresì violazione di legge in relazione al reato di evasione essendo titolare di autorizzazione di lasciare il domicilio per svolgere attività lavorativa.
I motivi di ricorso risultano essere meramente riproduttivi di censure già adeguatamente vagliate e disattese con corretti argomenti dal Giudice di merito e non scandite da specifica critica delle argomentazioni poste alla base della sentenza impugnata.
La Corte ha riconosciuto, con motivazione adeguata e non manifestamente illogica, un patrimonio indiziario di assoluto rilievo per ritenere la fattispecie di fu pluriaggravato di materiale proveniente dal depuratore di Scardia rappresentando il luogo in cui il controllo era stato eseguito (non distante dall’opificio); le ragioni p cui il controllo era stato approntato (ripetuti atti predatori all’interno del suddet depuratore); il rinvenimento dei pannelli nel motoveicolo dei prevenuti che provenivano da detto depuratore; la presenza di strumenti (chiavi e sbullonatori) atti allo scasso e alo smontaggio; ferita lacero contusa del COGNOME e rinvenimento di tracce ematiche sulla porta di una cabina ove erano contenuti quadri elettrici nei locali a servizio del depuratore.
Manifestamente infondati e in fatto sono altresì i motivi di ricorso concernenti il reato di resistenza a pubblico ufficiale atteso che gli atti intimidatori, le minacce d morte, la scomposta gesticolazione verso uno degli operatori di PG non solo evidenziavano la volontà di contrastare il compimento degli atti di ufficio, ma determinò la necessità per l’agente di chiedere l’ausilio degli altri operanti per procedere alle attività conseguenti.
Le circostanze attenuanti generiche sono state escluse con motivazione congrua in ragione del numero e della specificità dei precedenti penali e delle modalità dei fatti che evidenziavano una particolare inclinazione al reato.
Quanto al reato di evasione, logica è la motivazione secondo la quale lo COGNOME, seppure autorizzato a volgere attività lavorativa ambulante, era stato sorpreso a commettere reati contro il patrimonio in tutt’altro contesto ambientale e non aveva neppure osservato la prescrizione di comunicare il luogo dove avrebbe svolto la propria attività di ambulante, sottraendosi di fatto a qualsiasi possibilità di controll da parte dell’autorità di PG.
Per tali ragioni i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla RAGIONE_SOCIALE delle ammende, determinabile in euro tremila ciascuno, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma il 26 giugno n 2024
Il Consigliere estensore
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Il Prsidnte